Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: pizia    03/05/2011    2 recensioni
La donna che mi ha allevato diceva che io appartengo al Piccolo Popolo e che quindi non posso fare altro che avvertire il richiamo della Madre, e assecondarlo. Io non sono sicura di cosa questo significhi, ma qualcosa di vero ci deve essere per spiegare quello che sento
Prendete Merlin, prendete Le Nebbie di Avalon, mescolateli e stravolgeteli un po' entrambi, ed avrete l'ambientazione della mia storia.
Non ho idea se questa storia sarà lunga o breve, se sarà una commedia drammatica o una tragedia, se sarà bella oppure brutta, per cui non prendete per oro colato i generi o i rating che ora scrivo: potrei cambiarli in corso d'opera.
Per il momento ho iniziato a scriverla per il puro e semplice amore che nutro verso questi personaggi, Artù in primis.
Buona lettura... spero...
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Morgana, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

EPILOGO

 

PARLA MORGANA: E’ passato più di un anno da quando ho lasciato Camelot. Ginevra ha tentato in tutti i modi di impedirmelo, chiedendomelo come amica, ordinando melo come mia padrona, supplicandomi come sorella, ma alla fine non ha potuto impedirmi di raggiungere Avalon quando Uther stesso ordinò che mi venisse concesso di partire.
Il padre di Artù non mi voleva più a Camelot ed io mi ritengo fortunata ad essere stata semplicemente allontanata dal regno e non bruciata direttamente sul rogo. Ora conosco i giuramenti che legavano Uther ad Avalon, ma ho come l’impressione che, se non fosse stato per Viviana, non sarei stato tanto fortunata.
In realtà il più delle volte penso che alla stessa Ginevra non importasse molto che io me ne andassi, ma quella che proprio non riusciva ad accettare era la mia destinazione: è sempre stata buona con me, non affermerò mai il contrario, ma non eravamo amiche; quello che non voleva era che io lasciassi lei e la sua Chiesa per andarmi ad addestrare per diventare una sacerdotessa pagana e blasfema. Il fatto che io preferissi la Dea al suo Cristo era una sconfitta personale per lei che aveva tentato in tutti i modi di convertirmi alla sua fede.

La mia esistenza, fino ad allora, era stata semplice, eppure io ci ero affezionata: abbandonarla all’improvviso per dedicarmi al duro addestramento per diventare sacerdotessa della Dea non fu una decisione facile da prendere.
Confesso che inizialmente, per quanto sentissi già di appartenere ad Avalon nonostante non ci fossi mai stata, il vero motivo per cui avevo accettato la proposta di Viviana era stato il desiderio di allontanarmi da Camelot. Da Camelot e da Artù.
Da quella sera nella studio di Uther, quando la mia vera identità e discendenza erano state svelate, non gli ho più parlato. Non ne ho avuto il coraggio. Non sono arrabbiata con lui, anche se forse ora lui lo crede, ma il ripensare a ciò che c’è stato far noi e al fatto che è mio fratello…

In questo anno abbondante di addestramento, mi è stato insegnato che non esiste nulla di iù sacro di quello che io e lui abbiamo condiviso accanto al calore dei Fuochi di Beltane. Mi è stato insegnato ciò che in realtà avevo già scoperto da sola quella notte, e cioè che io non ero semplicemente io, ma la Dea, e lui non era semplicemente Artù, mio fratello, ma il Consorte. Io non ho dubbi riguardo a questo: quella notte è ancora fin troppo vivida nella mia memoria e ricordo distintamente la sensazione che ho provato mentre lo accoglievo dentro di me. Non semplice piacere fisico, ma consapevolezza che qualcosa di più importante e profondo stava accadendo. Lo stesso Artù, che dell’Antica Religione ne sapeva persino meno di me, se ne era reso conto. E non ho mai avuto ragione di dubitare delle sue parole, successivamente, quando affermava che, dopo quella notte, avrebbe per sempre visto la Dea con il mio volto.
Ed è proprio questo che mi terrorizza più di ogni altra cosa.
Con il tempo e l’addestramento di sacerdotessa sono quasi giunta a perdonare me stessa per quello che è stato tra me e Artù, per la notte di Beltane e persino per tutte le altre, decisamente meno sacre, che l’hanno seguita.
Quello che invece ancora oggi mi fa paura è lo sguardo di Artù quella dannata sera, la certezza che quelle che io ora considero notti ‘meno sacre’ non lo sono state altrettanto per lui. Lo sguardo di Artù quella sera era stato certamente lo sguardo sconvolto di un fratello che aveva scoperto di aver giaciuto, pur inconsapevolmente, con la propria sorella, ma era stato ancora di più lo sguardo disperato di un uomo che stava perdendo la propria donna, e che non riusciva né voleva farsene una ragione.
In quell’unico, brevissimo istante in cui i nostri occhi si sono incontrati dopo che avevamo scoperto di essere figli della stessa madre, io compresi di aver amato quel giovane uomo, ma di essere sempre stata pronta al momento in cui ci avrebbero separati. Certo, credevo che sarebbero stati Ginevra prima e una corona poi a dividerci, e non certo il nostro stesso sangue, ma non mi ero mai fatta seriamente illusioni sul fatto che la nostra storia potesse durare a lungo. Ero decisa a godere di ogni attimo che ci fosse stato concesso, e non nego che quando ero fra le sue braccia riuscivo persino a sperare di sbagliarmi, ma, a mente lucida, sapevo che non c’era un futuro per noi, ed ero pronta ad accettarlo. Forse pensavo che sarei comunque rimasta a Camelot e che magari sarei stata la sua amante se davvero le cose fra lui e Ginevra non fossero andate, ma in realtà non credevo che Artù sarebbe stato un marito infedele e quindi, a maggior ragione, non mi ero mai lasciata travolgere completamente da ciò che provavo quando gli stavo accanto.
Avevo anche creduto che, nonostante le parole accorate e le promesse di amore eterno che pronunciava quando eravamo insieme, anche Artù fosse consapevole che stare insieme non era il nostro destino. Eppure in un attimo compresi che non era così. Quando incrociai il suo sguardo, vidi, al di là dello sconforto e dello shock del momento, la determinazione a fare tutto il possibile pur di non rinunciare a me e a ciò che c’era tra noi. In quel momento seppi che, nonostante tutto il regno stesse festeggiando il suo fresco fidanzamento con Ginevra, lui non si era affatto rassegnato, ed ebbi anche la certezza che, non so in quale modo, sarebbe davvero riuscito ad evitarlo quel matrimonio. Lui mi amava più di quanto io mi sia mai concessa di amare lui, e questo mi terrorizzava a morte. Avevo visto l’uomo triste e solo che, al di là della corona, Artù sarebbe diventato e l’idea di poter essere io la causa, o anche solo una parte, di quella infelicità mi sconvolse persino più del fatto di essere sua sorella, oltre che sua amante.
Nei giorni che sono seguiti, prima che io partissi per Avalon, lo evitai in tutti modi possibili: cosa avrei potuto dirgli? Lui mi cercò, ma a cosa sarebbe potuto servire? Ci saremmo solo fatti ancora di più del male. Per niente. Anche se lui forse allora la pensava diversamente, nulla di ciò che avremmo potuto dire o fare avrebbe potuto cambiare il fatto che lui era mio fratello ed io sua sorella, nulla avrebbe potuto modifcare il sangue che ci scorreva nelle vene, o il nostro destino. Non c’erano scuse da farci l’un l’altra, né accuse da rovesciarci addosso. Perché allora spargere sale su ferite già sufficientemente dolorose anche così? Forse, comportandomi come ho fatto, ho anche sperato di farmi odiare da lui, di cancellarmi dal suo cuore. Preferivo che mi odiasse e mi dimenticasse piuttosto che saperlo a struggersi nel mio ricordo. E tutt’ora lo preferirei.
Mi limitai ad affidarlo nelle mani di Merlino: lui probabilmente aveva sospettato qualcosa riguardo alla loro storia, e quando avesse saputo come stavano le cose gli sarebbe stato vicino. Irritandolo magari, ma senza lasciarlo solo. Sapevo di potermi fidare di lui.

Non so però se sono riuscita nel mio intento di farmi dimenticare da Artù. Posso solo sperarlo. Da quando sono giunta ad Avalon sono letteralmente stata tagliata fuori dal mondo esterno. Qualche volta mi chiedo se davvero sia possibile che io sia qui solo da poco di più di un anno, perché in realtà mi sembra di essere qui da una vita. Forse addirittura da più vite. Da sempre. L’addestramento è duro, e più di una volta ho desiderato di scappare. Ma la verità e che qui mi sento a casa come non mi sono mai sentita da nessun’altra parte.

Il momento più orribile è stato quando mi sono resa conto di essere in attesa di un figlio, il figlio di Artù. Presa dalla disperazione, tentai di liberarmi di quel bambino che, qualche mese prima, avrei potuto amare alla follia e che invece era una condanna inappellabile allora. Quando Viviana  lo venne a sapere, andò su tutte le furie. Credevo addirittura che mi avrebbe fatta cacciare. Era furibonda perché ero incinta, mandando probabilmente all’aria tutti i progetti che aveva fatto per me; ed era ancora più furiosa perché avevo cercato di abortire: sforzandosi di non urlare, mi aveva detto che un figlio era una benedizione della Dea. Le sacerdotesse sapevano come non concepire e non si facevano scrupoli ad usare tutti i mezzi di cui disponevano per evitare di rimanere incinte quando non lo desideravano, ma quando una vita veniva concepita, poche cose ad Avalon erano più sacrileghe di quello che io avevo cercato di fare. Per un’intera luna si era rifiutata di parlarmi, impedendomi anche di continuare con il mio addestramento, definendomi indegna.
Fossi morta allora, non mi sarebbe dispiaciuto, ma il suicidio era, salvo poche eccezioni, una di quelle poche cose che Viviana avrebbe ritenuto ancora più gravi  dell’aborto che aveva tentato, e la sola idea di dover di nuovo affrontare la sua rabbia qualora avessi fallito anche nel tentativo di togliermi la vita fu un deterrente sufficiente a farmi passare qualsiasi strana idea.
L’unica volta che decisi di affrontare di nuovo la sua rabbia fu quando, qualche tempo dopo, la Signora del Lago mi chiese chi fosse il padre del mio bambino. Non potevo certo dire a mia zia che portavo in grembo il figlio di mio fratello, e, anche se avessi potuto farlo, non lo avrei voluto: non volevo, e non voglio tuttora, che Artù venga mai a sapere dell’esistenza di questo bambino. Non mi importa che lui sia di fatto il suo primo figlio ed erede. Io non gli dirò mai nulla perché non voglio che anche mio fratello debba vivere con un simile peso sul cuore, e se nessun altro avesse saputo, nessun altro avrebbe mai potuto rivelargli la verità.
“E’ stato concepito durante i Fuochi di Beltane” questa almeno era la verità: non potevo esserne assolutamente certa, dato che io ed Artù eravamo stati insieme anche dopo quella notte, ma stavo diventando una sacerdotessa della Dea e qualcosa, dentro di me, mi diceva che quella era davvero la verità. “Il padre era un perfetto sconosciuto che non ho mai più rivisto dopo, e che non ho alcun desiderio di rivedere. Non so nemmeno se, rivedendolo, lo riconoscerei”.
Sono certa che Viviana sapesse che le stavo mentendo, ma in quel momento decise di ignorare la cosa, di nuovo furibonda nell’apprendere che il figlio che avevo cercato di uccidere era stato concepito nella nette più sacra alla Dea. Avrei preferito evitare di rivelare quel particolare, ben sapendo che non avrebbe fatto altro che aggravare la mia situazione, ma preferivo che la Somma Sacerdotessa fosse di nuovo furiosa piuttosto che determinata a scoprire l’identità del padre di mio figlio. E comunque anche ad Avalon l’aritmetica faceva parte degli insegnamenti e quindi, a meno che il bambino non fosse nato decisamente in anticipo, chiunque sarebbe potuto facilmente risalire al momento in cui era stato concepito, e allora, forse, Viviana si sarebbe arrabbiata ancora di più.
Lei continuò a non volermi parlare, anche se si teneva costantemente aggiornata sull’andamento della mia gravidanza. Almeno però la convinsero a permettermi di riprendere in parte il mio addestramento: qualsiasi pratica magica che avesse potuto interferire con la regolare crescita del bambino mi fu ovviamente preclusa, ma almeno mi era concesso seguire le lezioni dei Druidi sulla storia, l’astronomia, la medicina. A volte mi sorprendevo ad immaginarmi di discutere con Gaius di tutto quello che stavo imparando, e quando mi rendevo conto che difficilmente sarebbe più potuto accadere, una tenera tristezza mi velava il cuore.

La nascita di mio figlio è stata un incubo: ancora oggi non riesco a capire come io possa essere ancora qui a raccontarlo. Le sacerdotesse più anziane sostengono che sia stata la punizione della Dea per quello che avevo cercato di fare ad un SUO figlio, e che tuttavia, nella sua infinita bontà, Lei aveva deciso risparmiarmi la vita. Di certo però aveva deciso che non ero più degna di ricevere un simile dono. Ancora oggi non sono in grado di stabilire se il fatto di non poter più avere dei figli sia una maledizione o invece una benedizione: probabilmente entrambe le cose contemporaneamente. Dopo il parto rimasi incosciente per diversi giorni, più morta che viva, e quando infine mi svegliai, mi resi conto che mio figlio, il figlio che prima non volevo e che ora desideravo stringere tra le mie braccia più di ogni altra cosa al mondo, mi era stato portato via.
“E’ un maschio, e non potevo permettere che il futuro re della Britannia morisse di fame a pochi giorni dalla sua nascita” mi disse Viviana quando fummo da sole e le chiesi di lui. Quelle parole mi agghiacciarono: aveva usato la Vista, sapeva chi era il padre e già stava progettando il suo futuro, proprio come aveva programmato quello di Artù. “Credevi davvero che fossi tanto sciocca da credere alla storia dello sconosciuto ai Fuochi? Mi rincresce solo di essermi arrabbiata tanto: avevo dei progetti per te, e tu hai fatto di tutto per mandarli a monte, ma la Dea è grande ed è in grado di provvedere da sola a se stessa e alla sua gente, evidentemente”.
“Ti prego, portamelo qui: voglio vederlo, voglio stringerlo a me…” la supplicai.
“Non posso permettere che tu lo stringa a te tanto forte da soffocarlo…” mi rispose con ironia malevola. Probabilmente me la meritavo, ma quell’accusa mi ferì profondamente. “Tu ora devi solo concentrarti sul tuo addestramento, che sarà ancora più impegnativo visto tutto il tempo che hai sprecato per un motivo o per l’altro. Inoltre il figlio di Artù…” - non il mio, il figlio di Artù- “… è stato affidato ad una balia per evitare che morisse di fame mentre tu non eri in grado di occuparti di lui. Se anche te lo portassi qui, non ti riconoscerebbe come madre. Ti consoli il fatto che è sano e forte e che verrà allevato qui ad Avalon dai Druidi che gli insegneranno tutto ciò che deve sapere. E’ stato chiamato Mordred”. Aveva ragione: quando finalmente riuscii a rimettermi in piedi, sgattaiolai in piena notte nella stanza in cui il bambino dormiva: lui iniziò a piangere non appena mi avvicinai alla sua culla, come se davvero avvertisse un pericolo. Non riuscii nemmeno a toccarlo prima che la donna che gli faceva da balia si precipitasse nella camera. Potei solo notare che aveva i miei colori scuri, e non quelli chiari di Artù. Sapevo che non significava molto, data la velocità con cui i neonati cambiano, eppure ero certa che lui sarebbe somigliato a me più che a suo padre e per qualche ignoto motivo, questo mi tranquillizzava. Forse feci pena alla balia, dato che non ha mai detto a Viviana del mio tentativo di vedere Mordred; tuttavia mi chiese di non tornare  o sarebbe stata costretta a riferire tutto quanto. Da parte mia, in realtà, non desideravo ritentare: mio figlio aveva paura di me e questo, nonostante tutto, era più di quanto potessi sopportare.
 
Oggi sono ancora qui. Nutro del risentimento verso Viviana, per come mi ha impedito di essere una madre per mio figlio, eppure non voglio andarmene da Avalon: nonostante tutto questa ormai è casa mia, ed io voglio diventare una sacerdotessa. I doni della Dea sono forti in me e lo dimostra il fatto che, nonostante io sia ancora una novizia, mi è stato affidato l’importante compito di cucire il fodero che custodirà Excalibur, uno dei simboli più sacri di Avalon. La leggendaria spada verrà donata dalla Dama del Lago ad Artù come dono di nozze, e il fodero dovrà proteggerlo da qualsiasi ferita riportata in battaglia. Questo significa che Artù se ne è mostrato degno, che ha sconfitto il Re Cervo e che ha celebrato le Nozze Sacre sul Tor. Questo significa che quest’anno, a Beltane, lui è stato qui ad Avalon, e che io non ne ho saputo niente. Questo significa che qualche altra giovane e pura sacerdotessa è stata per lui la Dea.
“Vedrò per sempre la Dea con il tuo volto, Morgana”: le sue parole mi rimbombano nella testa e ancor più nel cuore, senza che io possa arginarle. Spero davvero che non sia così; spero davvero che lui possa vedere la sua sposa come la Dea, e che con Ginevra possa essere felice, re giusto e padre amorevole. Queste sono le benedizioni che intesso nel fodero, intrecciandole ai fili dorati ed argentei del complicato motivo che vi sto ricamando sopra.

Sono auguri sinceri i miei, non ho dubbi.
Ma allora perché non riesco a trattenere le lacrime?



NOTE: Vi chiedo veramente scusa!!! Questo ultimo capitolo era sul PC da settembre scorso, ma ero certa di averlo postato, tant'è che non avevo nemmeno più controllato questa storia. Quando poi oggi, per puro caso, ho letto l'ultima recensione che mi è stata lasciata da Leuviah_Utopia quasi un mese fa, sono letteralmente caduta dalle nuvole. Davvero mi spiace tantissimo se c'è qualcuno che ancora attendeva la conclusione di questa storia.
Questo epilogo si stacca decisamente dal telefilm che tutti noi amiamo e si rifà decisamente al lib ro "Le Nebbie di Avalon". E' stato evidentemente scritto usando la stessa tecnica del racconto in prima persona usato da Marion Zimmer Bradley nel suo meraviglioso romanzo: non prendetelo come una banale scopiazzatura, quanto invece come un misero omaggio ad una scrittrice che mi ha regalato dei sogni.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: pizia