Crossover
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Autore: Sparrowhawk    29/04/2011    1 recensioni
[Continuazione di: Cherryblossom]
E siccome mi diverto a fare cross-over impossibili...ecco che torno con il mio classico. L'unico che mi sia mai sprecata a scrivere, anche perchè il solo che in qualche modo mi abbia interessata.
Ancora Elliot e Célie alla riscossa, con i soliti noti Ciel, Sebastian e, udite udite, delle new entry!
Godetevi la lettura.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cherryblossom - Pillole di Crossover'
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Titolo: Cherryblossom 2
Fandom: Kuroshitsuji - Pandora Hearts
Personaggi Principali - Secondari: Elliot Nightray, Ciel Phantomhive (ver. femminile) - Ciel Phantomhive (ver. maschile), Sebastian Michaelis, Glen Baskerville, Jack Bezarius, Oz Bezarius, I cavalieri di Glen
Rating: Verde
Genere: Romantico, Fluff, Sovrannaturale
Altro: Cross-over, Gender Bender



N.B: questa è la continuazione di Cherryblossom

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Ok.
Elliot non era mai stato abbastanza sciocco da credere veramente che, nella sua vita, non ci sarebbero stati più brutti momenti dopo che aveva incontrato la sua piccola, adorabile Célie. Aveva sempre saputo che qualcosa immancabilmente doveva andare a rotoli quando si trattava di lui, eppure non poteva non ammettere che, per un secondo solo, aveva davvero sperato che questa volta fosse diverso. Che, questa volta, avrebbe potuto finalmente tirare un sospiro di puro sollievo.
Ma no, non vi erano eccezioni per lui. La sua vita, no anzi, la sua così detta buona stella avrebbe ricominciato a brillare nel senso sbagliato portandogli una orribile sfortuna.
Da manuale insomma.
«Hai quindi intenzione di trasferirti?»
Dean lo fece rinsavire a poco a poco, complici la sua voce decisa e quella pacca che era solito dargli a mò di saluto da che si erano visti la prima volta. Quella era una delle tante abitudini che Elliot, in quanto a brontolone gentiluomo, non poteva proprio soffrire, ma siccome non gli andava di mettere in piedi uno dei suoi ennesimi spettacolini in compagnia di quel ragazzo -che il più delle volte lo faceva apposta a farlo innervosire- si astenne dal rivolgergli qualsiasi provocazione, limitandosi a guardarlo storto.
Alzò le spalle, tornando poi a fissare il vuoto di fronte a sè, il luccichio del sole che si rifletteva nello stagno del parco che lo abbagliava leggermente.
Dean sbuffò. «Andiamo, sei ancora depresso?»
«Dean, vivi un solo giorno nei miei panni e poi potrai venirmi a dire che non ho nessun diritto di essere sempre così giù.» disse il ragazzo, lanciando uno dei sassolini bianchi che aveva raccolto lungo il cammino prima di mettersi seduto sull'erba nell'acqua «Uno solo, e solo dopo potrai lamentarti.»
«Ne deduco che non hai intenzione di venirne fuori.»
«Fuori da cosa?»
«Non puoi avere paura di tuo zio per sempre.»
Elliot non lo guardò neanche tanto era preso dal suo nuovo passatempo: oh sì che poteva farlo, poteva temere suo zio all'infinito per quello che lo riguardava o, quanto meno, poteva covare nei suoi confronti ogni più subdolo ed infimo sentimento. Non ricordava nemmeno quando era stata l'ultima volta che lo aveva dovuto vedere, ma sapeva per certo che non era stata una bella esperienza, anzi, forse una di quelle che avrebbe preferito seppellire sotto a chilometri di terra.
«Non ti puoi mica permettere di essere tanto schizzinoso bello mio, sopratutto se si tratta di avere la possibilità di vivere a Londra.»
Lui se ne rimase zitto.
«Londra...» continuò Dean, fissandolo pieno di stizza «...ovvero la città dove Célie si trova ora. Luogo in cui suo fratello l'ha convinta a tornare. Casa del Fish and Chips, del Tower Bridge e della Regina d'Inghilterra.»
«So cos'è Londra!»
«E allora perchè tutta questa cavolo di esitazione!?»
«Sto esitando perchè, per quanto lei mi manchi, il solo pensiero di rivedere mio zio mi fa venire...il mal di stomaco.»
«Quanto malaccio può essere?»
Il giovane dai capelli marrone chiaro sospirò, socchiudendo gli occhi. Dopo la vicenda di Angelina si era spesso ripetuto che suo zio in fin dei conti non era così male, però non era mai stato davvero molto certo. Più che altro c'erano alcuni lati di lui che davvero non capiva. Era come se un alone oscuro lo circondasse, un qualcosa che lo scacciava e che impauriva chiunque gli si avvicinasse.
Anche se possedevano lo stesso sangue, nemmeno Elliot poteva dire di essere immune al suo effetto negativo.
«Lui è...complicato.» esordì, scompigliandosi i capelli «Non gli va mai bene niente, è austero, autoritario, non appena lo guardi ti si gela il sangue nelle vene... Io...io non credo di averlo mai visto sorridere poi.»
«Wow. Mi ricorda qualcuno!»
Dean scoppiò a ridere, mollandogli un'altra accidenti di pacca sulla schiena. Per poco Elliot non cadde in avanti, ma per fortuna ebbe la prontezza di piantere le mani a terra, lasciando andare in un colpo solo tutti i sassolini che gli erano rimasti.
Ancora uno sguardo pieno di rimprovero e poi si alzò, nervoso.
«Non è neanche venuto al funerale di mio padre e dei miei fratelli.»
Il suo amico la smise di sogghignare e, ricordando il giorno in cui aveva presenziato alla funzione a fianco di Elliot, ogni desiderio di sdrammatizzare sembrò morire così come era affiorato. Ancora non aveva dimenticato lo sguardo del suo compagno, ancora non poteva dire di essersi lasciato alle spalle la totale desolazione che gli aveva letto negli occhi. Lui, da solo, aveva dovuto caricarsi sulle spalle ogni peso della famiglia e all'epoca non aveva che soli quattordici anni.
Adesso ne aveva diciasette, era cresciuto e per quanto dura potesse essere la sua vita aveva stretto i denti ed era andato avanti come meglio poteva, contando solo sulle sue forze.
«Tuo padre...ha sposato sua sorella...no?» chiese allora, seguendo il suo esempio ed alzandosi.
Era una domanda sciocca da fare, la risposta doveva essere ovvia, ma chissà come mai non si aspettava che la cosa valesse anche per quel caso specifico.
«Già. Ma questo non è bastato per scomodarlo a venire fino a qui.»
«Non scorreva buon sangue fra i due?»
«Qualcosa del genere...mio padre non si sbottonava mai molto su questo argomento o...beh, o su qualunque altro a dire il vero.»
Ci fu un attimo di silenzio, il quale venne usato da entrambi i ragazzi per ponderare per bene le parole che sarebbero scaturite in seguito dalle loro bocche. L'aria si era fatta pesante, l'inverno ormai era alle porte, e un leggero venticello scuoteva i lembi dei loro cappotti di qua e di là, facendoli sbattere molte volte contro le loro coscie. Non era ancora arrivato il momento di prendersi pena per accendere i riscaldamenti o tirare fuori i piumoni, eppure, in una giornata come quella, con il sole alto che illuminava tutto attorno a loro, non si sentiva voci nel parco a quell'ora pomeridiana. Nessun bambino giocava a rincorrersi con l'amico, nessuno portava a spasso il cane dopo il pranzo.
C'era tanta calma, troppa forse.
Sembrava quasi che all'improvviso gli unici due esseri viventi sulla faccia della Terra fossero Elliot e Dean.
Fu quest'ultimo a rompere quel magico attimo, carico di tensione e phatos.
«Per quanto lui ti stia antipatico» mormorò «andare a vivere sotto al suo stesso tetto è l'unica maniera che hai per poterla rivedere.»
«Ci sono sempre gli Hotel.»
«Oh sì, bell'idea. Un diciasettenne che vive solo in un Hotel a Londra. Non darai nell'occhio di sicuro.»
«Potrei usare un nome falso.»
«Elliot, il tuo cognome è Nightray.» continuò Dean, alzando un sopraciglio «Come pensi di poter passare inosservato, anche volendo?
I tuoi doveri ti seguiranno fino a là, che credi? I londinesi sono stupidi, è vero, ma abbiamo avuto modo di conoscerne uno che dimostra di essere alquanto furbo. Non gli ci vorrà molto per capire che sei là per un unico motivo e, una volta che ci sarà arrivato, vedrai che avere dalla tua parte Glen Baskerville non sarà tanto malaccio.»
Glen Baskerville. Sentire quel nome gli dava la nausea in un certo senso.
Certo, mai quanto glielo dava il pensiero di dover affrontare un altro parente poco ragionevole di Célie.
Si chiese ancora una volta se valesse davvero la pena di passare oltre a tutte quelle pene per una sola ragazza, poi però si apostrofò nuovamente come stupido e capì che ormai, senza di lei, valeva poco più di niente. La amava, e qualsiasi ostacolo gli si fosse parato di fronte lui lo avrebbe superato tornando al suo fianco di volata.
Ciel non la avrebbe avuta vinta, non gli avrebbe permesso di rovinare la loro storia.
«Non ho scelta allora.» disse in un sussurro «Andrò a vivere...da mio zio.»
I suoi occhi si rabbuiarono e, in un secondo, si accucciò a terra con le ginocchia la petto massaggiandosi le tempie pieno di incredulità.
«Andrò a vivere...da mio zio! Santo cielo devo essere pazzo, malato, completamente ammattito!»
«Chiaro che lo sei.» gli rispose l'amico, alzando le spalle e mettendosi le mani in tasca «L'amore ormai è una malattia riconosciuta persino dai medici, dottori o psichiatri che siano, non lo sapevi?»

Cèlie guardò fuori dal finestrino dell'automobile, contemplando il triste paesaggio Inglese, sempre così monotono e grigio rispetto a quello caldo e colorato che aveva imparato ad amare a Parigi.
Lei ormai che aveva in comune con l'Inghilterra?
Cosa la legava esattamente a quella terra dalla storia antica e ricca, dai modi raffinati ed eleganti invidiati da tutto il resto del mondo, madrepatria di grandi pensatori e filosofi?
Beh, forse non poteva più considerarsi una cittadina Inglese a tutti gli effetti, ma aveva comunque qualcosa a cui dover tornare, anzi era meglio dire qualcuno. Quel qualcuno era la persona più importante per lei, la più importante in assoluto, in quanto unico componente che le era rimasto della sua famiglia: Ciel, il suo fratello gemello, era il solo assieme ad Elliot a cui lei avesse sempre pensato con costanza, fino a sentirsi quasi male.
Gli voleva bene, un bene dell'anima, ed era per questo che aveva deciso di tornare a vivere assieme a lui, assecondando il suo desiderio di rivederla tornare a Londra ora che Angelina era morta e non vi era più nessuno a tenerli divisi.
A dire il vero, Célie non avrebbe voluto prendere una decisione drastica come quella -e se qualcuno stava pensando che il dover scegliere fra l'amore della sua vita e ciò che rimaneva della sua famiglia era stato facile allora si doveva ricredere per forza- ma quando la piccina aveva notato la totale mancanza di bontà nelle azioni del fratello non aveva potuto fare altro che salire sul primo aereo e tornare di filata al suo fianco.
Il suo caro gemello aveva perso di vista qualcosa nel corso degli anni, una cosa molto importante che un tempo, anni addietro, lei gli aveva sempre invidiato: Ciel era sempre stato quello forte, quallo tenace certo, ma era anche stato capace di atti semplice magnanimità, di una purezza e di una dolcezza indicibili.
Adesso invece non rimaneva che un involucro vuoto. Un essere umano che di umano aveva ben poco se non un labile sprazzo di ciò che era stato in passato. Di ciò che lei aveva amato con tutta sè stessa.
Doveva aiutarlo, assolutamente, e per farlo aveva dovuto dire addio ad Elliot fingendo di non provare più per lui tutto l'amore che chiunque invece le avrebbe letto negli occhi. Lo aveva giurato perfino, di fronte al diretto interessato, maledicendosi per il dolore che gli stava procurando dicendo quelle cose.
Gli aveva chiesto di essere sempre sincera con lei, di permetterle di diventare il suo scudo contro i brutti pensieri, di condividere i suoi patimenti, ma quando lui aveva avuto maggiore bisogno del suo sostegno lei gli aveva voltato le spalle e lo aveva abbandonato a sè stesso. Si sarebbe odiata per sempre per ciò che aveva fatto, lo sapeva bene, però dentro di sè non poteva fare altro che sperare che Elliot un giorno avrebbe capito cosa la aveva spinta a comportarsi così male. Sperava che si sarebbe reso conto di quanto, nel suo cuore, non potesse che esserci spazio per lui e lui soltanto.
D'altro canto Célie pensava che, se fosse stato als uo posto, anche Elliot avrebbe fatto lo stesso per un componente della sua famiglia. Suo fratello adesso aveva bisogno del suo aiuto e niente e nessuno la avrebbe distratta da questo obbiettivo. Nemmeno il grande amore della sua vita.
«Quanto manca ancora, Signor Backster?» domandò la ragazza, sporgendosi un poco verso il conducente dell'auto che Ciel le aveva messo a disposizione.
L'uomo la guardo dallo specchietto, con occhi pieni di indulgenza e quasi commozione vista la riverenza con cui lei aveva preso a rivolgersi nei suoi confronti. Non era di certo cosa da tutti i giorni che un padrone parlasse così ad una persona che lo serviva e che, poco ma sicuro, non era abituata a sentirsi quasi alla sua pari.
«Siamo praticamente arrivati signorina.» le rispose, sorridendo «Ancora non si è abituata alla vita mondana, non è vero?»
Célie annuì, sospirando mentre se ne tornava al suo posto. Si sistemò per bene l'abito di un rosa pastello chiaro che indossava e, guardando ancora una volta fuori dal finestrino, alzò semplicemente le spalle quando di sentì pronta a rispondere a quella domanda.
«Ho smesso di fare queste cose...quando sono morti i miei genitori.» mormorò «E anche allora ho presenziato sì e no al massimo a tre feste importanti in compagnia di mio padre e di Ciel. Ero spesso malata da bambina e perciò non mi era permesso uscire troppo. Non sono avvezza a certe cose credo.»
«Anche oggi le hanno chiesto cose che lei non sapeva?»
«Già. A volte mi sento una stupida...più del solito.»
«Non lo è, signorina. Ha solo bisogno di farci l'abitudine.»
«Sì, e di studiare a fondo il lavoro di mio fratello!»
Entrambi si misero a ridere, ben consci che la cosa poteva apparire più facile di quello che era in realtà. Le cose che faceva Ciel ogni giorno non solo erano del tutto fuori dal mondo della piccola Célie, ma risultavano astruse persino agli adulti che lo circondavano, dandogli man forte per portare avanti i possedimenti della famiglia Phantomhive. Erano gli ultimi della loro famiglia, il peso di quelle ricchezze non poteva che ricadere su loro due e, per quanto sino a quel momento Ciel si fosse sobbarcato tale incarico sulle proprie esili spalle, da adesso in poi lei avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per potergli tornare un minimo utile.
Per ora si occupava di presenziare a feste a cui lui non aveva nè il tempo nè la voglia di andare, rispondendo non solo a domande che riguardavano sua zia Angelina -eh sì, i pettegoli ci sono ovunque purtroppo-, ma anche ad altre che avevano a che fare con gli affari di cui Ciel non le parlava mai e poi mai.
C'era qualcosa di strano in tutto questo, Célie lo sapeva bene, ma per il momento aveva deciso di lasciar correre, prendendosi la briga di chiedere che stesse succedendo solo quando fosse stato veramente necessario.
Si fidava di suo fratello, si fidava ciecamente, e quindi non trovava giusto dubitare del suo operato per quanto misterioso fosse il fatto che lui solo, all'età di sedici anni, fosse stato in grado di portare avanti un'impero come quello.
Improvvisamente le venne in mente una cosa, una cosa che aveva voluto chiedere da un sacco ma che mai aveva avuto il coraggio di fare.
Deglutì piano, quasi inconsciamente. «Signor Backster...mi sa dire da quanto...da quanto lavora qui, il Signor Michaelis?»
L'altro se ne rimase zitto per un pò, come intimorito da quella piccola questione. Ci aveva visto giusto, le persone appartenenti alla servitù non vedevano tutte di buon occhio la presenza di quell'uomo, di quella persona così strana eppure così dotata ed eccezionale. Lo si poteva ammirare da molti punti di vista, era praticamente capace di fare qualsiasi cosa, ma stargli attorno era strano, anormale.
«Lo abbiamo visto comparire tutti assieme al padroncino.» ammise infine Backster, senza più staccare gli occhi dalla strada ora che stavano oltrepassando il cancello della villa Phantomhive, la voce priva della sfumatura allegra di poco prima «Vi avevamo ritrovata da poco, eravate tornata esanime dal rifugio dei vostri rapitori, ma quando la polizia arrivò sul posto non trovò nessuno. Eravamo tutti disperati, in ansia sopratutto, e pensavamo che ormai non ci fosse più nulla da fare per il signorino...ma poi eccolo riapparire portato in braccio da Sebastian.»
Cèlie non poteva ricordare quel giorno, quando Ciel era ricomparso sua zia la aveva già portata lontano con la scusa che non voleva darle altro tormento lasciandola in un luogo che le avrebbe ricordato solamente la perdita dei genitori e dell'adorato fratello. In più, allora, per via delle prigionia era stata spesso a letto, addormentata.
Come se però avesse vissuto anche lei quell'epico attimo, il suo respiro si fece più pesante ed il battito del cuore si velocizzò. Chissà cosa doveva aver significato per gli altri quella visione. Chissà cosa avevano pensato tutti, vedendoli all'orizzonte.
«Da quel giorno non se ne è più andato, anzi, è rimasto costantemente al fianco del padroncino.»
  
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