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Autore: Natalja_Aljona    03/05/2011    2 recensioni
Ettore Troiano, italo-greco di diciassette anni, con una devastante passione per la filosofia, inguaribile anticonformista, ritardatario patologico.
Caterina Asburgo, tredicenne fiorentina, è conosciuta a Messina come la nipote del Lupo, il più famoso brigante ed eroe della bella città siciliana.
Sogna di diventare una grecista, o, in alternativa, di spacciare mentine a Copenaghen. E, come dimenticare, ha un caimano immaginario.
E' capace di fare ottantadue frasi di analisi logica in spiaggia, al posto delle parole crociate, come lo è di offrire un gelato ad Ettore con i soldi che suo nonno, il Lupo, ha appena rubato al ragazzo.
Così comincia la nostra -loro?- storia, in bilico tra le bizzarrie di Ettore e Caterina e l'impietoso Mondo Materiale.
-Diomede Ettore Troiano. Ho diciassette anni, ma fai come se ne avessi sedici-
Siamo di fronte alla frase standard di Ettore Troiano. A lui non piaceva presentarsi come persona potenzialmente nella norma. Eh no, troppo banale [...]
Se mi conoscessi. Caterina non sapeva spiegarsi esattamente il perché, ma quel congiuntivo imperfetto le aveva fatto sentire come un pizzico all'altezza del cuore.
Improvvisamente provò il desiderio di conoscerlo, Diomede Ettore Troiano. Di conoscerlo davvero.
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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DanklonLiving in the Material World


Dedico questa storia alla Sicilia e a Messina, bellissima città di mio padre

Perché io, seppure nata e cresciuta al Nord,

Sono orgogliosissima di essere per metà siciliana

E perché tutti quelli che chiamano i meridionali “terroni”,

Dovrebbero vedere il mare di Messina

Dedico questa storia alla a tutti coloro che, almeno per un minuto,

Hanno trovato il modo di evadere dal Mondo Materiale



Uno

Dove l'aspirante filosofo incontra la ragazza dell'analisi logica


People say I'm crazy doing what I'm doing

Well they give me all kinds of warnings to save me from ruin

When I say that I'm ok they look at me kind of strange


La gente dice che sono matto a fare quello che faccio

Mi danno ogni tipo di suggerimento per salvarmi dalla rovina

Quando dico che sto bene, loro mi guardano in modo strano

(Watching The Wheels, John Lennon)


-Qui, o si fa l'Italia o si muore!-

Ettore Troiano -quando si dice fatalità- sospirò d'esasperazione.

-Qui, o si fa il bagno o si va a letto senza cena- precisò, incrociando le braccia al petto.

Agitò in direzione del fratello la paperella su cui era stato scritto a caratteri cubitali, con un pennarello: “soldato borbonico”.

-Giuseppino, non mi far disperare!-

Giuseppe guardò scetticamente il fratello maggiore.

-Papà dov'è?-

Sakis Troiano, italo - greco di trentasei anni, era, prima ancora che il padre dei due fratelli, un affermato pittore.

Affermato perché la moglie gli aveva rotto un cavalletto in testa, o perché era conosciuto giusto nel tratto da Messina a Casa Bianca e, se vogliamo essere generosi, da Via Santa Cecilia al Porto.

-E'andato a dipingere la spiaggia di Casa Bianca-

-Casa Bianca, dove abita il Lupo?-

-Penso di sì... Ma tu come sai queste cose?-

-Me l'ha detto Leen-

-Oh, Voltaire. Benedetta ragazza!-

Giuseppe inarcò un sopracciglio.

-Chi è questo Voltaire?-

Ettore alzò gli occhi sognanti dalla paperella, con un sorriso.

-Uno mitico quasi quanto il tuo Garibaldi-

Dopotutto, poteva dirsi soddisfatto di tale definizione.

Con il quasi non avrebbe contrariato Giuseppe, il quale era profondamente convinto dell'insuperabilità del suo eroico omonimo ottocentesco, ma nemmeno svalutato il suo maestro di vita.

-Sicuro?-

-Scherzi? E' stato il Garibaldi della filosofia, Jean-Marie! L'Illuminismo è stato la sua Calatafimi. Fidati, fratello. Un giorno capirai-

-Non mi interessa la filosofia! Io voglio vedere il Lupo!-

Giuseppe Troiano, dall'alto dei suoi sette anni e dei suoi capelli quasi più spettinati di quelli del fratello, talvolta era un'autentica palla al piede.

Negli ultimi tempi, però, poté constatare Ettore, ci stava davvero prendendo l'abitudine.

Colpa dell'assenza della madre, Natalia Immacolata Giacobello, camionista sempre in viaggio che tendeva a preferire la Settimana Enigmistica alla palla al piede e all'aspirante filosofo.

Aspirante filosofo, già.

Ettorino -giusto perché chiamarlo Ettore fa troppo conformista- già vedeva il suo nome accanto a quello del sopracitato Jean-Marie, che a scanso di equivoci è Jean-Marie Arouet, in arte Voltaire.

Ettore ci aveva messo una vita a spiegarlo ai suoi, ma Jean-Marie e Voltaire sono, pardon, erano la stessa persona.

Come Vladimir Il'ič Ul'janov e Lenin o Richard Starkey e Ringo Starr, ma non confondiamoci le idee, che Ettorino le ha già belle confuse di suo.

Sarà stato a causa del suo sangue greco o della massiccia copia dell'Iliade con testo originale a fronte che il nostro uomo teneva sul comodino – di cui leggeva solo il testo originale a fronte, naturalmente – ma la cultura -e in special modo la cultura greca- era nel suo DNA.

Non per niente la prima parola di Ettore era stata, a dar retta alle leggende, Eureka.

Ettore Troiano, alt, Diomede Ettore Troiano -perché, se vogliamo rovinargli la reputazione, tanto vale farlo bene- non era affatto un ragazzo sensibile.

Si era fatto un bel pianto liberatorio ad otto anni, quando aveva scoperto la morte di Socrate per assunzione di cicuta, ma poi aveva messo su un autentico carattere da Spartano e tutto era finito lì.

Dopo la filosofia, la sua più grande passione era la chitarra.

La Fender Telecaster bianca che sognava e che vedeva tutti i giorni al ritorno da scuola, esposta in vetrina.

Scordatela, Ettore.

Questa era stata la risposta più elaborata che era riuscito a ottenere dai suoi, a esclusione dei numerosi grugniti.

Così, aveva cominciato a risparmiare.

Le sigarette e le mentine, d'altronde, le scroccava sempre al suo amico Vincenzo, che la Fender Telecaster ce l'aveva già, anche se nera e -piccolo dettaglio- mezza scassata.

Era bello, Ettore Troiano, nonostante il nome.

Bello, e anche tanto, con i suoi capelli nerissimi e incredibilmente spettinati, la pelle scura e gli occhi neri neri che scintillavano come lame di opliti spartani.

Alto? Beh. Un metruccio e sessantasei scarso -diciamo pure un metro e sessantaquattro mascherato dalla suola degli stivali-, ma, parola mia, compensava tutto con l'intelligenza.

I suoi amici di un metro e ottanta gli ridevano dietro senza pudore, soprattutto quando, prima di una lezione di educazione fisica, toglieva i fedeli stivali neri -che, detto fra noi, gli davano un'aria da vero pirata-. In quelle occasioni i due centimetri della suola se li scordava, e nemmeno se indossava le scarpe da ginnastica in un battito di ciglia riusciva ad evitare il triste appellativo di nano da giardino.

Il lato positivo? Che compensava la discutibile altezza con l'intelligenza, come dicevamo prima.

Lui non era un assassino della grammatica.

Per carità. Era facile che saltasse al collo -letteralmente, eh- dei suoi compagni di classe che sbagliavano i congiuntivi -non per niente nella sua classe studiavano tutti, almeno dopo la sua prima crisi isterica- così come era probabile che, se per una sfortunatissima congiunzione astrale gli fosse capitato di sbagliarne uno lui -un congiuntivo, un condizionale, ma pure un gerundio- si sarebbe buttato nell'Etna senza esitazione.

Era strano, Ettore Troiano, strano quanto bello, di una stranezza tutta sua, che impediva qualsiasi genere di paragone.

Era con buone probabilità il ragazzo più miope dell'intero Sud - Italia, ma era solito sbriciolare i suoi odiati occhiali da vista sotto gli stivali appena uscito di casa, o al massimo sui gradini del Liceo Classico Francesco Maurolico.

In genere pagava i suoi amici per saltarci sopra, ma, poiché amava avere l'ultima parola, il colpo di grazia lo dava sempre lui.

Era un ritardatario patologico, per di più con la pessima abitudine di peggiorare il danno rivolgendo al professore di turno un'autentica perla di filosofia, che di sicuro onorava la memoria dei suoi illustri antenati greci, ma faceva un po' meno felice il vicepreside, che si ritrovava ogni mattina per le mani un diciassettenne a cui probabilmente gli ormoni erano andati un pochino di traverso, poiché invece di cantilenare l'ultimo calendario di questa o quella intraprendente fanciulla, cercava sempre, sempre, sempre di spiegargli la Questione Tucididea. Fino all'esasperazione.

Una mattina, con la sua domanda preferita -“Secondo lei erano più efficaci le strategie militari di Lisandro o quelle di Alcibiade?”- , gli aveva fatto andare abbondantemente di traverso un cappuccino, al punto che il pover'uomo aveva tentato di chiudere il ragazzo nel balconcino della presidenza.

Com'era andata a finire? Il picciotto era stato salvato al volo dal professore di matematica, il quale sembrava avere una grande urgenza di interrogare Ettore, possibilmente senza che quest'ultimo cercasse di trasformare le equazioni in metafore o sillogismi.

Per l'interrogazione era stato in seguito reclutato anche il calabrese -di Gioia Tauro- Vincenzo Caputo, il cosiddetto -da Ettore, perlomeno- metro e settantanove da strapazzo, nonché fraterno compagno di sigarette e versioni di greco del nostro aspirante filosofo.

Erano tornati al banco con un sei alquanto stiracchiato, un Vincenzo con la testa quasi completamente nascosta -per l'esasperazione- nel libro di algebra e un Ettore che discuteva animatamente sull'aggraziata forma del numero sei, motivo per cui era più che felice di averne un esemplare sul suo diario – che, piccola precisazione, sembrava il bisnipote dell'Iliade, per le numerosi citazioni come per il linguaggio aulico che puntualmente Ettore usava per scrivere i compiti.

Per finire, il nostro eroe era arciattaccato alle gonne di Anita Garibaldi -ma, più che il nome, la cosa davvero sorprendente che si poteva dire su di lei era la sua probabile discendenza dai Reali di Borbone-, la santa ragazza che ogni anno condivideva con lui il rimando in matematica.

Caputo no, lui era bravino.

Oltre a loro -Caputo, Troiano e Garibaldi- di degno di nota, nella III B del Francesco Maurolico, oltre a Francesco Maurolico in persona -alle coincidenze non c'è mai limite- uno sfortunato omonimo che cercava di far sparire il registro ogni volta che poteva, c'era Eileen Ficarra, un' anglo-siciliana che, in quanto sorella adottiva di Natalia Giacobello, pareva essere nientemeno che la zia di Ettore.

Era proprio lei, Leen, la benedetta ragazza che sconvolgeva l'infanzia del piccolo Giuseppe Troiano, con le sue storie studiate al dettaglio sul temuto brigante di Casa Bianca Lupo Capuleti.

Una promettente scrittrice, senza ombra di dubbio, che minacciava di seguire Ettorino -era stata lei, infatti, la prima a chiamarlo così- anche all'Università.

Era proprio lui, Lupo, il più grande idolo di Giuseppe dopo Garibaldi, colui che avrebbe mandato a farsi benedire il bagno del piccolo Troiano e il sospirato pomeriggio filosofico del nostro eroe.

Colto da un'improvvisa folgorazione, quod erat demonstrandum, Ettore stritolò la paperella borbonica tra le mani.

-Giuseppino! Tu vuoi vedere il Lupo?-

Il piccolo Troiano annuì con convinzione.

Ettore esultò mentalmente, ringraziando uno a uno tutti i filosofi che conosceva - sé stesso compreso.

-E allora lavati bene, che dopo andiamo a trovarlo-

-Non ci credo-

-Piccolo disgraziato...-

Giuseppe spalancò gli occhi.

-Ettore! Lo dico alla mamma!-

-Lei te ne dice anche di peggio. Ad ogni modo, te lo dico a titolo informativo, pensavo che avremmo potuto andarci con la bicicletta di Leen-

Sebbene la bicicletta di Eileen, Criseide -la passione per la Grecia era una sorta di virus di famiglia-, fosse il sogno proibito di tutti i ragazzi di Via Santa Cecilia, Giuseppe non si scompose.

-Non te la lascia-

A tali parole, Ettore sfoderò un sorriso da autentico pirata.

-Ma noi mica glielo diciamo-

Giuseppe drizzò le orecchie.

Nel ventunesimo secolo, una bicicletta poteva non sembrare il massimo, ma, credetemi, la bicicletta di Eileen era tutta un'altra storia.

Oltre al fatto di essere dipinta di un bellissimo azzurro cielo lucido lucido e quasi morbido al tatto -ma doveva essere l'emozione con cui tutti la toccavano-, Criseide era un meraviglioso esemplare di bicicletta degli anni Cinquanta, con la non trascurabile fama di essere stata usata in una rapina del Lupo.

-Dici sul serio?- mormorò, scrutando il fratello con sospetto.

Ettore aveva diciassette anni e, Giuseppe l'aveva imparato subito, dei ragazzi grandi e non garibaldini non c'era mai da fidarsi.

-Te lo giuro su Omero-

Giuseppe riflettè sull'eventualità.

-In tal caso...-

-La accendiamo?- gli sussurrò all'orecchio il maggiore dei Troiano, incrociando le dita nelle tasche dei pantaloni.

-No. Prima andiamo a trovare il Lupo, poi, magari, faccio il bagno-

Il magari del piccolo gelò le speranze di Ettore in un battito di ciglia.

-Mascalzone d'un picciriddo irriverente! Se ti pesco...-

Giuseppe corse a nascondersi sotto il lavandino.

-Frena le ire, fratello, che Achille è passato di moda. Indossa il fazzoletto rosso e abbi la compiacenza di seguirmi oltre la porta di codesto...bagno- la frase d'effetto era andata lievemente a farsi benedire, ma il bambino non ci fece caso.

Ettore studiò gli occhietti grigi e inquietantemente luccicanti del piccolo.

Aveva sette anni, diamine!

-Che farnetichi, Giuseppino?-

Quest'ultimo scrollò le spalle.

-Parlo come te-

Ettore gli lanciò uno sguardo di sfida, appoggiandosi le mani sui fianchi.

-In tal caso sappi che Achille non passa di moda e che, naturalmente, le ire le frenerò soltanto dopo averti decapitato-

-Con il rasoio di papà?- provò a domandare Giuseppe, guardando con apprensione il minaccioso strumento stretto tra le mani di Ettore, ma il fratello non gli fece nemmeno finire la frase.

-Il fazzoletto rosso, poi, lo metti solo tu. Sei un vile mentitore e non ti perdono, ma a Casa Bianca ci dobbiamo andare lo stesso. Devo avvertire papà dell'incidente-

-Hai chiuso Aiace in frigorifero come l'ultima volta?-

Ettore lanciò uno sguardo apprensivo al gatto, Aiace Telamonio -un Turco Van di otto chili acciambellato sulla lavatrice-, lo ricordò smarrito e miagolante tra le caciotte della Valtellina, dopodiché scosse la testa.

-Ho solo bruciato la pasta- rispose evasivo -Un pochino...-

-Sei peggio della mamma- lo rimproverò il piccolo, annodandosi con fierezza al collo un fazzoletto di un bel rosso carminio.

-Fila fuori, furfante-

E con queste parole, all'alba del 17 Luglio 2010, Ettore Troiano strinse la mano al boia dei suoi giorni futuri.


Una volta usciti di casa, Ettore fece segno a Giuseppe di non fare rumore, dopodiché sgattaiolò rasente al muro del suo condominio, fino a raggiungere la villetta a schiera di Eileen Ficarra, appena dietro la stazione.

Il cancello era, come sempre, aperto.

In un baleno Ettore piombò sulla lucida bicicletta azzurra della zia e, dopo averla slegata grazie alla chiave alla chiave di cui aveva fatto una copia durante la notte, vi salò in sella e partì alla volta di Casa Bianca, con il fratello che lo rincorreva urlando.

-Ettore! Sei diventato matto?!-

-No, bricconcello!- gridò Ettore, sfrecciando per le strade di Messina felice di sentire lo Scirocco scompigliargli i capelli.

-Te la fai a piedi!-

Furente per l'imbroglio, Giuseppe scattò verso di lui, fino a che, grazie ad un provvidenziale semaforo, riuscì a raggiungerlo e a saltare sul portapacchi.

-Traditore, traditore, traditore!- gridò, riempiendo di pugni la schiena di Ettore.

-Zitto, peste!- lo mise a tacere quest'ultimo, gridando per sovrastare i rumori della strada e, inevitabilmente, facendo arrabbiare ancora di più il giovane garibaldino.

Ad un tratto cominciò a canticchiare Penny Lane dei Beatles e poco dopo anche Giuseppe, più rilassato, si unì a lui.

Ogni tanto qualche passante si voltava a guardare I fratelli Troiano che cantavano spensierati in prossimità del Porto, ma pian piano che uscivano dalla città la folla si sfoltiva.

Poi la bicicletta azzurra incontrò una curva particolarmente insidiosa, frenò rumorosamente a un metro dalla spiaggia, ed ecco finalmente il mare.

C'era sempre una sorta di atmosfera magica, a Casa Bianca.

Poteva essere l'aria che si respirava, limpida, quasi, in una tremante, quasi dipinta sinestesia, o forse le avventurose leggende sul Lupo, il brigante più famoso di Messina, che aveva scelto come residenza una villa a pochi chilometri dalla spiaggia di Casa Bianca, ma ogni volta che mettevano piede in quel luogo, Ettore e Giuseppe venivano inebriati da un'indescrivibile, straordinaria magia.


-Andiamo a cercare papà?-

Giuseppe annuì, annusando la salsedine che gli pizzicava le narici, con un sorriso che gli era appena spuntato come un fungo prugnolo – e che, detto fra noi, era abbastanza raro suscitare nel piccolo Troiano.

Poi, una voce.

Poi, quella voce.

-Papà può aspettare, non credete?-

Giuseppe indietreggiò.

-Ettore...che succede?-

Avrebbero dovuto aspettarselo.

-Il tuo grande mito, peste. Perché non gli chiedi un autografo?- furono le ultime parole di Ettore.

Nei minuti che seguirono, una pistola puntata sulla tempia e una mano callosa che gli strappava il marsupio gli fecero passare la voglia di fare del sarcasmo.

Il Lupo era arrivato.


Il suo portafoglio nelle sue mani.

La sua allegria morta nel suo sorriso.

L'umiliazione bruciante nella sua risata.

La certezza che non sarebbe mai dovuto uscire di casa, quel pomeriggio.


Per Giuseppino no, per lui era un gioco.

Consegnava le sue poche monetine al Lupo ridendo, implorandolo perché gli raccontasse una delle sue storie.

Il Lupo era l'Eroe di Messina, per i bambini, altro che brigante.

Lui non aveva una Fender Telecaster da comprare.


Su una sdraio poco lontano, una ragazzina ad occhio più giovane e -gli doleva ammetterlo- più alta di lui scriveva scrupolosamente su un quaderno ad anelli quasi più grande di lei.

La nipote del Lupo.

A Messina giravano voci del suo arrivo alla villa del nonno, parente di cui la ragazza sembrava andare particolarmente fiera.

Si diceva che fosse bella, la nipote del Lupo, bella quanto toscana.

Lunghi, lunghissimi capelli biondo-rossicci e due impertinenti occhi di un grigio-blu che a Ettore ricordava il mare d'inverno.

Bella, giovane e alta.

Lei era bella, giovane, alta e menefreghista, stava seduta su una sdraio mentre lui era in piedi, indifferente mentre suo nonno gli aveva appena sequestrato -giusto perché dire “rubato” era poco elegante- la paghetta del mese. La Fender Telecaster bianca dei suoi sogni si allontanava a vista d'occhio.

Così su due piedi, solo per queste caratteristiche, Ettore avrebbe voluto spaccarle la faccia.

Non che fosse un ragazzo violento, lui.

Era una questione di autostima. Era il desiderio di mantenerne qualche grammo almeno fino al diploma.


La ragazza si mosse, scuotendo la folta chioma bionda che immediatamente catturò ogni bagliore solare presente.

Ettore la guardava strizzando gli occhi per la troppa luce -in piena Estate la Sicilia era tutta raggi dorati e mare cristallino-, con la strana, curiosa sensazione di essere diventato ancora più miope di prima.

-Complemento oggetto, complemento di specificazione, soggetto sottinteso e apposizione del soggetto, predicato nominale, costituito da copula e parte nominale...-

Ettore era ancora in piedi, come un tordo appena investito dal camion della Galbani, a guardare la nipote del Lupo e a pensare se qualche precedente penale come annegamento di ragazza/monumento dell'indifferenza avesse potuto compromettere la sua futura carriera di filosofo.

Prendila con filosofia, avrebbe scherzato Vincenzo, come faceva tutte le volte in cui, per un motivo o per l'altro, Ettore non poteva prenderla con filosofia.

In quel momento tutta la sua filosofia si era brutalmente trasformata in bile, la sola vista di quella sirenetta di Copenaghen versione nipote del Lupo gli faceva saltare i nervi come anguille e buonanotte ai suonatori.

-Sei bellissimo...-

Ettore sobbalzò.

-Davvero?-

La ragazza si voltò, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso.

-Analisi logica, ottantaduesima frase. Quello era un predicato nominale-

-Compiti delle vacanze?- fu la prima domanda cretina che a Ettore venne in mente, chiaramente dopo aver scartato quella sulle strategie militari del 404 a.C.

-Ma va. Passo il tempo, sai com'è. Personalmente adoro la grammatica, ma con l'analisi logica ho un rapporto tutto particolare. Meraviglioso-

Ettore annuì meccanicamente, probabilmente senza accorgersi che, sfilatasi definitivamente gli occhiali da sole, la ragazza aveva cominciato a studiarlo con crescente interesse.

-Nemmeno tu sei male, eh! Un po' bassetto, forse-

Grazie.

-Grazie- rispose infatti il bassetto niente male, dopo aver digrignato i denti e salutato l'autostima che si era appena tuffata per raggiungere a nuoto la spiaggia di Patrasso.

-Figurati. Anzi, fatti vedere- gli indicò la sdraio chiusa di fianco alla sua -Te la apri tu, sei un uomo-

Una volta che Ettore si fu sistemato accanto a lei, si sporse a pizzicargli una guancia, scompigliargli i capelli, guardarlo da tutte le angolature, per poi concludere infilandogli un dito in un occhio.

-Carino- commentò infine, annuendo compiaciuta -Gruppo sanguigno?-

-AB positivo-

-Egoista. Data di nascita?-

-25 Febbraio 1993-

-Bei numeri. Luogo?-

-Itaca-

-Forte! Com'è laggiù?-

-Molto...azzurro. Bello-

-Capisco. Il codice fiscale non te lo chiedo, me lo dirai un altro giorno, o al massimo mi mandi una mail. Nome?-

-Diomede Ettore Troiano. Ho diciassette anni, ma fai come se ne avessi sedici-

Siamo di fronte alla frase standard di Ettore Troiano. A lui non piaceva presentarsi come persona potenzialmente nella norma. Eh no, troppo banale.

Lui era il grande Ettore Troiano, figlio di Priamo Sakis Troiano e Natalia Giacobello, promettente filosofo del ventunesimo secolo, illuminista e anticonformista pluridichiarato.

Niente di cui preoccuparsi, insomma.

Anzi! Niente di cui preoccuparsi, esclusa la ragazzina che gli stava davanti.

-Briseide Caterina Asburgo. Tredici anni compiuti alle idi Marzo dell'anno corrente e quattro mesi scoccati esattamente l'altro ieri. Sono nata a Firenze, ma vivo sul Passo della Futa. Bello, sai? Ma non cambiamo argomento. Mi laureerò in Lettere Classiche a ventidue, massimo ventitré anni, perché non voglio perdere tempo. Carpe diem, hai presente?-

Ettore annuì con estrema serietà.

-Quam minimum credula postero. Orazio. Certo-

-Non mi interrompere, bello. Non mi interrompere- Caterina scoccò un'occhiata severa in direzione del messinese, per poi riprendere con foga il suo monologo.

-Non voglio perdere tempo, dicevamo. Infatti, è proprio per questo che mi laureerò ad Atene. Voglio dire, pensaci. Io voglio fare la grecista. Certo, so bene che i miti come Aristotele, Socrate e gli amici loro non resusciteranno per venire a insegnare in facoltà, anche se la sottoscritta lo meriterebbe. E' comunque Atene, bello mio. Se non divento grecista lì, vado a spacciare mentine a Copenaghen. Mi segui? No? Fattacci tuoi, mi registravi. Insomma, io divento grecista e rimango lì, ad Atene e dintorni, finché non sarò più ferrata di Piero Angela e potrò fondare l'Agorà di Caterina, giornale ad alto contenuto culturale con una sede all'Acropoli e una sull'Appennino toscano. Poi scriverò qualche bel saggio, che non fa mai male, e nel tempo libero mi dedicherò alla scrittura della mia serie di romanzi storici. Anche il mio gatto, Egeo, e il mio caimano immaginario, Apollodoro, prenderanno parte al mio successo. Sottinteso. Come ultima spiaggia c'è sempre il salvataggio di capitoni natalizi o il sopracitato spaccio di mentine. Domande?-

-Di cosa vivrai?-

-Di cultura e di mentine-

-E ti sposerai?-

-Con un greco che ne valga la pena-

Ettore sorrise, guardandola con sincera ammirazione.

-Può darsi che non sappia cosa dico, scegliendo te, una donna, per amico*-

-Non t'allargare, Troiano. Io non sono amica di nessuno, se non del gelato che sto per comprare e del libro che sto per leggere-

Ettore aggrottò la fronte.

-Ossia?-

-Tucidide-

-In tal caso è semplicemente imbarazzante chiamarlo libro. Capolavoro rende meglio l'idea-

-Vada per capolavoro, domator di cavalli-

-Cominci a piacermi, schiava di Achille-

All'udire tale epiteto, gli occhi di Caterina si spalancarono e, prima che Ettore se ne potesse rendere conto, l'intraprendente fiorentina gli sputò in un occhio.

-Non t'allargare, ho detto- borbottò tra i denti, stringendosi al petto La Guerra del Peloponneso.

Il ragazzo cercò con gli occhi il fratello, che però era sparito dietro gli scogli con Lupo, che aveva promesso di raccontargli qualche bella storia in cambio del portafogli di Ettore.

Il fatto che questo l'avesse specificato dopo, poi, non era che un dettaglio.

-Mica scema, la ragazza. Ha un caimano immaginario- commentò Ettorino, con quella nota di spacconeria che aveva indotto la sua ragazza, qualche mese prima, a spaccare -tanto per rimanere in argomento- un vaso Ming su quei suoi bellissimi capelli neri.

-Che tu dici, bischero? Vuoi uno stivale sui denti o era un complimento sotto mentite spoglie?-

Ettore finse di essere di fronte ad una domanda della Sfinge.

-La seconda-

Caterina abbozzò un sorriso.

Pensò che, dopotutto, avrebbe potuto anche offrirgli un gelato con i soldi che il Lupo gli aveva appena rubato.


People asking questions lost in confusion

Well I tell them there's no problem

Only solutions

Well, they shake their heads and they look at me as if I've lost my mind

I tell them there's no hurry...


La gente fa domande persa nella confusione

Io dico loro che non c'è nessun problema

Solo le soluzioni,

Loro scuotono la testa e mi guardano come se avessi perso la testa

Io dico loro che non c'è fretta...

(Watching The Wheels, John Lennon)




* Citazione da "Una donna per amico" di Lucio Battisti.

Note


Buonasera a tutti ;)

Sono appena tornata da un weekend in Toscana e, durante il viaggio di ritorno, ho deciso di fare questo esperimento.

Specifico subito che per quanto riguarda i riferimenti alla città di Messina e a Casa Bianca -frazione del comune di Messina in cui ho passato quasi tutte le estati della mia vita- non c'è assolutamente niente di inventato, poiché nella prima ci è vissuto per trent'anni mio padre -e ci vivono tuttora mia nonna e mio zio, proprio in Via Santa Cecilia-, frequentando proprio il Liceo Classico Francesco Maurolico, e anch'io, essendoci stata innumerevoli volte, conosco piuttosto bene la città.

Per riguarda il riferimento a Gioia Tauro -città di Vincenzo Caputo- era la città di mio nonno, che si chiamava anche lui Vincenzo. Questo personaggio, se non si fosse già capito, è dedicato a lui ;)

E la mia amata Grecia...beh, semplicemente non poteva mancare ;)

Per quanto riguarda il titolo: Danklon (italianizzato in Zancle, falce) era il nome greco di Messina quando era una colonia della Magna Grecia. Living in the Material World, invece, è una bellissima canzone di George Harrison -il chitarrista dei Beatles- , oltre che il nome dell'album omonimo (1973). Penso sia abbastanza rappresentativo, poiché sia Ettore che Caterina, come si vede già da questo capitolo, sono poco avvezzi al cosiddetto “Mondo Materiale”, con i loro sogni e le loro bizzarrie ;)

Entrambi sono due personaggi piuttosto particolari e, soprattutto, anticonformisti fino al midollo, e mi auguro che la loro storia, per quanto stravagante, vi possa piacere!

Questa storia, seppure nata da poco, è già diventata molto importante per me e qualche recensione mi farebbe davvero piacere ;)

A presto,

Marty







  
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