Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: RedLolly    09/05/2011    2 recensioni
I freni del treno stridettero inesorabilmente, e già Cicatrice percepì il vento furioso sferzarle il viso.
Il fumo denso che fuoriusciva dal fumaiolo della locomotrice a vapore copriva come una cappa voluminosa nera e grigia tutto ciò che le stava attorno, eppure la ragazza già sapeva che era praticamente quasi giunta a destinazione.
Quel gelo che penetrava fin nelle ossa lo riconosceva ormai. Sarebbe stata una sensazione orribile per un altro abitante della città di Carbograd come lei… Quella metropoli sporca di fuliggine e avvolta dai fumi industriali non andava mai incontro al vento o al freddo. Per fortuna quell’inverno ora le permetteva di pensare solo a piacevoli emozioni, il resto passava in secondo piano.
Finalmente l’avrebbe rivista… Era passato un anno dall’ultima volta e il tempo le era parso colare via in una lentezza esacerbante, alla stessa velocità dei granelli nella sua clessidra, quella che teneva nell’entrata di casa, su quel comodino in acciaio bucherellato. Aveva guardato scorrere la sabbia verdastra scendere nell’ampolla più bassa per ore e ore, aspettando il giorno in cui avrebbe potuto riabbracciare il suo più grande amore… PRIMA CLASSIFICATA al LOVECONTEST di TifaLockart90
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic

Sono particolarmente fiera di questa fanfiction, Prima classificata al Lovecontest indetto da TifaLockart90 e vincitrice del premio per il miglior personaggio originale. Spero che piaccia anche a chi la leggerà, e sare molto felice di leggere delle recensioni.^^ Un grande complimenti anche alle altre partecipanti e alla giudice!

LoLLy

 

-Autore: LoLLy_DeAdGirL

-Fandom: Originale

-Titolo della storia: Starlight – Industrial Tanabata

-Personaggi/Pairing: /

-Genere: Triste, Romantico, Sovrannaturale

-Rating: Giallo

-Avvertimenti: Oneshot, Femslash

 

-Introduzione: I freni del treno stridettero inesorabilmente, e già Cicatrice percepì il vento furioso sferzarle il viso.

Il fumo denso che fuoriusciva dal fumaiolo della locomotrice a vapore copriva come una cappa voluminosa nera e grigia tutto ciò che le stava attorno, eppure la ragazza già sapeva che era praticamente quasi giunta a destinazione. 

Quel gelo che penetrava fin nelle ossa lo riconosceva ormai. Sarebbe stata una sensazione orribile per un altro abitante della città di Carbograd come lei… Quella metropoli sporca di fuliggine e avvolta dai fumi industriali non andava mai incontro al vento o al freddo. Per fortuna quell’inverno ora le permetteva di pensare solo a piacevoli emozioni, il resto passava in secondo piano.

Finalmente l’avrebbe rivista… Era passato un anno dall’ultima volta e il tempo le era parso colare via in una lentezza esacerbante, alla stessa velocità dei granelli nella sua clessidra, quella che teneva nell’entrata di casa, su quel comodino in acciaio bucherellato. Aveva guardato scorrere la sabbia verdastra scendere nell’ampolla più bassa per ore e ore, aspettando il giorno in cui avrebbe potuto riabbracciare il suo più grande amore…

 

-Note dell'autore:

·         In questa storia ho cercato di rivisitare la leggenda giapponese di Hikoboshi e Orihime da cui deriva la festa di Tanabata (festeggiata il 7 luglio), in chiave moderna. Riassunta in poche frasi, il mito narra così (da Wikipedia): nel cielo vivevano a Ovest gli uomini e a Est le divinità; il pastore Hikoboshi (la stella Altair) e la dea Orihime (la stella Vega) si innamorarono e si sposarono in gran segreto contro la volontà del padre della dea. Ebbero anche due figli, un maschio e una femmina. Quando il padre lo venne a sapere allontanò i due sposi, riconducendo la figlia nella terra degli dei e, per evitare il ricongiungimento, creò un fiume celeste, la Via Lattea. I due ne soffrirono moltissimo e alla fine il padre di Orihime finì commosso dalle tante lacrime versate e accordò che potessero rincontrarsi, ma solamente una volta l'anno, la settima notte del settimo mese.

 

­

·         La storia si svolge in un futuro lontano e profondamente diverso dalla realtà dei giorni nostri. E’ possibile considerarlo un mondo “alternativo”, cambiando l’ambientazione del Tanabata secondo una chiave più occidentale, senza nulla togliere al tema centrale della storia, ovvero il dolore della separazione e la gioia immensa del ritrovamento dell’anima gemella. Ho tentato di ispirarmi per questa ambientazione futuristica dall’Industrial Metal (http://it.wikipedia.org/wiki/Industrial_Metal), ma soprattutto dallo stile Steampunk (http://it.wikipedia.org/wiki/Steampunk), da cui ho tratto la descrizione della città di Carbograd, il nome evocativo della quale riflette le sue fattezze: una città nera, dominata da fabbriche ed ingranaggi che funzionano in simbiosi con gli esseri umani resi automi/operai fin dall’infanzia, in netto contrasto con la pianura di Starlight, fredda, silenziosa e deserta, coperta di neve perenne.

 

·         Altre note sui personaggi e ambientazione al termine della storia.

 

 

 

Starlight - Industrial Tanabata

 

 

I freni del treno stridettero inesorabilmente, e già Cicatrice percepì il vento furioso sferzarle il viso.

Il fumo denso che fuoriusciva dal fumaiolo della locomotrice a vapore copriva come una cappa voluminosa nera e grigia tutto ciò che le stava attorno, eppure la ragazza già sapeva che era praticamente quasi giunta a destinazione. 

Quel gelo che penetrava fin nelle ossa lo riconosceva ormai. Sarebbe stata una sensazione orribile per un altro abitante della città di Carbograd come lei… Quella metropoli sporca di fuliggine e avvolta dai fumi industriali non andava mai incontro al vento o al freddo. Per fortuna quell’inverno ora le permetteva di pensare solo a piacevoli emozioni, il resto passava in secondo piano.

Finalmente l’avrebbe rivista… Era passato un anno dall’ultima volta e il tempo le era parso colare via in una lentezza esacerbante, alla stessa velocità dei granelli nella sua clessidra, quella che teneva nell’entrata di casa, su quel comodino in acciaio bucherellato. Aveva guardato scorrere la sabbia verdastra scendere nell’ampolla più bassa per ore e ore, aspettando il giorno in cui avrebbe potuto riabbracciare il suo più grande amore…

Cicatrice si sporse dal finestrino semiaperto, incrostato sui bordi da delicati pizzi di brina, cercando di memorizzare il paesaggio che le sfrecciava di fronte.

 

Vorrei anche io poter vivere in un posto come questo… pensò beata In una distesa interminabile di bianco e neve fredda che sferza il viso... Un posto molto diverso da Carbograd, in cui non siamo obbligati ad indossare le maschere per proteggerci dal gas che impregna l’aria, dove il vento può accarezzare la pelle e i raggi della Grande Stella si mostrano pallidi in tutto il loro splendore…

 

Quella pianura coperta di neve brillava di piccoli bagliori, anche se la Grande Stella era coperta da qualche nuvola soffice. Le ricordava una cosa che aveva visto e assaggiato una volta nella sua vita… Era una sostanza commestibile molto speciale che aveva mangiato il giorno del venticinquesimo compleanno del suo unico parente, il fratello maggiore Ossa. Si chiamava panna, e mai aveva gustato un cibo tanto soffice e delizioso. Forse quella neve aveva lo stesso sapore, non l’aveva mai messa in bocca le altre volte che era andata a Starlight, troppo occupata a passare il poco tempo che aveva in compagnia di colei che avrebbe sempre amato.

Un suono stridulo obbligò Cicatrice a distrarsi dai suoi pensieri. Era stato l’avviso del locomotore a vapore che annunciava l’arrivo alla stazione. In realtà non era una vera e propria stazione, ma una panchina in legno molto chiaro vicino ad un cartello bianco su cui spiccava la scritta nera Starlight, sempre seminascosta da cumuli di fiocchi bianchi.

La ragazza si sistemò qualche ciocca di ondulati capelli corvini dietro le orecchie, infilò la giacca color fumo dopo aver stretto bene intorno al collo un boa di piume nero per non prendere freddo e aver inforcato i pesanti goggles di metallo sugli occhi scuri.

Era finalmente ora di scendere, non stava più nella pelle. Aveva voglia di rivedere quella ragazza, provava un bisogno fisico, annichilente, e al solo pensiero sentiva brividi di desiderio correrle giù per la schiena.

 

Miserybone…

 

Solo pensare il suo nome le infondeva nell’animo un antico sentimento di malinconia per quella persona che le era stata strappata via in un modo tanto ingiusto…

Tuttavia, qualcosa di straordinario era accaduto, qualcosa che non aveva mai saputo spiegarsi.

I morti non possono tornare indietro aveva detto saggiamente Ossa tante, tantissime volte, e forse avrebbe anche avuto ragione se quella sparizione fosse stata normale… Ma Miserybone non era morta, era semplicemente andata a vivere da un’ altra parte, un luogo lontano da Carbograd, dove non c’erano industrie né gas tossici, un luogo candido, gelido e bellissimo di nome Starlight appunto, che poteva essere raggiunto una volta all’anno da una locomotiva a vapore che partiva da un binario abbandonato alla stazione di Opium Street. Erano state le ultime parole di Miserybone, prima di scomparire

 

“Il binario morto di Opium Street ti porterà dove potrai ritrovarmi…”

 

Lo aveva fatto, era andata all’annuale appuntamento senza mai scordarselo. Questa era la terza volta.

Cicatrice si apprestò a scendere dal suo scompartimento foderato di velluto porporino stracciato in vari punti, tanto che la stoffa penzolante lasciava intravedere lo scheletro metallico della carrozza passeggeri, sicuramente costruita in tempi antichi quando ancora Carbograd non era sotto il controllo della Stirpe dei Tiranni che l’avevano trasformata nell’inferno di fornaci e fumi che era diventata…

Quando avvertì il cigolio penetrante dei vecchi freni stridere, si schiacciò contro una parete ancora sana per non perdere l’equilibrio nella brusca frenata, fino a che il treno non si fermò del tutto. Solo allora la ragazza afferrò sollevandola appena un bordo della lunga gonna in tulle nero che lasciava intravedere le calze a righe verticali sorrette da un reggicalze che spuntava da corte culottes, prima di dirigersi verso l’uscita del vagone. Non c’era nessun altro a bordo.

Scese piano la scaletta e fece un piccolo salto, gli stivaletti di cuoio affondarono nella neve morbida. La panchina e il cartello che annunciava il benvenuto a Starlight erano davanti a lei al loro posto, esattamente come un anno prima. Il gelo le mozzò quasi il fiato, fiocchi bianchi le si posarono sui capelli un poco rovinati dai veleni della città e sui vestiti. Il vento inospitale sembrava poterle ferire la pelle imbrunita, eppure Cicatrice non ci pensava. Il suo sguardo da sotto i goggles era perso verso un punto indefinito della pianura, dove distingueva una macchia leggermente più scura che si agitava in mezzo a quel bianco spettrale. Il suo cuore iniziò a battere forte, un sorriso si dipinse sulle sue labbra screpolate.

Si tolse gli occhiali, li posò sulla panchina.

 

Miserybone…

 

­­­­­­­­­­­

Miserybone sapeva che la sua amata avrebbe fatto fatica a vederla in mezzo all’onnipresente neve che ricopriva Starlight. Da quando non poteva stare più a Carbograd, si era pian piano trasformata, adattandosi al paesaggio circostante. Si era convinta che quel luogo avesse una propria volontà, e che l’avesse accolta cercando di renderla totalmente parte della sua esistenza. Starlight era una pianura bianca così triste e sola… Ora che c’era lei, forse si sentiva meglio, e accettava, seppur non di buon grado, che una volta all’anno Cicatrice venisse a fare una visita. Il tempo peggiorava sempre quando stava per arrivare, ma  lo scambio era troppo equo perché Starlight rifiutasse.

Che cos’era poi Starlight? Un’entità sovrannaturale su cui Miserybone aveva ormai smesso di interrogarsi, una specie di consapevolezza che aveva interiorizzato come esistente e nulla più.

Tra tutta quella neve si confondeva perfettamente. Quando viveva a Carbograd aveva anche lei i capelli neri e sempre un poco unti tipici degli abitanti della metropoli, poi pian piano si erano schiariti e puliti, diventando bianchi, lisci e lucenti, immacolati come i vestiti che si era trovata ad indossare. L’unica punta di colore erano tre stelline nere tatuate sullo zigomo sinistro, come a ricordarle la sua origine e la terribile sventura che l’aveva portata a quello strano destino.

Come espediente per farsi trovare dalla sua amata Cicatrice utilizzò anche quella volta lo stesso degli anni passati: non appena aveva avvertito l’atmosfera di Starlight farsi più pesante e la neve sferzarle il viso con forza, aveva staccato un ramo carico di boccioli da un ciliegio rosato, uniche macchie di colore sparse qua e là, per poterlo agitare in lontananza e farsi notare.

Quando vide quella figura scura scendere dal treno, due lacrime perlacee le solcarono il viso, e iniziò a scuotere il ramo gridando il suo nome, saltando nella neve. I suoi abiti di pizzo e lustrini danzarono al vento.

“Cicatrice! Cicatrice, sono qui!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola, prima di correre avanti verso di lei per riabbracciarla.

Pian piano che si avvicinava, distingueva sempre meglio le sue forme, riconoscendola. I capelli che si scompigliavano al vento,  la pelle scura segnata da una cicatrice spessa sulla guancia destra, segno permanente dell’incidente nella Fabbrica di Bambole Meccaniche dove avevano lavorato fin dalla più tenera età. Pochi degli operai erano rimasti illesi: Ossa era rimasto intrappolato sotto una lamiera ed ora camminava grazie ad una gamba di metallo, visto che quella di carne e tendini si era incastrata in quell’inferno e i soccorsi avevano dovuto amputarla da metà coscia… Miserybone, invece, non era riuscita a scamparla…

Quando furono a pochi passi l’una dall’altra si fermarono a guardarsi, senza toccarsi. Cicatrice la fissò negli occhi, studiando quelle iridi che erano diventate sempre più chiare fino a sbiancare quasi del tutto. Era diversa dalla sua Miserybone, il suo sorriso era triste tra le labbra pallide, i suoi capelli candidi lisci e scintillanti come mai erano stati. I suoi abiti impalpabili, un corsetto di pizzo e dei pantaloni à guépière simili a reggicalze, stretti in vita da due cinture formate da strane stelle luccicanti che le pendevano su un fianco, non avevano niente che ricordasse Carbograd, o anche solo la Fabbrica di Bambole Meccaniche, l’ultimo posto che l’aveva accolta da normale essere umano.

La mano ruvida e scura di Cicatrice le sfiorò lentamente la guancia sinistra, risalendo delicatamente verso il tatuaggio sullo zigomo.

“Sei proprio tu, Misery?” chiese sottovoce.

“Sì…”

La ragazza sorrise ancora, socchiudendo gli occhi. La sua espressione pareva felice, eppure anche malinconica, come l’ombra di un ricordo lontano e appassito.

“Dammi un bacio, Cicatrice... Voglio sentire il mio cuore che batte, almeno una volta all’anno. Fammi sentire viva.”

Cicatrice prese il suo viso tra le mani, estatica. Posò delicatamente le labbra sulle sue, che sapevano di inverno. Era un contatto che entrambe ambivano da molto, troppo tempo. I loro corpi si sfiorarono in un fruscio, Miserybone lasciò cadere a terra il ramo e strinse le braccia intorno alla vita di Cicatrice, tentando di assorbirne il calore. Lei era così fredda, così vuota… Starlight aveva reso i suoi visceri gelidi come pezzi di ghiaccio. Le sue dita si strinsero, la bocca tentò di approfondire il contatto, assaggiando quella dell’altra, tanto calda da poterla sciogliere. Le loro lingue si accarezzarono piano, gentilmente.

“Mi sembra impossibile che possa essere davvero tu… Ti amo, Misery… Ho aspettato tutto questo tempo…”

Cicatrice soffiò le parole in un sussurro rovente che le lambì la pelle provocandole un’ondata di brividi. Le teneva ancora il viso tra le mani, e la fissava con occhi liquidi sotto le spesse lenti.

“Ti amo anche io… Aspettavo questo giorno dall’ultima volta che sei partita… Non è passato un giorno senza che io ti pensassi!”

Una lacrima le bagnò il viso, stillando su una gota esangue. Cicatrice se ne accorse all’istante e con un dito sporco di fuliggine la portò via dal suo viso.

“Non piangere… Non piangere, Misery… Non sono qui per vederti triste, voglio solo poterti riabbracciare!”

La ragazza si gettò tra le sue braccia, scuotendo il capo. Cicatrice la strinse a sé con tutta la forza che aveva, annusando il profumo dei suoi capelli, perdendosi nel suo affetto.

Erano passati tre anni dall’incidente e i sentimenti che le legavano l’un l’altra non erano mai cambiati. Ossa poteva non crederci, poteva chiudersi nel suo mondo disilluso e ripetere le sue litanie tristi che salmodiavano morbosamente quanto gli eventi della vita non potessero cambiare e come la Morte fosse l’ultimo traguardo che una volta varcato portava all’oblio e all’abbandono. Forse prima dell’incidente avrebbe anche potuto provare a prestare fede alla sua storia, ma ormai ciò che era accaduto alla Fabbrica lo aveva reso chiuso ad ogni genere di speranza, introverso, disincantato. Ossa era troppo adirato con il mondo per poter vedere oltre e poter credere che forse non tutti morivano, ma che semplicemente qualcuno se ne andava in un posto diverso, come era capitato a Miserybone. Magari era stato un unico straordinario caso, eppure era accaduto. Cicatrice aveva visto tutto…

Miserybone aderì completamente a lei, in una fusione disperata. Sentì la vita che palpitava in lei, e il suo cuore fino a quel momento assopito risvegliarsi.

Oh sì, il cuore di Miserybone stava battendo forte…

 

 

Cicatrice aveva la vista appannata dalle lacrime e dal fumo. Gli occhi le bruciavano, sdraiata a terra su quel pavimento rovente non riusciva a ricordare nemmeno dove si trovasse e cosa ci facesse lì. A Carbograd faceva sempre caldo, eppure le sembrava fin troppo quello che avvertiva in quei momenti… Doveva ricordare, doveva fare uno sforzo anche se la testa le stava scoppiando dal male e non riusciva quasi a muoversi. C’erano crepitii e grida che devastavano l’aria, impedendole di pensare. Che posto era quello? Cosa stava facendo? Perché sentiva quel dolore lancinante al viso?

Una mano le afferrò una gamba, artigliandola. Cicatrice si contorse di scatto per guardare indietro, le lacrime che colavano dall’angolo delle palpebre fondendosi al sangue.

Dietro di lei, il busto di suo fratello sporgeva da sotto un cumulo di lastre in metallo arrugginito e arti di Bambole Meccaniche. Il suo viso era una maschera di sofferenza disperata.

 Cicatrice non riuscì a pronunciare altro che il suo nome, in un basso miagolio.

“Ossa… Ossa…”

“Ci… Cicatrice… Scappa… Vattene, cazzo, scappa via… Salvati…”

“Ossa… Ossa, cosa…”

“Scappa… Vattene…”

La presa alla sua gamba divenne sempre più debole, fino a lasciarla del tutto. La mano dell’uomo ricadde sul pavimento.

“Ossa! Ossa, svegliati! Ossa!”

Le urla della ragazza si persero al rumore di un crollo poco più avanti. Ora si ricordava, si ricordava tutto: il turno alla Fabbrica, l’esplosione, i corpi di Miserybone e Ossa che venivano sbalzati via. Era stato un incidente…

Disperata, Cicatrice chiamò con tutte le sue forze le persone che le erano più care al mondo. Urlò il nome di suo fratello fissando la figura svenuta dietro di sé, e in seguito quello della sua anima gemella. Di Miserybone non c’era l’ombra, sembrava svanita nel nulla.

Poi, ad un certo punto, la vide. Come aveva fatto a non accorgersene? Era lì, davanti a lei… O era forse comparsa dal nulla?

Era una figura coperta di fuliggine, con i vestiti stracciati. I suoi occhi brillavano come due lucerne bianche, illuminando degli squarci da cui colavano rigagnoli di sangue appena sotto l’occhio sinistro…

“Misery…” sussurrò.

La ragazza non si mosse. No l’aveva mai vista con un’espressione tanto triste. Pareva quasi del tutto illesa, eppure qualcosa le diceva che non lo era, in realtà. Forse era solo la sua mente annebbiata dai fumi tossici, tuttavia faceva fatica a credere che fosse lei.

“Misery… Ti devi salvare… Almeno tu...”

“E’ troppo tardi. Non ci sono riuscita.”

Cicatrice rimase ammutolita. Anche la sua voce sembrava rassegnata fredda. Non riusciva a credere alle sue parole, non le comprendeva: era lì, in piedi, di fronte a lei! Com’era possibile che non fosse sopravvissuta?

“Ti prego, Misery, va’ via!”

“Salva te stessa… Salva Ossa… Io sono perduta, amore mio… Ho fatto un patto… Tra di noi non potrà più essere come prima.”

“Cosa dici? Cosa cazzo dici, Misery! Esci dalla fabbrica!”

“Piuttosto che morire, ho preferito una vita eterna in un limbo, ho accettato una proposta che è stata sottoposta a pochi… Addio, Cicatrice…”

Miserybone si voltò. La sua schiena resa visibile dai vestiti stracciati era coperta di tagli purpurei.

“Aspetta! Dove stai andando? Dove potrò vederti?”

“Il binario morto di Opium Street ti porterà dove potrai ritrovarmi…”

“Aspetta! Aspetta!”

Cicatrice vide con i suoi occhi la figura di Miserybone diventare sempre più bianca, sempre più fragile. Emise un urlo disperato quando la vide dissolversi lentamente in una polvere argentata, un colore così simile al grigio dell’acciaio, eppure molto più pulito, immacolato. Sparì senza lasciare traccia. Cicatrice non capì cos’era accaduto , rimase a gridare, urlò finché aveva fiato in gola, finché i soccorsi non estrassero dalla Fabbrica il suo corpo e quello di Ossa.

Nessuno trovò mai i resti di Miserybone nemmeno tra i cadaveri. Ossa disse che l’esplosione era stata talmente potente da dissolverla e che quello che la sorella aveva visto erano solo le fantasie di un’innamorata che negava la morte della sua amata. Per lui era solo una ragazza che pretendeva di vivere come prima dell’incidente, quando in realtà tutto era cambiato: il cadavere di Miserybone era cenere sparsa nel relitto che rimaneva della Fabbrica di Bambole Meccaniche, lei stessa era rimasta sfigurata e lui aveva perso una gamba. Quello che diceva però, le importava poco.

Ringraziò più volte un’entità sconosciuta per averle donato il dono della perseveranza. Era sicura di non aver immaginato, l’aveva vista davvero, aveva osservato le sue ferite e i suoi occhi malinconici, aveva ascoltato le sue parole già gelide come le membra dei defunti e avvertito un freddo che veniva da un altro mondo portarsela via lentamente.

Se non si fosse recata davvero alla stazione di Opium Street non avrebbe mai più avuto l’occasione di incontrare la sua amata. Forse pian piano avrebbe perso la voglia di vivere anche lei, così come era capitato a suo fratello.

 

 

Cicatrice e Miserybone sedevano una accanto all’altra in un punto indefinito della sconfinata pianura. Qualsiasi angolo di quel luogo sovrannaturale sarebbe andato bene: Starlight era tutta uguale a sé stessa, in qualsiasi punto di essa ci si trovasse.

Miserybone teneva tra le mani il ramo di ciliegio che aveva preso precedentemente. Se lo rigirava tra le dita, mentre rimaneva appoggiata al fianco dell’amata, la testa sulla sua spalla.

I boccioli avevano iniziato a dischiudersi, sciogliendo i fragili cristalli di brina che vi si erano depositati sopra. I minuti passavano inesorabili, e Starlight non permetteva eccezioni ai tempi che autonomamente stabiliva.

Cicatrice affondò il viso tra i suoi capelli, annusandone il profumo. Era così buono… Un poco le ricordava la sua Misery, quella che era vissuta con lei…

“Ti vedo una volta all’anno.” Disse “Una sola volta, eppure non ridi mai. Una volta sorridevi, Misery… Adoravo il tuo sorriso.”

“In questo posto non mi viene voglia di niente del genere.”

“Né tu qui, né Ossa a Carbograd sorridete. E’ una cosa che mi fa soffrire…”

La ragazza con i capelli bianchi sospirò profondamente, stringendosi ancora di più a lei.

“Come sta Ossa?”

“Come l’anno scorso. E’ come se ogni giorno che passa stia morendo lentamente… Prima o poi si spegnerà silenziosamente, come una candela arrivata alla fine del moccolo di cera. Ho paura che non riuscirò ad accorgermene e sarà troppo tardi.”

“Mi dispiace molto… Gli volevo bene…”

“Dopo l’incidente la nostra vita è diventata orribile. Vorrei che tutto tornasse come era una volta, quando io e te potevamo ancora avere una vita insieme e Ossa riusciva a sorridere di tanto in tanto…”

Miserybone non disse niente. Perché avrebbe dovuto parlare e ripete qualcosa che già aveva detto lei? Avrebbe voluto tornare indietro, eccome se avrebbe voluto… Forse anche solo per rivalutare la proposta che Starlight le aveva fatto alla Fabbrica al momento in cui stava morendo. Vedere una volta all’anno la sua amata era troppo poco. Aveva accettato per disperazione di fronte all’eventualità di perderla per sempre. Si era scelta una vita di condanna all’oblio e al gelo per lei…

Tutto di un tratto, lasciò andare il ramo e si gettò voltandosi, abbracciandola. Affondò il viso contro il suo seno, saggiandone la morbidezza che dal primo giorno aveva amato in lei, che aveva forme gentili e soffici.

Cicatrice rispose alla stretta con altrettanto affetto. Il solo fatto di poter restare quel poco tempo con lei le accendeva dentro una fiamma che se fosse stata liberata avrebbe sciolto perfino la stessa Starlight. Passò le mani intorno alle sue spalle stringendo il materiale impalpabile dei suo abiti. Non voleva lasciarla andare via.

“Perché non vieni via con me?” domandò con voce flebile, baciandole subito dopo il capo con sincero affetto.

“Te l’ho già detto… Non posso andare via da qui… Starlight non me lo permetterebbe mai…”

Cicatrice avvertì la rabbia ribollire nelle sue viscere, tanto che le membra le tremarono. L’altra giovane, accorgendosi di ciò,  sciolse la stretta e rialzando il busto la fissò negli occhi. C’era un lampo di furia in quelle iridi scure come carbone. La sensazione di impotenza di fronte agli avvenimenti era qualcosa che evidentemente non riusciva ad accettare. Poteva essere una cosa così semplice tornare assieme indietro, perché mai non avrebbe dovuto funzionare? Non riusciva a capire, Cicatrice… Perché Miserybone accettava di vivere lì senza di lei, rassegnandosi? Già, rassegnandosi… Tutti intorno a lei sembravano vivere, anzi, sopravvivere in quel modo assurdo:  la sua Misery nella completa solitudine in quell’oblio bianco e senza tempo, e Ossa intrappolato in una tristezza apatica, aspettando con amarezza il momento in cui il suo cuore si fosse fermato per sempre. 

“Parli come se Starlight fosse un essere vivente!” ringhiò “Come se fosse una persona, anzi, una divinità a cui devi obbedire come un suddito fedele! Questo è solo un luogo, Misery! Una pianura battuta dal vento! Perché non prendi il treno con me? Torniamo insieme a Carbograd, oppure rimaniamo qui entrambe! A me piace questo posto, tutto sommato!”

“Non capisci… Tu non sai niente di Starlight…”

Un tempo probabilmente Miserybone si sarebbe arrabbiata. Avrebbe alzato la voce, avrebbe urlato, magari pestato i piedi con fare infantile, prima di elemosinare le scuse di Cicatrice, che nel frattempo avrebbe avuto il tempo di valutare il punto di vista della compagna, scoprendo i propri torti e dispiacendosi. Invece, la ragazza si limitò a continuare a fissarla con sguardo intristito, gli angoli delle palpebre che parevano minacciare di stillare piccole lacrime cristalline.

“Starlight è molto più di una pianura… Tutto quello che compone questo posto fa parte di lei. Io stessa sono ormai un suo frammento. Guardami…”

Cicatrice prese delicatamente tra le dita una ciocca dei suoi capelli. Erano soffici, leggeri, parevano brillare di candida lucentezza. Non avevano più niente che ricordasse  quelli della vecchia Miserybone, castani e sempre mal pettinati.

“E’ stata… Lei  a farti diventare così?”  

“Sì. Mi ha voluta con sé per spezzare la sua eterna monotonia.”

“Lo sai che non voglio dividerti con niente e nessuno.”

“Nemmeno lei vorrebbe, però ha avuto compassione e mi permette di vederti in questo giorno…”

“E’ ingiusto.”

“Che cosa è giusto a questo mondo, Cicatrice?”

A questa domanda, non rispose. Miserybone l’aveva spiazzata vista la calma con cui aveva rivelato quella triste verità. No, Cicatrice non poteva farci niente, quel che era successo in passato non poteva essere cambiato, anche se era stato un incidente, anche se aveva rovinato la vita di tante persone che avevano lavorato alla Fabbrica…

“Vieni qui.”

La ragazza con i capelli corvini allargò le braccia, e una sferzata di vento gelido le colpì il viso. Era stato un vero e proprio schiaffo, ma non ci fece quasi caso…

 

Starlight può arrabbiarsi quanto le pare… Misery non sarà mai completamente sua.

 

L’altra si riavvicinò con il busto, tanto che Cicatrice poté osservare ogni dettagli della sua pelle liscia e di quello strano tatuaggio, fino a che il trasporto dei propri sentimenti non la costrinse a chiudere gli occhi, non appena le labbra sfiorarono quelle di Miserybone, schiudendosi appena.  Ne assaggiò la freschezza accarezzandole con la lingua, una mano a tenerle il viso e l’altra stretta attorno al suo fianco snello, forse fin troppo rispetto a quello che ricordava di lei.

“Ti amo…” le sussurrò.

Accanto a loro, i fiori di ciliegio si tramutarono in fretta da maturi e rosa a pallidi amassi di petali secchi e incartapecoriti. Un paio di loro si staccarono, volando tra i fischi acuti del vento tagliente.

Come colpita da una frustata, Miserybone si staccò da lei, portandosi una mano alla bocca, spaventata. Si guardò febbrilmente attorno, a destra e poi a sinistra, pettinandosi le lunghe ciocche candide con le dita lunghe e curate. Aveva paura. Il suo cuore batteva all’impazzata dentro la gabbia toracica, quasi avesse potuto sfondarla e fuggire via senza un corpo, macchiando quelle candide vesti di scarlatto… Il cuore… Miserybone era morta, eppure quello funzionava ancora, arrugginito dagli anni, come uno dei macchinari delle tante fabbriche nere di Carbograd, sostenuto dall’amore che provava per Cicatrice e al dono di Starlight… Dono che forse avrebbe potuto essere chiamato “maledizione”.

Le prese di colpo i polsi e li strinse con una forza effimera, quasi nulla.

“Devi andare via!” gridò “Starlight è molto arrabbiata… Pensa che la tua visita debba terminare adesso! Guarda i fiori!”

Con un cenno del capo indicò verso il ramo appoggiato tra la neve. Cicatrice si voltò e una maschera di stupore si dipinse sul suo viso scarificato.

I fiori… I fiori erano spariti tutti, lasciando solo i pistilli rinsecchiti ondeggiare nei vortici di vento. Il tempo era scaduto, quello era sempre stato il segnale.

Non se lo seppe spiegare, Cicatrice. La sua mente si lasciò trascinare nei turbinii dell’istinto, presa dal panico. Non voleva perderla così in fretta, non poteva lasciarla lì, e ricominciare un nuovo anno di attesa angosciante. Era durato troppo poco. Miserybone doveva stare con lei, era il loro destino…

Si alzò di scatto in piedi, risoluta, combattendo contro la furia di Starlight, afferrando e tirando con sé il braccio della sua amata.

“Devi venire con me. Torniamo a Carbograd.”

“Ti ho detto che è impossibile!”

“Non puoi saperlo se non ci hai mai provato!”

Cicatrice urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Miserybone fu costretta ad abbassare lo sguardo e ad annuire, nonostante sapesse che non sarebbe andato a buon fine, quel tentativo, se lo sentiva dentro… Per la sua Cicatrice, però, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Era pronta ad un nuovo sacrificio, se fosse stato necessario. Sfidare Starlight era una follia…

“Andrà tutto bene!”

Risollevando il volto, vide che quello dell’altra aveva cambiato espressione, diventando più rassicurante. Si era sicuramente pentita di aver gridato contro di lei, ora che era diventata fragile come un cristallo.

“Ci proverò, amore…”

Miserybone si strinse di nuovo a lei, chiudendo gli occhi.

Il lungo bacio che seguì il loro abbraccio sarebbe rimasto impresso nella memoria immortale di quella distesa bianca senza spazio e tempo per tutto il resto della sua eternità…

 

­

Miserybone rimaneva stretta contro il fianco di fianco di Cicatrice, sulla carrozza malridotta di quello strano e rumoroso treno a vapore. La cingeva con entrambe le braccia, il viso che di tanto in tanto si alzava a fissare quello dell’altra, sorridendo un poco. Si sentiva stranamente elettrizzata, eppure era perfettamente consapevole che la loro non era altro che una pazzia senza senso.

Cicatrice al contrario sembrava rapita da pensieri trionfanti. La bocca tirata in una piega gioiosa, teneva un braccio attono al collo della compagna, sussurrandole frasi di conforto, le quali si perdevano tra lo stridio del ferro che avanzava sulle rotaie. Erano forse più per rassicurare sé stessa che Miserybone, se ne rendeva pienamente conto.

 

Andrà tutto bene, Misery… Torneremo assieme a Carbograd, tutto sarà come prima, come se nulla fosse accaduto… Saremo felici finalmente, libere di amarci ogni giorno senza dover attendere mai più.

 

Il vento sembrava essersi calmato rispetto agli istanti precedenti. Quando si erano dirette verso la panchina, infuriava talmente forte da poter quasi trascinarle via. La neve aveva vorticato con una forza tale da pungere loro i visi con inaudita violenza, e solo all’interno del treno avevano trovato un riparo.

Ora ancora si poteva distinguere il suo ululato di frustrazione sempre più lontano e debole.

Cicatrice si sentì potente come non lo era mai stata. Aveva la vittoria in pugno, aveva sconfitto Starlight, un’entità, una Dea. Non aveva mai fatto niente di troppo significativo nella sua mediocre vita da operaia alla Fabbrica di Bambole Meccaniche, e ora questo…Già nell’aria si insinuavano i vapori dalla consistenza quasi metallica che provenivano da Carbograd, e nel frattempo la neve stava sparendo. Sarebbe tornata a casa con Miserybone tra le braccia, l’avrebbe coccolata, baciata, protetta, tenuta teneramente con sé come un gioiello dal valore inestimabile, non si sarebbero separate mai più…

Se solo non avesse iniziato a dissolversi…

Avvertì la sua pelle disfarsi lentamente tra le dita, i suoi occhi chiari disperati la fissavano con pena immensa. Perle scintillanti scivolarono dalle sue ciglia, lacrime bianche e irreali.

“Mi dispiace, tesoro mio… mi dispiace tanto… Starlight… Mi vuole indietro.”

La vide diventare sempre più impalpabile, impossibile da tenere stretta, nonostante Cicatrice ci provasse con tutta sé stessa, piangesse e urlasse di non lasciarla, di non andarsene perché non poteva stare ancora lontano da lei.

Le sue grida  angoscianti si persero in quel vagone freddo e vuoto, mentre una polvere luccicante, ciò che restava per la seconda volta della sua amata, filtrava tra gli spifferi di quella carcassa a vapore e tornava al luogo in cui avrebbe dovuto vivere, per fortuna o maledizione, per il resto dell’eternità.

Cicatrice rimase di nuovo sola, mentre tornava alla sua tetra città grigia di ceneri, e con le lacrime che le solcavano guance pensò che nemmeno era riuscita dire un ultimo “ti amo” alla ragazza che fino alla sua morte avrebbe occupato la porzione più grande del suo cuore.

 

­

Ossa aveva avuto il terribile timore che sua sorella quella volta non si sarebbe più svegliata. Aveva avuto paura, aveva pianto silenziosamente, pregando quel corpo che sembrava tanto vuoto di non lasciarlo solo. Ossa non aveva mai provato tanto terrore di fronte all’eventualità di essere abbandonato.  

 

E’ finita - si era detto – Se ne è andata sul serio. Sapevo che sarebbe successo prima o poi, ormai le sento queste cose.

 

Quando si era trovato davanti quegli occhi neri spalancati e quella figura seduta tra le coperte, quasi gli era venuto un collasso.  Non sapeva cosa fare, né cosa dire. Si ritrovò a fissarla tremando, gli occhi liquidi e neri immobili,  i capelli oleosi che ricadevano fin sulle sue spalle e gli coprivano metà viso, le mani che torturavano il bordo di una vecchia t-shirt ingrigita e strappata in più punti.

Forse il suo era solo imbarazzo… Imbarazzo per cosa, poi? Non sapeva spiegarselo, l’unica cosa di cui era certo era che si sentiva terribilmente a disagio. Forse era per aver provato tutta quell’angoscia di fronte all’eventualità di averla persa. Non riusciva nemmeno a fissarle il volto.

“Ti… Ti sei svegliata, finalmente.” Balbettò guardando in basso, tentando di rimanere atono e di non tradire la sua apprensione.

Cicatrice sbatté un paio di volte le palpebre un po’ incollate, come se avesse solo passato una lunga notte a dormire, anche se, ne era certa, non aveva dormito affatto. Era andata a trovare Miserybone, era quasi riuscita a portarla indietro… Aveva fallito, miseramente fallito.

“Miserybone… Ero quasi riuscita a portarla qui…” disse semplicemente.

“Stavi dormendo.”

“Smettila, Ossa! Sai che odio quando parli così!”

La voce furiosa della sorella colpì l’uomo come un pugno. Era sempre così, parlare di quell’argomento era diventato un continuo litigio. Perché si ostinava a credere che Miserybone fosse ancora viva? Non riusciva a comprendere. Era morta, morta, morta… Solo morta. Probabilmente era solo una pazza. Peccato che lui amasse quella povera illusa con tutto l’affetto che un fratello maggiore potesse dare. Era la sua unica parente, erano cresciuti assieme fin dalla più tenera età, l’aveva sempre protetta dai pericoli… Tutto quel sentimento non riusciva a dimostrarlo pienamente, tuttavia dopo sua moglie, i suoi pensieri erano tutti per lei.

Ossa avanzò verso Cicatrice con il suo tipico passo claudicante, trascinando un po’ la gamba protesica.

“Non importa dove sei stata. Mi sei mancata comunque.”

Cicatrice rimase inebetita, le mani in grembo. Incredula alle parole dell’altro, che di solito si dimostrava così freddo, aprì le braccia, aspettando pazientemente che giungesse fino a lei.

“Abbracciami.”

Quando lo strinse forte, pensò anche a Miserybone. Fu come se la ragazza fosse sempre stata lì con loro. Anche se così lontana, non avebbe mai smesso di cercarla, in quell’unico magico giorno dell’anno, finché non sarebbe morta.

  Fine

 

Dedicata a Lisa.

Ti amo, piccola,

sei sempre nei miei pensieri.­­­

 

­­­­­

-Note finali:

·         Cicatrice: Incarna il personaggio di Hikoboshi nella leggenda originale, ovvero la stella Altair. Rappresenta la figura umana innamorata, che nonostante abiti in un mondo di fabbriche e macchinari, dove la personalità viene quasi annullata, cerca in tutti i modi di reagire, di non arrendersi, incapace di accettare la realtà tetra che la circonda e ricercando almeno una parte della piccola felicità che provava in passato. Essendo la Cicatrice un segno di un trauma passato, ho deciso di darle questo nome per suggerire l’idea di un personaggio che è rimasto profondamente ferito nell’animo dall’avvenimento che le ha quasi distrutto la vita, e che l’ha profondamente cambiata, l’incidente alla Fabbrica di Bambole Meccaniche.

 

·         Miserybone: E’ la stella Vega e la dea Orihime nella leggenda originale. Il suo nome è composto dalla parola “Misery” che definisce la perenne tristezza che la caratterizza, e “Bone” che la caratterizza come un ricordo lontano di una vita passata, un osso, per l’appunto. La sua accondiscenda, il suo accettare la propria situazione la rende completamente diversa da Cicatrice, combattiva ed energica. Anche le sue fattezze, bianche ed impalpabili, suggeriscono l’idea di un personaggio molto più debole, anche se coraggioso e saggio in alcune scelte compiute.

 

·         Ossa: Anche il nome del fratello di Cicatrice suggerisce un’idea di appartenenza al passato. Ossa è un “relitto”, un personaggio disilluso e incapace di provare speranze, materialista, eppure anche affettuoso per certi versi. Cerca di proteggere la sorella dal quelli che considera solo dei vaneggiamenti e incapacità di accettare la realtà. E’ un personaggio che può essere definito marcato da una qualche connotazione di ateismo (http://it.wikipedia.org/wiki/Ateismo), in quanto non è in grado, dopo l’incidente che ha portato via quasi tutto ciò a cui teneva, di credere a qualche forma spirituale di natura ignota come Starlight, o al ritorno di Miserybone come parte stessa di Starlight dopo la sua apparente morte.

 

·         Carbograd: La città dei protagonisti è una futuristica metropoli Steampunk, che però è anche marcata da forti connotazioni Industrial per la sua meccanicità alienante. Gli esseri umani che la abitano sembrano far parte della stessa serie di ingranaggi che la compone, e vivono lavorando perennemente nelle fabbriche. L’idea che volevo dare era quella di un grande formicaio brulicante, dove il pensiero collettivo è finalizzato unicamente ad un lontano bene comune, istituito da un Tiranno (citato in un punto della storia). Il suo nome è composto da un suffisso “Carbo” che ricorda il carbone con cui funzionano le fabbriche della città e da “Grad”, la parola russa che sta per “città”. E’ il luogo dove la scorre la vita, in continuo movimento, ma sempre uguale a sé stessa, completamente opposto a Starlight.

 

·         Starlight: E’ la rappresentazione del padre della dea Orihime, che era contrario alla sua unione con l’umano Higurashi. E’ sostanzialmente l’opposto di Carbograd, il luogo in cui vivono gli esseri umani, ed è raffigurata come una distesa bianca e coperta di neve tra cui però sono presenti alberi di ciliegio, ma in realtà tutto ciò che si trova al suo interno fa parte della sua stessa entità. Starlight è una presenza superiore, una dea capricciosa e dispotica nei confronti di Miserybone, che ha assorbito proponendole di sfuggire ad una vera morte e che non vuole dividere con nessun altro.

 

·         La Fabbrica di Bambole Meccaniche: Una delle tante fabbriche di Carbograd. Ho optato proprio per le Bambole Meccaniche, poiché mi sembravano oggetti inutili, e quindi far apparire la morte e la disperazione dei personaggi causate da un’industria totalmente priva di senso ancora più inutili.

 

 

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: RedLolly