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Autore: Back To Vegas Skies    11/05/2011    2 recensioni
Gabe era arrabbiato. Arrabbiato con William, perché era così dannatamente perfetto, arrabbiato con se stesso, perché non riusciva a fare a meno di sentirsi attratto da lui e di essere geloso delle persone che gli stavano vicine più del dovuto, era addirittura arrabbiato con Pete, perché, cacchio, era colpa sua se lo aveva conosciuto!
Non voleva finire per innamorarsi di William, era veramente troppo per lui e sapeva che ne sarebbe uscito solo ferito.
[GabeXWilliam]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Cobra Starship, The Academy Is
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Non conosco nessuna delle persone di cui parlo (porca miseria, se li conoscessi ora sarei con loro, mica a scrivere fanfiction! xD). 

La storia è legata ad una canzone dei Cobra Starship, 'The World Has Is Shine (But I Would Drop It On A Dime)', che, semmai non la conosceste, vi consiglio vivamente di ascoltare, perchè è veramente molto bella. 
Per ora il legame con la canzone non è molto chiaro, ma lo sarà nel prossimo capitolo ;)
 
Non sarà una storia molto lunga, perché sono un’incapace con le long-fic (Y), e sicuramente non ci saranno scene molto esplicite, perché sono un’incapace anche con quelle *fpalm.
 
Okay, ora leggete, e ditemi cosa ne pensate!


p.s. Gabe e
William.

And I want you more than you could ever know.

 


"I'm not one for lovesongs"


Erano un paio di giorni che lo osservava.
Gabe non sapeva spiegarsi come, ma ogni volta che William entrava in una stanza, non poteva fare a meno di guardarlo e di odiare il modo in cui camminava attirando l’attenzione o di come i jeans stretti gli fasciassero le gambe lunghissime o il modo in cui la sua voce fosse diversa quando si rivolgeva a lui.
Gli dava sui nervi. Gli dava sui nervi il modo in cui riusciva a stregare tutti, gli dava sui nervi il fatto che gli facesse quegli sguardi strani. In realtà la cosa che gli dava sui nervi più di tutto era il fatto che William avesse stregato anche lui e soprattutto che quegli sguardi strani gli piacevano (mani sudate e brividi compresi).
 

*  *  * 

 
- No, Pat! Io non sono uno fatto per le canzoni d’amore! – Piagnucolò Gabe, accartocciando l’ennesimo foglio e lanciandolo nel cestino ormai strapieno. 
- Ma in un album che si rispetti almeno una deve esserci! – replicò il biondo, con l’aria di chi la sa lunga.
- Davvero, non so nemmeno da dove iniziare. – Sospirò sconsolato.
- Non è difficile, - riprese Patrick – devi solo… Pensare a quello che provi quando ami qualcuno. Vedi, io, ad esempio, penso a quel cazzone di Pete e, boom, i testi nascono da soli.
Gabe gli sorrise. Avrebbe voluto amare anche lui qualcuno come Patrick amava Pete. Non gli importava che fosse stato una donna o un uomo, gli bastava solo qualcuno da amare e da proteggere.
Era più di una settimana che cercava di buttare giù quel pezzo, di mettere insieme le parole, ma tutto ciò che riusciva a comporre erano solo frasi che lo facevano somigliare ad un disperato depresso. Forse lo era.
 

*  *  *

 
La sera del 5 giugno, come ogni anno, bussò alla porta della grande villa di Pete. La musica già suonava alta dall’interno, e Gabe stava aspettando inutilmente da diversi minuti, sperando di essere sentito da qualcuno, finché una voce non lo fece sobbalzare.
- Ti conviene entrare dalla porta sul retro, Pete la lascia sempre aperta.
Si voltò di scatto e vide un ragazzo alto e magro che gli sorrideva. Il viso, incorniciato da capelli castani un po’ disordinati, era straordinariamente dolce e bello, gli occhi, nonostante ci fosse poca luce, sembravano scintillare.
- Oh, ciao William. – disse Gabe, sforzandosi di ricordare quanto gli stesse antipatico.
- Sei carino in viola – continuò il più alto, indicando la t-shirt dell’altro, continuando a sorridere.
- Ma io mi vesto sempre di viola. – rispose Gabe, cercando di essere il più distaccato e freddo possibile.
- Appunto. – concluse William.
Gabe arrossì violentemente, sgranando gli occhi.
- G-grazie, William. – riuscì a balbettare, mentre quasi correva verso la porta posteriore.
- Ah, Gabe!
Si fermò di scatto e si voltò.
- Si?
- Chiamami Bill, okay?
Gabe sorrise e annuì, poi si voltò e camminò, stavolta lentamente, verso la porta sul retro.
 

*  *  *

 
- Buon compleanno Pete! – gridò Gabe, abbracciando il festeggiato.
- Grazie, piccino! – gli sorrise lui, stringendolo.
- Coglione, abbiamo la stessa età! – rise, lasciando la presa.
- Sarai sempre il mio piccolo Gabriel Eduardo! – concluse Pete, schioccandogli un sonoro bacio sulla bocca e scatenando le risate di tutti (tranne che di Patrick).
William, che era appena entrato, abbracciò Pete a sua volta senza staccare gli occhi da dosso a Gabe, che si sentì nuovamente avvampare.
 

*  *  *  *  *
 

 

Non sapeva perché gli stesse antipatico, né tantomeno perché con lui Gabe fosse così dannatamente distaccato.
Eppure era sempre stato gentile con lui, gli aveva pure detto che era carino, che diamine!
Però poi gli aveva sorriso.
William sorrise a sua volta, ripensandoci, e abbassò lo sguardo sul suo drink.
Ricordò la prima volta che lo aveva visto. Era seduto sul divano del grande salotto di Pete, mentre cullava il piccolo Bronx. Aveva un’espressione così dolce mentre sorrideva al bambino e gli stringeva le manine paffute, che William aveva avuto un tuffo al cuore. Gli sfiorava il visino sussurrandogli delle parole strane, forse era spagnolo, provando a farlo addormentare.
Pete lo aveva salutato con la mano e gli aveva fatto cenno di stare in silenzio. Poi aveva detto sottovoce:
- Gabe è un portento con i bambini! È l’unico che riesce a far dormire quella peste senza avere la voglia di dargli una botta in testa!
William, troppo preso dalla scena, non aveva risposto; si era limitato ad annuire e continuare ad ascoltare quelle parole cadenzate che gli sembravano un incantesimo.
Non ricordava bene il resto, ma da quel giorno era andato a casa di Pete sempre più spesso, sperando di incontrarlo ancora.
Ma più gli stava intorno, più vedeva che con lui Gabe era diverso: non era simpatico e spigliato come con gli altri, ma silenzioso e a volte anche sgarbato, gli rispondeva a monosillabi e William aveva la sensazione che spesso cercasse di evitarlo.
 

*  *  *

 
Il giorno dopo la festa, la casa di Pete era devastata: residui di cibo e bevande ovunque, gente mezza nuda addormentata negli angoli più remoti, mobili semidistrutti, macchie e sporcizia sulle pareti. William aveva bevuto un po’ troppo, cercando di fare colpo su Gabe (che lo aveva completamente ignorato), e il risultato era stato solo un gran mal di testa e una nuova delusione. Forse non era stata una buona idea quella di ballare su un tavolo senza la maglietta. Si alzò dal letto sul quale si era buttato, strofinandosi gli occhi.
Trovò Pete che girovagava per la casa, con una tazza di caffé, cercando qualcosa di commestibile.
- ‘Giorno.
- Mh. – fu l’unica risposta che ricevette.
- Pete io ti…vorrei chiedere una cosa. Sempre se sei nelle condizioni di rispondermi – disse William, imbarazzato.
Pete sorrise e annuì, sedendosi al tavolo della cucina.
- Io…oh, ehm. Volevo chiederti se… insomma… - William era arrossito e teneva gli occhi bassi.
L’altro sbuffò spazientito, poi disse:
- Su, dimmi. Su chi hai messo gli occhi?
William arrossì ancora più violentemente, e lo guardò sconsolato.
Pete continuò:
- Mh, fammi indovinare. La biondina con l’abitino verde che ti è stata addosso tutta la sera? Oppure la sua amica, quella con le tette giganti? – Rise, guardandolo.
- No, no! Niente tette! – disse William, quasi scandalizzato – È Gabe. – concluse, così a bassa voce che l’altro lo sentì appena.
Pete gli sorrise, poi si alzò e corse ad abbracciarlo.
- Non potevi scegliere di meglio! Sarete stupendi insieme! Oh mio Dio, aspetta che lo venga a sapere Pat! – urlicchiò, stritolandolo.
William ricambiò l’abbraccio, ma oltre alla sua approvazione, aveva bisogno anche di sapere altro.
- Io… Pete lui è così…meraviglioso! Io faccio di tutto per attirare la sua attenzione, ma lui continua ad ignorarmi, senza degnarmi di uno sguardo! Perché? Cos’ho di male? È perché sono un ragazzo? Dimmelo Pete, almeno mi metto l’anima in pace! – si sfogò William, che da tempo desiderava rivelare all’amico ciò che sentiva.
- Tu non hai proprio niente di male! Cerca solo di fare in modo che ti conosca meglio. Sono sicuro che sarà pazzo di te! – gli sorrise Pete, accarezzandogli la guancia.

 

*  *  *  *  *

 


Lo spettacolo di William che ballava seminudo su un tavolo, (oltre che a fargli seccare la bocca e provare brividi lungo la schiena), era servito a ricordargli il perché gli stesse così antipatico.
Odiava quella sua mania da checca di stare continuamente al centro dell’attenzione!
Pensò alla figura da cretino che aveva fatto la sera prima, quando era quasi fuggito ed era arrossito come un coglione quando William gli aveva fatto quello stupido complimento sulla sua stupida maglietta.
Sicuramente faceva così con tutti.
Gabe era arrabbiato. Arrabbiato con William, perché era così dannatamente perfetto, arrabbiato con se stesso, perché non riusciva a fare a meno di sentirsi attratto da lui e di essere geloso delle persone che gli stavano vicine più del dovuto, era addirittura arrabbiato con Pete, perché, cacchio, era colpa sua se lo aveva conosciuto!
Non voleva finire per innamorarsi di William, era veramente troppo per lui e sapeva che ne sarebbe uscito solo ferito.
Così se n’era tornato a casa, bofonchiando una scusa improbabile, appena a metà della festa.
Non voleva vederlo più, voleva cancellare dalla sua memoria quel volto bellissimo e quei sorrisi che gli facevano tremare le gambe.

 

*  *  *

   
 
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