Capitolo 1. “Losses”
“…Mama, life had just
begun
But now I've gone and thrown it all away
Mama, ooo
Didn't mean to make you cry
If I'm not back again this time tomorrow
Carry on, carry on, as if nothing really matters…
…Too late, my time has come
Sends shivers down my spine
Body's aching all the time
Goodbye everybody - I've got to go
Gotta leave you all behind and face the truth…”
[From “Bohemian Rhapsody”-
Queen -]
Il
rosso era il sole del colore al tramonto, delle rose, delle labbra di
una donna
– di sua madre all’epoca – o del fuoco
del camino di casa. Insomma, lo aveva
sempre associato a qualcosa di positivo.
Poi,
con il passare del tempo, la crescita e ciò che essa
comportava, gli impegni e
la realtà cominciarono a farsi veri, reali e concreti. Non
più qualcosa che
avrebbe dovuto affrontare solamente “dopo”.
Si
faceva sentire il peso della responsabilità che il suo ruolo
di ninja e di genio
esigevano; così, improvvisamente, la sua opinione personale
e il suo modo di
vedere la realtà cambiarono brutalmente.
Quando
suo padre morì, e lui lo trovò lì, sul
pavimento della cucina, dopo essersi
tolto la vita per la vergogna, gli fu impossibile non associare il
colore rosso
al sangue che circondava il suo corpo privo di vita.
E
fu lo stesso quando il sangue di Obito schizzò sulla
superficie rocciosa dei massi
che l’avevano travolto e ucciso. Oppure quando vide il viso
del suo maestro
impallidire, mentre il sangue defluiva rapidamente e il suo corpo
diventava
sempre più freddo e privo di vita, dopo aver sigillato
Kyuubi.
E
fu così anche tutte le volte che un compagno o una persona
cara, o chiunque
altro, moriva davanti a lui.
D’improvviso,
il rosso non fu più qualcosa di caldo e rassicurante,
divenne qualcosa che
odiava; non era più il colore del sole al tramonto, o delle
rose, o delle
labbra di una donna, o ancora del fuoco del camino di casa.
Tutto
ciò che era stato fino ad allora, di colpo, non lo fu
più. Divenne solamente rosso sangue.
La
sua repulsione tornò viva, a tormentarlo, negli occhi di
Sasuke, il suo allievo
prediletto, quando venne preso di mira da Orochimaru, e in quelli di
Naruto,
figlio del suo amato maestro, tutte le volte che perdeva il controllo e
si
lasciava andare alla furia cieca di Kyuubi.
Anche
in quell’esatto momento, come sempre, forse ancor di
più, odiò il rosso, e
l’unica associazione che gli perforava il cervello era quella
con il sangue.
Mentre
fissava, pallido e incredulo, il corpo senza vita del suo allievo
biondo, ai
suoi piedi in un lago di sangue, Sakura che piangeva disperata,
tentando di
rianimarlo, e Sasuke che, in piedi come lui, fissava il suo migliore
amico
senza nemmeno vederlo davvero, perso in chissà quale
doloroso mondo di
desolante angoscia, non poté fare a meno di fare, ancora una
volta,
quell’associazione mentale spontanea.
E
nonostante non fosse la prima volta, nonostante non fosse il primo,
come tutte
le volte, non riusciva ad evitare di esserne travolto, devastato dalla
rabbia e
dalla frustrazione e dall’angoscia dettata dalla perdita.
Era
come essere continuamente sbattuto a terra da un pugno in pieno viso e
rialzarsi ogni volta, protendendosi in avanti per riceverne ancora.
Oggi
poi, fa ancora più male; Naruto è – era
– così cresciuto che ormai era quasi
identico al padre, indi per cui, fu come rivedere la morte di Yondaime
- del
suo maestro, del suo eroe - per la seconda volta. E il sapere di non
essere
riuscito a impedirlo ancora, per la seconda volta, rese il tutto
più doloroso e
frustrante.
Ed
ora che anche Naruto era diventato un po’ come un altro eroe,
per lui e per
tutti i suoi amici, si sentii ancora peggio.
Ingoiò
il groppo che gli si era bloccato in gola e inspirò,
cercando di non tremare.
Abbassò lo sguardo e si avvicinò a Sakura,
tentando di allontanarla, visto che,
non volendo accettare la realtà, la ragazza si ostinava a
immettere chakra nel
corpo del compagno.
La
afferrò per la vita e cominciò a tirarla verso di
sé. Com’era prevedibile,
Sakura si ribellò, cominciando a scalciare e dimenarsi.
-
Mi lasci! Kakashi-sensei, che fa?! Mi lasci! Se non lo curo, Naruto
morirà! –
cominciò a gridare, isterica. Lui serrò le labbra
sotto la maschera e lanciò
un’occhiata al cadavere sotto di loro.
-
Sakura, calmati! – tentò pacato, aumentando
lievemente la presa sulla ragazza – Ormai
è inutile, non c’è più nulla
da fare! Naruto è morto! -. A quell’ultima frase,
Sakura si bloccò di colpo con
gli occhi sbarrati. Poi, come se la consapevolezza di quello che era la
realtà,
l’avesse colpita solo in quel momento, si voltò e,
aggrappandosi con quanta più
disperazione fosse possibile, al suo sensei, incominciò a
piangere sempre più
forte, tremando e singhiozzando così tanto che per un attimo
Kakashi temette
che avrebbe smesso di respirare e gli sarebbero venute le convulsioni.
Gli si
stringeva addosso con tanta angoscia, che le sue mani erano sbiancate a
tal
punto da far scorgere la muscolatura e le ossa al di sotto di esse.
Non
voleva essere così brutale, solitamente sapeva essere
più “diplomatico”, ma in
quel momento era talmente sconvolto anche lui che nella sua testa si
affollavano pensieri tutt’altro che eloquenti.
Voltò
lo sguardo verso l’altro suo allievo; Sasuke ora non stava
fissando più Naruto,
aveva il capo chino e i capelli della frangia gli nascondevano il viso.
-
Sas’ke…- lo chiamò piano. Questi non
diede segno di averlo sentito,
semplicemente fece qualche passo avanti, si chinò e prese
faticosamente fra le
braccia il corpo dell’amico. Silenziosamente, se lo
caricò in spalla e, come se
niente fosse, cominciò a camminare in direzione del
villaggio, incurante del
sangue di Naruto che gli impregnava sempre di più la divisa
da jonin.
Tre
giorni dopo, si svolsero i funerali.
Tutti
gli amici più cari di Naruto erano lì,
tristemente riuniti per dare il loro
ultimo saluto al giovane ninja biondo. C’era chi ancora
piangeva, come Sakura,
Hinata, Ino e persino Shizune, e chi si limitava a fissare tristemente
la
tomba, ancora incredulo. Chi ascoltava il discorso stentato di Tsunade
– anche
lei, per quanto fosse una donna forte, faticava a non piangere -, e poi
chi,
come Sasuke, aveva lo sguardo perso nel vuoto e fisso, o chi, come
Kakashi,
gridava in silenzio, con lo sguardo, il proprio dolore.
Durante
tutto il funerale, la mente dei tre membri rimasti del team7,
continuava a
rivivere le scene che pochi giorni prima avevano visto Naruto, come
protagonista della disgrazia.
Fu
doloroso ricordare, ma non poterono farne a meno. Ognuno di loro
riviveva quegli
istanti e continuava a tormentarsi con i classici ragionamenti di chi
ha il
cuore tormentato dal rimorso.
“Avrei
potuto
fare qualcosa? ”
“
E se avessi…? ”
“
È stata colpa
mia. Se solo non…! ”
Ma
era ovvio che tutti quei loro dubbi non avrebbero mai trovato risposta,
e loro
avrebbero perseguito a tormentarsi a vita, affannandosi nel tentativo
di
trovarne.
Dopo
tutto, come si suole dire “con i se
e
con i ma, la storia non si
fa”. Ad
ogni modo, la natura umana è ben strana; pur sapendolo, loro
non avrebbero mai
smesso di porsi domande.
Nelle
loro menti già provate, avrebbero continuato a rivedere
Naruto lanciarsi per
difendere Sakura e farle da scudo con il proprio corpo, nel tentativo
di
impedire al ninja nemico di ucciderla. Ed alla fine, era morto lui. La
ferita
era troppo grande e troppo profonda perché Kyuubi o Sakura
riuscissero a
rimarginarla in tempo, e seppur tutti loro continuavano a domandarsi se
avrebbero in qualche modo potuto evitarlo, la risposta era sempre no,
non
avrebbero potuto farlo.
Sembrava
una morte banale, per uno che anni addietro aveva sconfitto il leader
dell’Akatsuki e che fino a qualche giorno prima era un jonin
pieno di sogni e
speranze, come il resto dei giovani della sua generazione. Ma tutti
loro
sapevano che non la era stata. Quella era una missione di livello S, ad
alto
rischio, e il ninja loro avversario era forte, molto. Sakura era in
pericolo,
era il ninja medico e Naruto aveva svolto il suo dovere, difendendola (
anche
se in realtà, molto probabilmente, l’aveva fatto
per un motivo che andava al di
là di questo. Avrebbe sicuramente fatto lo stesso con Sasuke
o Kakashi).
Non
era colpa di nessuno, lo sapevano, ma ognuno di loro non poteva fare a
meno di
attribuirsi la responsabilità di quando successo.
Un’altra
faccia del villaggio, però, quella che faceva parte della
vecchia generazione,
se non stava festeggiando era solamente per non incorrere nelle ire
dell’Hokage, altrimenti si sarebbero sicuramente lasciati
andare alla gioia
dell’essersi finalmente liberati di Kyuubi.
Nei
giorni successivi, tutto tornò più o meno alla
normalità.
Il
dolore e il lutto per la perdita erano ancora freschi, ma la vita
doveva andare
avanti, anche se così non fu per tutti.
Sakura
si chiuse in casa e non ne uscì più, se non per
stretta necessità.
Sasuke
non faceva altro che allenarsi, andare in missione e cercare di far
finta che
quanto era successo non l’avesse turbato più di
tanto.
Cercava
di auto convincersi che Naruto era solo un idiota e che a lui non
interessava
minimamente se era morto. Eppure, quando ci ripensava –
sempre – non poteva
fare a meno di serrare i pugni, e le palpebre e prendere a pugni la
prima cosa
che gli capitava sotto tiro.
Kakashi
guardava i suoi due allievi distruggersi e lasciarsi andare allo
sconforto,
sempre di più, senza sapere come fare per farli risalire la
baratro profondo in
cui erano sprofondati.
Avrebbe
voluto tendere una mano e aiutarli a riemergere, il problema era che
quella
mano sembrava non raggiungerli mai.
Andava
ogni giorno a trovare Sakura e cercava in ogni modo di confortarla come
poteva,
ma nulla pareva scuoterla più di tanto. Supervisionava
costantemente gli
allenamenti di Sasuke, ma il giovane Uchiha, non sembrava neppur voler
accettare il proprio dolore.
Lui
stesso, in fondo, si sentiva palesemente tormentato e, seppure avesse
affrontato quell’esperienza diverse volte, non vi era in
alcun modo qualcosa
che potesse impedirgli di soffrire ad ogni dannata occasione.
Eppure
lo sapeva: erano ninja, la loro vita era costantemente in pericolo. Le
perdite
erano inevitabili e non poi troppo rare.
Questo
si disse quel giorno mentre, guardando Sasuke martoriare una povera
pianta con
le sue tecniche di fuoco, tentava di trovare le parole giuste da dire
al suo
allievo per farlo uscire da quella nicchia di dolore solitario in cui
si era
rinchiuso.
-
Cosa ti ha fatto di male quella povera pianta, Sasuke? Di questo passo
ridurrai
l’intera foresta ad un mucchietto di cenere! –
tentò di scherzare, bonario.
Sasuke
gli rivolse un’occhiata neutra e poi riprese da dove si era
interrotto.
Kakashi
sospirò e si preparò ad affrontare il discorso.
-
Sasuke, hai fatto abbastanza, per adesso. Fai una pausa. –
finse di
concedergli, ma il moro mugugnò un
“non
ancora” e proseguì, imperterrito. Ma per Kakashi
era quello il momento, indi
per cui lo afferrò per un braccio e lo costrinse a fermarsi.
-
Ammazzarsi di lavoro non lo riporterà in vita, Sasuke.
– constatò diretto.
Il
moro lo fissò con astio, quasi l’avesse offeso.
- Di che sta parlando? – fece, fintamente ingenuo
– Mi sto comportando come al
solito, il dobe non centra. – puntualizzò, punto
sul vivo. Kakashi fece una
smorfia ed un gesto vago con la mano.
-
Non prendermi in giro. – lo rimproverò –
Sappiamo entrambi che stai soffrendo
per la morte di Naruto e che sfoghi il dolore fra allenamenti e
missioni. -.
Un
lampo di dolore attraversò gli occhi del più
giovane, che voltò il capo,
stizzito.
-
Ragazzo, è del tutto normale soffrire per la perdita di
qualcuno che ci è caro.
Naruto era un tuo compagno, ed il tuo migliore amico, non è
necessario che
ostenti indifferenza quando il tuo animo affoga nel dolore.
È inutile e
deleterio. – disse, con tono pacato e una mano appoggiata
sulla sua spalla.
Sasuke
abbassò lo sguardo. Rimase qualche istante in silenzio,
dopodiché, trasse un
profondo sospiro.
-
Vorrei rimanere solo. – annunciò a voce bassa. Il
maestro annuì e fece per
allontanarsi, ma prima di abbandonare del tutto quel luogo, Kakashi fu
sicuro
di aver intravisto un bagliore argentato brillare al riflesso con il
sole,
sulla guancia del suo allievo.
Sangue.
C’era
tanto sangue, tutt’intorno a lui. Ne aveva persino sulle mani
e sui vestiti, e
non capiva da dove venisse.
Strofinò
fra loro le mani, nel tentativo di levarlo, ma il rosso sui suoi palmi
e sulle
dita sembrava aumentare sempre di più, anziché
sparire. Cominciò a sfregare con
sempre più foga e disperazione, e fu allora che si
svegliò urlando.
Inspirò
ed espirò più volte, nel tentativo di
regolarizzare il respiro accelerato. La
fronte era madida di sudore e aveva gli occhi sgranati e sconvolti.
Persino le
lenzuola del suo letto erano umide.
Si
passò una mano sul viso, cercando di riprendersi; era una
settimana, ormai, che
faceva sempre lo stesso maledetto incubo, tutte le notti.
C’era
tutto quel rosso, tutto quel sangue. Gli sembrava che nella sua vita
non vi
fosse altro colore che quello, a perseguitarlo.
Si
alzò e si rivestì in fretta, deciso a non
addormentarsi più. Afferrò il
giubbetto da jonin ed uscì; magari una passeggiata notturna
gli avrebbe
schiarito le idee.
A
passo lento, attraversò tutto il villaggio e
così, quasi inconsciamente, si
ritrovò davanti alla tomba di Naruto.
Con
una certa sorpresa, notò la sagoma di Sasuke, ritta in piedi
davanti alla
lapide.
Sembrava,
dall’intensità con cui fissava la lapide, quasi
che volesse perforarla con il
solo sguardo. Comprese poi, dalla leggere ruga d’espressione
e la fronte
impercettibilmente aggrottata, che doveva solamente essere
particolarmente
turbato.
Si
avvicinò silenziosamente, per non disturbarlo, anche se
sapeva sarebbe stato
inutile. Infatti, quando gli fu pressoché a fianco, senza
nemmeno voltarsi, il
moro esordì dicendo:
-
Questa notte l’ho sognato. Non è la prima volta, -
gli confidò, e non fu
necessario chiarire a chi si stesse riferendo. Però era
strano: non era il tipo
da aprirsi così… Probabilmente la questione lo
turbava parecchio.
-
È una settimana che mi capita. Se ne sta lì,
davanti a me, completamente
ricoperto di sangue e mi chiede continuamente di aiutarlo. So che non
si
riferisce al fatto di salvargli la vita…è
qualcos’altro, ma quando è sul punto
di rivelarmi di che si tratta, mi sveglio. -.
Kakashi
non seppe che dire, erano più o meno nella stessa
situazione: entrambi facevano
sogni rosso sangue quindi, semplicemente, tacque.
-
Probabilmente è dovuto solo al dolore della perdita
– constatò, razionale, dopo
un po’.
Sasuke
si limita ad un breve e lento cenno di assenso con il capo, pensoso.
Vi
fu qualche altro minuto di silenzio, poi il maestro riprese la parola.
- Come sta Sakura? – chiese, pacato. Sasuke fece
spallucce: non la vedeva dal
giorno del funerale.
-
Mh, capisco…-. Entrambi non erano uomini loquaci.
Solitamente era Naruto a
controbilanciare il loro mutismo con il suo entusiasmo e la sua
parlantina.
-
Beh?! Siete proprio due musoni! Ah! Si vede che manco io! -. Ecco
appunto,
avrebbe detto proprio qualcosa del gen…ehi!
Cosa diavolo…?!
Entrambi,
al suono di quella voce, si voltarono velocemente, e quando ebbero
inquadrato
di chi si trattasse, non poterono fare a meno di ritrarsi, shockati.
- Salve, Kakashi-sensei! Sas’ke! È un
pezzo che non ci si vede! -. Il più grande
spalancò l’unico occhio visibile, atterrito, e lo
puntò fisso sull’uomo davanti
a sé. Questi
sorrideva impacciato, con
una mano poggiata dietro la nuca.
-
Naruto, tu…com’è possibile?! Tu
dovresti essere…-
-
Morto? Sì, lo so. -. Ci fu qualche istante di silenzio, in
cui Kakashi continuò
a spostare lo sguardo dal biondo alla lapide, sempre, più
pallido e
sconcertato. Sasuke, semplicemente, fissava il biondo con gli occhi
lievemente
sgranati.
-
Non puoi essere Naruto! – sbottò d’un
tratto, con aria seria e vagamente
irritata – Credi davvero di poterci prenderci in giro?! Se
questo è uno
scherzo, è di cattivo gusto!
Dimmi chi
sei, prima che ti faccia pentire di esserti preso gioco di noi! -. Nel
mentre,
portò cautamente una mano al kunai all’interno del
suo marsupio e Kakashi fece
altrettanto.
-
Oh! Oh! Calma, sono io, Sas’ke! Non mi riconosci? Ammetto che
è un po’ strano,
ma sono io, Naruto! -. Il moro emise una specie di ringhio e strinse
ancor di
più la presa sull’arma; era evidente che non gli
credeva.
Il
sensei si fece avanti ed pose cautamente un braccio davanti
all’Uchiha.
-
Calma, Sasuke, - lo riprese, poi si volse verso il biondo –
se sei davvero tu,
Naruto, mi spieghi come fai ad essere qui? -. Anche se il suo tono era
controllato, una nota d’ansia tradì lievemente la
sua ostentata sicurezza.
Quello
scosse il capo in risposta e scrollò le spalle.
-
Non ne ho idea! – ribatté, con aria sinceramente
confusa – Insomma, io
ero…ehm…morto! Non so come faccio ad essere qui!
L’unica cosa che so, e che non
posso andarmene. Mi sento…come dire…come se mi
mancasse qualcosa…-.
-
Spiegati meglio. – lo incitò l’altro.
-
Sì, ecco…è come se mi fossi
dimenticato qualcosa, qualcosa di molto importante
e non potessi andarmene se prima non la ottengo! Solo che non ricordo
cosa! – rispose
angosciato.
-
Fammi capire: non puoi “riposare in pace”
perché c’è qualcosa nel nostro mondo
che ti tiene legato ad esso e non potrai andartene fin quando non
l’avrai
capito e non te lo sarai procurato? -. Naruto annuì
vigorosamente.
-
Solo tu potresti essere così idiota, perciò non
puoi essere altri che Naruto. –
sospirò Sasuke, e finalmente convinto, lasciò
andare la presa sul kunai. Anche
Kakashi si ritrovò a concordare con le sue parole, indi si
rilassò.
Era
evidente che entrambi, specialmente Sasuke, erano molto turbati da
quello
strano avvenimento, però, al contempo, molto felici di poter
rivedere il
compagno.
-
Ehi, teme! Non ti permettere di insultarmi! –
gridò Naruto. Ed anche lui, dalla
luce che illuminava il suo sguardo, lo sembrava.
-
Tsk! Mi permetto eccome, usuratonkachi! -. E siccome entrambi non erano
soliti
dimostrarsi affetto a vicenda con parole o gesti gentili, lo
dimostrarono nel
loro solito modo: litigando.
Continuarono
così per qualche minuto, ormai però,
l’alba stava sorgendo e i tenui raggi
mattutini cominciarono ad illuminare il paesaggio
tutt’intorno a loro. Fu a
quel punto, nel momento in cui entrambi sembrano aver quasi accettato
la cosa e
Naruto stava per dir loro cosa supponeva, gli mancasse, che scomparve.
Proprio
come nei sogni di entrambi.
Salve,
gente! Come state? Sì, è parecchio tempo che sono
sparita dalle scene di EFP. Chiedo
venia a tutti coloro che stanno seguendo le mie storie e vi avviso che
sto
cercando di porre rimedio alla mia mancanza pubblicando nuove storie (
in
giacenza nel mio computer da tipo due anni…) e aggiornando
le vecchie,
possibilmente per concluderle. Spero mi seguirete con lo stesso calore
dimostrato in precedenza o che siate pronti, nel caso in cui non
abbiate mai
letto nulla di mio, ad accogliermi in un angolino dei vostri interessi
legati
alle storie di EFP. Saluti,
Izayoi007