Sono
particolarmente fiera di questa fanfiction, Prima
classificata al Lovecontest indetto da TifaLockart90 e vincitrice del
premio
per il miglior personaggio originale. Spero che piaccia anche
a chi la
leggerà, e sare molto felice di leggere delle recensioni.^^
Un grande
complimenti anche alle altre partecipanti e alla giudice!
LoLLy
-Autore:
LoLLy_DeAdGirL
-Fandom:
Originale
-Titolo
della storia: Starlight – Industrial Tanabata
-Personaggi/Pairing:
/
-Genere:
Triste, Romantico, Sovrannaturale
-Rating:
Giallo
-Avvertimenti:
Oneshot, Femslash
-Introduzione:
I freni del treno stridettero
inesorabilmente, e già Cicatrice percepì il vento
furioso sferzarle il viso.
Il
fumo denso che fuoriusciva dal fumaiolo della locomotrice a
vapore copriva come una cappa voluminosa nera e grigia tutto
ciò che le stava
attorno, eppure la ragazza già sapeva che era praticamente
quasi giunta a
destinazione.
Quel
gelo che penetrava fin nelle ossa lo riconosceva ormai. Sarebbe
stata una sensazione orribile per un altro abitante della
città di Carbograd
come lei… Quella metropoli sporca di fuliggine e avvolta dai
fumi industriali
non andava mai incontro al vento o al freddo. Per fortuna
quell’inverno ora le
permetteva di pensare solo a piacevoli emozioni, il resto passava in
secondo
piano.
Finalmente
l’avrebbe rivista… Era passato un anno
dall’ultima volta
e il tempo le era parso colare via in una lentezza esacerbante, alla
stessa
velocità dei granelli nella sua clessidra, quella che teneva
nell’entrata di
casa, su quel comodino in acciaio bucherellato. Aveva guardato scorrere
la
sabbia verdastra scendere nell’ampolla più bassa
per ore e ore, aspettando il
giorno in cui avrebbe potuto riabbracciare il suo più grande
amore…
-Note
dell'autore:
·
In
questa storia ho cercato di rivisitare la
leggenda giapponese di Hikoboshi e Orihime da cui deriva la festa di
Tanabata
(festeggiata il 7 luglio), in chiave moderna. Riassunta in poche frasi,
il mito
narra così (da Wikipedia): nel
cielo vivevano a Ovest gli uomini e a Est le divinità; il
pastore Hikoboshi (la stella Altair) e la dea Orihime (la stella Vega)
si
innamorarono e si sposarono in gran segreto contro la
volontà del padre della
dea. Ebbero anche due figli, un maschio e una femmina. Quando il padre
lo venne
a sapere allontanò i due sposi, riconducendo la figlia nella
terra degli dei e,
per evitare il ricongiungimento, creò un fiume celeste,
·
La
storia si svolge in un futuro lontano e
profondamente diverso dalla realtà dei giorni nostri.
E’ possibile considerarlo
un mondo “alternativo”, cambiando
l’ambientazione del Tanabata secondo una
chiave più occidentale, senza nulla togliere al tema
centrale della storia,
ovvero il dolore della separazione e la gioia immensa del ritrovamento
dell’anima gemella. Ho tentato di ispirarmi per questa
ambientazione futuristica
dall’Industrial Metal (http://it.wikipedia.org/wiki/Industrial_Metal),
ma soprattutto dallo stile Steampunk (http://it.wikipedia.org/wiki/Steampunk),
da cui ho tratto la descrizione della città di Carbograd, il
nome evocativo
della quale riflette le sue fattezze: una città nera,
dominata da fabbriche ed
ingranaggi che funzionano in simbiosi con gli esseri umani resi
automi/operai
fin dall’infanzia, in netto contrasto con la pianura di
Starlight, fredda,
silenziosa e deserta, coperta di neve perenne.
·
Altre
note sui personaggi e ambientazione al termine della storia.
Starlight
- Industrial
Tanabata
I
freni del treno stridettero
inesorabilmente, e già Cicatrice percepì il vento
furioso sferzarle il viso.
Il
fumo denso che fuoriusciva dal fumaiolo
della locomotrice a vapore copriva come una cappa voluminosa nera e
grigia
tutto ciò che le stava attorno, eppure la ragazza
già sapeva che era
praticamente quasi giunta a destinazione.
Quel
gelo che penetrava fin nelle ossa lo
riconosceva ormai. Sarebbe stata una sensazione orribile per un altro
abitante
della città di Carbograd come lei… Quella
metropoli sporca di fuliggine e
avvolta dai fumi industriali non andava mai incontro al vento o al
freddo. Per
fortuna quell’inverno ora le permetteva di pensare solo a
piacevoli emozioni,
il resto passava in secondo piano.
Finalmente
l’avrebbe rivista… Era passato
un anno dall’ultima volta e il tempo le era parso colare via
in una lentezza
esacerbante, alla stessa velocità dei granelli nella sua
clessidra, quella che
teneva nell’entrata di casa, su quel comodino in acciaio
bucherellato. Aveva
guardato scorrere la sabbia verdastra scendere nell’ampolla
più bassa per ore e
ore, aspettando il giorno in cui avrebbe potuto riabbracciare il suo
più grande
amore…
Cicatrice
si sporse dal finestrino
semiaperto, incrostato sui bordi da delicati pizzi di brina, cercando
di
memorizzare il paesaggio che le sfrecciava di fronte.
Vorrei
anche io poter vivere in un posto come questo…
pensò beata In una
distesa interminabile di bianco e neve fredda che sferza il viso...
Un posto molto diverso da Carbograd, in cui
non siamo obbligati ad indossare le maschere per proteggerci dal gas
che impregna
l’aria, dove il vento può accarezzare la pelle e i
raggi della Grande Stella si
mostrano pallidi in tutto il loro splendore…
Quella
pianura coperta di neve brillava di
piccoli bagliori, anche se
Un
suono stridulo obbligò Cicatrice a
distrarsi dai suoi pensieri. Era stato l’avviso del
locomotore a vapore che
annunciava l’arrivo alla stazione. In realtà non
era una vera e propria
stazione, ma una panchina in legno molto chiaro vicino ad un cartello
bianco su
cui spiccava la scritta nera Starlight, sempre seminascosta da cumuli
di
fiocchi bianchi.
La
ragazza si sistemò qualche ciocca di
ondulati capelli corvini dietro le orecchie, infilò la
giacca color fumo dopo
aver stretto bene intorno al collo un boa di piume nero per non
prendere freddo
e aver inforcato i pesanti goggles di metallo sugli occhi scuri.
Era
finalmente ora di scendere, non stava
più nella pelle. Aveva voglia di rivedere quella ragazza,
provava un bisogno
fisico, annichilente, e al solo pensiero sentiva brividi di desiderio
correrle
giù per la schiena.
Miserybone…
Solo
pensare il suo nome le infondeva
nell’animo un antico sentimento di malinconia per quella
persona che le era
stata strappata via in un modo tanto ingiusto…
Tuttavia,
qualcosa di straordinario era
accaduto, qualcosa che non aveva mai saputo spiegarsi.
I
morti non possono tornare indietro
aveva detto saggiamente Ossa tante, tantissime volte, e forse
avrebbe anche avuto ragione se quella sparizione fosse stata
normale… Ma
Miserybone non era morta, era semplicemente andata a vivere da
un’ altra parte,
un luogo lontano da Carbograd, dove non c’erano industrie
né gas tossici, un
luogo candido, gelido e bellissimo di nome Starlight appunto, che
poteva essere
raggiunto una volta all’anno da una locomotiva a vapore che
partiva da un
binario abbandonato alla stazione di Opium Street. Erano state le
ultime parole
di Miserybone, prima di scomparire…
“Il
binario morto di Opium Street ti porterà dove potrai
ritrovarmi…”
Lo
aveva fatto, era andata all’annuale
appuntamento senza mai scordarselo. Questa era la terza volta.
Cicatrice
si apprestò a scendere dal suo
scompartimento foderato di velluto porporino stracciato in vari punti,
tanto
che la stoffa penzolante lasciava intravedere lo scheletro metallico
della
carrozza passeggeri, sicuramente costruita in tempi antichi quando
ancora
Carbograd non era sotto il controllo della Stirpe dei Tiranni che
l’avevano
trasformata nell’inferno di fornaci e fumi che era
diventata…
Quando
avvertì il cigolio penetrante dei
vecchi freni stridere, si schiacciò contro una parete ancora
sana per non
perdere l’equilibrio nella brusca frenata, fino a che il
treno non si fermò del
tutto. Solo allora la ragazza afferrò sollevandola appena un
bordo della lunga
gonna in tulle nero che lasciava intravedere le calze a righe verticali
sorrette da un reggicalze che spuntava da corte culottes, prima di
dirigersi
verso l’uscita del vagone. Non c’era nessun altro a
bordo.
Scese
piano la scaletta e fece un piccolo
salto, gli stivaletti di cuoio affondarono nella neve morbida. La
panchina e il
cartello che annunciava il benvenuto a Starlight erano davanti a lei al
loro
posto, esattamente come un anno prima. Il gelo le mozzò
quasi il fiato, fiocchi
bianchi le si posarono sui capelli un poco rovinati dai veleni della
città e
sui vestiti. Il vento inospitale sembrava poterle ferire la pelle
imbrunita,
eppure Cicatrice non ci pensava. Il suo sguardo da sotto i goggles era
perso
verso un punto indefinito della pianura, dove distingueva una macchia
leggermente più scura che si agitava in mezzo a quel bianco
spettrale. Il suo
cuore iniziò a battere forte, un sorriso si dipinse sulle
sue labbra
screpolate.
Si
tolse gli occhiali, li posò sulla
panchina.
Miserybone…
Miserybone
sapeva che la sua amata avrebbe
fatto fatica a vederla in mezzo all’onnipresente neve che
ricopriva Starlight.
Da quando non poteva stare più a Carbograd, si era pian
piano trasformata,
adattandosi al paesaggio circostante. Si era convinta che quel luogo
avesse una
propria volontà, e che l’avesse accolta cercando
di renderla totalmente parte
della sua esistenza. Starlight era una pianura bianca così
triste e sola… Ora
che c’era lei, forse si sentiva meglio, e accettava, seppur
non di buon grado,
che una volta all’anno Cicatrice venisse a fare una visita.
Il tempo peggiorava
sempre quando stava per arrivare, ma
lo
scambio era troppo equo perché Starlight rifiutasse.
Che
cos’era poi Starlight? Un’entità
sovrannaturale su cui Miserybone aveva ormai smesso di interrogarsi,
una specie
di consapevolezza che aveva interiorizzato come esistente
e nulla più.
Tra
tutta quella neve si confondeva
perfettamente. Quando viveva a Carbograd aveva anche lei i capelli neri
e
sempre un poco unti tipici degli abitanti della metropoli, poi pian
piano si
erano schiariti e puliti, diventando bianchi, lisci e lucenti,
immacolati come
i vestiti che si era trovata ad indossare. L’unica punta di
colore erano tre
stelline nere tatuate sullo zigomo sinistro, come a ricordarle la sua
origine e
la terribile sventura che l’aveva portata a quello strano
destino.
Come
espediente per farsi trovare dalla sua
amata Cicatrice utilizzò anche quella volta lo stesso degli
anni passati: non
appena aveva avvertito l’atmosfera di Starlight farsi
più pesante e la neve
sferzarle il viso con forza, aveva staccato un ramo carico di boccioli
da un
ciliegio rosato, uniche macchie di colore sparse qua e là,
per poterlo agitare
in lontananza e farsi notare.
Quando
vide quella figura scura scendere
dal treno, due lacrime perlacee le solcarono il viso, e
iniziò a scuotere il
ramo gridando il suo nome, saltando nella neve. I suoi abiti di pizzo e
lustrini danzarono al vento.
“Cicatrice!
Cicatrice, sono qui!” gridò con
tutto il fiato che aveva in gola, prima di correre avanti verso di lei
per
riabbracciarla.
Pian
piano che si avvicinava, distingueva
sempre meglio le sue forme, riconoscendola. I capelli che si
scompigliavano al
vento, la pelle
scura segnata da una
cicatrice spessa sulla guancia destra, segno permanente
dell’incidente nella Fabbrica
di Bambole Meccaniche dove avevano lavorato fin dalla più
tenera età. Pochi
degli operai erano rimasti illesi: Ossa era rimasto intrappolato sotto
una
lamiera ed ora camminava grazie ad una gamba di metallo, visto che
quella di
carne e tendini si era incastrata in quell’inferno e i
soccorsi avevano dovuto
amputarla da metà coscia… Miserybone, invece, non
era riuscita a scamparla…
Quando
furono a pochi passi l’una
dall’altra si fermarono a guardarsi, senza toccarsi.
Cicatrice la fissò negli
occhi, studiando quelle iridi che erano diventate sempre più
chiare fino a
sbiancare quasi del tutto. Era diversa dalla sua
Miserybone, il suo sorriso era triste tra le labbra pallide, i
suoi capelli candidi lisci e scintillanti come mai erano stati. I suoi
abiti
impalpabili, un corsetto di pizzo e dei pantaloni à
guépière simili a
reggicalze, stretti in vita da due cinture formate da strane stelle
luccicanti
che le pendevano su un fianco, non avevano niente che ricordasse
Carbograd, o
anche solo
La
mano ruvida e scura di Cicatrice le
sfiorò lentamente la guancia sinistra, risalendo
delicatamente verso il
tatuaggio sullo zigomo.
“Sei
proprio tu, Misery?” chiese sottovoce.
“Sì…”
La
ragazza sorrise ancora, socchiudendo gli
occhi. La sua espressione pareva felice, eppure anche malinconica, come
l’ombra
di un ricordo lontano e appassito.
“Dammi
un bacio, Cicatrice... Voglio
sentire il mio cuore che batte, almeno una volta all’anno.
Fammi sentire viva.”
Cicatrice
prese il suo viso tra le mani,
estatica. Posò delicatamente le labbra sulle sue, che
sapevano di inverno. Era
un contatto che entrambe ambivano da molto, troppo tempo. I loro corpi
si
sfiorarono in un fruscio, Miserybone lasciò cadere a terra
il ramo e strinse le
braccia intorno alla vita di Cicatrice, tentando di assorbirne il
calore. Lei
era così fredda, così vuota… Starlight
aveva reso i suoi visceri gelidi come
pezzi di ghiaccio. Le sue dita si strinsero, la bocca tentò
di approfondire il
contatto, assaggiando quella dell’altra, tanto calda da
poterla sciogliere. Le
loro lingue si accarezzarono piano, gentilmente.
“Mi
sembra impossibile che possa essere
davvero tu… Ti amo, Misery… Ho aspettato tutto
questo tempo…”
Cicatrice
soffiò le parole in un sussurro
rovente che le lambì la pelle provocandole
un’ondata di brividi. Le teneva
ancora il viso tra le mani, e la fissava con occhi liquidi sotto le
spesse
lenti.
“Ti
amo anche io… Aspettavo questo giorno
dall’ultima volta che sei partita… Non
è passato un giorno senza che io ti
pensassi!”
Una
lacrima le bagnò il viso, stillando su
una gota esangue. Cicatrice se ne accorse all’istante e con
un dito sporco di
fuliggine la portò via dal suo viso.
“Non
piangere… Non piangere, Misery… Non
sono qui per vederti triste, voglio solo poterti
riabbracciare!”
La
ragazza si gettò tra le sue braccia,
scuotendo il capo. Cicatrice la strinse a sé con tutta la
forza che aveva,
annusando il profumo dei suoi capelli, perdendosi nel suo affetto.
Erano
passati tre anni dall’incidente e i
sentimenti che le legavano l’un l’altra non erano
mai cambiati. Ossa poteva non
crederci, poteva chiudersi nel suo mondo disilluso e ripetere le sue
litanie
tristi che salmodiavano morbosamente quanto gli eventi della vita non
potessero
cambiare e come
Miserybone
aderì completamente a lei, in
una fusione disperata. Sentì la vita che palpitava in lei, e
il suo cuore fino
a quel momento assopito risvegliarsi.
Oh
sì, il cuore di Miserybone stava battendo forte…
Cicatrice
aveva la vista appannata dalle lacrime e dal fumo. Gli
occhi le bruciavano, sdraiata a terra su quel pavimento rovente non
riusciva a
ricordare nemmeno dove si trovasse e cosa ci facesse lì. A
Carbograd faceva
sempre caldo, eppure le sembrava fin troppo quello che avvertiva in
quei
momenti… Doveva ricordare, doveva fare uno sforzo anche se
la testa le stava
scoppiando dal male e non riusciva quasi a muoversi. C’erano
crepitii e grida
che devastavano l’aria, impedendole di pensare. Che posto era
quello? Cosa
stava facendo? Perché sentiva quel dolore lancinante al
viso?
Una
mano le afferrò una gamba, artigliandola. Cicatrice si
contorse di scatto per guardare indietro, le lacrime che colavano
dall’angolo
delle palpebre fondendosi al sangue.
Dietro
di lei, il busto di suo fratello sporgeva da sotto un
cumulo di lastre in metallo arrugginito e arti di Bambole Meccaniche.
Il suo
viso era una maschera di sofferenza disperata.
Cicatrice non
riuscì a
pronunciare altro che il suo nome, in un basso miagolio.
“Ossa…
Ossa…”
“Ci…
Cicatrice… Scappa… Vattene, cazzo, scappa
via… Salvati…”
“Ossa…
Ossa, cosa…”
“Scappa…
Vattene…”
La
presa alla sua gamba divenne sempre più debole, fino a
lasciarla del tutto. La mano dell’uomo ricadde sul pavimento.
“Ossa!
Ossa, svegliati! Ossa!”
Le
urla della ragazza si persero al rumore di un crollo poco
più
avanti. Ora si ricordava, si ricordava tutto: il turno alla Fabbrica,
l’esplosione, i corpi di Miserybone e Ossa che venivano
sbalzati via. Era stato
un incidente…
Disperata,
Cicatrice chiamò con tutte le sue forze le persone
che le erano più care al mondo. Urlò il nome di
suo fratello fissando la figura
svenuta dietro di sé, e in seguito quello della sua anima
gemella. Di
Miserybone non c’era l’ombra, sembrava svanita nel
nulla.
Poi,
ad un certo punto, la vide. Come aveva fatto a non
accorgersene? Era lì, davanti a lei… O era forse
comparsa dal nulla?
Era
una figura coperta di fuliggine, con i vestiti stracciati. I
suoi occhi brillavano come due lucerne bianche, illuminando degli
squarci da
cui colavano rigagnoli di sangue appena sotto l’occhio
sinistro…
“Misery…”
sussurrò.
La
ragazza non si mosse. No l’aveva mai vista con
un’espressione
tanto triste. Pareva quasi del tutto illesa, eppure qualcosa le diceva
che non
lo era, in realtà. Forse era solo la sua mente annebbiata
dai fumi tossici,
tuttavia faceva fatica a credere che fosse lei.
“Misery…
Ti devi salvare… Almeno tu...”
“E’
troppo tardi. Non ci sono riuscita.”
Cicatrice
rimase ammutolita. Anche la sua voce sembrava
rassegnata fredda. Non riusciva a credere alle sue parole, non le
comprendeva:
era lì, in piedi, di fronte a lei! Com’era
possibile che non fosse
sopravvissuta?
“Ti
prego, Misery, va’ via!”
“Salva
te stessa… Salva Ossa… Io sono perduta, amore
mio… Ho
fatto un patto… Tra di noi non potrà
più essere come prima.”
“Cosa
dici? Cosa cazzo dici, Misery! Esci dalla fabbrica!”
“Piuttosto
che morire, ho preferito una vita eterna in un limbo,
ho accettato una proposta che è stata sottoposta a
pochi… Addio, Cicatrice…”
Miserybone
si voltò. La sua schiena resa visibile dai vestiti
stracciati era coperta di tagli purpurei.
“Aspetta!
Dove stai andando? Dove potrò vederti?”
“Il
binario morto di Opium Street ti porterà dove potrai
ritrovarmi…”
“Aspetta!
Aspetta!”
Cicatrice
vide con i suoi occhi la figura di Miserybone
diventare sempre più bianca, sempre più fragile.
Emise un urlo disperato quando
la vide dissolversi lentamente in una polvere argentata, un colore
così simile
al grigio dell’acciaio, eppure molto più pulito,
immacolato. Sparì senza
lasciare traccia. Cicatrice non capì cos’era
accaduto , rimase a gridare, urlò
finché aveva fiato in gola, finché i soccorsi non
estrassero dalla Fabbrica il
suo corpo e quello di Ossa.
Nessuno
trovò mai i resti di Miserybone nemmeno tra i cadaveri.
Ossa disse che l’esplosione era stata talmente potente da
dissolverla e che
quello che la sorella aveva visto erano solo le fantasie di
un’innamorata che
negava la morte della sua amata. Per lui era solo una ragazza che
pretendeva di
vivere come prima dell’incidente, quando in realtà
tutto era cambiato: il
cadavere di Miserybone era cenere sparsa nel relitto che rimaneva della
Fabbrica di Bambole Meccaniche, lei stessa era rimasta sfigurata e lui
aveva
perso una gamba. Quello che diceva però, le importava poco.
Ringraziò
più volte un’entità sconosciuta per
averle donato il
dono della perseveranza. Era sicura di non aver immaginato,
l’aveva vista
davvero, aveva osservato le sue ferite e i suoi occhi malinconici,
aveva
ascoltato le sue parole già gelide come le membra dei
defunti e avvertito un
freddo che veniva da un altro mondo portarsela via lentamente.
Se
non si fosse recata davvero alla stazione di Opium Street non
avrebbe mai più avuto l’occasione di incontrare la
sua amata. Forse pian piano
avrebbe perso la voglia di vivere anche lei, così come era
capitato a suo
fratello.
Cicatrice
e Miserybone sedevano una accanto
all’altra in un punto indefinito della sconfinata pianura.
Qualsiasi angolo di
quel luogo sovrannaturale sarebbe andato bene: Starlight era tutta
uguale a sé
stessa, in qualsiasi punto di essa ci si trovasse.
Miserybone
teneva tra le mani il ramo di
ciliegio che aveva preso precedentemente. Se lo rigirava tra le dita,
mentre
rimaneva appoggiata al fianco dell’amata, la testa sulla sua
spalla.
I
boccioli avevano iniziato a dischiudersi,
sciogliendo i fragili cristalli di brina che vi si erano depositati
sopra. I
minuti passavano inesorabili, e Starlight non permetteva eccezioni ai
tempi che
autonomamente stabiliva.
Cicatrice
affondò il viso tra i suoi
capelli, annusandone il profumo. Era così buono…
Un poco le ricordava la sua Misery,
quella che era vissuta con
lei…
“Ti
vedo una volta all’anno.” Disse “Una
sola volta, eppure non ridi mai. Una volta sorridevi,
Misery… Adoravo il tuo
sorriso.”
“In
questo posto non mi viene voglia di
niente del genere.”
“Né
tu qui, né Ossa a Carbograd sorridete.
E’ una cosa che mi fa soffrire…”
La
ragazza con i capelli bianchi sospirò
profondamente, stringendosi ancora di più a lei.
“Come
sta Ossa?”
“Come
l’anno scorso. E’ come se ogni giorno
che passa stia morendo lentamente… Prima o poi si
spegnerà silenziosamente,
come una candela arrivata alla fine del moccolo di cera. Ho paura che
non riuscirò
ad accorgermene e sarà troppo tardi.”
“Mi
dispiace molto… Gli volevo bene…”
“Dopo
l’incidente la nostra vita è
diventata orribile. Vorrei che tutto tornasse come era una volta,
quando io e
te potevamo ancora avere una vita insieme e Ossa riusciva a sorridere
di tanto
in tanto…”
Miserybone
non disse niente. Perché avrebbe
dovuto parlare e ripete qualcosa che già aveva detto lei?
Avrebbe voluto
tornare indietro, eccome se avrebbe voluto… Forse anche solo
per rivalutare la
proposta che Starlight le aveva fatto alla Fabbrica al momento in cui
stava
morendo. Vedere una volta all’anno la sua amata era troppo
poco. Aveva
accettato per disperazione di fronte
all’eventualità di perderla per sempre. Si
era scelta una vita di condanna all’oblio e al gelo per
lei…
Tutto
di un tratto, lasciò andare il ramo e
si gettò voltandosi, abbracciandola. Affondò il
viso contro il suo seno,
saggiandone la morbidezza che dal primo giorno aveva amato in lei, che
aveva
forme gentili e soffici.
Cicatrice
rispose alla stretta con altrettanto
affetto. Il solo fatto di poter restare quel poco tempo con lei le
accendeva
dentro una fiamma che se fosse stata liberata avrebbe sciolto perfino
la stessa
Starlight. Passò le mani intorno alle sue spalle stringendo
il materiale
impalpabile dei suo abiti. Non voleva lasciarla andare via.
“Perché
non vieni via con me?” domandò con
voce flebile, baciandole subito dopo il capo con sincero affetto.
“Te
l’ho già detto… Non posso andare via da
qui… Starlight non me lo permetterebbe
mai…”
Cicatrice
avvertì la rabbia ribollire nelle
sue viscere, tanto che le membra le tremarono. L’altra
giovane, accorgendosi di
ciò, sciolse
la stretta e rialzando il
busto la fissò negli occhi. C’era un lampo di
furia in quelle iridi scure come
carbone. La sensazione di impotenza di fronte agli avvenimenti era
qualcosa che
evidentemente non riusciva ad accettare. Poteva essere una cosa
così semplice
tornare assieme indietro, perché mai non avrebbe dovuto
funzionare? Non
riusciva a capire, Cicatrice… Perché Miserybone
accettava di vivere lì senza di
lei, rassegnandosi? Già, rassegnandosi…
Tutti intorno a lei sembravano vivere, anzi, sopravvivere in quel modo
assurdo: la sua
Misery nella completa
solitudine in quell’oblio bianco e senza tempo, e Ossa
intrappolato in una tristezza
apatica, aspettando con amarezza il momento in cui il suo cuore si
fosse
fermato per sempre.
“Parli
come se Starlight fosse un essere
vivente!” ringhiò “Come se fosse una
persona, anzi, una divinità
a cui devi obbedire come un suddito fedele! Questo è solo
un luogo, Misery! Una pianura battuta dal vento! Perché non
prendi il treno con
me? Torniamo insieme a Carbograd, oppure rimaniamo qui entrambe! A me
piace
questo posto, tutto sommato!”
“Non
capisci… Tu non sai niente di
Starlight…”
Un
tempo probabilmente Miserybone si
sarebbe arrabbiata. Avrebbe alzato la voce, avrebbe urlato, magari
pestato i
piedi con fare infantile, prima di elemosinare le scuse di Cicatrice,
che nel
frattempo avrebbe avuto il tempo di valutare il punto di vista della
compagna,
scoprendo i propri torti e dispiacendosi. Invece, la ragazza si
limitò a
continuare a fissarla con sguardo intristito, gli angoli delle palpebre
che
parevano minacciare di stillare piccole lacrime cristalline.
“Starlight
è molto più di una pianura… Tutto
quello che compone questo posto fa parte di lei. Io stessa sono ormai
un suo
frammento. Guardami…”
Cicatrice
prese delicatamente tra le dita
una ciocca dei suoi capelli. Erano soffici, leggeri, parevano brillare
di
candida lucentezza. Non avevano più niente che ricordasse quelli della vecchia
Miserybone, castani e
sempre mal pettinati.
“E’
stata… Lei a farti diventare
così?”
“Sì.
Mi ha voluta con sé per spezzare la
sua eterna monotonia.”
“Lo
sai che non voglio dividerti con niente
e nessuno.”
“Nemmeno
lei vorrebbe, però ha avuto
compassione e mi permette di vederti in questo
giorno…”
“E’
ingiusto.”
“Che
cosa è giusto a questo mondo,
Cicatrice?”
A
questa domanda, non rispose. Miserybone
l’aveva spiazzata vista la calma con cui aveva rivelato
quella triste verità.
No, Cicatrice non poteva farci niente, quel che era successo in passato
non
poteva essere cambiato, anche se era stato un incidente, anche se aveva
rovinato la vita di tante persone che avevano lavorato alla
Fabbrica…
“Vieni
qui.”
La
ragazza con i capelli corvini allargò le
braccia, e una sferzata di vento gelido le colpì il viso.
Era stato un vero e
proprio schiaffo, ma non ci fece quasi caso…
Starlight
può arrabbiarsi quanto le pare… Misery non
sarà mai
completamente sua.
L’altra
si riavvicinò con il busto, tanto
che Cicatrice poté osservare ogni dettagli della sua pelle
liscia e di quello
strano tatuaggio, fino a che il trasporto dei propri sentimenti non la
costrinse a chiudere gli occhi, non appena le labbra sfiorarono quelle
di Miserybone,
schiudendosi appena. Ne
assaggiò la
freschezza accarezzandole con la lingua, una mano a tenerle il viso e
l’altra
stretta attorno al suo fianco snello, forse fin troppo
rispetto a quello che ricordava di lei.
“Ti
amo…” le sussurrò.
Accanto
a loro, i fiori di ciliegio si
tramutarono in fretta da maturi e rosa a pallidi amassi di petali
secchi e
incartapecoriti. Un paio di loro si staccarono, volando tra i fischi
acuti del
vento tagliente.
Come
colpita da una frustata, Miserybone si
staccò da lei, portandosi una mano alla bocca, spaventata.
Si guardò
febbrilmente attorno, a destra e poi a sinistra, pettinandosi le lunghe
ciocche
candide con le dita lunghe e curate. Aveva paura. Il suo cuore batteva
all’impazzata dentro la gabbia toracica, quasi avesse potuto
sfondarla e
fuggire via senza un corpo, macchiando quelle candide vesti di
scarlatto… Il cuore…
Miserybone era morta, eppure
quello funzionava ancora, arrugginito dagli anni, come uno dei
macchinari delle
tante fabbriche nere di Carbograd, sostenuto dall’amore che
provava per
Cicatrice e al dono di Starlight… Dono che forse avrebbe
potuto essere chiamato
“maledizione”.
Le
prese di colpo i polsi e li strinse con
una forza effimera, quasi nulla.
“Devi
andare via!” gridò “Starlight
è molto
arrabbiata… Pensa che la tua visita debba terminare adesso!
Guarda i fiori!”
Con
un cenno del capo indicò verso il ramo
appoggiato tra la neve. Cicatrice si voltò e una maschera di
stupore si dipinse
sul suo viso scarificato.
I
fiori… I fiori erano spariti tutti, lasciando
solo i pistilli rinsecchiti ondeggiare nei vortici di vento. Il tempo
era
scaduto, quello era sempre stato il segnale.
Non
se lo seppe spiegare, Cicatrice. La sua
mente si lasciò trascinare nei turbinii
dell’istinto, presa dal panico. Non
voleva perderla così in fretta, non poteva lasciarla
lì, e ricominciare un
nuovo anno di attesa angosciante. Era durato troppo poco. Miserybone
doveva
stare con lei, era il loro destino…
Si
alzò di scatto in piedi, risoluta,
combattendo contro la furia di Starlight, afferrando e tirando con
sé il
braccio della sua amata.
“Devi
venire con me. Torniamo a Carbograd.”
“Ti
ho detto che è impossibile!”
“Non
puoi saperlo se non ci hai mai
provato!”
Cicatrice
urlò con tutto il fiato che aveva
in gola. Miserybone fu costretta ad abbassare lo sguardo e ad annuire,
nonostante sapesse che non sarebbe andato a buon fine, quel tentativo,
se lo
sentiva dentro… Per la sua Cicatrice, però,
avrebbe fatto qualsiasi cosa. Era
pronta ad un nuovo sacrificio, se fosse stato necessario. Sfidare
Starlight era
una follia…
“Andrà
tutto bene!”
Risollevando
il volto, vide che quello
dell’altra aveva cambiato espressione, diventando
più rassicurante. Si era
sicuramente pentita di aver gridato contro di lei, ora che era
diventata
fragile come un cristallo.
“Ci
proverò, amore…”
Miserybone
si strinse di nuovo a lei,
chiudendo gli occhi.
Il
lungo bacio che seguì il loro abbraccio
sarebbe rimasto impresso nella memoria immortale di quella distesa
bianca senza
spazio e tempo per tutto il resto della sua
eternità…
Miserybone
rimaneva stretta contro il
fianco di fianco di Cicatrice, sulla carrozza malridotta di quello
strano e
rumoroso treno a vapore. La cingeva con entrambe le braccia, il viso
che di
tanto in tanto si alzava a fissare quello dell’altra,
sorridendo un poco. Si
sentiva stranamente elettrizzata, eppure era perfettamente consapevole
che la
loro non era altro che una pazzia senza senso.
Cicatrice
al contrario sembrava rapita da
pensieri trionfanti. La bocca tirata in una piega gioiosa, teneva un
braccio
attono al collo della compagna, sussurrandole frasi di conforto, le
quali si
perdevano tra lo stridio del ferro che avanzava sulle rotaie. Erano
forse più
per rassicurare sé stessa che Miserybone, se ne rendeva
pienamente conto.
Andrà
tutto bene, Misery… Torneremo assieme a Carbograd, tutto
sarà come prima, come se nulla fosse accaduto…
Saremo felici finalmente, libere
di amarci ogni giorno senza dover attendere mai più.
Il
vento sembrava essersi calmato rispetto
agli istanti precedenti. Quando si erano dirette verso la panchina,
infuriava
talmente forte da poter quasi trascinarle via. La neve aveva vorticato
con una
forza tale da pungere loro i visi con inaudita violenza, e solo
all’interno del
treno avevano trovato un riparo.
Ora
ancora si poteva distinguere il suo
ululato di frustrazione sempre più lontano e debole.
Cicatrice
si sentì potente come non lo era
mai stata. Aveva la vittoria in pugno, aveva sconfitto Starlight,
un’entità,
una Dea. Non aveva mai fatto niente
di troppo significativo nella sua mediocre vita da operaia alla
Fabbrica di
Bambole Meccaniche, e ora questo…Già
nell’aria si insinuavano i vapori dalla
consistenza quasi metallica che
provenivano da Carbograd, e nel frattempo la neve stava sparendo.
Sarebbe
tornata a casa con Miserybone tra le braccia, l’avrebbe
coccolata, baciata,
protetta, tenuta teneramente con sé come un gioiello dal
valore inestimabile,
non si sarebbero separate mai più…
Se
solo non avesse iniziato a dissolversi…
Avvertì
la sua pelle disfarsi lentamente tra
le dita, i suoi occhi chiari disperati la fissavano con pena immensa.
Perle scintillanti
scivolarono dalle sue ciglia, lacrime bianche e irreali.
“Mi
dispiace, tesoro mio… mi dispiace
tanto… Starlight… Mi vuole indietro.”
La
vide diventare sempre più impalpabile,
impossibile da tenere stretta, nonostante Cicatrice ci provasse con
tutta sé
stessa, piangesse e urlasse di non lasciarla, di non andarsene
perché non
poteva stare ancora lontano da lei.
Le
sue grida angoscianti
si persero in quel vagone freddo
e vuoto, mentre una polvere luccicante, ciò che restava per
la seconda volta
della sua amata, filtrava tra gli spifferi di quella carcassa a vapore
e
tornava al luogo in cui avrebbe dovuto vivere, per fortuna o
maledizione, per
il resto dell’eternità.
Cicatrice
rimase di nuovo sola, mentre
tornava alla sua tetra città grigia di ceneri, e con le
lacrime che le
solcavano guance pensò che nemmeno era riuscita dire un
ultimo “ti amo” alla
ragazza che fino alla sua morte avrebbe occupato la porzione
più grande del suo
cuore.
Ossa
aveva avuto il terribile timore che
sua sorella quella volta non si sarebbe più svegliata. Aveva
avuto paura, aveva
pianto silenziosamente, pregando quel corpo che sembrava tanto vuoto di
non
lasciarlo solo. Ossa non aveva mai provato tanto terrore di fronte
all’eventualità di essere abbandonato.
E’
finita
- si era detto
– Se ne è andata sul
serio. Sapevo che
sarebbe successo prima o poi, ormai le sento queste cose.
Quando
si era trovato davanti quegli occhi
neri spalancati e quella figura seduta tra le coperte, quasi gli era
venuto un
collasso. Non
sapeva cosa fare, né cosa
dire. Si ritrovò a fissarla tremando, gli occhi liquidi e
neri immobili, i
capelli oleosi che ricadevano fin sulle sue
spalle e gli coprivano metà viso, le mani che torturavano il
bordo di una
vecchia t-shirt ingrigita e strappata in più punti.
Forse
il suo era solo imbarazzo… Imbarazzo
per cosa, poi? Non sapeva spiegarselo, l’unica cosa di cui
era certo era che si
sentiva terribilmente a disagio. Forse era per aver provato tutta
quell’angoscia di fronte all’eventualità
di averla persa. Non riusciva nemmeno
a fissarle il volto.
“Ti…
Ti sei svegliata, finalmente.”
Balbettò guardando in basso, tentando di rimanere atono e di
non tradire la sua
apprensione.
Cicatrice
sbatté un paio di volte le
palpebre un po’ incollate, come se avesse solo passato una
lunga notte a
dormire, anche se, ne era certa, non aveva dormito affatto. Era andata
a
trovare Miserybone, era quasi riuscita a portarla indietro…
Aveva fallito, miseramente
fallito.
“Miserybone…
Ero quasi riuscita a portarla
qui…” disse semplicemente.
“Stavi
dormendo.”
“Smettila,
Ossa! Sai che odio quando parli
così!”
La
voce furiosa della sorella colpì l’uomo
come un pugno. Era sempre così, parlare di
quell’argomento era diventato un
continuo litigio. Perché si ostinava a credere che
Miserybone fosse ancora
viva? Non riusciva a comprendere. Era morta, morta, morta…
Solo morta. Probabilmente
era solo una pazza. Peccato che lui amasse quella povera illusa con
tutto l’affetto
che un fratello maggiore potesse dare. Era la sua unica parente, erano
cresciuti assieme fin dalla più tenera età,
l’aveva sempre protetta dai
pericoli… Tutto quel sentimento non riusciva a dimostrarlo
pienamente, tuttavia
dopo sua moglie, i suoi pensieri erano tutti per lei.
Ossa
avanzò verso Cicatrice con il suo
tipico passo claudicante, trascinando un po’ la gamba
protesica.
“Non
importa dove sei stata. Mi sei mancata
comunque.”
Cicatrice
rimase inebetita, le mani in
grembo. Incredula alle parole dell’altro, che di solito si
dimostrava così
freddo, aprì le braccia, aspettando pazientemente che
giungesse fino a lei.
“Abbracciami.”
Quando
lo strinse forte, pensò anche a
Miserybone. Fu come se la ragazza fosse sempre stata lì con
loro. Anche se così
lontana, non avebbe mai smesso di cercarla, in quell’unico
magico giorno
dell’anno, finché non sarebbe morta.
Fine
Dedicata
a Lisa.
Ti
amo, piccola,
sei
sempre nei
miei pensieri.
-Note
finali:
·
Cicatrice:
Incarna il personaggio di
Hikoboshi nella leggenda originale, ovvero la stella Altair.
Rappresenta la
figura umana innamorata, che nonostante abiti in un mondo di fabbriche
e
macchinari, dove la personalità viene quasi annullata, cerca
in tutti i modi di
reagire, di non arrendersi, incapace di accettare la realtà
tetra che la
circonda e ricercando almeno una parte della piccola
felicità che provava in
passato. Essendo
·
Miserybone:
E’ la stella Vega e la dea
Orihime nella leggenda originale. Il suo nome è composto
dalla parola “Misery”
che definisce la perenne tristezza che la caratterizza, e
“Bone” che la
caratterizza come un ricordo lontano di una vita passata, un osso, per
l’appunto. La sua accondiscenda, il suo accettare la propria
situazione la rende
completamente diversa da Cicatrice, combattiva ed energica. Anche le
sue
fattezze, bianche ed impalpabili, suggeriscono l’idea di un
personaggio molto
più debole, anche se coraggioso e saggio in alcune scelte
compiute.
·
Ossa:
Anche il nome del fratello di
Cicatrice suggerisce un’idea di appartenenza al passato. Ossa
è un “relitto”,
un personaggio disilluso e incapace di provare speranze, materialista,
eppure
anche affettuoso per certi versi. Cerca di proteggere la sorella dal
quelli che
considera solo dei vaneggiamenti e incapacità di accettare
la realtà. E’ un
personaggio che può essere definito marcato da una qualche
connotazione di ateismo
(http://it.wikipedia.org/wiki/Ateismo),
in quanto non è in grado, dopo l’incidente che ha
portato via quasi tutto ciò a
cui teneva, di credere a qualche forma spirituale di natura ignota come
Starlight, o al ritorno di Miserybone come parte stessa di Starlight
dopo la
sua apparente morte.
·
Carbograd:
La città dei protagonisti è una
futuristica metropoli Steampunk, che però è anche
marcata da forti connotazioni
Industrial per la sua meccanicità alienante. Gli esseri
umani che la abitano
sembrano far parte della stessa serie di ingranaggi che la compone, e
vivono
lavorando perennemente nelle fabbriche. L’idea che volevo
dare era quella di un
grande formicaio brulicante, dove il pensiero collettivo è
finalizzato
unicamente ad un lontano bene comune, istituito da un Tiranno (citato
in un
punto della storia). Il suo nome è composto da un suffisso
“Carbo” che ricorda
il carbone con cui funzionano le fabbriche della città e da
“Grad”, la parola
russa che sta per “città”. E’
il luogo dove la scorre la vita, in continuo
movimento, ma sempre uguale a sé stessa, completamente
opposto a Starlight.
·
Starlight:
E’ la rappresentazione del padre
della dea Orihime, che era contrario alla sua unione con
l’umano Higurashi. E’
sostanzialmente l’opposto di Carbograd, il luogo in cui
vivono gli esseri
umani, ed è raffigurata come una distesa bianca e coperta di
neve tra cui però
sono presenti alberi di ciliegio, ma in realtà tutto
ciò che si trova al suo
interno fa parte della sua stessa entità. Starlight
è una presenza superiore,
una dea capricciosa e dispotica nei confronti di Miserybone, che ha
assorbito
proponendole di sfuggire ad una vera morte e che non vuole dividere con
nessun
altro.
·