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Autore: Ella_Sella_Lella    13/05/2011    5 recensioni
Percy viene "incastrato" in una "misteriosa" (Anche per lui) missione dalla Divina Artemide.
Aiutato da una profezia, come sempre poco chiara.
Una fidanzata "troppo" sveglia, un cugino con un "Pass" per l'oltretomba.
Quattro abigue divinità minori.
Una sala da tè, nel cui retro c'è il Servizio Cliente dell'Ermes Express.
Sogni che riguardano un gigante ed un cane splendente.
Ed una costellazione che ha la forma di una macchina per il caffè. Che nasconde in realtà un "tragico(mico fore un po')" amore.
Ma perchè?
*
Buona lettura
Baci baci
EsL
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avventure scolastiche

Titolo:  Percy Jackson e  La Costellazione della Macchinetta del Caffè
Titolo del Capitolo: Galeotto fu l’invito e chi lo (ri)chiese
Fandom: Percy Jackson
Personaggi: Percy Jackson, Artemide, (Presenti: Sally Jackson e due sconosciuti)
Genere:  Sentimentale, comico, Avventura
Rating: Giallo (Prevenire meglio che curare, ma penso mi manterrò sul verde)
Avvertimenti: What if
Conteggio Parole: 1406
Note: 1. Pur troppo non è betata

2. Il senso di questa ff è sconosciuto persino a me …

3. La coppia Clou (Si può dire?) è … Inaspettata … Neanche un po’ …

4. C’è un mito, di cui ho scelto solo una versione, molto bello e mi chiedo perché RR l’abbia totalmente ignorato.

5. Perché la storia ha un titolo tanto idiota? Avete mai dato un’occhiata alla costellazioni? C’è ne una che sembra una macchinetta per il caffè, non vi dico qual è, perché è il fulcro di questa ff.

6. Trovare un genere a questa ff è stato assurdo come un avvertimento. Diciamo che è ambientato dopo il quinto libro … :9 (Volutamente 9)

 

Buona lettura …

 

 

Galeotto fu l’invito e chi lo (ri)chiese

 

Non capitava spesso che qualcuno che si dicesse un’amica di scuola di Percy suonasse alla porta della loro casa e questo Sally lo sapeva. Percy non aveva amiche, escludendo Annabeth, Thalia e Clarisse, che lei conoscesse, figuriamoci a scuola, dove suo figlio non aveva neanche uno straccio di amico e se poi l’aveva, si rivelava qualche strana creatura, tipo un satiro o un ciclope o un  oracolo. Dunque non sapeva come comportarsi, le aveva aperto ma subito aveva avvertito suo figlio. Percy si era piazzato accanto alla porta, con vortice, nella forma di una penna stretta tra le mani, Sally era dietro la porta che guardava dallo spioncino.

Sul pianerottolo c’era una ragazzina dai capelli ramati, il volto dolce, quasi divino, ma in qualche modo severo, gli occhi  quasi miele, da sembrare stelle lucenti, era piccola, poteva avere massi tredici anni e continuava a dondolarsi sull’uscio aspettando che qualcuno le aprisse. Sally la descrisse al figlio, “Ne sei sicura?” chiese Percy, stringendo di più vortice, aveva conosciuto una sola persona che corrispondeva a quella descrizione, ma non poteva essere lei, perché non avrebbe avuto senso. “Si” rispose Sally, prima di avere il consenso del figlio ad aprire la porta, la ragazza era ancora lì, continuando a ciondolare la davanti, si era lei, Percy non avrebbe dimenticato mai un volto tanto importante, la ragazzina si riscosse dai suoi pensieri guardando madre e figlio che la guardavano.

“Entri, tesoro?” chiese dolce Sally, Percy guardò la ragazzina, “Certo signora Jackson” rispose,  la ragazza si spostò ed in modo regale la ragazzina dai capelli ramati si accomodò. “Vuoi dei biscotti?” chiese ancora la donna, la fanciulla declinò di grazia e Percy convinse la madre ad andare in cucina, mentre loro si sarebbero diretti in salotto. “È molto gentile tua madre” constatò la ragazzina, Percy deglutì, non riusciva proprio a capire cosa ci facesse Lei lì.

Si stabilirono in salotto, Percy adocchiò il divano, ma quando notò che la ragazzina non era intenzionata a sedersi, non lo fece neanche lui, per non sembrare irrispettoso e per non infastidirla, temendo di ritrovarsi trasformato in qualcosa di sconveniente, tipo un Jacklope. “Come mai è qui Divina Artemide?” chiese Percy, con gli occhi bassi, la giovane dea lo guardò, poi si lasciò cadere sul divano, puntando le mani strette sulle ginocchia nude, “Siediti Eroe”  impartì poi, con un tono con ammetteva repliche, ma che nascondeva un comando a fin di bene, come se quello che avrebbe detto poi, sarebbe stato più facile da affrontare se Percy fosse stato già seduto su una superficie morbida.

Artemide, la dea della caccia e della luna, era ancora seduta sul divano, il suo braccio era attaccato a quello del figlio di Poseidone che nervosamente guardava il salotto della sua casa che per la prima volta gli sembrava così angusta. Sally fece capolinea in salotto con un vassoio con dei dolcetti blu e due bicchieri d’acqua, “Se vi venisse fame ragazzi” si giustificò, andando via, senza scollare gli occhi dalla nuova venuta, con una profonda curiosità, Sally lo percepiva che non era umana, la foschia non l’ingannava ed Artemide l’aveva capito.

“Eroe, devo farti una richiesta” cominciò Artemide, Percy annui e si mise ad ascoltare, non contraddire mai gli dei, specialmente quella che odiava i maschi, se bene considerasse Percy un uomo e questo lo faceva sentire davvero importante, a quattordici anni, Artemide l’aveva chiamato uomo, perché aveva avuto la forza e il coraggio di sorreggere il cielo, “Mi dica” concesse alla fine, la dea si voltò verso di lui, con uno sguardo intenso, sembrava diversa, come se per la prima volta non fosse la dea della caccia, ma solo della luna, o magari neanche quello. Era come se fosse una semplice ragazza, i suoi occhi esprimevano sensazione, Percy non capiva quale, anche perché era già abbastanza sconvolto dal fatto che Artemide non sembrasse di marmo, ma sembrasse viva. “Una richiesta privata” aveva poi aggiuntò, strinse i pugni, rischiando di conficcarsi le unghia nella care, “Di cui non dovrai far parola con nessuno. Particolarmente le cacciatrici” aveva terminato, il suo voltò era tornato una lastra senza emozioni, come se finalmente fosse tornata ad essere l’impassibile dea che cacciava per le selve.

“Ehm … Cosa dovrei fare?” chiese Percy, sentendosi improvvisamente a disaggio, era teso come una corda di violino ed il suddetto violino era nelle mani di Artemide che nel suo non fare nulla e restare in assoluto silenzio era come se di divertisse a pizzicarlo con l’archetto, nell’attesa di cominciare il brano migliore dell’opera che stavano interpretando. Artemide si voltò di nuovo verso l’eroe, intrecciò le proprie dita e roteò i pollici tra loro, “Te lo farò sapere!” concluse alla fine la dea vergine, alzandosi dal divano, si avvicinò al tavolo ed alla fine prese un biscottò, “Blu?” aggrottò le sopraciglia, Percy annui, Artemide curvò appena le labbra in un sorriso, che a Percy pareva raccapricciante, ma che sarebbe dovuto essere dolce. Addentò il biscotto, salutò Percy schiva, quasi che la sua presenza nei dintorni del ragazzo fosse una schifa concessione e non che fosse lei che era andato a cercarlo, andò via, salutando ovviamente prima Sally.

Percy rimase nel soggiorno chiedendosi quale incarico richiedeva la sua presenza per la divina Artemide?

Ci pensò tutta la notte, mentre sbirciava dall’angolo della finestra, le poche stelle che si vedevano sul cielo di Manhattan.  La dea gli era sembrata così poco lei, così fragile, così umana, così fanciulla. Non diversa da una tredicenne afflitta da un ricordo forse doloroso, che le premeva sulla bocca dello stomaco. C’era stato qualcosa di profondamente diverso in lei. Qualcosa di sbagliato. Aveva deciso si sarebbe lanciato in quella missione, solo per tornare a vedere il volto di Artemide rigido, che si imboniva solo quando parlava con le sue cacciatrici, voleva rivedere la determinazione ardere in un corpo al limiti nell’atto di sorreggere il cielo e non quella gracile  Dea che era stata seduta sul divano con lui.

Socchiuse gli occhi. Si addormentò.

Il mare era un’intensa distesa desolata. Percy si era guardato attorno per capire dove fosse, c’era solo acqua, anche lui era sul l’acqua, indossava un chitone bianco corto, una clamide sbiadita. Poi si era accorto che al suo fianco vi era un cane splendente. Si era guardato allungo intorno, poi aveva ripreso a camminare in una direzione imprecisa, era lì che passeggiava sulla superficie dell’oceano come fosse stata una qualunque via, le onde si increspavano appena sui piedi nudi, al suo seguito c’era il cane, ma  Percy continuava a camminare. 

Era lui e non era lui. Sapeva di essere Percy Jackson, ma quelle azioni erano già programmate, già svolte, già avvenute, non era la prima volta che gli capitava di ritrovarsi nel passato, in un preciso momento, in un corpo specifico. Doveva semplicemente lasciar correre. Aveva continuato per la strada di gocce, fino a che non era sorta all’orizzonte un isola dalle coste d’avorio e un bosco intriso di nero, si erano fermati entrambi a guardare le coste, poi le avevano raggiunte. E solo quando aveva sentito la sabbia sotto i piedi, Percy aveva realizzato quanto fosse immenso, anche il cane era enorme, erano due giganti. 

“Voi chi siete?” urlò, quasi di battaglia, una freccia d’argento si conficcò a pochi centimetri dai suoi piedi, una ragazza uscì dalla foresta, la più bella fanciulla che lui avesse mai veduto, non per Percy ma per il padrone di quel corpo, a cui vennero alla mente altri due volti, ma quella donna, forse ancora un po’ bambina, era divina, di certo non poteva essere una mortale, forse una musa o una ninfa? No Doveva essere per forza una dea, anzi La dea. Forse era Afrodite? No, possedeva una fierezza quasi regale, indossava pelli d’animale e brandiva con forza un arco d’argento. I capelli erano di cuprum brillante e gli occhi accessi, di un intenso colore, da sembrare la luna,  due distinte lune splendenti e mai tanta leggiadria aveva visto in un volto e  tanta grazia in un corpo. Artemide Agrotera.  Era lei. “Chi siete voi?” urlò di nuovo la Dea, puntando l’arco d’argento verso il volto di Percy.

Il figlio di Poseidone si era svegliato di soprassalto. Perché aveva sognato l’incontro con Artemide. Non poteva davvero associare alcun eroe o uomo alla dea della caccia, davvero non riusciva a pensarlo, eppure sapeva che un legame doveva esserci tra il gigante e la dea e sicuramente quel rapporto avrebbe influenzato la sua missione, qualunque essa fosse.

   
 
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