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Autore: GreenNightmare    13/05/2011    4 recensioni
[Acciaio]
Piombino, dieci anni dopo.
L'amicizia tra Anna e Francesca si è consumata fino a dissolversi del tutto, Anna se n'è andata, Francesca è finita a fare la commessa ma ancora ripensa a quel giorno perfetto all'isola d'Elba.
Entrambe hanno nostalgia l'una dell'altra, perchè sono la vita l'una dell'altra, e finalmente sarà data loro l'occasione per rendersene conto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ACCIAIO.

 
Erano passati dieci anni ormai.
Dieci anni dalla morte di Alessio, dieci anni da quando suo padre era diventato solo un pezzo di carne senza vita, dieci anni da quando Anna aveva lasciato Mattia, da quando anche Donata era morta, dieci anni da quella prima, e ultima, gita all’Elba, di cui ricordava ogni dettaglio, ogni sapore, ma non voleva ammetterlo a se stessa.
Ne erano passati cinque da quando suo padre era morto, cinque da quando Anna se n’era andata via da Piombino, ma si mentiva da sola quando diceva di non contare ogni singolo giorno in cui non l’aveva più vista.
Dieci, cinque anni. Facili da contare. Ma non riusciva a capire quando l’amicizia/amore (chiamatelo come volete) con Anna fosse finita, per la seconda volta, stavolta per sempre.
 
Non poteva ricordare una data precisa. Era semplicemente accaduto, lentamente, quell’indifferenza era scivolata tra loro subdolamente giorno dopo giorno, senza che se ne accorgessero, senza litigi, senza rabbia o lacrime stavolta, finchè entrambe si erano rese conto di non salutarsi nemmeno più quando si incontravano in mezzo alle scale, certo all’inizio si stupirono di questo, ma non fecero nulla, era successo e basta…
 
Anna aveva quelle sue nuove amiche del liceo, quelle troiette che ridacchiavano ogni volta che la vedevano come se lei fosse stata una semplice decorazione molto buffa e mal fatta, un pezzo di casermone venuto male, uno storpio, come quella ballerina di cristallo che Rosa ed Enrico tenevano in salotto da quando era piccola a cui mancava la testa, e quando questo succedeva Anna non reagiva, non la difendeva, lei che sarebbe stata pronta a morire per Francesca, ora a quelle risatine di scherno rivolte alla sua migliore amica accennava solamente un timido sorriso, che lei avrebbe voluto strapparle via dalla faccia con la violenza, perché proprio non riusciva a sopportarlo…
 
Lei, lei non aveva amiche, non ne aveva volute, era tornata a scuola dopo la denuncia a suo padre, ma non aveva rivolto la parola a nessuno, un po’ perché non le importava, lei dopotutto aveva di nuovo Anna e non le fregava niente di tutto il resto del mondo, un po’ per la vergogna, perché tutti sapevano, tutti dicevano, c’era chi aveva un padre o un fratello maggiore frequentatori abituali del Gilda e la voce di lei, nuda e sfolgorante contro quel lurido palo di fronte a una folla di maiali eccitati, si era sparsa e ora i suoi compagni fischiavano al suo passaggio anche più di prima, le battutine si erano intensificate, ma lei non ci badava, non li ascoltava, perché lei all’inizio aveva Anna, e nient’altro era importante.
Poi, senza accorgersene, senza che potesse fare niente per impedirlo, si era ritrovata sola. Sola, lei, senza nessuna Anna accanto a lei, Francesca Morganti e basta, semplicemente Francesca e non più Anna e Francesca. Sola, come quel maledetto inverno del 2001.
 
E ora, a ventiquattro anni, ora che Anna se n’era andata ormai da cinque anni e chissà cosa stava facendo, chi aveva incontrato, com’era diventata, Francesca era isolata e solitaria più che mai, nessuno era rimasto, se n’erano andati tutti, anche quel cesso di Lisa, che chissà che fine aveva fatto, erano rimasti solo Massi e Nino, ma era divisa da loro come da un muro, Nino ora aveva la fama dello stronzo adesso, era il capobranco, il nuovo Alessio, e a volte a Francesca capitava di sorridere ripensando a quando lui aveva confessato di amarla in quel capannone buio con le lacrime agli occhi…
Entrambi, Nino e Massi, ora lavoravano alla Lucchini, com’era prevedibile, mentre lei, ancora più prevedibilmente, era finita a fare la commessa da Intimissimi a farsi toccare il culo da quel maiale del suo capo cinquantenne da dietro il bancone, ma era l’unico modo per vivere, per pagarsi quell’appartamento di merda poco lontano dai casermoni di via Stalingrado che aveva comprato appena compiuti diciotto anni con i risparmi di quattro anni, perché lei non vedeva l’ora di andarsene da quella merda, di abbandonare Rosa a se stessa a prendersi cura di un marito ormai in fin di vita, come del resto sua madre aveva fatto con lei quattro anni prima.
Non era andata al funerale di suo padre, erano anni che non vedeva sua madre. Se c’era una cosa a renderla felice, era quella di essersi liberata di quegli stronzi dei suoi genitori.
 
I giorni scorrevano tutti uguali per lei, ma quel giorno, lei non lo sapeva ancora, sarebbe stato diverso, avrebbe cambiato tutto, le si sarebbe impresso nel cuore come un tatuaggio, come quella giornata lontana alle spiagge nere e azzurre dell’Elba… Quel giorno, il 16 maggio 2011, l’avrebbe ricordato per sempre.
 
Era appoggiata, annoiata, al bancone di Intimissimi, e discuteva con una cliente che voleva farsi rimborsare un paio di calze che, a sentir lei, erano già smagliate ancora prima di indossarle la prima volta. Francesca non la stava neanche ad ascoltare, chi cazzo se ne frega delle tue calze di merda, voleva dirle a quell’orrida vecchiaccia, Francesca era un cubetto di ghiaccio, non sorrideva mai a nessuno, non era mai gentile con nessuno, tantomeno con i clienti che le rompevano i coglioni. L’avevano tenuta solo perché era bellissima, la più bella ragazza di tutta Piombino, e attirava la clientela maschile in cerca di uno straccio di regalo per l’anniversario loro e delle loro mogli grasse e invecchiate.
 
E, mentre era impegnata a discutere con quella vecchiaccia, alzò gli occhi, e la vide.
Riconobbe subito i capelli lunghi, ricci, neri come l’ebano e sentì il cuore restringersi come prosciugato da tutti i liquidi e lo stomaco riempirsi di piombo, anzi, di quell’acciaio che fabbricavano lì e nel quale Alessio era morto, la gola le si seccò e le ginocchia divennero tanto molli che quasi le cedettero.
Era alta, bella, con quei suoi capelli ricci e gli occhi screziati di giallo, le lentiggini erano diminuite, era una donna, una donna bellissima. La cosa più bella.
Anche il suo modo di muoversi, e di parlare, era cambiato, era meno impacciata, era sensuale anche solo quando si fermava a guardare un completo intimo, a confrontare i prezzi, a ridere di qualche fantasia stravagante.
Lei non l’aveva ancora vista e Francesca non aveva intenzione di farsi scoprire ad osservarla, tra loro ormai c’erano solo vergogna e silenzi, e poi un’infinita nostalgia, una miriade di ricordi, ma erano solo ricordi, punto.
 
Era sul punto di sgattaiolare in magazzino, ad osservarla al sicuro da dietro quella pesante porta di ferro, pronta a piangere lacrime che sapevano di ruggine, a sentire il proprio cuore batterle in gola, quando il fato, o forse la sfortuna, o forse semplicemente il caso, si mise in mezzo, e una sua collega le gridò dall’altra parte del negozio:
- France, vieni qui un attimo ad aiutarmi a sistemare questa roba!
 
Francesca si congelò lì, accanto al bancone, rimase immobile mentre Anna si voltava, la cercava, la riconosceva.
Si fissarono un lungo istante, si scavarono avidamente i volti solo guardandosi, si toccarono i visi cambiati dal tempo con la sola forza dei loro occhi, degli occhi azzurro ghiaccio di Francesca e gli occhi verdi screziati di giallo di Anna.
Poi Anna sorrise, timidamente, come quella volta, dieci anni prima, sporta dal suo balcone, e Francesca sentì una lacrima, una sola, sfuggirle dall’angolo dell’occhio destro, e ora che piangeva le si arrugginivano le guance, perché lei era sempre stata ghiaccio e ora sentiva un dolce calore, dentro, che le scioglieva tutta la rabbia amara che provava trasformandola in lacrime di gioia e di infelicità, tutto insieme.
 
La sua collega continuava a chiamarla ma lei non ci badò. Pensava solo a quel nome, ora, che le pulsava ovunque, nelle vene, nel cuore, nel cervello: Anna. E voleva urlarlo, quel nome, e correre e abbracciarla e baciarla e dirle che non si sarebbero mai, mai, mai più lasciate, questa volta per sempre, questa volta era una promessa. L’avrebbe seguita ovunque, perché Anna era una famiglia, l’amore, l’amicizia, Anna era tutto, semplicemente tutto, e senza di lei, nulla più aveva senso. Anna era lei, e lei era Anna.
 
Anna non esisteva come non esisteva Francesca, esistevano solo Anna e Francesca, gli ci erano voluti dieci anni per capirlo, ma finalmente ci era riuscita, e promise a se stessa che non si sarebbe mai più lasciata sfuggire quell’altra parte di se, quella bella, quella rovente, quella che bruciava e allo stesso tempo la rendeva felice, quella mora con i capelli ricci e gli occhi verdi screziati di giallo. 

  
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