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Autore: Melanto    14/05/2011    10 recensioni
«Noi non ci troveremmo mai, nemmeno se ci cercassimo per cent’anni. Anche quando siamo l’uno di fronte all’altro: ci guardiamo, ma non ci riconosciamo.»
E Yuzo e suo padre hanno smesso di cercarsi.
Si sono persi negli anni, negli obiettivi opposti, nelle spalle girate e nelle porte chiuse. Nelle strade dritte e concrete della famiglia Morisaki, mentre quelle di Yuzo inseguono le linee curve di un pallone; una scelta che suo padre non è disposto ad accettare.
Ma la guerra è fatta di vittime, e mentre si tenta di rimettere insieme i cocci delle certezze in frantumi, ognuno cercherà anche quello che ha perso.
...perché anche le cose perdute si trovano, basta solo saperle cercare.
[lo Shonen-ai è un elemento marginale]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note Iniziali:
Se non sono morta nello scrivere questa storia, allora non morirò per nessun’altra. E non è un bell’inizio di nota iniziale per presentare il lavoro XD, lo so.
Chi mi legge sa che ho un amore particolare per i rapporti familiari. Li preferisco alle classiche storie d’ammmmore. Diciamo pure che se in ogni storia ci stessero ‘rapporti familiari+azione+ammmore’ sarei la lettrice più appagata della terra, XD ma so che non si può avere tutto dalla vita.
Quest’argomento, anche se non sempre con ruolo principale, l’ho trattato in molte altre storie, come “Huzi”, la raccolta “Love&Life”, accennato in “Fragile – Innocence Lost” (che trovate solo su ELF! :3), nella saga di “Maharajakumar” e anche in quella di “Elementia” (XD abbiate pazienza, ci arriveremo molto presto! Lo giuro!).
Insomma, è un tema che mi piace tantissimo. :3
Questa storia è stata cominciata, con una trama totalmente differente, l’anno scorso (il Word dice che ho creato il primo file il giorno 3-11-2010 XD, proprio dopo i Morti, allegria), poi ha subito uno stop perché non ne ero sicura. L’ho ripresa alcuni mesi fa, e l’ho stravolta. XD Ma di questo vi parlerò più avanti, giusto per farvi capire come funzionano i miei viaggi mentali. XD

Qualcosa da sapere prima di iniziare la lettura:
Ho un po’ imbrogliato con i tempi di ambientazione :P
Nel manga, il World Youth comincia a Ottobre (*facepalm* che li possino. Ma dove si è visto mai un campionato del mondo di calcio giocato IN AUTUNNO?! °_° Solo Takahashi può, solo lui -__-), io l’ho fatto cominciare un bel po’ prima XD e l’ho fatto concludere per la fine di Luglio, ergo, ci troviamo ancora nel pieno dell’estate. Volevo l’estate. La volevo e basta. XD
Amo l’estate e visto che anche noi ci stiamo avvicinando, volevo utilizzarla come collocazione temporale.

Altra cosa da sapere, e che ho detto anche nell’introduzione, è che: lo Shonen-ai è l’ultima ruota del carro, in questa storia. XD Quindi, le non amanti del genere non abbiano paura: non morde mica. *ridacchia*
Per le amanti, invece: donne mie, se ne parla alla prossima fic XD.

Terza cosa: la musica è fondamentale. Ammetto che è fondamentale nel 99% delle cose che scrivo, ma qua lo è un pochino di più. Di solito non lo faccio mai, ma in questa storia ogni scena avrà una canzone di riferimento, quindi, mi sembra giusto augurarvi anche un ‘buon ascolto’. :D

Ok, potete andare in pace.
Buona lettura!

 

Il lungo sonno della Lucciola
- Part I: The orange Sun shines upon me -

 

Nell’aria, quell’estate, c’era odore di gigli e bucato appena steso.
Le cicale cantavano, aggrappate al tronco degli alberi, e lenzuola candide sventolavano come fantasmi su fili di ferro.
Di fuori, Nankatsu si preparava ad accogliere la sera, godendosi in tranquillità il piacere del tramonto che stemperava la calura della giornata. Dentro, rimbalzate contro le pareti di una bella villetta, le grida furibonde si erano appena spente. Adesso, a urlare era rimasta solo la musica che cercava inutilmente di sopraffare i pensieri, ma tutto quello che, invece, riusciva davvero a fare era amplificare l’emicrania del proprietario delle cuffiette infilate con forza a turare le orecchie, bloccare il cervello e soffocarlo tra lo stridere di una chitarra elettrica e la voce graffiata di Kurt Cobain.
L’universo era completamente raccolto in millecinquecento centimetri cubici: tutt’intorno regnava il silenzio, ma lì bruciava l’Inferno.
Lui restava immobile, sul letto, le braccia distese sulle lenzuola; abbandonate. Una mano penzolava fuori dal materasso. Gli occhi erano arenati al soffitto; avevano gettato l’ancora su di un punto qualunque e non lo avrebbero lasciato per nulla al mondo. Nel legno che rivestiva la volta spiovente, vide la proiezione di sé stesso cantare fino a non avere più fiato quella ‘In Bloom’ che ruggiva come una leonessa impazzita, mentre lui manteneva serrate le labbra.
Odiava alzare la voce.
Diversamente da quello che suo padre gli ripeteva più di sovente nell’ultimo periodo, la sua educazione era impeccabile, e urlare era così fuori luogo e fastidioso. Ma tutto ciò che era sempre stato, la sua personalità e le sue convinzioni, si stravolgevano appena si trovava a sbattere contro quel muro indistruttibile che chiamava: ‘papà’.
A volte, Yuzo pensava di non volerlo chiamare affatto; con nessun nome. Pensava di volerlo vedere scomparire lentamente, inghiottito da quel lavoro che sembrava essere divenuto più importante di qualsiasi altra cosa gli girasse intorno e puzzava di polvere da sparo, di isolamento, di ‘sei mio figlio e fai quello che dico io’, di ‘il tuo posto è nell’azienda di famiglia. Chi credi che se ne dovrà occupare dopo di me?’, di ‘devi andare all’università’.
Di ‘dimentica il calcio’.
Sulla scrivania il diploma era da un anno abbandonato sotto i libri di preparazione ai test di ammissione che lui non aveva nemmeno aperto. Non aveva ricevuto nessuna parola di affetto per l’ottimo voto preso, men che meno aveva ricevuto un complimento per la vittoria al World Youth appena conclusosi.
‘I complimenti si fanno a chi è arrivato in cima, tu hai ancora molta strada davanti’.
Lui non era mai abbastanza.
Il suo impegno non era mai abbastanza.
I traguardi raggiunti non erano mai abbastanza.
I Morisaki non erano fautori del doversi ‘accontentare’.
Lui era una pecora nera.
I Morisaki dovevano spingere, sempre, fino in fondo, per raggiungere la meta.
Quella meta non era la sua.
I Morisaki lavoravano da generazioni nell’industria bellica.
Lui era un pacifista.
Quella famiglia gli stava risucchiando l’anima affogandola nel piombo e, sempre a volte, era sé stesso che sperava di veder sparire.
Senza fare rumore.

“And he likes to shoot his gun/
E a lui piace sparare con la sua pistola
but he knows not what it means/

ma non sa cosa significhi

NirvanaIn Bloom

 

§*§

 

“Amai okashi kieta ato ni wa /
Dopo che il dolce sapore delle caramelle è svanito
sabishisou na otoko no ko kumo hitotsu nai Summer day /
ha lasciato un ragazzo solitario su un cielo sereno d’un giorno d’estate

 

«…e così gli ho detto: ‘Mi sembra un’offerta vantaggiosa, passerò alla vostra sede per poter leggere per bene il contratto’, proprio con un tono da affarista scavato. Cazzo! Non potevo mica mettermi a urlare per la gioia; vorrei cercare di fare una buona impressione ai dirigenti degli Yokohama Marinos
La risata di Mamoru lo strappò ai suoi pensieri con qualche momento di ritardo e fece un notevole sforzo per dire una qualsiasi banalità.
«Vedi di non farti riconoscere subito» Yuzo mostrò una smorfia sorridente e cincischiò nel proprio frappé con la cannuccia.
Chiacchiericcio e tintinnio di oggetti li avvolgevano in quel bar del centro di Nankatsu. Erano il sottofondo musicale, assieme alla radio, che aveva sostituito il cantare delle cicale udibile all’esterno.
Mamoru, di fronte a lui, lasciò il cucchiaio dal manico lungo e incrociò le mani all’altezza del mento, guardandolo con un sopracciglio inarcato.
«Non mi stai ascoltando, vero?»
Stavolta, Yuzo sollevò il capo.
«Che dici? Certo che ti sto-»
«Yuzo, per favore, guarda che ci vedo. Credi ch’io non me ne sia accorto? Da quanto sarà? Un annetto? Ed è peggiorato dopo il World Youth. Sei sempre distratto, più silenzioso del solito, fisicamente sei qui, ma la tua testa è costantemente persa in altri pensieri. Non stai bene. Si può sapere che hai?»
Yuzo negò, negò a oltranza, o almeno ci provò. La cannuccia veniva smossa con decisione nel frullato di latte, fragola e panna; la scia di cioccolata era il filo d’Arianna che si perdeva nel bianco e nel rosa.
«Niente, niente. È tutto ok. Scusa… avremmo dovuto festeggiare il tuo acquisto presso i Marinos…»
«Ma va! Lascia perdere! Se vuoi saperlo, l’idea di festeggiare era solo una scusa per poterti parlare, da solo. Di solito siamo sempre in compagnia dei ragazzi e non abbiamo mai la giusta occasione per fare due chiacchiere, quindi puoi anche smettere di fingere che sia tutto normale.»
Simulare, con Mamoru, non era mai una buona idea, anche perché il difensore riusciva sempre a scoprirlo subito. Yuzo non sapeva se essere felice di questa loro intesa così istantanea o triste per dover coinvolgere anche lui nei suoi problemi.
«Si tratta di tuo padre? Come vanno le cose?»
Mamoru indovinò subito. Era andato piuttosto a colpo sicuro, perché sapeva non esserci altri motivi validi per avvilirlo in quel modo.
Yuzo replicò con marcata ironia. «Come vuoi che vadano? Una meraviglia. Non abbiamo mai parlato così tanto come in questo periodo. Certo, urlare non rientrava proprio nel mio ideale di dialogo padre-figlio, ma, ehi!, non si può mica avere tutto dalla vita.»
«Ancora fissato con l’idea di vederti alla guida della ‘Golden Gun’
«Ovvio, nessuno lo smuoverà visto che ha deciso così. Vuole fare di me un imprenditore, un manager e mandarmi a Economia, che mi ha sempre fatto schifo. Non è ironico?»
«Hai ancora un po’ di tempo prima di dover prepararti per i test di ingresso, magari prende una botta in testa e rinsavisce!»
«Credi ai miracoli? Non ti facevo il tipo» scherzò il portiere. «Comunque, mio padre ha già organizzato tutto: per farmi recuperare l’anno che ho perso a causa del World Youth, vuole cominciare a portarmi in azienda con sé.»
«Davvero?»
«Mh
«Almeno non ha detto di volerti portare in fabbrica…»
«Veramente, nel giro turistico rientra anche quella. Farsi vedere dagli operai è fondamentale: si dimostra di essere attenti a tutto e i lavoratori sono incentivati a fare di più e meglio. Così dice lui, almeno. Che a me le armi facciano venire l’ansia non è importante.»
«Tsk! Che bastardo!» ringhiò Mamoru, poi agitò le mani davanti a sé «Ah! Scusa! È pur sempre tuo padre. Scusami, non volevo.»
Yuzo sorrise e scosse il capo. «Figurati. Sono il primo a pensarlo.»
«Tu… che vuoi fare?»
Il portiere conosceva la risposta a quella domanda fin da quando il rapporto con suo padre si era inasprito in maniera esponenziale. «Andarmene via. Non importa dove, voglio solo andarmene o finisce che mi ammazzo prima del tempo». Mamoru gli mollò un calcio da sotto al tavolo, facendolo sobbalzare. «Ahi! Ma sei scemo?!»
«Non dirlo nemmeno per scherzo, chiaro?! Non voglio sentirti parlare in questo modo.»
Sul suo viso, Yuzo scorse un’espressione talmente severa e minacciosa che fu costretto a capitolare.
«D’accordo, scusa. Era per dire.»
«Beh, dici male». Il difensore stemperò il tono e tornò a mescolare ciò che rimaneva della propria bevanda. «Non hai ancora ricevuto alcuna offerta da parte dei Club della League?»
«No. Aspetterò fino alla fine dell’estate e poi… poi me ne andrò. La sola idea di restare con la prospettiva di dovermi occupare dell’azienda mi fa entrare nel panico.»
«Tua madre che dice?»
Yuzo sospirò, girandosi a guardare il mondo che continuava a vivere dall’altra parte del vetro. «Lei cerca di farlo ragionare, ma è come parlare con un muro. E poi non voglio che venga coinvolta nei nostri problemi, già ne soffre abbastanza quando ci sente litigare.»
«Sì, capisco.»
Anche Mamoru si mise a guardare l’esterno per un attimo. La gente passava veloce, avvolta in abiti colorati e leggerissimi. Nonostante fosse estate, ci si muoveva sempre di fretta verso la propria meta.
Quando tornò a osservare il suo ex-compagno di scuola, scorse, nel profilo puntato all’esterno, gli occhi che non vedevano e la mente di nuovo distante. Mamoru pensò che fosse quello il vero significato del dono dell’ubiquità.
«Andiamo a farci due passi» decise d’un tratto, attirandosi l’attenzione di Yuzo, che annuì con un po’ di perplessità.
I frappé rimasero bevuti a metà, mescolati nei sapori che di dolce avrebbero perso ogni ricordo.

 

“So Goodbye Happiness /
Addio felicità
Nani mo shirazu ni hashaideta /
A questi giorni che abbiamo vissuto senza preoccupazioni
ano koro e wa mou modorenai ne /
non si può tornare indietro
sore demo ii no. Love me /
ma va bene così. Amami.

 

L’eco dei rumori della città era stata lasciata indietro a mano a mano che si erano allontanati dal bar. Era stata sostituita dal mormorio del fiume e dal frusciare dell’erba smossa dal vento caldo. Ogni tanto, qualche bicicletta cigolava lungo la stradina che costeggiava il corso d’acqua e i campanelli trillavano per avvisare i pedoni del loro passaggio.
Mamoru aveva le mani nelle tasche, guardava a terra, Yuzo accanto a lui fissava l’acqua. Camminavano à rebours, controcorrente.
«Sai già quando ti trasferirai?» domandò il portiere e l’interpellato sollevò il capo.
«Tra una settimana, circa. Hanno un dormitorio per i giocatori che vengono da fuori. Starò lì» con un balzo abbandonò la strada in favore dell’erba che scendeva lungo il fianco e arrivava a lambire la sponda del fiume. Rivolse un sorriso al suo compagno di Nazionale. «Per i primi giorni credo che si prospetterà davvero epica!»
Yuzo lo seguì, immergendosi nel verde. L’erba aveva una consistenza morbida sotto le suole, sembrava di camminare sull’ovatta. Il suono dell’acqua diveniva più forte, mentre il flusso era veloce, impossibile da fermare, e la sua presenza rinfrescava l’ambiente intorno, dando un piacevole sollievo dalla calura estiva.
«Oh! Qui sì che si sta bene!» esclamò il terzino lasciandosi cadere a terra con un tonfo attutito dal prato. Yuzo lo imitò.
C’era odore di erba bagnata, di natura. Era una caratteristica di Nankatsu che gli piaceva molto: sapeva fondere urbanizzazione e verde. Da un lato si vedevano i rilievi che portavano al Fuji, dall’altro si scendeva in pianura e si apriva verso il mare; nel mezzo scorreva quel fiume.
Yuzo inspirò a pieni polmoni, dipingendosi un largo sorriso soddisfatto e chiudendo gli occhi per un lungo momento.
Accanto a lui, non si accorse delle occhiate visibilmente preoccupate che Mamoru gli lanciava di sovente. Con lentezza, il difensore sciolse i capelli, permettendo alla brezza leggera e calda di sollevarli appena. Puntò lo sguardo al cielo limpido.
«Hai mai pensato al futuro, Yuzo?» chiese, seguitando a cercare chissà quali risposte in quell’azzurro sconfinato.
L’altro sbuffò un sorriso, mantenendo le palpebre chiuse. «Anche troppo, soprattutto in questo periodo.»
«E cosa hai visto?»
Gli occhi si aprirono, l’erba e il fiume tornarono a occupare le sue percezioni.
«Niente.»
Mamoru si volse, inarcando un sopracciglio. Yuzo aveva sempre avuto molta fantasia e quella non era la risposta che si sarebbe aspettato da lui. «Niente?»
«Niente» ripeté.
«Non puoi non aver visto niente. Che so… noi tra dieci anni!»
«Se è per quello, ci ho visti tra una sessantina, di anni, e siamo due vecchietti brontoloni, seduti sulla soglia di casa, che ripetono sempre: ‘ai miei tempi…’
«Ah, ah. Molto divertente» lo pungolò Mamoru col gomito «Ma davvero non vedi niente? Nemmeno… nemmeno un colore?»
«Un colore?»
«Sì…» Lo sguardo veniva nuovamente orientato verso il fiume. «…quelle volte che ci ho pensato, non ho mai visto nulla di certo, però ogni immagine aveva un colore dominante ed era il blu. Mi piace il blu, mi rilassa.» Blu come l’acqua, blu come il cielo. «Poi sono arrivati i Marinos e il blu è uno dei colori della squadra», a Mamoru venne da sorridere, «Credo di aver accettato la loro offerta anche per questo.»
Nel suo profilo, Yuzo scorse quella sicurezza che lui non aveva mai avuto e che aveva sempre ammirato, mista a un po’ di follia e sconsideratezza tipiche della loro età.
Quando si era certi del proprio destino e si sapeva perfettamente cosa fare, tutto assumeva un aspetto diverso. Anche gli ostacoli e le incertezze era come se si ridimensionassero. Quando si conosceva la meta, si potevano creare centinaia di percorsi.
Di sé, invece, Yuzo non sapeva nulla se non quel ‘voglio andare via’; ma tra dirlo e farlo c’era un ammasso nebuloso di punti interrogativi e difficoltà che sembravano insormontabili.
Andare via per andare dove?
Quando non si conosceva la meta non si sapeva nemmeno da che parte cominciare a cercare la strada da percorrere.
«Io non so di che colore sarà il mio, spero solo che sia vivace. Non mi piacciono i colori scuri.»
Mamoru si volse a osservare quell’espressione sorridente dietro cui faticava a riconoscere il proprietario. Guardare Yuzo, in quel momento, era come scrutare una vecchia fotografia: l’immagine sbiadiva con l’andare del tempo, i contorni si ingiallivano e la pellicola lucida veniva via, portandosi anche i colori. Era quello che stava succedendo alla sua serenità, alla gioia di vivere che lo aveva sempre animato e reso quello che era: Yuzo, il suo migliore amico, compagno di squadra, scuola, vita; quello che non si arrendeva mai nemmeno dopo cento pallonate; quello che si era sempre fatto carico, a testa alta, di sostituire Genzo.
«Senti, sai che facciamo?» esordì con l’aria di chi la sapeva sempre più lunga di tutti «La prossima volta che tuo padre parla a vanvera, chiamami: ce ne andiamo al mare.»
«Al mare?!»
«Sì, non è il tuo posto preferito? Ci prendiamo il primo treno e raggiungiamo Fuji(1). Che ne pensi?»
Yuzo rise. «Penso che se dovessi litigarci di sera, andare al mare non sarebbe fattibile.»
«Nah! Possibile che tu debba essere così guastafeste?!» Mamoru gli mollò una gomitata. «Non hai capito i miei intenti!»
E invece, Yuzo aveva capito benissimo e gli era grato di quella sua amicizia che considerava insostituibile, ma adesso Mamoru aveva cose più importanti di cui occuparsi, come il suo percorso in J-league, e non voleva che si distraesse dietro i suoi, di problemi. Gli bastava sapere di avere il suo supporto.
Adagio cambiò posizione mettendosi parallelamente al corso d’acqua. Le gambe distese in avanti e la schiena appoggiata alla spalla del difensore. Era una posizione che assumevano spesso; avevano passato tante pause pranzo così, fin dalle medie.
«Mamoru.»
«Mh
«Ascolta, se io non dovessi entrare nel professionismo-»
«Ma sta’ zitto! Non dire stronzate!» Il terzino si inalberò, agitando animatamente un indice.
«Sto facendo solo un’ipotesi, fammi finire prima di partire in quarta!»
«Seee, seee. Sentiamo l’assurdità.»
«Se non dovessi entrare nel professionismo…»
«…ipotesi improbabile…»
«…e dovessi andarmene lontano da Nankatsu, vorrei che non ci perdessimo di vista, almeno noi. Sai come vanno queste cose, si finisce col prendere strade diverse. Vorrei che noi… potessimo restare sempre amici.»
Mamoru non rispose subito, mentre cercava di valutare il senso di quella richiesta, la sua reale importanza. Sentì la testa di Yuzo appoggiarsi contro la propria e il suo odore, familiare e inconfondibile, si fuse all’erba bagnata e al profumo dell’estate. Le parole si rincorsero come le onde del fiume dal letto irregolare, mutando, condensandosi, liberandosi dei significati superflui per lasciare solo il fulcro.
Continua a rimanere quella sicurezza che io non ho.’
Mamoru gli passò rudemente il braccio attorno al petto, in tono scherzoso. Voleva spezzare la tensione che c’era, la sentiva. Forse… poteva anche vederla.
«Ma certo che resteremo amici, che domande.»
Solo allora, Yuzo si concesse un sorriso sincero. Chiuse di nuovo gli occhi e ascoltò i mormorii del fiume.
«L’acqua ha davvero un bel suono.»

 

So goodbye happiness /
Addio felicità
Nani mo shirazu ni hashaideta /
Desidero che noi possiamo tornare indietro
ano koro e wa mou modoritai ne /
a questi giorni vissuti senza preoccupazione.
Baby, soshite mou ichido kiss me /
Baby, baciami un’altra volta

Utada Hikaru Goodbye Happiness

 

*

 

“Vorrei imparare dal vento a respirare,
dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare
e avere la pazienza delle onde
di andare e venire,
ricominciare a fluire.”

 

Il primo gesto che Yuzo compì una volta entrato in casa, ancor prima di togliersi le scarpe, fu quello di osservare la porta dello studio di suo padre.
Aveva recuperato una parte di buon umore, grazie a Mamoru, e non voleva lasciarsela sfuggire tanto presto. Per fortuna, l’uscio era chiuso segno che l’uomo non era ancora rientrato dal lavoro. Quando c’era, lasciava sempre la porta socchiusa o addirittura spalancata, come a voler palesare a tutti i costi la sua presenza.
Sospirò.
«Sono a casa!»
La risposta di sua madre arrivò dal fondo dalla cucina accompagnata da un profumino così invitante che gli fece venire immediatamente l’acquolina.
«Bentornato, tesoro! Indovina cosa sto preparando?»
Yuzo raggiunse la donna in rapidi passi, attutiti dal parquet. Quell’odorino l’avrebbe riconosciuto tra mille. «Okonomiyaki!» esclamò, facendo capolino. Lentamente le si avvicinò e le diede un affettuoso bacio sulla guancia. «Mamma, sei fantastica!»
La donna gongolò. «Lo so, ma dimmelo ancora.»
Diversamente da suo padre, per il quale era sempre stato come trasparente salvo poi divenire l’oggetto del suo tormento da quando si era diplomato, sua madre stravedeva per lui e gli voleva bene per quello che era. Era orgogliosa del suo impegno, dei suoi risultati. Qualche volta era andata anche a vedere le partite del campionato studentesco assieme alla madre di Tsubasa e a quella di Ryo, e non si era persa nemmeno un incontro del World Youth. Sua madre voleva che continuasse a rimanere libero, come era stato fino a quel momento. Libero di scegliere e decidere da solo, libero di vivere il suo futuro nel modo che preferiva. Anche per questo, molto spesso, Yuzo la sentiva discutere con suo padre; discussioni di cui l’uomo non perdeva occasione di dargli la colpa.
‘Se mi obbedissi senza fare storie, una buona volta, nemmeno tua madre soffrirebbe. Quindi smettila di comportarti come un ragazzino egoista.’
Ragazzino.
Ragazzino era l’appellativo con cui gli si rivolgeva più di sovente e che, detto fuori dai denti, gli faceva andare il sangue alla testa.
Non era più un ragazzino. Aveva diciannove anni, dei desideri, dei sogni, delle aspirazioni; si era diplomato con successo, aveva la testa a posto e non era uno spericolato. Non aveva mai creato problemi né a loro né a sé stesso. Avrebbe saputo vivere perfettamente da solo, visto che sapeva cucinare e fare il bucato. Inoltre, nonostante nella sua famiglia non fosse mai mancato il denaro perché – purtroppo o per fortuna – le armi rendevano sempre bene, lui conosceva il valore dei soldi ed era un tipo oculato e attento.
Aveva diciannove anni, faceva parte della Generazione d’Oro.
Aveva diciannove anni, ma per suo padre continuava a essere un ‘ragazzino’.
«E’ andata bene l’uscita con Mamoru?»
La voce della donna interruppe il flusso dei suoi pensieri. Yuzo sorrise, appoggiandosi di spalle al mobile lì accanto, mentre lei lavava alcune stoviglie.
«Benissimo. Non so se te l’ho detto, ma è stato acquistato dalla squadra dei Marinos. Giocherà nella J-league.»
La donna gli rivolse un’espressione entusiasta e felice. «Che bello!» esclamò, poi ci pensò un po’. «E di dove sono?»
«Yokohama City, mamma.»
«Oh! Che bello!» ma, ancora, l’entusiasmo scemò. «Ma è lontana da Nankatsu! Quindi non verrà più a casa? Oh, che peccato, era così carino.»
Yuzo le pungolò il fianco, simulando un’espressione shockata. «Senti, senti!»
«Non fare quella faccia, tesoro. Guarda che lo pensano tutte le mamme: il figlio della signora Izawa è così bello che potrebbe fare l’Idol
«L’Idol?! Questa gliela devo raccontare!» sbottò a ridere di gusto, mentre sua madre gli mollava una leggera gomitata.
«Ridi pure, ma lo sai cosa dicono di te?»
«Oddio, ma cosa siete? Il comitato dello ‘sparliamo dei nostri figli’
Haruko asciugò le mani su uno straccio e gli si avvicinò. Con affetto, gli prese il viso tra le mani, ignorando le rimbeccate. «Pensano che tu sia il ragazzo più dolce e beneducato che abbiano mai conosciuto.»
Lui inclinò il capo di lato, inarcando un sopracciglio. «Se io sono dolce, Taro Misaki cos’è?»
«Oh, ma lui è kawaii!» urlettò la donna, facendogli sprofondare il viso in una mano.
«Voi siete molto pericolose. Molto» rise, quando lo squillare del telefono interruppe la loro frivola conversazione. «Vado io» disse, allontanandosi in fretta per raggiungere il corridoio. Con decisione afferrò il cordless. «Pronto? Casa Morisaki.»
«Sei Yuzo-kun?»
Sulle prime non riconobbe la voce. Anzi, ne era sicuro, non l’aveva mai sentita.
«Sì…»
«Oh, che fortuna trovarti in casa a quest’ora. A dire il vero, mi rendo conto come sia un po’ tardi, ma, sai, sempre un sacco di impegni e poi si finisce col dimenticare anche come ci si chiama!»
Yuzo si grattò un sopracciglio, con perplessità. «Sì, certo, ma… chi parla?»
«Ah, scusami! Che viziaccio che ho! Come inizio una conversazione, mi perdo sempre in inutili banalità. Sono Kurata Inoki, chiamo per conto della S-Pulse
«S-Pulse? La Shimizu S-Pulse?» stavolta la perplessità scomparve, venendo sostituita dalla sorpresa.
«Sì, esatto! Proprio noi! La squadra di Shimizu-ku!»
«Oh, è un piacere… cosa posso fare per lei?»
«Veramente, penso proprio che sarò io a fare qualcosa per te. Ti prego, dimmi di non esser già stato contattato da qualche altro Club o il Presidente mi ammazza! Erano tre giorni, dico tre giorni!, che dovevo telefonarti e poi, uff! Non sai che fatica essere un agente! Fai questo! Fai quello! Ti chiamano a ogni ora della giornata e poi va a finire che-»
«…ci si dimentica come ci si chiama?»
«Esatto! Oh, vedo che mi capisci! Sono sicuro che andremo d’accordissimo!»
Yuzo si portò una mano alla bocca per trattenere una risata: ma quel tipo parlava sempre così tanto e a raffica?
«Quindi, per farla breve o divago di nuovo, vorremmo averti con noi! Che ne dici, ne possiamo parlare di persona?»
Non ci credeva. No, non ci credeva affatto. Sembrava tutto irreale. Proprio quel pomeriggio aveva affrontato l’argomento con Mamoru, discusso di quel futuro che per lui sembrava destinato a mantenersi acromatico e senza una direzione precisa, se non mille percorsi che si fondevano nella nebbia. E ora, era bastata una semplice telefonata, come un soffio di vento più forte e deciso, e la nebbia aveva iniziato a diradarsi.
Il suo vento, la sua strada.
«Ma certo, ne sarei davvero onorato.»
«Oh, è fantastico, Yuzo-kun! Evviva! Ti andrebbe bene tra due giorni? Devi solo dirmi dove.»
«Nel centro di Nankatsu c’è un bar che si chiama Glass no Balalaika(2). Spero non sia un problema per lei incontrarsi fuori.»
L’altro negò, però parve evidente una certa sorpresa nel tono della voce, come se si fosse aspettato più un invito a casa dove poter conoscere anche la sua famiglia. Kurata ignorava quanto Yuzo volesse tenere fuori tutto quello dalla portata di suo padre.
«Perfetto. Allora facciamo per le dieci, va bene?»
«Sì, certo» accordò Yuzo, ridacchiando dei suoi convenevoli frivolissimi e superallegri. Quando chiuse la comunicazione si sentì talmente leggero che era convinto che nel momento in cui avesse lasciato la cornetta, avrebbe preso a volare.
Doveva avvisare Mamoru, immediatamente. Mamoru doveva essere il primo a sapere che-
«Sono a casa.»
Quella voce profonda e ferma come acqua stagnante nel fondo di un pozzo gelò il suo entusiasmo in un attimo. Non si era nemmeno accorto della porta che era stata aperta.
Come per difendersi, per difendere l’opportunità di realizzare il sogno di continuare a giocare, Yuzo allontanò subito la mano dal cordless girandosi a guardare suo padre.
Nella figura alta, dal completo impeccabile, riuscì a vedere la proiezione del sé stesso trentenne che l’uomo avrebbe voluto che diventasse. Gli vennero le vertigini e la nausea.
Suo padre incrociò il suo sguardo – fisso e sulla difensiva – con il proprio – severo come sempre. Inarcò un sopracciglio nel sentirsi così osservato.
«Beh? Non si saluta più?» disse in tono deciso e lui si riscosse, rispondendo sbrigativo.
«Sì, bentornato.»
«Chi era al telefono, tesoro?» Haruko si affacciò dalla cucina, notando suo marito. «Bentornato a casa, caro.»
Yuzo tentennò, guardando prima la donna e poi il cordless. Mentì. «Ryo, mamma.»
«Oh! Il figlio degli Ishizaki! Quant’è simpatico!» aveva sempre un commento per tutti, sua madre, ma in quel momento non gli venne da ridere. «Senti, tesoro, devo ancora finire di preparare la cena, quindi potresti tirar via i panni dalla lavatrice? Mi faresti un grandissimo favore.»
«Certo.» L’attimo dopo era già scomparso nella lavanderia, chiudendosi la porta alle spalle. Non voleva vedere suo padre, non voleva sentirlo perché tanto già sapeva che avrebbe avuto qualcosa da ridire. Aveva sempre da ridire.
La sua bolla di felicità si era rotta subito, come un palloncino bucato da uno spillo.
Doveva andare via da quella casa, da quella città. Doveva andare via o avrebbe finito col vivere solo in brevi lassi di tempo, ore d’aria, in cui la sua strada non si sarebbe incrociata con quella di suo padre. E adesso aveva trovato anche un modo per allontanarsi pur rimanendo vicino a sua madre; Shimizu-ku era a circa un’oretta di treno. Avrebbe anche potuto andare a trovare nonna Chiyo, che vedeva sempre così di rado. E poi c’era il mare. Shimizu-ku aveva il mare. La voce dell’acqua che mormorava alla riva gli fece distendere un largo sorriso al solo pensiero della sabbia sotto i piedi e dell’odore di salsedine.
In quel momento si ricordò che a Shizuoka City c’era la sede della ‘Golden Gun’.
Il sorriso si smorzò, ma lui lo trattenne, a tutti i costi, affinché non scomparisse. Non importava se si fossero trovati ancora così vicini, era sicuro che non si sarebbero mai incontrati perché la vita di suo padre si svolgeva in luoghi differenti da quelli che avrebbero potuto interessargli. Estranei nella stessa città, così com’era nella vita di tutti i giorni, senza però doversi sforzare di condividere lo stesso tetto.
Il sorriso tornò a essere un po’ più felice, mentre rapidamente riponeva i panni nella cesta, lasciando la lavanderia.
Dalla cucina, gli arrivarono parole decise. I suoi genitori stavano discutendo.
«Tuo figlio continua a mantenere quell’aria di supponenza nei miei confronti e io sto cominciando a perdere la pazienza. Sai cosa avrebbe fatto suo nonno se avessi anche solo pensato di comportarmi come lui?» il padre aveva una mano appoggiata sul tavolo e l’altra al fianco, sotto la giacca aperta; stava dando le spalle alla porta. «Sarebbero volati ceffoni! Insomma, si può sapere dove diavolo abbiamo sbagliato?»
«Non abbiamo sbagliato niente, Baiko!» Haruko rispose con decisione, lanciando quasi il coltello della verdura sul tavolo. «Yuzo è un ragazzo d’oro, intelligente e sano.»
«Beh, mi sembra il minimo! Ci sarebbe mancato solo un figlio deviato!»
«Vuoi smetterla di parlare in questo modo?! Yuzo è ostile perché tu lo sei con lui!»
Baiko gesticolò animatamente, facendo un paio di passi per la cucina. «Ah! Ostile, dici? Io non sono ostile, io sono suo padre e lui mi manca di rispetto.»
«Non è vero! Continui a trattarlo come fosse un bambino, ma Yuzo è cresciuto! Ha un futuro nel calcio che tu gli vuoi togliere…»
«Tsk! Futuro. Che parola grossa per uno sport. Correre dietro a un pallone non è quello a cui dovrebbe aspirare un ragazzo come lui, che ha studiato e ha un’azienda a portata di mano. Io gli offro quella sicurezza che altri pagherebbero oro pur di avere. Yuzo dovrebbe ringraziarmi e invece cosa fa? Si intestardisce nel voler continuare con quel dannato sport!» Baiko incrociò le braccia al petto, chiudendo la sua arringa. «No, mi dispiace, lui è ancora un ragazzino.»
Sua madre tentò un’ultima volta, aggrottando le sopracciglia. «Ha vinto il World Youth, questo non significa niente per te?»
«Cosa dovrebbe significare? Cosa gli resterà di queste vittorie? Una medaglia? Un vecchia foto? La fama? Sic transit gloria mundi, dicevano i latini. Io non gli permetterò mai di gettare la sua vita alle ortiche, se ne facesse una ragione.»
Yuzo aveva sentito a sufficienza.
Con un gesto secco lasciò cadere al suolo la cesta. La conversazione venne interrotta ed entrambi si volsero in direzione della porta dove la figura del giovane si stagliava rigida e senza espressione. Gli occhi, puntati solo su Haruko, non sfiorarono nemmeno per un attimo Baiko.
«La lascio qui, mamma» disse, poi le volse le spalle.
«Yuzo…» la donna tentò di allungare una mano verso di lui, ma il giovane se n’era già andato. I suoi passi risuonarono affrettati lungo le scale, poi il tonfo leggero della porta della stanza che veniva chiusa.
Baiko emise una sorta di sbuffo infastidito. «Ecco, hai visto? Un comportamento molto maturo, non trovi?»
«Smettila!» Haruko lo urlò carica di frustrazione. «Non ti rendi conto che lo ferisci?! È tuo figlio…»
«Proprio per questo sono così severo, perché se si fa piegare da simili stupidaggini non sarà mai in grado di affrontare le vere avversità della vita. Un giorno mi ringrazierà» e, detto questo, se ne andò per serrarsi nello studio e nel suo lavoro.
Il loro, ormai, era un rapporto edificato su spalle girate e porte chiuse.

 

“Un aereo passa veloce, e io mi fermo a pensare
a tutti quelli che partono, scappano o sono sospesi
per giorni, mesi. Anni.
In cui ti senti come uno che si è perso,
tra obiettivi ogni volta più grandi.

Succede perché in un istante tutto il resto
diventa invisibile, privo di senso e irraggiungibile per me.
Succede perché fingo che va sempre tutto bene,
ma non lo penso, in fondo.”

 

Perché non aveva un sistema che generasse automaticamente l’amnesia? Perché non si potevano prendere determinate frasi, metterle da parte e fare finta di non averle mai udite?
Perché?
Yuzo voleva cancellare quello che aveva sentito, lo voleva talmente tanto che sarebbe arrivato a strapparsi le orecchie se fosse servito a qualcosa.

«Ha vinto il World Youth, questo non significa niente per te?»
«Cosa dovrebbe significare?»

Il capo chino, lo sguardo al suolo.
«Niente. Non deve significare proprio niente» rispose a un interlocutore invisibile che non l’avrebbe udito nemmeno se gli avesse urlato in faccia cento volte.
Ma tra tutte le frasi che erano volate, stridenti come pipistrelli, una l’aveva passato da parte a parte, nemmeno le parole avessero potuto assumere una reale consistenza. Nemmeno le parole fossero potute divenire lama.

«Ci sarebbe mancato solo un figlio deviato!»

Una risata gli uscì a labbra strette. Una risata così ironica che gli deformò i tratti, che aveva un sapore amaro e salato come acqua di mare, che gli fece ammettere a sé stesso di non avere proprio speranze di essere accettato da lui per quello che era, per quello che avrebbe voluto essere. L’unico modo che aveva per poter ottenere la sua approvazione era fingere.
«Mi dispiace, ma sembra che il destino abbia davvero deciso di remarti contro, papà» sussurrò, passandosi una mano sul viso.
L’emicrania era esplosa in un attimo; capitava sempre quando litigavano e anche se non aveva preso parte attiva alla discussione, sentiva ugualmente la testa che veniva fracassata a colpi di martello.
Mamoru diceva che accadeva perché si teneva dentro ciò che pensava; anche quando affrontava suo padre, alla fine non riusciva a tirare fuori proprio tutto quello che avrebbe voluto dirgli, a sputargli addosso il veleno che, allora, restava in circolo nelle vene, finendo per arrivare alla testa. La testa era il centro di tutto: dei suoi pensieri, dei suoi ragionamenti. La testa, prima del cuore che era riservato a qualcuno per lui fondamentale, insostituibile. Qualcuno che non avrebbe mai voluto perdere di vista.
Si focalizzò su Mamoru, chiudendo gli occhi, si focalizzò su un frappé non finito, sul vociare del fiume e il frusciare dell’erba; sulla sua sicurezza che gli fece rallentare i battiti e il martellare dell’emicrania.
Doveva avvisarlo della proposta della S-Pulse.
Già, la S-Pulse.
Si focalizzò anche su quello e quando riaprì gli occhi, il fuoco del tramonto stava incendiando il cielo fuori dalla finestra aperta. S’avvicinò a piccoli passi, appoggiandosi al legno dello stipite, gli occhi rapiti da quelle fiamme diffuse e intense. Gli venne da sorridere rendendosi conto che il suo futuro stava lentamente abbandonando l’acromia per assumere davvero il colore vivace che aveva desiderato.
«Il mio futuro è arancione.»

 

“Torneremo ad avere più tempo e a camminare,
per le strade che abbiamo scelto, che a volte fanno male.
Per avere la pazienza delle onde,
di andare e venire.
Non riesci a capire.

Succede perché in un istante tutto il resto
diventa invisibile, privo di senso e irraggiungibile per me.
Succede anche se il vento porta tutto via con sé.
Vivendo…
…ricominciare a fluire.”

TiromancinoImparare dal vento




[1]FUJI: è una delle città della Prefettura di Shizuoka; sorge sulle rive del fiume Fuji e ha, anche, una meravigliosa visuale dell’Huzi-san. XD diciamo che non si capisce proprio da cosa prenda il nome questa città, vero?! (a dire il vero, a me questa città mi fa davvero pensare a Nankatsu: ha un fiume, ha il vulcano, affaccia sul mare. Potrebbe tranquillamente essere lei)

[2]GLASS NO BALALAIKA: “La Balalaika di Vetro”. Non c’è nessun significato particolare dietro la scelta del nome, mi piaceva come suonava (e ammetto che fa anche un po’ il verso a Glass no Kamen, aka ‘La maschera di vetro’, ovverosia ‘Il grande sogno di Maya’ XD)


 

Note Finali:
Ah! Dimenticavo di dire: i capitoli NON sono brevi. XD Sono tutti lunghi più o meno quanto questo.
Con “Barabba! Barabba!” ho capito che non sono fatta per capitoli che non seguono la divisione che ho in testa, e così sono tornata al mio modo.
Perdonatemi se i capitoli lunghi vi spaventeranno e/o scoraggeranno, ma è così che scrivo fanfic :D

Al momento la storia è ancora in stesura, ma non saranno troppe parti: credo 8/9, io sono a 5 complete e corrette, mentre le altre sono in fase di scrittura con già molto materiale battuto a pc.
Gli aggiornamenti saranno più lenti, anche perché i capitoli sono corposi. XD



Le Canzoni del Capitolo:

- In Bloom (Nirvana): con i Nirvana ci sono praticamente cresciuta, e anche se, in principio, non mi piacevano, con gli anni e la maturità ho finito per amarli. Forse anche perché mi ricordano un po’ i tempi andati, di quando ero più piccola. Amo tantissime loro canzoni, tra cui ‘In Bloom’, ma la mia preferite resteranno sempre ‘Lithium’ e ‘Rape me’. Ho scelto questa perché Yuzo si trova ancora nell’età in cui un giovane comincia a scegliere il proprio futuro, ad alzare la testa, a ‘sbocciare’ (‘In Bloom’ significa ‘In Fiore’). Certo, l’adolescenza comincia prima, ma se a 15/16 anni si è davvero ancora dei ragazzini, sentirselo dire a 19 ti fa girare i coglioni.
Bisogna anche tener presente che parliamo di ragazzi giapponesi, dove c’è un’educazione al rispetto della famiglia e dei genitori molto alti e se prima Yuzo non ha mai risposto in maniera diretta a suo padre, ora che è maggiorenne, beh, la testa comincia a tirarla fuori dal sacco.
L’ho scelta anche per la sua negatività (e valla a trovare una canzone dei Nirvana che sia positiva XD) e per quel verso, in particolare, che ho riportato e che è totalmente dedicato a Baiko. Baiko e la sua azienda di armi, Baiko e il suo rigore: non si rende conto di quello che sta facendo a suo figlio, non sa cosa comporterà il suo atteggiamento.

- Goodbye Happiness (Utada Hikaru): ammetto che questa canzone non la conoscevo. XD Non sono una grande fan della musica giapponese (anche se io ascolto veramente, ma veramente di tutto: hindi, son, ebraica. Di tutto). L’ho scoperta per puro caso, proprio in lavorazione a questa storia. Mi ero detta: “che cazzo è una fic ambientata in Giappone, almeno una canzone giapponese ce la vogliamo mettere?!” XD e così è spuntata questa. Ditemi voi se il testo non è perfetto.
Per la scena cui avrebbe dovuto fare da sfondo musicale era adattissima: si parla della fine dei giorni spensierati, si parla della crescita, si parla del non poter tornare indietro. C’è molta malinconia, nonostante la musica allegra (il video, poi! E’ di un carino! ** Utada Hikaru è carinissima!), ed era un po’ l’atmosfera che volevo per quel momento tra Yuzo e Mamoru.

- Imparare dal vento (Tiromancino): oh, beh, questa è senza dubbio la più bella canzone dei Tiromancino (e il video è stupendo). E’ poetica, è romantica (non nel senso lovelove -_-), era perfetta. Il testo, in questo contesto, sembrava uscito dalla mente di Yuzo, sembravano i suoi pensieri. C’è il senso dell’acqua e della fluidità, c’è l’incapacità e il sentirsi schiacciare dagli ostacoli che si trovano sulla strada di ognuno di noi e poi c’è quel ‘passare avanti’ (Vivendo, ricominciare a fluire). Per Yuzo il ‘ricominciare a fluire’ è la possibilità di andare a giocare alla Shimizu S-Pulse.



Ok, ciarle finite per adesso. :D
Ci risentiamo al prossimo capitolo e grazie, sin da ora, a chi vorrà seguirmi in quest’avventura: sarà molto densa, ve lo assicuro. :D

   
 
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