All Hope Is Gone
(I've been here too
long)
“A tireless stream of
indifference flows
through veins 'till the river runs dry
I no longer care, I have all but disposed
of dreams that I once held inside
Desire is gone after all of these years
the fight has been lost, I coincide
the apathy born a long time ago
has grown to what I can’t defeat
I've been here too long
I'm tired, longing for more
How long must I run
To find what I'm looking for
All hope is gone”
Il cielo nero
si apriva minaccioso sulle loro teste.
Non si sarebbe
mai aspettato che qualcosa così succedesse
di nuovo, che Arthur ed Alfred si sarebbero dichiarati guerra ancora,
che
Arthur potesse effettivamente anche solo sopportare, di essere in
guerra con il
suo Alfred, ancora.
Francis ricordava bene gli effetti devastanti che aveva
avuto la separazione della colonia su Inghilterra, se il suo regno si
era
ripreso, Arthur era rimasto irrimediabilmente scottato dalla vicenda,
ferito al
punto di non sembrare nemmeno più lui, sotto i cerchi neri
delle notti
insonni passate a
tracannare scotch per
mantenere la mente leggera.
E poi erano arrivati a quello, Francis era ancora stupito
da quanto il mondo fosse cambiato e quanto velocemente. Quella volta si
era
limitato a fare lo spettatore, aveva problemi decisamente
più importanti a cui
pensare, che immischiarsi nella guerra del suo vicino di casa e della
sua ex
colonia che proprio non ci stava ad abbassare la testa.
Accanto ad Alfred, il francese fissava il cielo nero così
come se fosse un nemico da abbattere, mentre le navi salpavano dal
porto, sotto
lo sguardo severo dell’americano, che rigidissimo per la
prima volta, fissava
il mare contrariato.
“L’Inghilterra governa le onde” disse
soltanto Alfred,
girandosi a scrutare il profilo del francese, che sorrise blando,
appoggiandosi
con un gomito alla finestra.
“Lo dici proprio a me, Mon Chere? Lo sento ripetere da
tutti i miei marinai…” sorrideva Francis mentre
scrutava il mare e pensava
alla battaglia che
stava per cominciare,
sempre più incerto del risultato finale. “Arthur
non sarebbe in grado di
ferirmi” continuò Alfred ed il francese
sentì l’irritazione salirgli nella
gola, mentre alzava le spalle senza rispondere.
Arthur non avrebbe mai fatto fisicamente del male ad
Alfred, non poteva esserne capace, Francis non ne capiva bene il
motivo, ma
immaginava che l’inglese rivedesse gli occhioni blu di un
bambino sperduto,
ogni volta che gli puntava la pistola contro. Francis ne era
mortalmente
geloso, ricordava ogni singola cicatrice che Arthur gli aveva inferto,
ogni
battaglia, ogni colpo basso, ogni atrocità che si erano
regalati a vicenda. Era
geloso di quel ragazzino, nonostante sapesse bene, che la natura de
rapporto
che avevano intrecciato entrambi con l’inglese, era troppo
diversa per essere
anche solo comparabile.
“Lo sai Alfred, lui è un po’ come una
fiera selvaggia…con
quegli occhi verdi che sembrano pronti a trapassarti”
cominciò Francis, mentre
si sedeva su di una misera poltrona, ed Alfred si spostò per
guardarlo negli
occhi, mentre parlava. “Oh, potrei raccontarti di quello in
cui si trasformava
se qualcuno provava a toccarti, a toccare uno qualsiasi di
voi…” sospirava il
francese mentre parlava. “E’ la creatura
più odiosa che Dio mi abbia messo
sulla strada, ma anche la più seducente, in un certo
senso” e sorrise
malizioso, mentre il ragazzino arrossiva e si innervosiva, stringendo i
pugni
sulle anche. “Si può sapere cosa vuoi
dire!” ed il suo tono spazientito gli
ricordo quello dell’inglese, dimostrazione ovvia
dell’influenza che aveva avuto
sull’americano. “Voglio dire che bisogna stare
attenti Alfred” disse alzandosi
dal divano, mettendoglisi di fronte con il solito sorrisino
superficiale, ma
con gli occhi carichi di una strana aspettativa. “Non si
può mai sapere quando
una belva ferita è pronta ad azzannarti al collo!”
sussurrò mellifluo, fissando
gli enormi occhi blu dell’americano, che scoppiò a
ridere. “Sì…immagino sia un
modo carino in cui voi vecchiacci vi rivedete, tanto io
vincerò, nessuno mi
farà del male, nemmeno Arthur!” e Francis
alzò di nuovo le spalle, ridacchiando
leggero, congedandosi appoggiando una rosa su di un vecchio piano
impolverato.
“Forse hai ragione Alfred, forse siamo davvero solo troppo
vecchi” ed Alfred
non rispose, per la prima volta stranito totalmente dalle parole di
Francis.
La nube nera di
fumo si alzava pesante nel cielo.
Washington
bruciava per mano inglese.
La guerra si era abbattuta come un fulmine su di loro,
Alfred aveva soltanto visto Arthur una volta, aveva visto gli occhi
spenti, mentre
fissava immobile le fiamme che divoravano la città.
Battaglie dopo battaglie stavano recuperando terreno,
dopo l’inizio disastroso e le sconfitte che avevano subito
dalla flotta del
nemico.
Per la prima volta Alfred aveva visto i corsari, mentre
agguantavano le navi inglesi e contro ogni legge le depredavano, in
nome della
sua bandiera. Lo spettacolo non gli era piaciuto, ma ancora meno
piacevolmente
aveva accolto l’immagine di Arthur sulla nave, pronto a
colpirlo ancora
mortalmente in una delle sue zone vitali, un attacco studiato e
calibrato come
se non ci fosse davvero lui, il bambino che aveva cresciuto,
dall’altra parte.
Alfred pensò di meritarselo, mentre scendeva dalla sua nave,
ed incontrava il
capitano Kirkland, a bordo di una delle prestigiose fregate della Royal
Navy
che tanto osannava.
Quando lo vide, capì che qualcosa in lui era cambiato
davvero, oppure capì di vederlo per la prima volta in quei
panni, con gli occhi
che lo fissavano incolori, l’espressione indifferente, la
divisa sporca e le
labbra serrate che non intendevano cominciare la discussione.
“Siamo qui per discutere dell’armistizio”
cominciò,
mentre l’inglese lo fissava ancora incolore.
“Credevo dovessimo parlarne in Belgio”
gli rispose subito, forse per levarselo di torno. “Sono
venuto per parlare con
te, mi sono liberato, adesso basta” ed Alfred non vide
più passare quella
scossa di dolore nei suoi lineamenti, quella scossa che
l’aveva sconvolto la
prima volta che aveva detto quella frase, c’era soltanto una
terribile statua
indifferente davanti a lui.
“Non sono io che ho voluto cominciare questo conflitto,
per quanto tu possa pensare il
contrario…io faccio solo gli interessi della mia
nazione” ed Alfred parve
abbassare gli occhi un istante, prima di rialzarli. “Avevi
detto che non eri in
grado di farmi del male” continuò teso, mentre
Arthur rimaneva immobile di
fronte a lui. “Infatti non credo di esserne in
grado” rispose di nuovo
l’inglese senza battere ciglio. “Hai bruciato
Washington, hai ucciso i miei
uomini senza mostrare pietà, così non mi fai del
male?” e l’inglese per la
prima volta gli rise in faccia, lasciandolo sbigottito. “Ma
cosa credevi Alfred,
che dopo quella prima guerra sarebbe stato tutto uguale? Che non saremo
mai
stati nemici? Tu sei un mio nemico Alfred” chiarì
immediatamente Arthur,
avvicinandosi all’americano come lui, sembrando di nuovo
forte e fiero come
sapeva di essere. “Ho cose più importanti che
stare a pensare a te qui, me se
fai qualcosa contro di me io risponderò, se la mia nazione
mi chiederà di farti
guerra, io la farò e lotterò per
vincere” lo guardava fisso negli occhi verdi e
non lo riconosceva, non riconosceva
il tono
dolce che usava quando era bambino, non riconosceva il tono che aveva
usato
disperato nella sconfitta. “Sei davvero così,
Arthur? Con me e Matt è tutta una
recita per fare il bravo genitore?” gli chiese ancora
l’americano colpito,
deciso soltanto a capire. L’inglese accusò il
colpo, fermandosi a riflettere,
prima di rispondere sospirando forte. “Io sono sempre stato
così Alfred, ho
conquistato, combattuto e fatto guerra dal giorno in cui sono nato,
questo è il
mio mondo, tu sei stato l’eccezione, tu eri la casa in cui
tornare in tempo di
pace, eri il rifugio da tutto questo, il porto sicuro…il mio
bambino da
proteggere” Alfred ascoltava in silenzio, mentre il peso di
quelle parole
cominciava a schiacciargli il petto. “Poi ti ho rovinato con
l’avidità, il
potere, il bisogno di conquista e tu te ne sei andato, adesso devi
essere come
tutti gli altri, devi essere una nazione come tante altre, quindi se
saremo
nemici, se sarai a portata di sparo, sparerò, se
potrò affondare la tua nave,
lo farò, se dovrò farti guerra, la
farò” Alfred guardava a terra, mentre Arthur
si avvicinava a lui alzandogli il mento, per incatenare il suo sguardo.
“Questo
è il mio mondo Alfred e questa credo sia l’ultima
cosa che posso insegnarti” lo
guardò negli occhi chiari che sembravano non voler lasciarlo
andare, prima che
l’inglese si voltasse, dandogli le spalle. “Ci
vediamo in Belgio, America”
Alfred rilasciò un sospirò mentre annuiva da
solo. “Lo sai Arthur, adesso
sembri di nuovo così grande…” disse
allora l’americano, sorridendo amaro mentre
l’altro si fermava. “Soltanto che non mi piaci lo
stesso, così come quando ti
ho visto cadere” ed Arthur sorrise piano, riprendendo a
camminare, mentre
l’americano si faceva scortare sul porto.
Tutta
l’Europa guardava Vienna, consapevole che la sorte
del continente fosse nelle mani di pochi rappresentanti. Francis si
sentiva
soddisfatto di essere rientrato nelle trattative, mentre il compito che
aspettava tutti loro sembrava più impervio e lungo che mai.
Arthur era
arrivato in ritardo quella mattina, si era
seduto al suo posto ed aveva ascoltato senza intervenire, sotto lo
sguardo
attento del suo superiore. Francis aveva trovato la cosa strana, ma era
rimasto
in silenzio, dopotutto lui faceva la parte del nobile spodestato e non
avrebbe
avuto senso per lui dire più di quello che già
aveva detto.
Alla fine della riunione, sentito il suo Boss, era
scappato a cercare la nazione sua vicina, desideroso di sapere di
più su una
vicenda che aveva tralasciato. Lo trovò nel salone da solo,
che leggeva qualcosa,
gustandosi il suo the inglese, lontano dai rumori e dal disturbo
altrui.
“Oh Mon Cherie, eccoti qui, ti ho cercato tanto!”
disse
aprendo le braccia ed avvicinandosi a lui, sedendosi con grazia al suo
fianco,
usurpando lo spazio dell’altro, che nervoso aveva alzato un
sopracciglio in
maniera contrita. “Potevi girare dall’altro lato
Stupid Frog, non sono in vena
del tuo gracidare oggi” lo liquidò immediatamente,
senza spostarsi quando la
mano di Francis gli cinse le spalle, rischiando quasi di fargli cadere
il The
da mano. “Come sempre amico mio, dimmi un po’ ho
saputo che la tua avventura
americana si è conclusa con un nulla di fatto!”
L’inglese lo guardò senza
interesse, prima di annuire. “Quando il tuo Napoleone
è caduto, non c’è stato
troppo interesse di parlare ed abbiamo concluso” Francis
annuì, storcendo il
viso in una smorfia poco compiaciuta. “Dì la
verità, non sei riuscito a
combattere contro il tuo fratellino…” aggiunse
incattivito, il tarlo della
gelosia a rodergli lo stomaco, Arthur lo vide, scrollando le spalle
mentre
appoggiava la tazzina sul tavolo. “Non lo saprai
mai” concluse guardandolo
negli occhi. “Oh Arthur lo fai apposta per far penare il mio
povero cuore
ingelosito…” e la mano del francese scese sulla
sua coscia in una carezza
pesante e vogliosa. “Voglio capire perché devo
vederti soltanto in queste
vesti, era molto più divertente quando ci nascondevamo nelle
stive delle navi
e…” ma l’inglese gli spinse una mano
sulle labbra, zittendolo. “Shut up stupid
bastard! Vuoi che qualcuno ti senta?” il francese morse piano
le dita
affusolate, mentre l’inglese ritraeva la mano come scottato.
“Non c’è nessuno
Arthur, non preoccuparti, piuttosto…spiegami un
po’ perché la mia mano è ancora
sulla tua gamba” ed Arthur abbassò lo sguardo
sulla mano del francese, per poi
guardarlo fisso negli occhi. “So cosa credi, ma non sono in
vena, Francis” il
francese annuì, sbuffando piano, stringendo ancora
l’inglese per le spalle. “Immaginavo,
non sei nemmeno combattivo oggi, dimmi perché sei
così giù? Dovresti
festeggiare” l’inglese scosse le spalle ancora,
abbandonandosi contro lo
schienale del divano e quindi contro il braccio di Francis, che lo
strinse
prontamente. “Dovrei è vero” disse solo
socchiudendo gli occhi, lasciandosi
trascinare piano verso il corpo del francese. “Ahhh Arthur mi
spezzi il cuore,
ancora con quell’americano?” mormorò
l’altro giocoso, mentre
l’inglese sbuffava annoiato, colto sul
vivo. “E smettila di essere geloso razza di maniaco, sai
benissimo che non ce n’è
motivo, abbiamo già affrontato questa
discussione…” Francia mugolò
apertamente
di piacere, socchiudendo gli occhi ed appoggiando la testa a quella
dell’Inglese.
“Oh C’est vrai, in una piacevolissima maniera
oserei dire” la mano scese ad
accarezzargli la schiena, mentre il corpo dell’inglese si
irrigidiva. “Ma
questo non mi spiega perché sei così
giù di morale” l’altro
annuì, mentre il francese si
raddrizzava, capendo che stava per confidarsi. L’espressione
di Arthur pronto a
confessare qualcosa, era sempre la stessa, tra il confuso e
l’accigliato, con
le sopracciglia aggrottate come sotto uno sforzo. “Gli ho
detto che siamo
nemici, che deve essere una nazione come le altre, che se
dovrò gli farò del
male” Francis sospirò forte, mentre continuava con
la lenta carezza, anche se
ormai i loro corpi erano più distanti. “Ma questa
cosa non
è vera” continuò per lui il francese,
mentre Inghilterra annuiva stranamente pacato.
“L’ho cresciuto Francis,
significa davvero tanto per me” e Francis rimase in silenzio,
fissando il
pavimento sotto di loro, l’atmosfera pregna di troppi
significati. “Forse lo sa
anche lui, sa anche lui che è significato tanto, un giorno
vi riavvicinerete” Francis
guardò il profilo di Arthur contrarsi, per poi rilassarsi
dopo un sospiro pesante.
“Non credo visto che sta diventando un idiota
scalmanato…” ed il francese
sorrise per poi rituffarsi sull’inglese, facendolo cadere sul
divano, sotto di
lui. “Mi spieghi come faccio a non ingelosirmi se tu ne parli
così, mon amour?”
Inghilterra si divincolò per poco, prima di sbuffare
sonoramente, distogliendo
lo sguardo da quello del francese. “Non vedo di cosa dovresti
preoccuparti, lui
è andato via, tu rimarrai sempre” disse a mezza
voce, cogliendo di sorpresa
Francis, che si ritrovò a sorridere intenerito, mentre gli
passava una mano tra
i capelli biondi. “Hai ragione mon petit Arthur”
gli disse sorridendo piano,
prima che l’inglese ricominciasse a fare resistenza per
scappare. “Adesso
lasciami idiota,siamo ad una congresso internazionale, non in un
casino!”
borbotto Arthur, mentre Francia lo teneva saldamente sotto di se,
lasciando che
le mani vagassero un po’ sulla divisa dell’altro.
“Dì
un po’ Arthur, non è che per caso hai cambiato
idea
sull’ argomento ‘sentirsi in
vena’?”
Prussia ed
Austria camminavano verso la sala dell’incontro
a passo spedito, quando l’immagine di un Francis ridacchiante
li travolse,
lasciandoli perplessi.
“Oh Mon Petit era solo un piccolo assaggio!”
“Io ti ammazzo razza di stupido vinofilo francese, corri
più veloce che puoi, perché se ti prendo
è la tua fine!”
I due si guardarono sospirando piano.
“Sempre la stessa storia quei due…”
Commento:
Poteva sembrare
una UkXUSA ma ahimè non lo è, rimango
fedele alla coppia io. Questo capitolo è stato un parto, ma
sarete felici di
sapere che ne ho altri tre iniziati, dato che non riuscivo a scegliere
quale
finire! Che dire, ringrazio Tifawow, red queen e Dark Amy per le
splendide
recensioni che hanno lasciato ed anche chi ha messo tra i seguiti ed i
preferiti questa storia. Spero che vogliate commentare anche questo
capitolo!
Note:
La guerra
è quello anglo americana del 1812, conclusa nel
1814. Il congresso in cui si trovano Francis ed Arthur è
ovviamenteil congresso
di Vienna del 1815.
Mi sono presa qualche licenza
storica anche qui, vogliate
perdonarmi.