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Autore: Halley Silver Comet    29/04/2011    10 recensioni
Si addentrò all’interno della stanza avanzando lentamente, come se sentisse che, se si fosse mosso con maggiore rapidità, quella ragazza sarebbe scomparsa. L’interesse che lo muoveva verso di lei, d’altra parte, era del tutto nuovo e sconosciuto, così diverso da quello che solitamente lo animava quando incontrava una bella fanciulla: questa volta, infatti, avrebbe voluto unicamente sapere qualcosa di più sul suo conto, a cominciare dal nome.
La giovane, però, dal canto suo, non si era ancora resa conto di nulla, tanto era concentrata a trafficare con matite, squadre e gomme cambiando continuamente utensile, tracciando, misurando, cancellando o semplicemente valutando se la punta di grafite fosse ben appuntita, mentre Gianni, ormai solo a qualche passo di distanza, si era accorto di aver smesso di respirare e di avere la salivazione praticamente ridotta a zero, anche se la cosa più sorprendente per lui fu avvertire che la nausea si stava attenuando.
Giunto accanto al tavolino, buttò uno sguardo sul foglio che teneva in mano la ragazza e rimase sorpreso da ciò che vi trovò raffigurato, perché era l’ultima cosa alla quale avrebbe pensato.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gianni, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Stella del Sud - Atto I





Parte Prima - Atto Primo



Tanto gentil e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.


Dante Alighieri, Vita Nova, Cap. XXVI, vv. 1-4


S
e avessimo l’occasione di osservare il porto di Alessandria d’Egitto dall’alto del suo antico e ormai scomparso faro, questo luogo così intriso di storia e di storie ci apparirebbe in tutta la sua magnificenza, giacché fin dai tempi più remoti è sempre stato un crocevia di scambi d’ogni genere: gente che viene, gente che va.
E proprio a questo pensava Yussef, mentre tirava le magre reti in barca, adocchiando un’imponente nave da crociera impegnata nelle manovre di attracco.
“Turisti, turisti, sempre e solo irrispettosi turisti!” borbottò fra sé e sé l’uomo. “Vengono, fanno i loro comodi e se ne vanno. Si chiedessero, piuttosto, se i loro comportamenti possono essere considerati lontanamente civili!”
L’uomo era un anziano pescatore egiziano dalla bianca barba incolta e con la pelle scura, nella cui famiglia, l’atavico mestiere era stato tramandato di generazione in generazione, essendo stato sempre ritenuto un lavoro bastevole a condurre una vita dignitosa. Tuttavia, negli ultimi tempi, le cose erano cambiate: non c’era più la sicurezza di una volta e doveva vendere il pesce a poco prezzo, ma comprare a tanto i beni di prima necessità.
Sospirò, constatando lo scarso risultato di un’intera notte di pesca, dopo di che si preparò per tornare indietro. Mentre la riva si faceva sempre più vicina, le sue preoccupazioni erano tutte rivolte a come piazzare bene quel poco che era riuscito a pescare, consapevole di quanto potesse essere spietata e sleale la concorrenza al mercato del pesce di Alessandria.
Quando finalmente la barchetta toccò terra, Yussef cominciò a scaricare le cassette con metodo e precisione. All’improvviso, però, una fiumana di gente si riversò sulla banchina del porto: la nave da crociera doveva aver dalle autorità locali il permesso per procedere con lo sbarco, così che i passeggeri potessero trarre diletto dalla tappa egizia; nel frattempo, il pescatore era giunto alla quarta cassetta, ancor più vuota delle altre, sul fondo della quale erano adagiate alcune orate, dalle dimensioni alquanto ridotte. Yussef si fermò a fissarle, grattandosi una guancia.
“Se oggi voglio mangiare, dovrò fare i salti mortali” pensò, amareggiato.
Intanto, la maggior parte dei crocieristi era già scesa a terra e stava passando il controllo del personale del terminal portuale così, poco dopo, la massa cominciò a dileguarsi e rimasero solo i passeggeri provenienti dalle cabine ubicate sui ponti più elevati, di norma ricconi o importanti celebrità.
Solitamente, l’uomo non prestava attenzione a quel genere di persone, perché aveva ben altro da fare, ma, quella mattina, ci fu qualcosa che lo distrasse dai suoi conti abitudinali, quando, sotto i suoi occhi, si trovò a passare un gruppo molto particolare, formato da quattro ragazzi e tre ragazze. Ciò che colpì principalmente l’anziano pescatore, però fu la straordinaria eterogeneità dei tratti somatici che connotavano i componenti della comitiva: lineamenti belli e fini, ma comunque diversi tra loro.
In testa al gruppo, infatti, avanzava, compostamente, un ragazzo dall’aria austera e impassibile e, in virtù di ciò, Yussef avrebbe scommesso con una certa sicurezza che fosse tedesco, avendo una certa esperienza con le fisionomie, anche le più improbabili, poiché, per via del suo lavoro, aveva visto transitare tanta gente proveniente dai più disparati paesi del mondo. Al braccio del turista, era appoggiata una bellissima fanciulla, dai capelli di un biondo così tenue da sembrare di platino, mentre gli occhi erano azzurro chiaro e la pelle bianca come il latte, indizi che portarono l’uomo ad immaginare che la giovane fosse di provenienza scandinava. L’espressione di sofferenza che aveva sul volto, inoltre, lasciava intendere che fosse piuttosto spossata.
Dietro la prima, procedevano affiancate altre due coppie, la prima delle quali era formata da un ragazzo dall’espressione annoiata, i capelli tendenti al mogano alzati con il gel, e da una ragazza tanto graziosa quanto crucciata, una mora dal caschetto perfettamente pettinato; gli abiti di entrambi dovevano essere molto costosi, ma, nel complesso, risultavano terribilmente anonimi.
“Britannici” azzardò Yussef.
La seconda coppia, invece, era composta da un giovane estremamente raffinato dal portamento elegante e la chioma verde sottobosco, abbracciato ad una fanciulla minuta, riccia e biondina, intenta a sventagliarsi in maniera compulsiva lamentandosi per il troppo caldo nonostante fosse settembre inoltrato. Chiudeva la fila un ragazzo, anche lui con i capelli dello stesso biondo della fanciulla che lo precedeva, che camminava con le braccia incrociate dietro la nuca, esibendo un sorriso sornione.
“Ed ecco gli ultimi tre. Quei due, nonostante siano biondi, hanno un’aria talmente strafottente che potrebbero essere italiani, mentre il terzo sembra così altezzoso che non potrebbe essere altro che... un francese!” concluse trionfante l’uomo.
Mentre ragionava in questi termini, intanto, la comitiva aveva proseguito indisturbata verso il terminal, sparendo presto dalla vista del pescatore, che, qualche istante dopo, si terse la fronte, madida di sudore, per poi tornare al suo lavoro, scuotendo la testa.
“Turisti”.

«Mi raccomando: non perdete i biglietti del traghetto per Patrasso. Jetzt1 preparate i passaporti, cerchiamo di velocizzare i tempi!»
A quanto pareva, anche se in vacanza, Ralf Jurgens non poteva fare a meno di atteggiarsi a caposquadra, scandendo i ritmi di tutti gli altri ragazzi del gruppo, ma, considerando che la sua ragazza era stata provata, da una notte passata su un Egeo forza sei2, era ben comprensibile che avesse tanta fretta.
«Sono a pezzi. Ralf, mi sento così debole…» sussurrò proprio in quel momento la biondissima fanciulla, appoggiandosi al braccio del proprio cavaliere.
«Forza, Christine, vedrai che tra poco potrai riposarti» la tranquillizzò subito lui, tirandosela vicino.
«Io ho un mal di testa terribile. Ho bisogno di una farmacia e di un’aspirina. Immediatamente! Andrew, verrai anche tu con me, vero?» avanzò, invece, la ragazza col caschetto, lanciando un’occhiata eloquente al giovane scozzese.
«Se non lo facessi, Mary Anne, saresti capace di citarmi in giudizio per omissione di soccorso!» replicò costui, schietto e disinvolto.
«Cosa?! Vuoi dire che mi lasceresti andare da sola, in giro per Alessandria? Hai una vaga idea di quanto sia lontano da qui il centro?» esclamò Mary Anne, sbarrando gli occhi.
«Dai, dai! Stavo scherzando, lo sai che non lo farei mai. Ci caschi sempre, è uno spasso prenderti in giro!»
«E poi dite che siamo noi inglesi, ad avere un senso dell’humor opinabile!» affermò la giovane, socchiudendo appena gli occhi e scrutando torva il fidanzato.
«Noi, invece, potremmo andare a fare un giro per negozi, perché ho bisogno di sentire la terra ferma sotto i piedi, senza però morire a causa di questo caldo soffocante… Che cosa ne dici, Olivier?» chiese la minuta ragazza bionda, continuando a farsi aria con il suo enorme ventaglio di pizzo sangallo.
«Mais certainement, ma petite fleur! Siamo qui in vacanza, perciò faremo tutto quello che vorrai» replicò dolcemente il francese.
«Appunto, voi fate quello che volete» intervenne, invece, Gianni, ravviandosi la frangia con un gesto studiato e seducente, «io so perfettamente come impiegherò il mio tempo».
Gli altri sei si voltarono verso di lui e nella hall del Mediterrean Plaza calò il silenzio.
«Facci indovinare, continuerai a dedicarti al tuo sport preferito?» chiese retoricamente la compagna di Olivier, mentre Mary Anne alzava gli occhi al cielo e Ralf sospirava rassegnato.
«Ah, già! La caccia alle... alle... come dite voi, in Italia?» si intromise immediatamente Andrew, facendo schioccare ripetutamente le dita per cercare di ricordare il termine esatto.
«Pollastre, impara caro mio, pollastre» lo aiutò il giovane italiano, sorridendo maliziosamente. «E tu, Claudia, mia adorata cugina, potresti spiegarmi perché con Olivier sei tutta sorrisi e moine, mentre con me sei sempre così scortese?» aggiunse, recitando la parte della vittima di turno.
«Bah, perché te lo meriti, forse? Come se non sapessi che hai dato già abbastanza spettacolo, sulla nave…» sbuffò lei.
«Ognuno è libero di fare quello che vuole» mise ordine Ralf, notando che la sua Christine sembrava sempre più pallida. Per fortuna, proprio in quel momento, si fece vivo il concierge che sviò immediatamente l’attenzione dei ragazzi sulle pratiche di registrazione del loro arrivo.
«Perfetto, signori. Qui ho quattro prenotazioni effettuate a nome di Jurgens, McGregor, Boulanger e Tornatore, corretto?»
«Ja, è così» rispose per tutti Ralf.
«Bene, se mi faceste la cortesia di consegnarmi i vostri passaporti, potrei sbrigare le incombenze d’ufficio senza che voi collaboriate ulteriormente. Immagino che sarete molto stanchi».
Era un bel ragazzo alto, dalla pelle abbronzata e i capelli neri, che aveva subito notato l’espressione sofferente di Christine e deciso di andare incontro alle esigenze degli ospiti.
«Dankeschön» lo ringraziò il tedesco, riconoscente.
«Dovere. Potrete ritirare i vostri documenti tra qualche ora. Intanto, il nostro personale porterà i vostri bagagli negli appartamenti a voi riservati, mentre le chiavi sono queste» spiegò, mostrando quattro carte magnetiche. «Per il momento è tutto, vi auguro buona permanenza ad Alessandria!» concluse, con un sorriso cordiale e professionale.
«Molto bene. Da questa parte, Christine. Ragazzi, noi vi auguriamo buon proseguimento, ci vedremo questa sera!» fece, allora, Ralf, spingendo la sua ragazza verso uno degli ascensori.
«Darling, andiamo anche noi!» esclamò subito dopo Mary Anne, trascinandosi dietro il fidanzato e impedendogli qualsiasi tentativo di opposizione.
Così, nella hall rimasero solo Olivier, Claudia e Gianni, ma, prima che chiunque di loro potesse aggiungere o fare qualcosa, passarono davanti a loro due ragazze dalla pelle ambrata, con indosso una divisa bianca e dal design lineare. Si stavano dirigendo verso la zona fitness & wellness, chiacchierando allegramente tra di loro, in arabo e una testa bionda si voltò immediatamente al loro passaggio, seguendole finché scomparvero dietro una pesante porta di vetro satinato.
«Uhm… Direi massaggiatrici» valutò, con interesse.
Nel sentirlo, la ragazza assunse un’espressione profondamente disgustata e solo la presenza, accanto a lei, di Olivier - il quale, per giunta, le stringeva una mano - evitò che tirasse qualche manrovescio all’inquieto cugino.
«Mi chiedo perché la zia abbia sempre vietato allo zio di corcarti a dovere. Forse, non saresti venuto così venale…» commentò, inviperita.
«Il dialetto non si addice ad una madamigella di classe come te» la prese in giro l’altro, sghignazzando. «Sai, ti preferisco quando fai la svenevole in francese con il tuo fiancé».
«Che razza di idiota! Io ti…» iniziò lei, sbraitando, con il viso contratto dalla rabbia.
A quel punto, solo l’arrivo provvidenziale dell’ascensore e la calma di Olivier salvarono il collo a Gianni.
«Vieni, ma petite fleur, ricordati che abbiamo tante cose da fare» l’addolcì il fidanzato.
Il parigino, allora, lasciò il passo a Claudia, che avanzò tutta impettita, sempre con il ventaglio in mano; quindi, si apprestò a salire a sua volta, lanciando prima un’occhiata indecifrabile al suo amico.
«Mon Dieu» sussurrò sconsolato, mentre le porte della cabina si richiudevano.
«Ah, ah! Libero!» gioì Gianni, fregandosi le mani, compiaciuto. «Ed ora, signori, dichiaro aperta la stagione di caccia!»
Il concierge, trovandosi a pochi passi di distanza a svolgere il suo lavoro, sentì tutto e alzò lo sguardo per spostarlo sul giovane, aggrottando la fronte. Infine, scrollò le spalle e sbuffò: «Turisti».
***

Posso consigliarvi un ottimo vino da abbinare alle portate di pesce che avete ordinato?» chiese garbatamente un cameriere, apprestandosi al tavolo dei Majestics e delle rispettive fidanzate. «Potrebbe andare bene uno Chardonnay, con la sua acidità elevata, nonostante sia delicato e fruttato».
I sette ragazzi gli puntarono addosso occhiate dubbiose, scrutandolo con aria di sufficienza e l’espressione sul viso del giovane si congelò, finché non si sollevò una risata cristallina.
«Non avrebbe potuto fare scelta più sbagliata! Un gusto delicato come lo Chardonnay si sposa bene con piatti consistenti e dal sapore particolare, come il roast-beef. Per l’astice, invece, ci vuole un vino fermo, leggero, ma sapido, che possa esaltare il gusto intenso del crostaceo. Avete una bottiglia di Vermentino di Gallura, per caso?» spiegò Claudia con pedanteria: il fresco della sera e il pomeriggio di shopping avevano davvero fatto miracoli, rimettendola in sesto e permettendole di tirare fuori il suo atteggiamento più superbo.
Il cameriere, rimasto non poco attonito dalla precisione della sua argomentazione, guardò stranito la giovane, increspando le labbra.
«Vado… vado a vedere se ne trovo una» borbottò, contrariato, allontanandosi in tutta fretta.
«Mia cara Claudia, anche quando sei lontana dal lavoro, non riesci proprio a fare a meno di essere professionale, vero?» commentò Christine, anche lei ormai ripresasi quasi del tutto, sorridendo alla bionda italiana.
«Un sommelier resta sempre un sommelier» rispose lapidaria la diretta interessata.
«E tu sei uno dei migliori» disse Olivier, prendendo una mano della sua fidanzata per sfiorarla delicatamente con le labbra.
“Un cuoco e un sommelier: che accoppiata vincente. Soprattutto, quando c’è da mettere in difficoltà qualcuno!” pensò Gianni, abbandonandosi contro lo schienale della sua sedia e poggiando il polso sinistro sul bordo del tavolo.
«Io, invece, di vino non capisco assolutamente nulla. Per me, uno vale l’altro, perché penso che sia una bevanda assolutamente inutile!» si intromise Mary Anne, facendo capire che teneva ad informare gli altri del suo punto di vista.
«Non dire eresie! Solo perché sei astemia, non significa che si debba bandire l’alcol dalla faccia della Terra!» replicò immediatamente Andrew che, da bravo scozzese, era un intenditore di alcolici e affini.
«Ah, be’, bandire magari no, ma si potrebbero operare più controlli sulla distribuzione pubblica. Io sono dell’idea che ci vorrebbero leggi più severe, per chi viene fermato alla guida in stato di ebbrezza, per esempio» obiettò animatamente la fanciulla, arrivando così a toccare uno degli argomenti che le stavano più a cuore. «Prima che partissimo, ho assistito ad un processo abominevole: l’avvocato Crimson è riuscito a far assolvere un ubriacone che aveva investito ben tre persone, uccidendole sul colpo. Non lo trovate assurdo?» chiese.
Gianni si soffermò a scrutare Mary Anne: aveva un carattere decisamente troppo ribelle e giustiziero per i suoi gusti. Non che la sua causa fosse sbagliata, erano i suoi modi di portarla avanti che non lo convincevano. D’altra parte, sapeva bene di non condividere le preferenze di Andrew in alcun campo. Infatti, non avrebbe mai potuto pensare nemmeno lontanamente di fidanzarsi con un avvocato, specie se con la stessa loquacità della ragazza. Ciononostante, doveva ammettere che lei era l’unica persona, ad eccezione di sir George McGregor, in grado di tenere testa a quell’arrogante dalla lingua lunga.
«Nel Regno Unito succedono queste cose? Da noi, in Svezia, sarebbero inammissibili! Anche in Germania i tribunali sono più severi, vero, caro?» si scandalizzò Christine, cercando il supporto del suo Ralf.
«Ja, assolutamente, ma non credo che dipenda dalla legislatura del paese: conosco Crimson e non perde mai un processo, è come der Teufels Advokaten3».
Il biondo italiano, allora, fece convergere la propria attenzione su Christine, in costante adorazione del suo fidanzato. Che ragazza esageratamente remissiva! Era davvero da far venire il latte alle ginocchia, ma, a quanto pareva, Ralf-tutto-d’un-pezzo l’adorava e, forse, proprio per questo motivo.
Annoiato dai discorsi che stavano intrattenendo i suoi commensali, a quel punto, Gianni spaziò la vista sul resto della sala ristorante, notando quanto le luci soffuse e la vetrata panoramica sul porto e sulla città lontana dessero a quell’ambiente un tocco di classe. L’arredamento, come aveva detto l’esperta svedese, proprietaria di un negozio di antiquariato, era certamente ispirato a quello del periodo della tredicesima dinastia.
In realtà, quella sera, la comitiva avrebbe dovuto cenare in un lussuoso locale del centro di Alessandria, ma, data l’indisposizione di Christine, nessuno aveva obiettato quando Ralf aveva proposto di non allontanarsi.
Per passare il tempo, l’instancabile casanova passò in rassegna ad uno ad uno, tutti i tavoli della sala: vi era seduta ogni sorta di bellezza e le rappresentanti più fascinose di ogni angolo del pianeta sembravano essersi radunate lì, anche se non avevano nulla a che fare con quelle due deliziose ragazze, Bahira e Ghada, che aveva conosciuto nel pomeriggio.
“Davvero due magnifici esemplari del gentil sesso!” pensò il biondo, riportando alla mente i ricordi del piacevole incontro pomeridiano, in cui Gianni si era divertito a fare, come suo solito, il gallo nel pollaio.

«Ho trovato quello che mi aveva chiesto, miss» annunciò in quel momento il cameriere di prima, soddisfatto, troncando l’illuminante discorso che aveva intavolato Mary Anne, riguardo la giustizia in Gran Bretagna e nel resto d’Europa.
«Molto bene!» approvò Claudia. «Ah, ed ecco anche il nostro astice in salsa verde!»
La maggior parte del personale di sala, infatti, si stava affannando intorno al loro tavolo, affinché i sette ragazzi fossero serviti a puntino, dal momento che tutti erano stati informati di chi fossero i Majestics e sembravano impegni ad adoperarsi affinché l’errore del povero sventurato fosse dimenticato quanto prima.
Gianni, intanto, stava seriamente valutando l’eventualità di tagliare la corda, non appena fosse finita la cena, poiché sarebbe stato molto, molto, più allettante concluderla con un dessert servito nella zona termale, anziché con un’altra arringa di Mary Anne.
Eppure, le cose non andarono come programmato. Infatti, proprio mentre il giovane si pregustava il suo dopocena, attraverso lo folla del personale in movimento, cominciò ad intravedere il preludio di ciò che lo avrebbe segnato da quel momento in poi:  un ragazzino, il quale non doveva aver superato i dieci anni, era in piedi all’ingresso della sala, da solo e si guardava intorno, come se stesse cercando qualcuno. Non trovandolo, arrivò perfino a muovere qualche passo, ma fu prontamente riacciuffato da un giovane che Gianni riconobbe essere il concierge.
Il ragazzo si era messo appena il bambino in spalla, dicendogli qualcosa concitatamente, quando sopraggiunse una terza persona: una giovane dalla carnagione scura e dai lunghi capelli corvini, lisci e fluenti, che somigliava molto al bambino. Quello, allora, le rivolse qualche parola, mentre lei si preparava a ricevere il piccolo tra le proprie braccia: alla fine, lo scambio avvenne e il giovane scarmigliò affettuosamente i capelli del bimbo, dando prima un bacio sulla fronte di quest’ultimo e poi sulla guancia della ragazza. A quel punto, lei sorrise, stringendo a sè il piccolino, e si allontanò dalla sala, quasi fluttuando, mentre il concierge, dopo aver lanciato un’occhiata circospetta all’interno, come ad assicurarsi che fosse tutto a posto, si dileguò a sua volta, imboccando la direzione opposta a quella degli altri due.
L’intera scena si era svolta in una manciata di secondi appena, ma questi erano bastati a turbare il biondo nel più profondo del suo animo. Possibile che quella ragazza, così giovane, fosse già sposata e avesse un figlio? E che il concierge, più o meno della sua stessa età, fosse un responsabile padre di famiglia, mentre a lui, Gianni Tornatore, interessava solo il puro divertimento? Eppure, a pensarci bene, era davvero così strano? La risposta era sotto i suoi occhi: per quanto le scelte compiute fossero o no discutibili, tutti i suoi amici avevano trovato le donne della loro vita e, per giunta, con il benestare delle rispettive famiglie.
Leopold Jurgens, infatti, aveva annunciato, da gran tempo, il matrimonio del figlio con la bella Christine. Galeotte erano state le antichità dell’arcaico maniero, che presieduto il fatidico incontro tra i due giovani. L’antiquaria svedese, che stravedeva per Ralf e per i cimeli custoditi nel castello di famiglia, era così riuscita a conquistarsi la fiducia del severo junker4.
Louis Boulanger, invece, aveva manifestato grande commozione, quando il suo unico erede gli aveva riferito di essersi fidanzato con la figlia di un’esponente della buona borghesia romana, per di più cugina di uno dei suoi compagni di squadra. L’honneur e il patrimoine sarebbero stati salvi e tutta Parigi avrebbe salutato la futura sposa di Olivier, lanciando petali di rosa dalle rive della Senna.
Infine, per quanto riguardava sir George McGregor, tradizionalista e conservatore, tutto porridge, tè delle cinque, Dio-salvi-la-Regina-Amen, il fatto che anche i reali del Regno Unito avessero consentito il matrimonio tra il principe ereditario e una non nobile, lo aveva portato ad accettare di buon grado la relazione tra Andrew e Mary Anne. D’altra parte, il vecchio barone era anche convinto che fossero doti come il carattere e l’intelligenza a contare veramente, due qualità che il giovane avvocato aveva dimostrato di avere a iosa.
E poi, c’era Marcello Tornatore, il quale non poteva certo reputarsi fortunato come gli altri signori, avendo ormai rinunciato a sperare che il proprio figlio potesse mettere giudizio.

Bruscamente, il biondo scosse la testa e scacciò quei pensieri, tornando a concentrarsi sul suo astice.
«Allora, Gianni, facci fare quattro risate e raccontaci delle tue conquiste pomeridiane!» lo incitò proprio in quel momento Andrew, interrompendo il silenzio dovuto alla masticazione.
Al giovane, andò di traverso il boccone al punto che fu costretto a sputarlo nel tovagliolo per evitare che gli rimanesse in gola.
Maledetto McGregor, incapace di farsi gli affaracci suoi, sempre e comunque! Pensasse piuttosto a come la sua ragazza lo teneva a bada, anche durante il semplice acquisto di un’aspirina!
«Non ho niente di particolare da dire» rispose laconico il ragazzo.
«Ma come!» esclamò sorpresa Claudia, mentre un lampo di cattiveria le passava nelle iridi scure. «Di solito, ti vanti fino alla nausea dei tuoi trofei! Non hai rimediato nulla, per caso?»
L’altro inarcò appena un sopracciglio, serrando le labbra fino a farle sbiancare.
«Forse le ragazze di qui sono più intelligenti e non cadono ai piedi del primo che capita» incalzò Andrew, beccandosi una gomitata nello stomaco da parte di Mary Anne.
«Cosa c’è, caro? Qualcosa non va?» fu, invece, la premurosa domanda di Christine.
Gianni, però, non rispose, disturbato da quei commenti, sopraggiunti proprio nel momento in cui la sua coscienza, che negli anni aveva imparato così bene a mettere a tacere, era riuscita a trovare uno spiraglio per farsi sentire. Allora, senza preavviso si alzò e, borbottando uno “Scusate, non ho più appetito, continuate pure senza di me”, lasciò la sala a grandi falcate.

Claudia posò la forchetta e lanciò un’occhiata gelida verso il punto in cui era sparito il cugino, poi, però, si ricompose e disse, con enfasi: «Oh, spero di non averlo offeso. Tra di noi c’è sempre stata una grande confidenza, siamo praticamente fratelli e non mi sono mai privata di fare apprezzamenti sulla sua condotta. Mi ha sempre risposto con una qualche battuta, perciò non pensavo potesse prendersela» spiegò, mettendo una mano sotto al mento e poggiando appena l’avambraccio contro il bordo del tavolo.
Subito, Olivier le accarezzò una guancia.
«Stai tranquilla, sono certo che c’è sotto qualcosa di più, perciò vado io a parlargli» la rassicurò immediatamente il giovane francese.
La bionda volse lo sguardo in direzione del fidanzato e gli sorrise, condiscendente. Il parigino ricambiò il sorriso, dandole un piccolo bacio sulla guancia per confortarla. Poi, in seguito, si alzò a sua volta e scambiò uno sguardo di intesa con Ralf, il quale annuì.
«Con permesso».
Tuttavia, Mary Anne non lasciò passare inosservato l’accaduto e si affrettò a rimproverare Andrew.
«Certe volte hai proprio la sensibilità di un haggin5
Lo scozzese, irritato dal rimprovero, si limitò bofonchiare “Non sapevo che fosse diventato così permaloso”.
«Non era il solito Gianni, vero caro?» domandò, allora, Christine, pacata.
Ralf poggiò la mano sinistra su quella destra della ragazza e, senza la benché minima ombra di turbamento, le disse: «Vedrai che Olivier riuscirà a capire cosa c’è che non va».

Gianni era riuscito a raggiungere il giardino dell’albergo in un batter d’occhio, scendendo gli scalini due a due, avvertendo nel suo animo il fortissimo impulso ad allontanarsi subito da quella sala.
Il vialetto che portava all’ingresso era deserto: evidentemente, tutti gli ospiti dovevano avere di meglio da fare che sostare in mezzo alle piante grasse che ornavano le aiuole lì vicino.
Giunto a circa metà della stradina, però, si fermò bruscamente, piantò le mani sui fianchi, e riversò il capo all’indietro, sbuffando sonoramente.
«Non avrei potuto scegliere momento migliore, per perdermi nei miei dubbi esistenziali» commentò, sarcastico, chiudendo gli occhi.
Il bilancio della sua vita, infatti, gli si era brutalmente presentato davanti, manifestandosi come una carrellata di immagini terribili a partire dalla scena alla quale aveva assistito quando la ragazza aveva preso in braccio il bambino.
Incredibile come un semplice gesto avesse avuto il potere di riportare a galla il senso di inadeguatezza che avvertiva latente da tempo, costringendolo a guardare in faccia la realtà: stava sciupando la sua esistenza, vivendo alla giornata, alle spalle dei suoi genitori, senza fare alcunché per migliorare la situazione. Perché, non poteva essere come Ralf, Andrew oppure Olivier? Perché suo padre doveva sempre avere un valido pretesto per urlargli contro volta che lo aveva sotto tiro?
Rimise dritta la testa e frugò nelle tasche, alla ricerca del pacchetto di sigarette, poi, una volta trovato, lo aprì e scelse uno dei tanti bastoncini di nicotina e tabacco contenuti all’interno: aveva perso il conto di quante volte, si era sentito dire da Massimo quanto fosse “utile” fumare.
Ma a chi? A cosa?
Lo fanno tutti! Aiuta a rilassarsi”.
Tutti. La stessa cosa che dire nessuno.
Gianni, infatti, aveva sempre vissuto, ovattato nel suo bel mondo fatto di agiatezze e ricchezze, all’insegna della consuetudine: si dice e si fa. Quando, invece, sarebbe arrivato il momento dell’io dico e io faccio?
Immerso nei propri pensieri, accese la sigaretta e aspirò una profonda boccata di fumo, sapendo perfettamente che si sarebbe limitato a guardarla consumarsi da sola, bruciando lentamente, - perché, a dirla tutta, fumare non gli piaceva affatto -, esattamente come stava facendo con la sua vita.
Subito, un sottile sbuffo grigio cominciò ad espandersi nell’aria, senza svanire nell’immediato: era una serata tranquilla e non soffiava un alito di vento; così, il ragazzo si soffermò ad osservare la strana forma che stava assumendo la coltre fumosa, simile a un drago…

Da piccolo, amava riconoscere le figure nelle nuvole, un gioco che faceva sempre con il suo adorato nonno Giancarlo. Durante l’estate, infatti, dopo pranzo, l’anziano uomo si sedeva con lui sotto i grandi pini del parco di Villa Aurelia, assaporando la piacevole frescura generosamente offerta dalle maestose conifere, mentre, tra le loro chiome, si intravedevano scorci di cielo azzurro e, talvolta, anche qualche graziosa nuvoletta.
«Quella cosa ti sembra, Giannino?» chiedeva allora l’uomo, sorridendo dolcemente.
«Quella? Assomiglia ad un grande mostro, come quello della storia che mi hai raccontato ieri sera!» rispondeva prontamente il bambino, alzandosi in piedi e spalancando le braccia, per mimare le dimensioni del malvagio essere immaginario.
«E questo mostro lo vogliamo lasciare libero?»
«No, dobbiamo sconfiggerlo! Dai, nonno, noi siamo gli eroi e dobbiamo sconfiggere i cattivi!».
E così, iniziava puntualmente la fantasiosa lotta contro le forze del male, un magnifico espediente che aveva il potere di annullare la differenza di età che c’era tra i due, perché il nonno diventava un perfetto compagno di giochi, il più fidato e il più affettuoso.
Quando si è nell’infanzia, però, si pensa che le cose belle non avranno mai fine e si vive alimentati da quelle fallaci certezze, ma, prima o poi, anche le favole più sublimi (si scontrano con la dura realtà, come imparò a sue spese il piccolo Giannino qualche tempo dopo.
Al bimbo, infatti, quell’estate sembrò subito strana, perché il nonno non usciva mai dalla sua stanza e i suoi genitori gli avevano tassativamente vietato di disturbarlo, mentre la nonna non faceva che piangere. E poi perché zio Tiberio aveva deciso di rimanere a Roma, invece di passare, come sempre, e i tre mesi estivi in qualche isola della Polinesia? Che strazio, aveva pensato, avrebbe dovuto anche sopportare quella rompiscatole di Claudia, notte e giorno! Come gli mancavano, invece, le avventure che viveva con il nonno…
Poi, una sera particolarmente agitata, Giannino, disubbidendo, era riuscito a sgattaiolare nella stanza del signor Giancarlo, senza che nessuno, compresa sua cugina, se ne accorgesse, e, una volta entrato, aveva trovato l’uomo disteso sul letto, sostenuto da un’altissima pila di cuscini, bianco come un cencio lavato e con le palpebre chiuse. Attento a non fare rumore, il bambino, allora, aveva spinto uno sgabello imbottito accanto al capezzale e vi si era arrampicato sopra. Ma, nel momento in cui aveva avvertito la sua presenza, l’anziano signore aveva schiuso lentamente le palpebre, sorridendogli.
«Come stai, nonno?» gli aveva chiesto subito il fanciullino, guardandolo con i suoi grandi occhi blu.
«Un po’ così. Questo stomaco non mi dà pace, ma, che vuoi farci, ormai sono vecchio».
«Tu non sei vecchio, nonno!» aveva protestato il nipotino, per cui il compagno di giochi era poco più che un coetaneo.
«Lo sono, lo sono… Senti, Giannino, me la fai una promessa?»
«Che cosa?»
«Mi prometti che continuerai a dare filo da torcere ai mostri cattivi, anche quando non potrò più starti vicino, nelle tue imprese?»
«Certo, nonno. Ma perché non dovresti starmi più vicino?» aveva domandato il biondino, accigliato.
«Perché sarò, diciamo così, impegnato da un’altra parte. Mi raccomando, però, lascia che ti aiuti lo spirito del beyblade che ti ho regalato. Lo hai sempre con te, vero?»
Giannino, allora, aveva preso Anfisbena dalla tasca e l’aveva mostrato all’uomo, raggiante.
«Eccolo!» esclamò.
«Sei proprio un bravo bambino... Tratta bene lo spirito e vedrai che ti proteggerà!» aveva poi aggiunto l’uomo, flebilmente.
«Ma non posso venire con te, nonno? Ti prego…»
«No, no. Meglio di no. Il tuo posto è qui. Inoltre, se saremo divisi, potremo sconfiggere più mostri, giusto?»
«Ah, è vero! Non ci avevo pensato! Ma li sconfiggeremo proprio tutti, tutti?»
«Tutti, tutti» aveva confermato il signor Giancarlo, dando un colpetto affettuoso sul nasino del nipote. «Ora, però, vai, bello di nonno, sono... stanco. Ho bisogno di riposare» si sforzò di concludere l’uomo, dando i primi segni di affanno.
Il bimbetto, a quel punto, era sceso dallo sgabello, di nuovo attento a non fare rumore.
«Ah, Giannino?»
«Sì?»
«Di’ a Claudia, che voglio molto bene anche a lei e cerca di stare accanto a papà, quando sarò lontano, d’accordo? Dovrai essere forte, anche per Marcello».
Ormai, la voce del nonno era ridotta ad un mero, impercettibile sussurro.
«Io sono forte!» aveva replicato immediatamente il bambino, piegando un braccio per mettere in mostra i muscoli. «Ma perché, non li saluterai tu?»
«Magari dopo... Comunque, ricordatene lo stesso, va bene? Buonanotte, bello di nonno..» aveva sussurrato il signor Giancarlo, sorridente.
Con un cenno della mano, il bambino aveva salutato il vecchio compagno di giochi, avviandosi verso la porta.
Quello di quella sera, fu un vero e proprio incrocio di vie e di vite: mentre Giannino usciva dalla stanza del nonno, l’uomo usciva per sempre dalla favola del nipote.

«Come mai sei scappato in quel modo?» chiese una voce, facendo tornare bruscamente Gianni alla realtà.
Il ragazzo, allora, si voltò e vide che Olivier era riuscito a raggiungerlo, così si asciugò in fretta la guancia sinistra e gettò a terra la sigaretta consumata e la sfregò con rabbia contro il lastricato del viale, con la punta della scarpa.
«Non mi andava più di mangiare, lo sai che il pesce non mi piace» rispose poi, con infantile semplicità.
In quel momento, sembrava essere tornato il piccolo Giannino che aveva fatto quelle sue belle promesse al nonno e che l’adolescente Gianni non aveva ottemperato.
Il parigino si accigliò per quella risposta, ma continuò comunque a parlare.
«Ebbene, si può sapere, allora, che fine ha fatto la tua proverbiale gioia di vivere?»
Il biondo, però, non rispose subito, prendendosi qualche secondo prima di aprire nuovamente la bocca: Olivier, infatti, era sempre stato, tra i suoi compagni di squadra, quello che l’aveva compreso meglio, anche se, ovviamente, non sempre si era mostrato entusiasta delle sue scelte. Tuttavia, si era comportato lealmente in ogni occasione, come un buon amico, pertanto, Gianni non aveva avuto niente da ridire quando aveva manifestato un serio interesse verso sua cugina.
Quella volta, però, la situazione era più complicata, perché il francese non avrebbe potuto capire fino in fondo l’angoscia che lo attanagliava, giacché non gli era mai capitato, prima di allora, di non riuscire a ricacciare indietro gli spettri che si portava dentro. I folli divertimenti che offriva la Capitale erano così solo una scusa per non pensare al futuro e il ragazzo sperava costantemente che l’ebbrezza nella quale cadeva ogni notte non svanisse il mattino successivo, come invece purtroppo accadeva, costringendolo a fare i conti con i suoi timori. Si era sempre sentito inferiore ai suoi amici, soprattutto da quando avevano deciso di formare una squadra, poiché sia Ralf, che Andrew, che lo stesso Olivier avevano dimostrato di avere più carattere, ultimando gli studi nel migliore dei modi e diventando, al contrario suo, ciò che avevano sempre aspirato ad essere. La differenza fra loro, però, si era delineata già anni addietro, in occasione del campionato europeo, nel corso del quale l’italiano si era piazzato al terzo posto, assieme all’amico francese. Eppure, quanto era stato effettivamente un terzo e non quarto posto?
La sensazione di incapacità di decidere chi essere nella vita, infatti, l’aveva sempre perseguitato e gli eventi sembravano dar ragione a questa convinzione: chi era davvero Gianni Tornatore? Quello che lasciava trapelare di sé al mondo lo dipingeva come un eterno insicuro, che non voleva assumersi le proprie responsabilità, spaventato dal confronto con la realtà. Un ragazzo che aveva fatto della tracotanza e della spavalderia le sue maschere predilette, indossate prima di svegliarsi e tolte dopo essersi addormentato.
Aveva lasciato l’università quasi subito, senza nemmeno provare ad andare avanti, adagiandosi nell’autoconvinzione di non essere portato per gli studi di economia, nonostante suo padre, con i suoi modi spicci, e sua madre, con i suoi affranti silenzi, avessero tentato più volte di fargli capire quanto stesse sbagliando, dicendogli in continuazione che ventitré anni non erano troppi per riprovare e che non era tardi per cambiare, anche se, per diventare un vincente, avrebbe dovuto prima volerlo.
«Sono davvero una nullità» bofonchiò, all’improvviso.
«Comment?» chiese l’altro, sorpreso.
«Hai capito perfettamente, non me lo far ripetere, anche perché so benissimo che è quello che pensate tu e quegli altri che sono rimasti di sopra».
«Ma non è così! Che sciocchezze vai dicendo?» replicò Olivier, negando energicamente con il capo.
«Sciocchezze? È la verità!» insistette Gianni. «Anzi, è un problema, il mio».
«A dire il vero, non credo che tu abbia chissà quale problema, sei solo un po’ troppo vivace e libertino. Blaise Pascal diceva che la sfida più difficile per un uomo è stare da solo chiuso in una stanza» commentò il francese, ispirato, come se, nei suoi pensieri, avesse sempre accostato il biondo italiano alla teoria del Divertissement6.
Gianni, in risposta, fece una smorfia di disappunto. Filosofia francese? Proprio quello che ci mancava per concludere in bellezza un serata andata da schifo! Ciononostante, per quanto gli dolesse ammetterlo, era proprio come diceva l’amico.
«Basta con i giri di parole! Cosa ho che non va, o cosa mi manca per essere come voi? E non ti azzardare a tirare fuori un altro dei tuoi compatrioti filosofi!» lo minacciò il biondo.
«Patience, mon ami, patience, ecco cosa ti manca!» fece il parigino, alzando un indice. «Devi aspettare che si presenti la tua occasione e vedrai che tutto andrà a posto».
Gianni lo guardò, accigliato.
«La mia occasione? ’na cosa da poco, insomma!»
Olivier sorrise: quando l’italiano usava il dialetto, era solo per ironizzare sul tono di superiorità che trapelava dai suoi intercalari francofoni.
«Personalmente, credo che tu debba soltanto maturare un altro po’, » concluse il ragazzo, senza abbandonare la sua sicurezza. «Tutto sta nel cominciare a fare meno il farfallone!»
Di primo acchito, l’altro lo guardò, inespressivo, poi, però, si abbandonò ad una risata che, però, aveva dell’isterico: «Praticamente, mi stai dicendo di ricostruirmi da capo».
«No, ti ho detto soltanto di cambiare certe tue abitudini sbagliate».
Gianni si soffermò un attimo a riflettere su quelle parole: il suo vero problema risedeva nel fatto che non aveva mai provato ad impegnarsi seriamente, affinché le cose prendessero una piega migliore, ma, forse, avrebbe dovuto finalmente prendere seriamente in considerazione l’idea di rimettersi totalmente in discussione.
«Claudia è molto dispiaciuta per quello che ti ha detto ed anche Andrew sembra essersi pentito» commentò l’altro. «Domani, cerca di parlare con loro, d’accordo? Qualcosa mi dice che, per stasera, non avremo più l’onore di averti tra noi, o sbaglio?»
«In effetti, sono stanco, perciò penso che mi ritirerò a vita privata» fece il giovane, piegando alternativamente la testa da una parte e dall’altra con gli occhi chiusi. «Comunque va bene, farò finta di credere al pentimento di quei due e domattina parlerò con loro. La convivenza sarà lunga».
L’amico sospirò.
«Credo che sia arrivato anche per me il momento di andare. Bonne nuit» lo salutò.
Gianni, però, si limitò a rispondere alzando pigramente il braccio sinistro in direzione dell’altro, per poi lasciarlo ricadere pesantemente lungo il fianco: aveva parecchi spunti sui quali meditare, ma era consapevole che, prima o poi, quel momento sarebbe dovuto arrivare, giacché non sarebbe potuto scappare per sempre dalle proprie responsabilità.
Così, Olivier era praticamente già nella hall, quando gli sorse spontanea una domanda e si decise a richiamarlo.
«Aspetta un attimo!»
«Dimmi pure» acconsentì il francese, voltandosi verso di lui.
Tuttavia, temporeggiò ancora per qualche secondo, prima di parlare, giacché il pensiero che aveva avuto era stato talmente rapido che ancora non l’aveva tradotto in parole.
«Come hai fatto a capire che Claudia era quella giusta?»
«Ad essere sincero» cominciò l’interlocutore, «è stato proprio quello il momento in cui non ho capito più nulla. Ricordi? Avevo appena vinto il titolo di Chef dell’anno quando sei arrivato tu, accompagnato da tua cugina, la più giovane e bella sommelière che avessi mai conosciuto. Da allora è stato tutto relativo: c’era solo la mia Claudine e nient’altro».
Il biondo parve riflettere su quelle parole: aveva ben presente l’episodio e convenne che non gli era mai capitato nulla del genere, poiché, fino ad allora, aveva giudicato solo l’aspetto esteriore di una ragazza, confrontandolo con i propri canoni. Inoltre, a ben pensarci, quelle che frequentava lo cercavano solo per passare una serata o più in buona compagnia, sperando di rimediare anche qualche gradito regalo, senza però voler andare oltre le apparenze e costruire qualcosa di più duraturo.
Poco dopo, Olivier lo salutò nuovamente e sparì oltre la soglia dell’ingresso del Mediterrean Plaza, lasciandolo assorto nei propri pensieri, tutti concentrati sulla certezza che il cammino che avrebbe dovuto intraprendere sarebbe stato lungo e periglioso. Gianni fece, quindi, per rientrare a sua volta, quando notò in terra qualcosa che brillava.
Sentendo come un imperativo interiore che lo invitava a raccogliere il misterioso oggetto, si chinò per recuperarlo e si rese conto che si trattava di un piccolo fermaglio dorato, di fattura molto pregiata, curvilineo e sottilmente intrecciato, un oggetto particolare come non ne se ne vedono spesso in giro. Senza stare a pensarci, allora, se lo mise automaticamente in tasca.
“Domani lo porterò alla reception e se la vedranno loro, perché ora sono distrutto. E dire, che avevo pianificato un così bel dopocena!” pensò, amareggiato, dirigendosi verso gli ascensori, mentre un sorriso amaro gli affiorava sulle labbra.
***

Il mattino seguente si ritrovarono tutti allo stesso tavolo per la colazione.
«Buongiorno!» esordirono Ralf e Christine, salutando Gianni.
«‘Giorno» rispose lui, con un sorriso di cortesia stampato sulla faccia, soddisfatto delle proprie capacità recitative affinate nel tempo, tali da consentirgli di far credere agli altri che tutto fosse tornato alla normalità, quando, invece, aveva dormito malissimo a causa della sua coscienza, che, a differenza del solito, non si era lasciata mettere a tacere. Se fosse stato un tipo leggermente più ansioso, non sarebbe riuscito a portare avanti quella commedia nemmeno per un minuto, tuttavia, contava comunque di liberarsi presto degli amici e della parente ed essere finalmente lasciato in pace.
Claudia, nel frattempo, lo scrutava dall’altra parte del tavolo, sventagliandosi con movimenti appena percepibili.
«Allora, cuginetta, non mi saluti, stamane?» le disse, tirato, consapevole del vero motivo per cui lei continuava a fare allusioni sulle sue amanti: era gelosa di loro e non sopportava che lui non la venerasse come avrebbe voluto.
La ragazza lo fissò per qualche secondo in silenzio, per poi rivolgergli un sorriso che aveva un che di sinistro.
«Credevo non volessi parlarmi» fece, simulando rammarico. «Mi dispiace per ieri sera, ma sai che dico sempre quello che penso».
«Tranquilla, ho già dimenticato tutto» mentì il giovane, deciso a tagliare corto e per nulla intenzionato a rispondere alle provocazioni di Claudia.
Lei, allora, gli porse la mano da sopra il tavolo: «Facciamo pace, dunque?»
Il giovane la osservò per qualche istante, prima di prenderla con estrema lentezza. A quel punto, la bionda sorrise, ma questa volta trionfante ed Olivier la squadrò, increspando appena le labbra e sollevando un sopracciglio, contrariato, così Gianni lasciò immediatamente la cugina.
«Credo possa bastare» commentò, ritraendosi.
In quel momento, Mary Anne diede una gomitata ad Andrew, fissandolo in modo eloquente.
«Ho capito! Un momento, eh…»
«Sbrigati!» lo incalzò, però, lei, decisa.
Il ragazzo si schiarì ancora la voce per prendere tempo, ma poi disse, piano: «Gianni, be’, volevo dirti che, sì, insomma, forse ho esagerato ieri sera».
«McGregor che si scusa con me? Questo giorno dovrà essere ricordato negli annali!» fece il biondo, incrociando le braccia sul petto e rivolgendo all’amico un sorrisetto di scherno.
«Se le mie scuse non ti piacciono, posso sempre aggiungere qualcos’altro di più consistente» ringhiò l’altro, minaccioso, mostrandogli il pugno.
«Andrew!» lo richiamò subito Mary Anne, infastidita. «Non ricordi il discorso che abbiamo fatto sull’autocontrollo?»
«Oltre al danno, anche la beffa? Fantastico!» sbuffò lui, sarcastico, lanciando da una parte il tovagliolo, offeso a morte. Gianni, allora, si ritrovò a sorridere, giacché vedere lo scozzese bacchettato dalla rispettiva fidanzata, di solito così brava a tenere a freno il suo temperamento aggressivo, era una delle migliori soddisfazioni che potesse ricevere.
«Se avete finito con le scuse direi che possiamo iniziare» comandò Ralf, cominciando a servire Christine e richiamando tutti all’ordine.
Nel corso del pantagruelico pasto, la comitiva ebbe anche modo di parlare dei programmi per la giornata e l’avvocato si lanciò in un appassionato elogio di Alessandria, città con una storia lunga e affascinante: fondata da Alessandro Magno e portata all’apice da uno dei suoi generali, all’indomani della disgregazione del regno di Macedonia. Per secoli si era arrogata la fama di capitale della cultura mediterranea, sorpassando, per molti aspetti, anche la ormai vecchia Atene e, in virtù di tutto questo, per lei meritava davvero di essere esplorata da cima a fondo.
«Potremmo cominciare con la nuova Bibliotheca! Certo, non sarà come quella che c’era secoli fa, ma credo che una visita sia d’obbligo! Non è vero, Andrew?» propose, alla fine del suo discorso la ragazza, quando ebbe ultimato il suo discorso.
«Fa’ come vuoi» le rispose, però, lui, atono. In risposta, lei alzò gli occhi al cielo, cosciente che cercare di smussare le piccole scabrosità della personalità del suo fidanzato fosse una cosa e ottenere una levigatura perfetta un’altra e, quindi, che l’unica soluzione possibile fosse cercare un compromesso.
«A mio parere, invece, sarebbe molto meglio vedere la Grande Piazza o Piazza Muhammad ‘Alī» si inserì Claudia, con tono saccente, non volendo mostrarsi inferiore all’inglese. «Per non parlare degli storici caffè o del lungomare… Che cosa ne dici, Olivier?»
«È fattibile, ma petite fleur» rispose il francese.
«A me, al contrario, interesserebbe particolarmente visitare le catacombe di Kom El-Shogafa oppure la colonna di Pompeo. Ah, Claudia, devi assolutamente dirmi dove hai trovato quelle piccole botteghe di cui mi stavi raccontando ieri sera! Chissà che non trovi qualcosa di interessante da mettere nel mio negozio… Mi ci accompagnerai, non è vero, Ralf?» chiese subito dopo l’antiquaria, in tono supplice e con le mani giunte.
«Se è quello che desideri, Christine, non vedo perché no» replicò il tedesco, con la sua precipua imperturbabilità.
«Visto che vi state dividendo in coppiette e che non ho problemi ad ammettere che non mi interessa niente di tutto questo, senza contare che non voglio fare il terzo incomodo, vi annuncio che preferirei non venire, se non vi dispiace».
L’attenzione dei ragazzi, allora, si spostò immediatamente su Gianni, il quale, però, ignorò tutte le occhiate di disapprovazione che gli indirizzarono - in primis quella di sua cugina, che sembrava sul punto di esplodere -, consapevole che, molto probabilmente, stavano pensando che volesse soltanto spassarsela con qualche avvenente fanciulla. Sinceramente, non aveva voglia di spiegare loro quanto bisogno avesse di stare da solo, anche perché, a suo parere, non era una faccenda che li riguardava.
A quel punto, Ralf si alzò, seguito immediatamente da Christine.
«Se la cosa ti fa piacere, sei libero di fare quello che ritieni opportuno. Per gli altri, resta invariato l’orario di ritrovo: alle dieci meno un quarto nella hall».
«All right» annuì Andrew.
«Très bien» concordò Olivier.
Gianni, invece, si concesse di mostrare un mezzo sorriso al capitano della squadra.

Quando tutti se ne furono andati, il giovane pensò bene di fare quattro passi, così da avere il tempo di raccogliere i pensieri: si era svegliato di pessimo umore e con uno strano e opprimente senso di nausea, tanto che a colazione non era riuscito a mandar giù nemmeno un sorso d’acqua, perciò riteneva che magari una breve passeggiata sulla spiaggia di Alessandria, immerso in quel suo clima che sapeva d’oriente, gli avrebbe giovato.
Uscendo dalla sala ristorante, si ritrovò nel doppio salone dove era ubicato anche il bar e, sulla destra, notò un enorme specchio che rifletteva la sua immagine, così si avvicinò lentamente, per poi fermarsi proprio lì davanti a scrutare il proprio riflesso con aria critica e diffidente: non era certo un brutto ragazzo, giacché il passare del tempo aveva fatto il suo corso, rendendolo nel fisico sempre più simile a suo padre fino a renderli quasi indistinguibili, anche se, quando si osservava con vera attenzione, sfortunatamente, veniva rovinato dalla sua indole irrequieta ed esuberante.
Alzò il braccio per passarsi una mano tra i capelli, così da ravviare la frangia bionda e ribelle, ma all’ultimo momento esitò ed il gesto rimase compiuto a metà, poiché, dopo le ultime riflessioni, era davvero intenzionato a impegnarsi per cambiare in meglio, smettendo di pensare unicamente a se stesso. Era ancora impegnato a studiarsi e a cercare di riconoscersi in ciò che vedeva, quando si sentì prendere per ciascun polso.
«Gianni, che fine hai fatto ieri sera? Ti abbiamo aspettato a lungo!».
Bahira e Ghada, comparse dal nulla, non avevano perso tempo e si era avvinghiate a lui, che subito si voltò prima a destra e poi a sinistra, per scoprirsi, suo malgrado, circuito. Cosa fare? Cedere all’invito, all’ennesima tentazione e comportarsi come un debole, oppure reagire?
Infatti, due personificazioni del suo vizio più grande, la lussuria, lo stavano provocando, invitandolo a lasciare da parte i buoni propositi, appena formulati, per gettarsi nuovamente nell’abisso della perdizione. Tuttavia, non era molto convinto del fatto che concedersi un ultimo piacere sarebbe stata una scelta saggia e quando avvertì quella strana sensazione di nausea che sentiva dentro farsi sempre più intensa, ebbe la nitida consapevolezza che quella non fosse la strada giusta.
«Ecco, ragazze… vedete…» cominciò, certo che il destino lo avesse fatto trovare al momento sbagliato, nel posto sbagliato. Eppure, proprio in quell’istante, accanto al proprio riflesso nello specchio, scorse anche qualcos’altro: seduta ad uno dei tavolini alle sue spalle, concentrata a fare qualcosa, c’era, infatti, la ragazza della sera precedente. Era esattamente come l’aveva vista la prima volta, solo che, quel giorno, portava una divisa bianca da barista e i capelli corvini erano raccolti in una coda laterale.
«Scusate, ragazze, ho una cosa da fare» disse Gianni, bruscamente, divincolandosi dalla presa di entrambe e voltandosi indietro.
«Ma Gianni…» cercò di protestare una delle due, ma senza successo: era troppo lontano, sia mentalmente che fisicamente, perciò i lamenti delle massaggiatrici gli giunsero alle orecchie come suoni senza senso.
Tuttavia, si addentrò all’interno della stanza avanzando lentamente, come se sentisse che, se si fosse mosso con maggiore rapidità, quella ragazza sarebbe scomparsa. L’interesse che lo muoveva verso di lei, d’altra parte, era del tutto nuovo e sconosciuto, così diverso da quello che solitamente lo animava quando incontrava una bella fanciulla: questa volta, infatti, avrebbe voluto unicamente sapere qualcosa di più sul suo conto, a cominciare dal nome.
La giovane, però, dal canto suo, non si era ancora resa conto di nulla, tanto era concentrata a trafficare con matite, squadre e gomme cambiando continuamente utensile, tracciando, misurando, cancellando o semplicemente valutando se la punta di grafite fosse ben appuntita, mentre Gianni, ormai solo a qualche passo di distanza, si era accorto di aver smesso di respirare e di avere la salivazione praticamente ridotta a zero, anche se la cosa più sorprendente per lui fu avvertire che la nausea si stava attenuando.
Giunto accanto al tavolino, buttò uno sguardo sul foglio che teneva in mano la ragazza e rimase sorpreso da ciò che vi trovò raffigurato, perché era l’ultima cosa alla quale avrebbe pensato.
«Sul terzo ordine non ci sono solo timpani, ma anche archetti, alternati» disse, improvvisamente, rendendosi conto a malapena di aver parlato.
Interrotta bruscamente, la ragazza smise di disegnare, alzando la testa e lui si ritrovò ad essere fissato da due occhi come non ne aveva mai incontrati prima di allora, dello stesso colore delle viole selvatiche che ornano i boschi a primavera.
«Come ha detto, prego?» esclamò, sorpresa, non avendolo sentito arrivare.
«Quello è uno dei primi bozzetti della facciata del Collegio di Propaganda Fide di Borromini, vero?»
La sua interlocutrice lo fissò perplessa, tuttavia fece cenno di sì, anche se, probabilmente, non aveva la minima idea di dove volesse arrivare il ragazzo.
«E allora il prospetto che stai facendo è parzialmente incorretto: in alto, oltre ai timpani, devi disegnare anche degli archetti. La versione definitiva, invece, è molto più semplice, perché non ci sono né gli uni, né gli altri» le spiegò, indicando il disegno con l’indice.
Corrugando la fronte, l’altra estrasse un librone da una borsa che teneva sotto la sedia e prese a sfogliarlo finché non arrivo alla pagina cercata e non si mise a osservare a lungo in silenzio l’immagine che vi era raffigurata, confrontandola con il proprio lavoro.
«Ha ragione! Eppure, credevo di averlo studiato a dovere... Mi ha evitato di farlo due volte, grazie!» fece lei, tornando a guardare il giovane e inarcando le labbra in un leggero sorriso.
A questo punto, la salivazione di Gianni subì una nuova battuta di arresto.
«Figurati, per così poco!» stentò a dire, ringraziando col pensiero sua madre e la sua passione per l’arte, che l’aveva indotta ad appendere, per tutta casa, riproduzioni e stampe dei grandi capolavori.
«Per me è molto. Grazie di nuovo, signor…»
«Oh, sì, scusami, non mi sono presentato: Giancarlo Tornatore7, al tuo servizio» rispose lui, facendo un’elegante riverenza, stranamente senza sembrare ridicolo, ma poi si bloccò, rendendosi conto di averle rivelato il suo nome per intero, cosa che non faceva mai, considerandolo un oltraggio alla memoria di suo nonno. «Ma puoi chiamarmi Gianni, come fanno tutti. E non darmi del lei, non credo che ce ne sia bisogno» si affrettò ad aggiungere.
La ragazza corrugò lievemente la fronte.
«D’accordo, come vuoi, Giancarlo» rispose, scandendo bene l’ultima parola. «Sai, il tuo nome completo è così musicale… mi dai il permesso di chiamarti così? Non capisco proprio perché tu debba storpiarlo!»
«Se lo preferisci, non è un problema» convenne il ragazzo, annuendo. Non sapeva perché, ma non gli dispiaceva che lei lo chiamasse come solo pochi altri facevano. «E tu sei..?»
«Ah, già, che sbadata. Io mi chiamo Aida, piacere» esclamò la giovane, sorridente, tendendogli una mano, ma lui ricambiò la stretta in maniera rigida, gelato dalla strana coincidenza: Aida, come l’opera preferita da suo nonno.
«Porti il nome di una delle nostre più belle opere liriche, lo sai?»
«Sì, la conosco» replicò lei, in un italiano fluente. «Quando vivevamo ad Harar, avevamo due vicini italiani che mi ripetevano continuamente: “Ti chiami come la principessa dell’opera verdiana”.  Ma, in verità, il mio è un nome abbastanza comune da noi».
«Ah, ma parli anche l’italiano!» fece il giovane, sempre più attonito.
La fanciulla, però, strinse le spalle.
«Non è nulla di straordinario, credimi. Maria e Franco sono stati due bravi insegnanti e ci hanno praticamente cresciuti loro» spiegò. «E, comunque, ho ancora qualche problema con i plurali e i verbi» terminò, arricciando il naso.
Gianni, allora, si accomodò sulla sedia antistante alla giovane, osservandola in ogni suo particolare: era di una bellezza semplice, non forzata o esasperata da strati e strati di trucco ma, nel modo di fare, aveva un qualcosa di fuori dal comune, qualcosa di decisamente lontano dagli atteggiamenti che avevano le ragazze che frequentava di solito, a cominciare dal fatto che non rideva come un’oca giuliva per ogni minima cosa.
«I nostri vicini erano ex-coloni, provenienti da Livorno. Tu, invece, da dove vieni?» chiese Aida, allora, con sincera curiosità.
«Da Roma, niente di che».
«Niente di che?!» esclamò lei, incredula. «Io darei qualunque cosa per poterci venire anche solo una volta! Forse non ti rendi conto della fortuna, che hai nell’abitare in una città piena di ogni sorta di opere d’arte, che puoi vedere dal vivo ogni volta che vuoi!»
«Sembri molto più entusiasta di me» mormorò lui, vagamente accigliato.
«Oh, sì! Amo la vostra arte e, quando posso, scelgo sempre di fare progetti sulle opere italiane» replicò la giovane, mostrando tutto il suo entusiasmo. «Tuttavia, sembra proprio che abbia bisogno di studiarle un po’ meglio per evitare figuracce come quella di poco fa, oltre a un voto basso all’esame» notò infine con una smorfia, alzandosi.
Il biondo la seguì con lo sguardo, sorpreso dal fatto che le parole appena pronunciate da dalla ragazza gli avessero dato da pensare, poiché vi aveva notato una sottile autoironia associata ad estrema concretezza. Decisamente, non era come quelle che era abituato a frequentare, impossibilitate a formulare anche solo una frase di senso compiuto, ad esclusione delle petulanti pressioni che facevano per ricevere altri regali, vestiti o gioielli.
«Bene, scommetto che prenderesti volentieri un caffè. Voi italiani, senza un espresso, siete persi!» commentò allegra la fanciulla a quel punto.
Si dice. Si fa.
«Veramente, io non ne vado matto. Preferirei qualcos’altro» cominciò lentamente Gianni, ancora impegnato nelle sue riflessioni.
«Allora, cosa posso offrirti?»
«Si potrebbe avere del latte al cioccolato con una spolverata di cannella?» chiese il ragazzo, sorridendo tra sé e sé.
“Saranno diciassette anni che non ne bevo una tazza” pensò.
«Volendo, si può tutto» rispose Aida, per nulla stupita per quella particolare richiesta.
Io dico. Io faccio.

Inaspettatamente, la mattinata trascorse rapida e, tra i due ragazzi, si instaurò presto un clima sereno e cordiale. Gianni venne a sapere che Aida era una studentessa di belle arti e questa gli parlò dei suoi studi con molta passione, mentre lui la ascoltava attento, come dimostrarono gli interventi, incredibilmente pertinenti, che fece sorprendendosi da solo per quell’insolito avvenimento, poiché non riusciva a ricordare di aver mai sostenuto una conversazione tanto elevata con una ragazza.
Poi, all’improvviso, notò che la fanciulla portava tra i capelli un fermaglio uguale a quello che aveva trovato la sera precedente, quindi si sporse oltre il tavolino e le girò delicatamente il volto per vederlo meglio.
«Cosa c’è?» chiese lei, un po’ sorpresa. «Ho forse qualcosa fuori posto?»
«No, no...» rispose il ragazzo, mettendosi una mano in tasca e cacciandone fuori il fermaglio che aveva trovato e per confrontarlo con quello posseduto dalla giovane.
«Mi sembra che questo sia tuo» disse, dopo essere arrivato alla conclusione che fossero uguali.
Quando Aida lo vide, non riuscì a trattenere la sua meraviglia: «Non posso crederci! Dove l’hai trovato?»
«Nell’ingresso. Volevo portarlo alla reception, ma penso che non ce ne sia più bisogno».
«Non immagini che gran favore mi hai fatto! Non voglio nemmeno pensare a cosa avrebbe detto Samir, se lo avesse saputo, dato che è un regalo suo!» esclamò Aida, prendendolo in mano. «Sono sempre con la testa tra le nuvole, purtroppo. E, a volte, il lavoro in bassa stagione può essere peggiore che in alta».
Gianni sorrise e solo allora si rese conto di essere ancora a contatto con il bel visetto della giovane, così bruscamente, tirò indietro la mano, mal dissimulando l’imbarazzo e convenendo che fosse un comportamento piuttosto anomalo per uno che, fino a meno di ventiquattro ore prima, avrebbe cercato le peggiori scuse, anche solo per sedersi accanto ad una bella presenza.
Tuttavia, non ci fu tempo per fare altre riflessioni, poiché, di punto in bianco, un ciclone irruento si buttò tra le braccia di Aida, interrompendo il momento: era il bambino del ristorante.
«Samir, che modi!» lo rimproverò subito la ragazza.
«Ma io ti voglio bene, mi sei mancata a scuola» replicò il bimbo.
«Come ogni giorno» notò lei, baciandolo sulla testa.
Il giovane rimase toccato dalla tenerezza del momento e osservò meglio Samir, accorgendosi che somigliava davvero molto a sua madre.
«Chi è?» chiese il ragazzino, essendosi accorto di Gianni.
«Lui è Giancarlo. È stato molto gentile e mi ha evitato un po’ di guai» rispose la giovane, sorridendo riconoscente al biondo.
«Io sono Samir» si presentò a sua volta il bimbo, mostrando di essere beneducato.
«Molto piacere, Samir. Qua la mano!»
Il piccolo, allora, batté soddisfatto il palmo su quello che gli era stato porto dal ragazzo.
«Tuo figlio ti assomiglia davvero tanto, ha il tuo stesso sorriso» le disse.
A quelle parole, Aida rimase a fissare Gianni in cagnesco per alcuni secondi, poi, però, scoppiò a ridere fragorosamente.
«No, no... Samir non è mio figlio! Ha otto anni ed io non l’ho avuto a tredici!»
Il giovane sbatté le palpebre, facendo rapidamente un paio di conti: aveva dato così per scontato che Samir fosse il figlio di Aida e del concierge, vista la grande confidenza tra loro, che non aveva pensato ad altre ipotesi.
«S-Samir... è... mio fratello!» riuscì a dire infine la ragazza tra una risata e l’altra, mentre si asciugava le lacrime.
«Sì, Dada è la mia sorellona, la migliore di tutte!» confermò Samir, annuendo.
«M-Ma allora, ieri sera... il concierge...» balbettò Gianni, sbigottito oltre ogni dire.
«Rami? È nostro fratello maggiore, lavora qui abitualmente e mi chiama per aiutarlo durante i mesi estivi e autunnali. E, quando siamo entrambi occupati, ovviamente anche Samir si trasferisce qui» gli spiegò Aida, che si era finalmente ricomposta.
«Mi dispiace, ho frainteso» si scusò subito lui, in difficoltà per essersi dimostrato poco sveglio e attento. Chissà cosa avrebbe pensato Aida di lui dopo quella figuraccia! Tuttavia, ciò che lei disse poco dopo aveva qualcosa che lo rassicurò.
«Fa niente, può capitare. In fondo, da noi non è così raro trovare ragazze della mia età sposate e con figli, anche se, magari, non di otto anni...» considerò lei, lasciandosi scappare l’ennesimo sorriso divertito.
Giancarlo Tornatore, a quel punto, trovò un significato a due parole fino ad allora conosciute solo per sentito dire: imbarazzo e mortificazione. Infatti, abbassò subito lo sguardo, avvertendo che la maggior parte del sangue che circolava dentro di lui aveva deciso di andare in vacanza sulle sue guance.
All’improvviso, Samir prese la sorella per una manica e le chiese: «Dada, Dada, allora mi porti al parco?»
«Non posso, lo sai che devo lavorare» gli rispose, però, lei, dispiaciuta, accarezzandogli la testa.
«Non è giusto, non hai mai tempo per me!» strepitò il ragazzino.
«Samir, per favore, non fare i capricci, ormai sei grande!» lo rimproverò Aida.
«Me l’avevi promesso! Avevi detto che mi avresti portato al parco, dove vanno tutti per allenarsi con i beyblade! Perché io, invece, non posso mai?» protestò a viva voce il bambino, con tono lamentoso.
Non appena udì quelle parole, Gianni si riprese all’istante. Ma certo, il beyblade! Gli sembrava che fossero passati secoli da quando aveva lanciato in campo Anfisbena per l’ultima volta, in occasione degli ultimi campionati mondiali ai quali aveva partecipato tre anni prima.
«Quando l’avevamo deciso, non immaginavo che ci sarebbe stato tutto questo lavoro da sbrigare!» spiegò la ragazza, irremovibile, fissandolo con una punta di severità.
«Non è vero, lo fate apposta! Come quella volta che Rami aveva promesso di portarmi a vedere i Desert Blaze contro i Wild Fang8 e non l’ha fatto» fece il bimbo, mettendo il broncio.
«E se ci allenassimo insieme noi due? Sarò io il tuo sfidante» propose Gianni, con naturalezza, perché, in quel momento, passare del tempo in maniera costruttiva, giocando con quel bambino, gli sembrò una buona idea
I due fratelli, allora, smisero di battibeccare e si voltarono subito verso di lui, stupiti.
«Davvero?» gli chiese Samir, inarcando le sopracciglia e assumendo un’espressione buffissima. «Sei sicuro di saper giocare con i beyblade?»
«Ragazzino, tu non sai chi hai davanti! Io faccio parte dei Majestics, la squadra che fino a tre anni fa rappresentava l’Europa ai campionati mondiali!»
Il bambino rimase a fissare il giovane per qualche istante, per poi strillare: «Allora avevo ragione a cercarvi, ieri sera!»
Dopo quell’affermazione, al biondo cominciarono ad essere sempre più chiare le dinamiche della serata precedente: Samir, chissà come, doveva aver saputo che i Majestics erano nei paraggi, così si era messo a cercarli, essendo stato richiamato dai fratelli prima ancora di riuscire a iniziare la sua ricerca.
Poi, il piccolo cacciò fuori un album molto ben tenuto dallo zaino, aprendolo ad una pagina ben precisa.
«In queste foto sembri molto più brutto e vecchio» notò, semplicemente.
Aida aprì la bocca e, scandalizzata dalla schiettezza del fratello, lo riprese: «Samir, che maniere!»
Successivamente, si rivolse direttamente al giovane, in evidente imbarazzo: «Ti prego di scusarlo».
«Figurati» la rassicurò lui, per nulla offeso, alzando la mano. In effetti, ciò che aveva detto il bambino era la verità, poiché era lui il primo a sostenere, con assai poca modestia, che le foto dell’albo non gli rendessero giustizia; senza contare che le parole di Samir, confrontate a quello che usciva dalla bocca di McGregor, erano davvero complimenti.
«Devi essere davvero forte, visto che hai sconfitto il nostro ex-campione Kairone del Team delle Tenebre. Adesso andiamo, però?» chiese Samir, guardandolo con i suoi occhioni e attaccandosi alla mano del ragazzo.
Gianni si ritrovò a sorridere, avvertendo, nel frattempo, che la nausea era definitivamente sparita. Così, si abbassò all’altezza del bambino e, ammiccandogli, disse: «Prima di tutto dobbiamo chiedere il permesso a tua sorella!»
Poi, alzò la testa verso di lei, chiedendole: «Dunque, possiamo, gentile Aida?»
A quel punto, entrambi la guardarono supplichevoli, a mani giunte, e la ragazza si puntò i pugni chiusi sui fianchi, scrutandoli tra il severo ed il divertito: nonostante avesse appena conosciuto quel giovane così particolare, non pensava che ci fosse niente di male a permettergli di giocare con suo fratello che, tra l’altro, sembrava trovarlo simpatico. Inoltre, non si sarebbero allontanati dai giardini dell’albergo, pertanto avrebbe potuto benissimo andare, di tanto in tanto, a controllarli, sia di persona, sia attraverso la vetrata del bar, dalla quale si godeva di un’ottima visuale su tutto il parco.
«Filate via, ma voglio che Samir passi a prendere il pranzo in cucina e che per le cinque siate di ritorno, intesi?» concesse loro, alla fine.
«Sissignora!» esclamarono il ragazzo ed il bambino, mettendosi scherzosamente sull’attenti. «Ed ora, si va!»
In men che non si dica, i due sparirono oltre la porta.





***
Gli eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB Project. Tutto il resto appartiene a me.
- New Edit -
Aggiunto nuovo banner, la grafica del titolo è opera mia.
L’ispirazione per questa storia è giunta in seguito a svariate vicende, ma è stata la lettura di un racconto di Melitot Proud Eye che mi ha spinta maggiormente a dare forma a tutte le mie idee.
Ringrazio Aly per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione e disponibilità.
***

[N.d.A.]
1. Jetsz: ora;
2. forza sei: grado della scala di Beaufort, che si basa sulla misura empirica dell’intensità del vento, basandosi a sua volta sullo stato del mare; corrisponde ad un vento abbastanza sostenuto (con velocità tra i 40 e 50 km/h) e ad onde alte fino a 4 m.
3. der Teufels Advokaten: l’avvocato del Diavolo (derivata dall’espressione latina Advocatus diaboli);
4. junker: antico membro dell’aristocrazia terriera tedesca;
5. haggin: tipico piatto scozzese a base di frattaglie di pecora;
6. Divertissement: punto della filosofia pascaliana, secondo il quale l’uomo cercherebbe il divertimento (nell’accezione di “deviazione”) per estraniarsi da sé;
7. Giancarlo Tornatore: come avrete avuto modo di notare, tutti i nomi sono presi dalla versione originale (giapponese); solo Andrew non è diventato Johnny, perchè mi sembrava meno scozzese. Per chi non lo sapesse, St. Andrew è il patrono della Scozia;
8. Desert Blaze... Wild Fang: rispettivamente, la squadra araba e quella africana (nell’adattamento italiano tradotte come Bagliore del Deserto e Zanna Selvaggia) nella serie Beyblade Metal Masters [al momento della pubblicazione di questa storia (Aprile 2011) la serie era ancora inedita in Italia, quindi ho conservato i nomi della versione originale-giapponese].
***

Quando ho iniziato tutto questo, non sapevo dove sarei arrivata. Così, poiché il progetto si è espanso a macchia d’olio, ho deciso di uniformare questa storia a tutte le altre che ne sono seguite.
I vecchi lettori, se ripasseranno da queste parti, troveranno un testo un po’ diverso, corretto e totalmente riscritto in alcuni punti, mentre i nuovi arrivati leggeranno direttamente la versione 2.0 (l’unica cosa rimasta uguale alla stesura precedente è la spaventosa lunghezza dei capitoli).
Halley S.C.
  
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