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Autore: Tury    04/05/2011    0 recensioni
Io non ho sorelle. Come ho già detto, sono l’unico erede.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un rumore di passi. Annunciano la sua presenza e io intimo il gentile informatore di lasciarci soli.

È davvero un onore essere al suo cospetto.

Chissà di quale onore parli. Mi alzo dal mio trono di carta e mi volto, per poter guardare il tuo volto mentre il mio è celato da una maschera. Guardo il tuo sorriso soddisfatto, perché finalmente sei giunto dove volevi. Perché finalmente hai conquistato la vetta. Ma a che prezzo? Qualcosa ti turba, è forse il mio silenzio? O i peccati della tua anima?

Sono pronto a giurarle fedeltà eterna.

Chissà di quale fedeltà parli. Inclino la testa, è un’abitudine che ho fin da piccola. Quante volte sarò stata punita per questo mio innocente moto, perché troppo scomposto. Troppo inusuale per la grande casata a cui appartenevo. Già, appartenevo.

Vuol forse pormi qualche domanda? Chieda qualsiasi cosa, sarà mio compito accontentarla.

Qualcosa da chiederti? Sì, ho tante domande da porti. Per esempio, perché non parlarmi della tua famiglia? Ti illumini, mentre inizi a parlarne, gonfiando il petto, andando fiero di quel nome che porti.

Provengo dalla nobile casata Aran, che ha da sempre combattuto per proteggere gli indifesi e aiutare i bisognosi. Ed io oggi sono qui, al suo cospetto, in veste di unico erede di questa famiglia.

Unico. Solo, come solitaria può essere una menzogna. La casata Aran, quanti l’hanno amata. Quanto, io, l’ho odiata. E tua sorella, cavaliere solitario, tua sorella dov’è? Il tuo viso perde il suo colorito. Cosa succede, nobile erede?

Io non ho sorelle. Come ho già detto, sono l’unico erede.

Non hai sorelle. Deve far male vivere da soli, senza qualcuno pronto ad ascoltarti o ad aiutarti. Ma dimmi, angelo della verità, fa più male l’essere abbandonati o l’essere rinnegati? Sussulti. Ho forse detto qualcosa di sbagliato, mio specchio veritiero?

Io non so di cosa lei parli.

E questa, forse, potrebbe essere l’unica verità di questa insulsa commedia i cui attori sono solo principianti. Perché è vero, la memoria può ingannare la mente, può sfuggirle e sparire. Ma come spiegare le tue reazioni, mio giovane servo? Che giustificazione troverai, questa volta?

Io non ho intenzione di servire un padrone di cui non conosco né nome né volto. Posso, dunque, in segno della sua fiducia nella mia persona, chiederle di abbassare quella maschera?

Chissà di quale fiducia parli. Forse di quella che già ti diedi? Vuoi che io la rinnovi? Un nuovo contratto, un nuovo viaggio negli Inferi? Esistono maschere, mio volatile puro, che sono cucite sui volti delle persone. Sono quelle più difficili da togliere, sono quelle che fanno sanguinare i visi che le indossano. Chiedo, dunque, in segno della tua fedeltà, che tu ti liberi della tua dolorosa maschera perché la mia non è altro che carta, come questo mondo, come questa conversazione. Carta, facilmente incendiabile. Carta, facilmente tramutabile in polvere. Come polvere è divenuto il mio nome.

Tu sai.

Io so. So di quelle urla, di quell’angelo caduto, dimenticato. Di quella creatura oscura, abbandonata negli Inferi, tramutata in demone. Conosco la diligenza della casata Aran, conosco la sua diligenza nel cercare di eliminare un passato troppo sporco. E intanto ancora urla, ancora sangue. Ancora dolore. E nessun fratello per quell’angelo caduto, per quell’angelo dimenticato. Nessun perdono. Nessuno.

Abbassa la maschera, mostrami il tuo volto. Chi sei tu, che tanto sai di mia sorella.

E dunque ti accontento, abbasso la mia maschera, mostro le mie cicatrici, segno della mia perpetua lotta. Stupore. Stupore per cosa?

Sorella…

Non so di chi tu parli. Io non appartengo di certo alla casata Aran, il cui unico erede sei tu. No, io non vi appartengo né mai ti ho visto, bianco angelo. Io sono figlia dei Black, loro unica, sola erede. Io sono un angelo nero. Io sono un angelo caduto. Io sono l’angelo dimenticato.
  
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