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Autore: lullaby_89    02/05/2011    26 recensioni
-One shot tratta da Devil's Blood-
Sono tornata con questa shot che è una specie di breve seguito della storia, ovviamente narra del figlio di Syn e Dorian!
"Un nastro argenteo in un mare nero. Come me.
Forse non era tutto perduto.
Forse per me era scritto lo stesso destino dei miei genitori.
Nomi diversi, stessa storia.
Christobel e Adrian.
Nessun forse. Era una certezza."
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MA CIAOOO!
Non ci credevo nemmeno io, ma alla fine sono tornata a scrivere un altro piccolo pezzo di Devil's Blood, sarà che mi era piaciuta tanto e che Adrian, poverino, lo avevo considerato così poco... Insomma, tralasciando le mie nostalgie, che penso non interessino a nessuno, introduco la storia!
Non so chi la leggerà delle ragazze che seguivano la storia, ma spero proprio che lo farete e se non vi è di disturbo lasciatemi un commentino, anche minuscolo ^^ così so se il figlio del bellissimo Dorian vi piace come il papà ;)
Buona lettura!


Les Mémoires Blessées

 

Duecento anni e non dimostrali affatto. 

Passai il palmo della mano sulla superficie liscia dello specchio per togliere la patina di vapore creata dopo la lunga doccia e mi osservai attentamente.

L'immagine che mi si presentò era quella che per anni avevo visto, che per altrettanti avrei dovuto vedere. Non sarei mai cambiato per secoli e secoli. Un'eternità con l'aspetto di un ventenne perfetto. Nemmeno mio padre era così affascinante. O almeno così dicevano tutti. Lo ripeteva sempre anche mia nonna, che era definita tale solo perché era la madre di mio padre, perché non dimostrava nemmeno trenta anni.

Avevo una famiglia di esseri perfetti e giovani. Eravamo demoni.

 

Sbuffai e lasciai perdere il mio riflesso per prepararmi all'arrivo dei nuovi alunni dell'Accademia. Era l'unico giorno che reputavo meno monotono degli altri. Facce nuove, vittime nuove, prede da scegliere e ragazzine che mi avrebbero mangiato con gli occhi.

In fondo le donne erano l'unica cosa che mi faceva passare il tempo piacevolmente.

Non sono uno sbruffone, semplicemente è nella mia natura peccare di lussuria.

Ancora non capivo come mio padre avesse potuto voler condividere l'eternità legato ad una sola. Non che mia madre fosse una donna poco piacevole, anzi era bellissima e soprattutto con un carattere adatto a tener testa a mio padre. Ero consapevole di aver ereditato quella sua caratteristica e ne ero contento.

Avevo i capelli di mio padre, le labbra di mia madre, gli occhi di ghiaccio, color del cielo d'inverno, simili al berillio. Le similitudini potevano essere molte, ma quel colore rimaneva mio, non era di nessun altro. Era una mia caratteristica. 

Sin da piccolo mi avevano paragonato ai miei genitori, ai miei nonni, per le mie scelte, la mia fisionomia. L'unica cosa mia erano quegli occhi chiari.

Indossai un maglioncino grigio e un paio di jeans. Odiavo i pantaloni eleganti, con quell'assurda piega al centro e soprattutto detestavo le occasioni in cui non potevo rifiutarmi di indossarli.

Osservai la sveglia e notai che erano poco più delle nove. Qualche studente doveva aver già varcato i cancelli a quel punto.

Diedi una sistemata ai capelli lasciandoli però, come sempre, arruffati.

La mattinata umida di quel giorno di fine settembre donava la giusta atmosfere all'edificio che piano piano mi si presentava di fronte. Eh già abitavo fuori da quell'Accademia, non più con i miei  genitori, ma in una stupenda villetta dietro il lago. Ad ognuno la sua privacy.

La condividevo con Black, il cane dell'inferno che prima era appartenuto a mio padre. Un amico fedele, che mai mi avrebbe abbandonato. Lo vidi sbucare da un cespuglio e mettersi al mio fianco sul viaggetto camminando a testa alta lanciandomi un'occhiata d'intesa.

"Dove sei stato eh?" domandai ridacchiandolo vedendolo scrollarsi di dosso delle foglie secche.

In risposa ebbi un guaito svogliato.

Amavo l'indipendenza di quella creatura, era come me. Ogni tanto necessitavo di qualche ora in solitudine, magari nell'isoletta in mezzo al lago, dove pochi osavano disturbarmi se non un mio caro amico. Strano a dirsi, ma avevo legato molto con un ragazzo di nome Logan, un mezzo demone arrivato in accademia da qualche decennio poco più. Un tipo solitario, scontroso a volte, ma non per questo antipatico. Se volevo qualcuno con cui passare del tempo libero lui era la mia prima e unica scelta maschile, ovviamente preferivo la compagnia femminile, ma non riuscivo a parlare con loro. In me vedevano solo una specie di perfetta macchina del sesso, un trofeo da mostrare, ma non qualcuno con cui scambiare due chiacchere.

Sicuramente l'avrei trovato ad accogliere i nuovi arrivati insieme agli altri servitori. Nonostante fosse un mio amico, il suo ruolo rimaneva quello e io potevo solo sottrarlo qualche volta dai suoi compiti.

Appena varcai il portone posteriore la pioggia iniziò a cadere lenta sulla ghiaia e sulle pietre producendo un ticchettio monotono. All'interno l'agitazione era evidente, nuovi ragazzi umani appena diciottenni si mostravano strabiliati dalla maestosità e dall'eleganza di quel luogo. C'era chi parlottava con amici, chi si guardava intorno spaesato e chi già fantasticava sulle avventure che avrebbe vissuto lì. Non si immaginavano minimamente quale sarebbe stata la loro fine.

Mi sistemai a metà dello scalone, dietro una colonna, in modo da vedere, ma di non essere scorto facilmente. 

Le ragazze erano carine, anche più dell'anno precedente. MI sarei divertito parecchio.

"Stai sondando il terreno Adrian?" 

Una voce mi riscosse da quell'attenta ispezione della "nuova merce" e non potei non riconoscerla.

"Già e tu mi hai distratto" risposi con finta stizza.

"Oh andiamo, sai già che ti cadranno tutte ai piedi"

Come dargli torto?

Ogni anno alla festa di inizio anno, dove noi demoni ci facevamo vedere, ogni nuova arrivata puntava gli occhi su di me e io puntualmente decidevo con chi mi sarei divertito. In fondo davo piacere anche a loro, non ero così egoista come potevo apparire. 

"Come mai sei qua?" domandai continuando ad osservare attentamente.

"Ho appena finito con le valige di quella biondina là, si è portata dietro metà casa secondo me, e ora ne subisco le conseguenze" si lamentò Logan.

Si sistemò le maniche della camicia blu rimettendo al suo posto la fascia rossa con un tralcio di rose intrecciate tra loro; segno che non era altro che un servitore. Ormai erano parecchi anni che i mezzi demoni erano costretti ad indossarlo.

"Magari dopo potrai chiedergli di ripagarti" mormorai distrattamente.

"Non è il mio tipo"

La guardai bene, una ragazza con un caschetto di capelli biondi tagliati e pettinati perfettamente, viso tondo e occhi banalmente azzurri. Come se le bionde fossero state prodotte in serie tutte con occhi di quel colore. 

Non fraintendete, le bionde mi piacevano eccome, non facevo distinzione tra le ragazze, se erano attraenti non era certo per il colore e la lunghezza dei capelli.

"Direi che sono arrivati tutti" constatò Logan sporgendosi dalla balaustra in marmo al fianco di Adrian.

Dal basso dovevamo essere un vero e proprio spettacolo. Logan non era il classico bel ragazzo da mozzare il fiato, non al pari di un Demone almeno, ma aveva un suo fascino personale che attraeva molto a quanto avevo potuto constatare. In definitiva le donne non gli erano mai mancate.

I capelli li aveva sempre tenuti corti ed erano di un piacevole color grano scuro, gli occhi verde chiaro con pagliuzze castane. Il viso leggermente spigoloso in alcuni tratti, ma con un taglio degli occhi che avrebbe fatto invidia a molti.

"Fine del sopralluogo allora" scherzai "che si fa adesso? 

Mi voltai poggiando la schiena al marmo della colonna rivolgendomi al mio amico, che iniziò a sorride indicando il portone che si stava riaprendo.

Il solito o la solita sfigata ritardataria, pensai.

"Ne manca una" disse infatti.

La sala era quasi deserta, tutti erano riuniti nel salone per il consueto discorso di benvenuto. Erano le 10 in punto dopotutto e Xander era un tipo che amava la puntualità.

"L'imbranata…quella ci vuole sempre"

Non appena pronunciai quelle parole la valigia che si portava dietro cadde sul pavimento producendo un gran baccano. Mentre si chinava per raccoglierlo il cappuccio della giacca cadde sulle sue spalle rivelando una chioma castana, tanto simile a quella di mia madre. Ciuffi bagnati le si erano attaccati al volto, liscio, puro e perfetto come quello delle dame dei dipinti.

"Un'imbranata carina però eh?" scherzò Logan dandomi una gomitata.

"Già, vado a darle una mano visto che tu non sei capace nemmeno di fare il tuo lavoro" lo presi in giro.

"Ok, allora vado io rompi scatole! Sei tu che mi trattieni e poi mi rimproveri" sbuffò.

"Logan…eclissati, lei è mia" ringhiai scherzosamente, ma facendogli capire che quello era un ordine non un suggerimento.

"Ricevuto"

Ridacchiò e poi scomparve nel corridoio del primo piano.

Scesi le scale lentamente e mi resi conto che la ragazza continuava a guardarsi intorno spaesata e non si era accorta della mia presenza.

Si era tolta la giacca pesante e l'aveva poggiata sulla valigia. In quel modo potei vedere il vestitino beige che indossava, con un paio di calze nere pensati e stivali bassi dello stesso colore dell'abito.

Non era alta, probabilmente non superava il metro e sessanta, ma era ben proporzionata e dovevo ammettere che da vicino era ancora più carina. Qualcosa di diverso dalle solite oche starnazzanti troppo sicure di sé. Si vedeva lontano un miglio che era timida.

Si accorse di me solo quando fui a meno di due metri da lei.

"Hai bisogno di una mano?" domandai cautamente.

Lei sussultò udendo la mia voce e rimase paralizzata quando spostò lo sguardo sulla mia figura. Facevo quell'effetto a molte, oramai nemmeno vi badavo più, ma quegli occhi color miele mi davano una sensazione strana, diversa dalle altre volte.

Per un secondo il mio solito sorriso sensuale si trasformò in uno reale e sincero.

"Io…ehm sì" balbettò sistemandosi le ciocche di capelli umide dietro le orecchie "sono arrivata tardi e ora non so dove andare" 

Strinse a sé la giacca e si tolse la sciarpa abbassando nuovamente lo sguardo.

"Meglio, ti salti il discorso di benvenuto più noioso che tu avresti mai potuto sentire" scherzai afferrando la valigia rossa "Vieni con me, vediamo in che camera sei"

"Ma…" 

Mi fissò confusa e indecisa sul da farsi. Come darle torto dopotutto? 

"Tranquilla, sono il nipote del preside se te lo stai chiedendo" mi era sembrato giusto dare delle spiegazioni, fasulle, anche se non ne avevo bisogno. Insomma, quando mai ne avevo date? 

"Ok…" mormorò.

Prese l'enorme borsa che aveva messo a terra e mi seguì silenziosa su per le scale verso l'ufficio di Xander. Non le avevo mentito dopotutto, l'avrei veramente aiutata a sistemarsi  e nel frattempo avrei usato anche tutte le mie carte per farla cadere ai miei piedi come tutte le altre umane prima di lei.

Avvertivo il suo sguardo su di me e mentre le altre volte avevo provato piacere o fastidio, quando questi divenivano troppo insistenti, quella volta sentii un calore strano. 

Mi camminava al fianco, leggermente più dietro. Sembrava voler osservare ciò che la circondava, i marmi pregiati, i candelabri elaborati e i tappeti antichi, ma inevitabilmente tornava a posare lo sguardo su di me. 

"Eccoci" la informai.

Le aprii la porta e la feci entrare. In fondo le buone maniere non passavano mai di moda.

Il fuoco, come sempre, era acceso e scoppiettava emanando un calore piacevole e una luce arancio che contrastava con la mobilia scura e i tendaggi. 

"Poggia pure lì le tue cose" indicai il divano "vediamo se troviamo la tua cartella" 

Mi sedetti dietro la scrivania e aprii il cassetto sulla destra, dove sapevo per certo si trovassero i fascicoli dei nuovi studenti. Spesso ero stato lì a sbirciare.

La ragazza continuava a stare impalata, strofinandosi le mani sulle braccia, come se avesse freddo. Dopotutto aveva ancora i capelli umidi. Mi dispiaceva quasi vederla tremante lì di fronte a me.

"Siediti davanti al fuoco, così ti asciughi" 

Ero sempre stato gentile con le mie prede, con la violenza non si otteneva mai niente, ma quella volta quell'accortezza era uscita spontaneamente.

"Grazie…" 

Scosse i capelli di fronte alle fiamme e poi si sedette sulla poltroncina.

"Dimmi il tuo nome"

Ero curioso di conoscerlo e ovviamente mi serviva per cercare il fascicolo.

"Christobel Rosen"

"Christobel…" sorrisi tra me e me sussurrandolo. Mi piaceva.

Trovai la sua scheda in poco tempo e l'aprii sulla scrivania. La sua foto spiccava sulla pagina delle sue generalità.

Nata il: 17/novembre/2189 a: Chicago.

Altezza: 1,63 

C'era di tutto, dal nome dei genitori alle sue allergie e scoprii anche il suo secondo nome: Elena. Doveva avere origini italiane.

Le pagine seguenti erano solo pagelle, diplomi e altre scartoffie a cui non badai molto. Cercai invece il modulo di ammissione su cui era scritta la sua sistemazione.

Primo piano, camera 6.

"Trovata" l'informai facendola sussultare "Vieni, è nell'ala opposta a questa, quindi c'è da camminare un po'"

"Grazie di tutto, sei davvero gentile"

Era riuscita a dire un'intera frase senza mormorare o balbettare. Forse si stava abituando alla mia presenza.

"È un piacere aiutare una bella ragazza come te"

La feci arrossire come un pomodoro.

Ridacchiai e rimisi tutto al suo posto, era meglio non lasciare traccia o Xander mi avrebbe fatto la solita ramanzina. Secondo lui non dovevo importunare le studentesse umane, era pericoloso per me e soprattutto per loro, che ovviamente non dovevano conoscere la mia vera natura. Dopotutto ero sempre stato prudente, non ci vedevo poi un gran problema.

Le aprii la porta e nuovamente sussurrò un grazie tormentando la manica del vestito. 

I capelli erano perfettamente asciutti, ma stavolta non le ricadevano più sulle spalle, li aveva tirati su con matita nera, lasciando scoperto un collo da cigno candido e liscio. Un collo perfetto da percorrere di baci.

Diamine quella piccola ragazzina aveva risvegliato fin troppa eccitazione nel giro di pochi minuti, e tutto questo senza fare alcunché. Se solo fosse stato possibile scampare alle conseguenze l'avrei presa lì, in una di quelle stanze, senza farmi troppi problemi e magari avrei anche assaggiato il suo sangue. Ma non potevo.

Una studentessa scomparsa al primo giorno di Accademia non era nei desideri di Xander. Avere duecento anni e non essere considerati abbastanza autonomi e maturi era snervante. Ero sempre sotto a qualcuno, mio padre, mia nonna e Xander. Mamma era diversa.

Un tuono squarciò l'aria e una luce bianca attraversò le grandi finestre del corridoio est, quello da cui si poteva scorgere una riva del lago. Il tempo non era dei migliori, ma la ragazza parve farci poco caso, non sembrava turbata dal maltempo e dai rombi assordanti dei fulmini che cadevano a terra non troppo lontano da lì.

Camminava attenta, rivolgendomi qualche occhiata fugace tornando a guardare di fronte a sé il prima possibile, come se avesse paura di una mia reazione se me ne fossi accorto. A me non faceva altro che piacere.

Eravamo quasi arrivati. Conoscevo bene quegli spazi, anche se probabilmente non avrei dovuto, ma quando avevo frequentato la scuola parecchie volte mi ero intrufolato lì dentro. I dormitori femminili erano su un unico piano, ovviamente sopra le aule d cui usufruivano solo gli umani.

I numeri delle camere erano in romano, incisi su placche dorate fissate alle porte di rovere scuro. 

Arrivati alla VI mi fermai davanti e estrassi il passe-partout, che avevo preso in prestito dall'ufficio di Xander parecchi anni prima, ed aprii lasciando entrare lei pre prima in quella che sarebbe stata la sua camera, forse, per i prossimi anni o mesi.

"Eccoci qua" 

La lasciai osservare l'ambiente. Le stanze erano tutte uguali, due letti a una piazza e mezza sotto le due finestre centinate, tendaggi pesanti e due scrivanie più i due armadi a muro. Il bagno privato a fianco. Un mini appartamento perfetto.

"È veramente bello…" disse curiosando qua e là.

Si fermò improvvisamente voltandosi verso di me "Come faccio a sapere gli orari delle lezioni ed il resto?" domandò giustamente.

"Ti spiego io, le regole qua sono poche" ed era la verità dopotutto "l'orario ti verrà consegnato questo pomeriggio, biblioteca, lezioni, mensa e coprifuoco" mi sedetti sul letto morbido coperto dal solito piumone bordeaux "La regola che non devi scordare è questa: non andare mai da sola nell'ala ovest e soprattutto è proibito andarci di notte. Questo è di vitale importanza"

Stava per chiedermi il perché, ma non le lasciai il tempo di rispondere.

"Non ti deve importare il motivo"

Lo dissi dolcemente, ma qualcosa nei suoi occhi mi fece capire che c'era rimasta male, non per la spiegazione, ma per la mia risposta.

"Va…bene…" balbettò abbassando la testa "cosa devo fare adesso?" domandò.

"Quello che vuoi…puoi aspettare qua la tua compagna di stanza, oppure…" stavo per fare una cosa che mai avevo fatto in vita mia "vieni con me, ti faccio fare un giro dato che ti sei persa le istruzioni del Rettore"

Sorrise di nuovo a quella proposta, come se avesse dimenticato la risposta precedente.

Annuì precedendomi, uscì fuori e si voltò verso di me come a chiamare la mia attenzione, ma senza dire una parola. Sorrisi sghembo e la seguii.

"Fammi strada" 

"Vieni, ti faccio vedere quest'ala dell'edificio"

Parlammo poco, io perché più attento ai suoi gesti, lei perché evidentemente troppo timida. Amavo studiare le ragazze che mi suscitavano interesse e lei era un tantino diversa da quelle con cui mi ero divertito in precedenza. Le altre mi attraevano solo sessualmente, Christobel mi suscitava un interesse che ancora non avevo compreso a pieno. Mi incuriosiva. 

Questa mia troppa attenzione mi costò la mia solita prudenza. Avevo completamente dimenticato che dopo il solito discorso noioso, gli studenti venivano condotti a giro per l'Accademia e la sfortuna volle che si imbattessero nella nostra strada.

"Adrian!" 

Cazzo. Mia madre.

"Adrian, che ci fai qua?" 

Xander. Ovviamente lui non poteva mancare e in quel momento faceva le veci di mia madre, che non poteva presentarsi come tale di fronte a quegli studenti. Dimostrava la mia età dopotutto.

"Ti do una mano" risposi freddamente.

"Ora ci sono qua io, puoi andare. Grazie"

Dal tono di voce e dal suo volto contratto di poteva capire benissimo che non era affatto finita lì e che dopo avrebbe chiesto spiegazioni. Se non lui mia madre, che dopo avrebbe riferito.

"Prego" dissi quasi ringhiando.

Non era giusto questa regola. Perché dovevo stare lontano dalle umane? Che differenza faceva cosa avrebbero potuto scoprire? Nessuna di loro sarebbe uscita di lì.

Christobel mi guardava indecisa e confusa da quello scambio di sguardi di fuoco e sembrava non ascoltare una sola parola di mia madre che le faceva un riassunto di ciò che prima aveva detto agli altri studenti, che tra l'altro spettegolavano sulla mia presenza.

Sarei dovuto andarmene, ma non ne avevo la minima voglia.

Mi avvicinai alla ragazza, non curante delle conseguenze future, e le posai una mano sulla schiena avvicinando le labbra al suo orecchio.

"Ci vediamo presto Bel…"

La desideravo e l'avrei avuta.

 

"Adrian fermati!!" mia madre mi urlava dietro "Non mi importa quanti anni hai, sono sempre tua mamma! Fermati ho detto!"

Erano circa dieci minuti che questa scenetta continuava imperterrita. Io che camminavo verso casa facendo finta di non ascoltare e lei che mi seguiva furente.

"ADRIAN!"

Mi bloccai sbuffando voltandomi con aria quasi scocciata.

"Che c'è?" ringhiai.

"Lo sai benissimo, non fingere di fare lo stupido!"

Aveva gli occhi rossi come le fiamme dell'inferno e nonostante la sua altezza, nettamente inferiore alla mia, quella donna mi incuteva paura.

"Adrian è un'umana! Cosa credevi di fare me lo vuoi spiegare?" mi urlò in faccia "Le conosci le regole, non ti è proibito quasi niente…" scosse la testa sconsolata "perché vuoi proprio ciò che ti è negato? ci sono mezze demoni a bizzeffe qua e tu volevi…mi spieghi cosa volevi?" 

Le era bastato relativamente poco per abbassare il tono di voce, evidentemente si era resa conto di non avere materiale per continuare ancora.

"Mi attraeva" risposi piatto "tutto qua…" 

Mia mamma sgranò gli occhi stupita e non capii il motivo. Restò in silenzio per alcuni secondi ed intanto le sue iridi tornavano del suo colore naturale. Solo quando parlò le si formò anche un sorriso sincero su quel volto ancora giovanile.

"Sono le stesse parola che disse tuo padre di me"

Questa volta fu il mio turno per stupirmi. Fu un attimo e poi iniziai a ridere, non so se per la paura o altro.

"Non scherzare mamma. Lei è umana e io non posso innamorarmi" 

Solo quelle parole sembravano uno scempio associate a me e io non riuscivo a smettere di ridere.

"Ti ho solo detto che sono state le stesse parole di tuo padre…il resto lo hai aggiunto tu" disse ridendo sotto i baffi.

Diamine mia mamma era più furba di una volpe e questa volta mi aveva colpito in pieno, spiazzandomi come non mai. Non era semplice lasciarmi senza parole. Lei c'era riuscita.

Mi voltai e feci per andarmene, ma venni bloccato di nuovo dalla sua voce.

"Mi raccomando, stasera cerca di arrivare puntuale"

Non risposi nemmeno e cercai di raggiungere l'uscita più in fretta possibile. Anche se pioveva non mi importava, era solo acqua e in quel momento avevo proprio bisogno di una doccia ghiacciata.

Il cielo concordava con me perché quando uscii l'intensità della pioggia sembrò aumentare.

Mi avviai verso casa incurante dei vestiti zuppi. Non volevo pensare, ma le mie stesse parole rimbombavano nella mia testa insistentemente.

Intravidi la casa, ma mi fermai pochi metri prima, di fronte alle rive del lago. Mi tolsi i vestiti e mi buttai nelle acqua scure immergendomi a fondo arrivando a toccare i massi levigati e viscidi. L'oscurità. Quando ero arrabbiato con me stesso era una delle cose che più riusciva a calmarmi. Quella volta nemmeno la mia più cara compagna mi fu utile.

Erano state parole mie, di una frase pronunciata senza pensare e perciò forse, più reale delle altre.

Christobel mi attraeva, ma era solo un'umana. Per me unicamente svago e cibo. Sì, quest'anno lei sarebbe stata il mio obbiettivo. Niente di più. Una ragazza da portare a letto un paio di volte, da aggiungere alla lunga lista delle precedenti.

Oh sì, la dolce e piccola Bel sarebbe stata la mia prossima vittima.

 

Abito elegante. Quella probabilmente fu la prima volta che non odiai indossare giacca e cravatta.

Se quell'abito era adagiato sul mio letto significava che era arrivata l'ora del ballo annuale d'inizio anno, dove tutti potevano mischiarsi agli umani senza problemi. Una vera stronzata secondo me, dato che per il resto dell'anno noi saremmo stati gli studenti "speciali", coloro che frequentavano corsi esclusivi. In realtà ce ne stavamo nell'ala opposta alla loro a non far niente per la maggior parte del tempo, con l'ordine preciso di non interferire nella loro vita.

Un guaito svogliato mi fece voltare indietro. Era Black, con il pelo umido e le zampe sporche leggermente di fango.

"Fila nella vasca. In questo stato non ci stai in casa"

Come se pulissi io poi.

Black mi ignorò completamente, ma ubbidì al mio ordine e io lo seguii in bagno. Dopotutto anche io dovevo rendermi presentabile. Avrebbero dovuto tutte cadermi ai piedi.

Dopo circa due ore il mio fedele amico a quattro zampe era lindo e profumato e io vestito e perfetto con il mio abito scuro e la camicia color ghiaccio. Come i miei occhi, come il bocciolo di rosa sul bavero.

"Mi dispiace, tu stasera stai qua" dissi rivolto a Black.

Non capii se infastidito dalla notizia o del tutto indifferente, lo vidi accucciarsi sulla coperta pesante gettata nell'angolo. Praticamente il suo letto personale.

Guardai il quadrante dell'orologio, segnava le undici di sera. Io ero in ritardo come al solito. L'entrata sarebbe stata migliore.

Uscii che aveva già smesso di piovere ed il cielo era plumbeo e scuro. Percorsi lentamente tutto il viale che portava all'Accademia, intravedendo le luci dalle grandi finestre e le risate delle ragazze e dei ragazzi e già potevo immaginarmi la mia Bel nel suo elegante vestito. Lei, la ragazzina che in quelle ore aveva occupato i miei pensieri più del dovuto.

Il portone della grande sala era spalancato e i quattro camini emanavano calore e una luce opaca sugli abiti colorati delle ragazze che danzavano, facendo oscillare la stoffa leggera come i petali di una rosa che sboccia. Tutti gli anni la stessa identica immagine. Affascinante all'inizio, banale con il passare del tempo.

Quell'anno però c'era qualcosa che cambiava la situazione. Una fata dall'abito argentato che stava danzando con…mio padre.

Entrai a passo svelto, ma prima che la mia impulsività avesse il sopravvento, una mano gentile si posò sulla mia spalla.

"Adrian, non fare scenate te ne prego" sospirò mia madre "voleva solo conoscerla, gli ho detto di oggi…sai che è curioso"

Presi un bel respiro e la ragione tornò in me.

"Perché avrei dovuto?" mentii "Cos'è successo oggi?"

"Non prendermi in giro, sono tua mamma, vuoi che non capisca cosa vuoi fare?" alzò un sopracciglio scettica.

Nel frattempo mezza sala si era voltata a guardarmi, ma il mio sguardo non si spostava da lei, nonostante mi imponessi di non farlo.

La canzone intanto finì e mio padre si congedò da Christobel raggiungendoci vicino alla finestra che dava sul cortile, dove mamma mi aveva trascinato.

"Figlio mio hai buon gusto. È piccola, ma ha qualcosa di unico dentro di sé che è più grande si qualsiasi altra cosa. Purtroppo è umana…"

"Ma vi siete messi d'accordo voi due? Voglio solo divertirmi ok?"

Risero entrambi, divertiti da quelle mie parole, che a me non suscitavano nessuna ilarità. Ero serio per diamine.

"Anche io ho cercato di negarlo, poi ho ceduto come puoi vedere"

"La vostra è tutt'altra storia…io sono destinato a stare solo"

"Non è scritto da nessuna parte" intervenne mia mamma.

"Nemmeno il contrario…" ribattei testardo.

Intanto una nuova melodia risuonava nella sala. I classici valzer, musiche lente che sarebbero durate fino alla mezzanotte, poi gli adulti se ne sarebbero andati e sarebbero rimasti solo gli umani, nessun demone poteva stare solo con un umano senza supervisione degli anziani. E anche se avevo 200 anni, io non ero considerato ancora così maturo. Essere il principe dell'Inferno non dava molti vantaggi in questi casi.

"Hai ragione. Fin quando puoi divertiti" sussurrò mio padre "quando ti innamori rammollisci" sghignazzò rivolgendo un'occhiata dolce a mia mamma.

"Ti ho migliorato Dorian, ammettilo" disse lei.

"Certo. Non ho detto che non sono felice di essermi rammollito" 

Si scambiarono un bacio e io alzai gli occhi al cielo stufo di quelle scene mielose.

Li lasciai soli dirigendomi dall'altra parte della sala per sedermi sui divani di broccato color ruggine, quasi tutti liberi. Da lì avevo una vista perfetta di tutti gli studenti, soprattutto delle studentesse e ovviamente di lei. Con il suo vestito color di luna sembrava un essere angelico e puro, così differente da me. Quello che sentivo era solo attrazione per il nuovo, qualcosa di differente. Però lei era umana e io un Demone puro, di sangue nobile. Non ero certo nemmeno che potessi giacere con loro.

"Principino come mai non è a darsi da fare stasera?"

"Logan non iniziare anche tu" lo ammonii.

Si sedette al mio fianco e mi guardò per qualche secondo in silenzio. Studiando la mia espressione, che in quel momento doveva essere alquanto accigliata e poco rilassata a mio parere.

"Com'è andata oggi con la piccola umana?" domandò.

"Bene" risposi piatto.

"Solo bene?" insistette.

"Cosa vuoi che ti dica?" gli ringhiai contro.

Perché quell'argomento mi faceva innervosire? Le parole dei miei genitori, le mie auto convizioni, tutto frullava nella mia testa come in un frullatore e mi stavano decisamente facendo una polpa del mio cervello.

"Mi racconterai…ora sei occupato" sghignazzò alzandosi.

"Occupato? ma che…" Non finii la frase, non ne ebbi il tempo. Fui interrotto da una voce leggera, come quella di una fata e quando spostai il mio sguardo su di lei fui veramente convinto di trovarmi di fronte ad un essere non umano.

"Adrian? Ti chia…ami così giusto?" domandò titubante.

"Buonasera Christobel. Se mi permetti, stasera sei bellissima" dissi prendendole la mano e baciandole il dorso.

Non ebbi il piacere di toccare la sua pelle profumata poiché essa era coperta da un sottile guanto dello stesso colore dell'abito.

"Sì, mi chiamo Adrian. Stamani non ho avuto la possibilità di presentarmi. Perdonami."

"Non fa niente…" mormorò imbarazzata.

Se non avessi parlato io probabilmente sarebbe rimasta in piedi, di fronte a me, per l'intera serata a martoriarsi la stoffa dell'abito e quel ciuffo ribelle che non voleva saperne di stare al suo posto.

"Mi concedi questo ballo?" domandai sensuale.

Non volevo esserlo, ma forse era una questione d'abitudine. E si sa, le vecchi abitudini son dure a morire.

"Certo!" 

Quel suo entusiasmo mi fece ridere e dovetti ammetterlo, piacere, ma non quello di avere un'altra ragazzina ai miei piedi. Era diverso e non sapevo spiegarlo.

Ballare con lei era veramente come volteggiare. Era una delle poche ragazze che sapeva muoversi e soprattutto non mi pestava i piedi perché troppo occupata a sbavarmi dietro che a ballare sul serio. Inoltre per la prima volta avevo tutti gli occhi su di me, come sempre, ma non mi importava. Era strano.

Parlai tranquillamente con lei senza fare allusioni di alcunché, senza provarci spudoratamente e soprattutto interessato dei suoi racconti. Questo non era mai accaduto. A dire il vero odiavo le ragazze che parlavano troppo, o forse era solo perché non le avevo mai viste come persone con cui avere una discussione interessante, ma solo uno strumento per il mio piacere.

"È mezzanotte…" le annunciai "io devo andarmene, questa notte è solo per voi studenti"

"Non andare" 

Eravamo seduti in terrazza, nonostante facesse freddo, ma era stata lei a voler sfuggire da tutte quelle occhiate poco amichevoli che le altre studentesse le lanciavano. Le avevo dato la mia giacca per non farla congelare e tutto sembrava quasi inusuale se associato a me.

"Devo, se mi trovano qua passerò dei guai" le dissi.

Non ero un tipo che rispettava le regole, non le avevo mai trovate giuste, ma in quel caso avrei probabilmente messo nei pasticci lei e non me la sentivo.

"Perché?"

"Perché purtroppo esistono le regole"

"Le regole si aggirano" mormorò sorridente.

"Non stavolta" dissi sconsolato.

Perché provavo uno strano morso allo stomaco a quella consapevolezza?

"Non ti vedrò a lezione domani vero?" domandò.

"No, non sono uno studente" le spiegai "Ma non ti preoccupare, ci rivedremo presto, prima di quanto immagini"

Non l'avrei lasciata scappare. In qualche modo lei sarebbe stata mia, non mi importava come, sapevo solo che non la volevo cedere a nessuno.

"Allora buonanotte Adrian" sussurrò avvicinandosi al mio volto.

I suoi occhi dorati rilucevano sotto le lanterne donando una luce particolare a quel colore già di per sé splendido. Diamine mi stavo eccitando solo ad ammirarla.

"Buonanotte Bel" 

Si avvicinò ancora e le sue labbra vellutate si posarono sulla mia guancia.

Non avevo mai permesso a nessuno un contatto così carico d'affetto se non a mia madre. Un semplice e casto bacio sulla guancia era bastato a farmi sentire felice.

Stava per restituirmi la giacca, ma la fermai.

"Tienila tu, avrai l'occasione di ridarmela" 

Una scusa in più per rivedere quel dolce viso.

"Grazie"

Ci guardammo ancora per qualche secondo e poi Christobel tornò all'interno dell'enorme sala lasciandomi con il ricordo del suo piccolo corpo che mi voltava le schiena e spariva tra i suoi nuovi compagni.

Saltai giù dalla terrazza atterrando sul prato per poi dirigermi verso casa, dove probabilmente non avrei chiuso occhio per l'intera notte.

Avevo troppi pensieri e troppe domande per la testa.

Dalla prima volta che mi ero nutrito di un cuore umano avevo capito la necessità di quella farsa; un'Accademia esclusiva per pochi fortunati, o sfortunati visto il loro destino. Lo stesso fato avrebbe colpito anche la piccola Bel, e forse sarei stato io stesso a porre fine alla sua esistenza. Era inevitabile e in secoli di storia nessuno si era mai opposto a questo. Perché ci stavo pensando poi?

L'avrei avuta comunque, nei mesi in cui sarebbe stata in vita avrei potuto tenerla tutta per me…dov'era il problema?

Un raggio di luna mi colpì in pieno, mentre assorto nei miei pensieri stavo seduto sotto il portico della mia villetta, come se stesse cercando di farmi vedere qualcosa, quel piccolo fascio di luce attraversava le spesse nuvole cariche di pioggia, che presto avrebbero scaricato a terra prepotentemente. 

Un nastro argenteo in un mare nero. Come me. 

Forse non era tutto perduto.

Forse per me era scritto lo stesso destino dei miei genitori.

Nomi diversi, stessa storia.

Christobel e Adrian.

Nessun forse. Era una certezza.


Mi sono dimenticata di specificare che questa non è una storia a capitoli, questo è l'unico!
Forse continuerò...ma dipende dal tempo che ho e se ci sarà la richiesta^^
  
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