Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Ricorda la storia  |       
Autore: edwardandbella4evah    14/05/2011    31 recensioni
Courtney e Duncan ai tempi dell'Olocausto. Courtney è un'Ebrea, Duncan un soldato tedesco.
TRADUZIONE ♪
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan | Coppie: Duncan/Courtney
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi rigirai nel mio letto, il sudore che mi percorreva la fronte. Iniziai a svegliarmi per dei forti rumori provenienti dall’esterno. Velocemente mi alzai dal letto e mi stiracchiai, la schiena faceva male per il duro, grumoso materasso su cui dovevo dormire.
Mi vestii velocemente ed animatamente, per la fredda temperatura di Ottobre. Mia madre mi raggiunse fuori poco dopo, chiaramente volendo indagare anche lei sulla causa del rumore. C’erano molti camion, soldati che uscivano da essi e circondavano il piccolo ghetto, assicurandosi che nessuno potesse scappare. Il mio stomaco sprofondò, lasciando una voragine vuota come mi avvicinai a mia madre, la quale mi circondò con un braccio. Senza dubbio preoccupata e spaventata di cosa i Tedeschi ci avrebbero fatto adesso.
“Ebrei!” un soldato grosso e corpulento ci chiamò, facendomi raddrizzare, in modo da non mostrare alcun segno di debolezza. “Siete stati tutti ricollocati” . Il mio cuore si angosciò ancora di più, dove questa volta?
“Siamo appena arrivati qui!” disse un uomo.
“Dove adesso? E’ la terza volta che io e i miei figli siamo ricollocati!” esclamò una donna appena sulla trentina. Li riconobbi come nostri vicini nel ghetto; la donna era molto gentile, a dispetto della nostra situazione, si chiamava Leah. La aiutai con i suoi figli insieme ad altri bambini del ghetto. Ero responsabile dell’insegnamento dell’Inglese e del Giudaico ai bambini. Aveva quattro figli; la maggiore, Eliana, aveva 17 anni e un figlio, poiché violentata da un soldato tedesco l’anno scorso. Seguono due figli, uno di 13 e l’altro di 8 anni. Yitzchak e Reuben. Ed ultima, ma non meno importante per me, la piccola Rivkah. Rivkah era una piccola bimba malaticcia, un po’ troppo piccola per la sua età di sei anni, somigliava di più ad una di quattro. Era la bambina più tranquilla e dolce qui, e mi seguiva ovunque come se fosse la mia ombra.
Guardai la loro famiglia ed una volta incontrati i miei occhi con Rivkah, lei corse verso di me attraverso il mare di gente ed io la presi tra le mie braccia, carezzandole i ricci marrone chiaro e cercando di essere forte per lei.
“Silenzio sporchi ebrei! Farete quello che vi diciamo di fare o morirete! Ora avete dieci minuti per prendere le vostre cose prima di essere caricati per essere ricollocati alla vostra ultima meta”. I suoi occhi erano scuri ed accennavano a qualcosa di malizioso ma non ci badai molto; tutti questi Tedeschi erano malevoli, crudeli e malvagi.
“No! Non voglio essere ricollocata. Questo è contro i nostri diritti, anche noi siamo persone, sai!” urlai, facendo voltare un Tedesco che mi fissò. Sussurrò qualcosa a un altro compagno prima di venire verso di me. Barcollai, spingendo la piccola Rivkah dietro di me per la sua sicurezza. Prima che me ne rendessi conto, alzò una mano e mi schiaffeggiò su entrambi i lati del mio volto. Gridai, tentando di essere forte, ma fallendo miseramente.
“Tu, tu vieni con me” disse, con un chiaro accento tedesco.
I suoi capelli erano rasati in un taglio arronzato, ma il colore era nero-lucido. Il suo corpo era magro e muscoloso e, benché basso per un uomo della sua statura, mi superava di un paio di centimetri. Strabuzzai gli occhi quando capii.
“No!”. Fui ricompensata con un calcio nella schiena da uno dei suoi compagni, arrivato dietro di me.
Il calcio mi fece cadere in avanti, il mio vestito si sporcò per il terreno freddo e sporco.
“Pensi di avere una scelta, Ebrea? Ti sbagli. Ora vieni con me in questo preciso istante se non vuoi essere uccisa sul posto”. Per enfasi, tirò fuori la pistola e me la puntò alla fronte, facendone derivare bisbigli preoccupati tra lo sciame di persone. Potevo sentire mia madre che iniziava a piangere, e lottai per non iniziare a piangere anch’io.
“Allora qual è la tua scelta, Ebrea? Alzarti e venire con me, o morire proprio adesso?” . Guardai mia madre che piangeva, trattenuta da un soldato Tedesco, e la piccola Rivkah, che tornava dalla madre, guardandomi con grandi occhi terrorizzati. Sussultai, vedendo come non avevo altra scelta. Preferirei essere presa da quest’uomo, essere picchiata, violentata, e magari rimanere incinta, che lasciare mia madre da sola. Quasi sputai sulle scarpe dell’uomo. Mostro, un mostro, ecco che cos’era. Mi alzai lentamente, ignorando il forte dolore alla schiena, e rifiutai di guardare l’uomo, guardando a terra. Non volevo guardare l’uomo che avrebbe strappato via la mia dignità e probabilmente mi avrebbe violentata.
Lui afferrò la mia mano e mi guidò verso il suo camion, silenzioso tutto il tempo.
Rubai un ultimo sguardo a mia madre; il soldato l’aveva rilasciata, lei me ne diede un ultimo per rassicurarmi mentre gli altri iniziavano a dirigersi verso le loro piccole case e a fare i bagagli. Tenni il mio medaglione al sicuro, felice di non aver dimenticato quello e la mia foto. Ho imparato da esperienze precedenti di non dimenticare mai i miei due preziosi oggetti.
Lui mi spinse rozzamente sul retro del camion che sembrava una cassa di legno da dove ero seduta. Venne un’altra guardia che mi legò mani e piedi, lasciando i miei occhi aperti ed enormi. La zona dove le guardie guidavano il veicolo era sigillata, lasciando me e quel mostro da soli.
“ Come ti chiami, Ebrea?” . Girai la testa, rifiutando di guardarlo o rispondere alla sua domanda. Sentii ancora un rapido schiaffo, un po’ più forte del primo. Gridai di nuovo, mordendomi il labbro per non iniziare a piangere. Lo morsi così forte che il sangue iniziò a defluire.
“Se vuoi sopravvivere, ti consiglio di imparare un po’ di rispetto, Hundin” sputò, usando la parola tedesca per “puttana”.
“Ora, te lo chiedo ancora, come ti chiami, Hundin?”
“Courtney”. Dissi amaramente.
“Non mi risulta che sia un nome giudaico. Spiegati, Ebrea”.
“Il mio nome giudaico è Channa, ma solo mio padre mi chiamava così…prima di morire” . Si addolcì per un secondo prima di diventare di nuovo duro.
“Guardami negli occhi Courtney, quando ti parlo. Se non impari il rispetto, non sopravviverai qui”.
“Cosa intendi dire?”
“Capirai. Ora guardami” . Lentamente alzai gli occhi per incontrare i suoi, e finalmente lo vidi.
Occhi d’acqua-chiara, bellissimi occhi blu-acqua incontrarono i miei. Se non fosse stato per la crudeltà dietro di loro, e il fatto che era un mostro Tedesco, avrei detto che era uno degli uomini più belli che avessi mai incontrato.
“ Molto bene. Ora, ecco cosa succederà. Verrai con me alla tua nuova sistemazione insieme agli altri Ebrei. Lavorerai, o morirai. Non sarai più trattata in modo speciale, a meno che non decida di farti restare in giro. Capito, Hundin?”
“Sì” risposi bruscamente, non dicendo più di quanto ritenessi necessario. Sorrise crudelmente ma orgogliosamente ed iniziò a camminare per l’autocarro.
“D’ora in poi mi dirai “Sì signore” “ . Feci un cenno col capo, farò qualsiasi cosa che mi avrebbe risparmiato dal dolore.
“Bene, hai qualcosa da dire per te, Ebrea?”
“Rivedrò mia madre? E gli altri ebrei del ghetto?”.
Lui sogghignò, io gli lanciai un’occhiata gelida.
“Dipende da quanto sei poco disposta a morire”.
Quasi soffocai, ma tenni per me il mio fremito provando ad avvicinare le gambe al petto.
“Fa’ come ti dico, non opporre resistenza, e potrei anche aiutarti più avanti”. Annuii tremante quando mi abbassò le gambe e spostò le mani dietro il torace, in modo che non potessi fare nulla per fermarlo.
Lui mi tolse il lungo vestito di cotone marrone, lasciandomi in biancheria intima. Desideravo mettere le mani sul mio torace semi-nudo, ma non potevo perché erano state legate.
Il mio tremolio si fece più pesante quando lui si avvicinò a me, facendo correre le sue mani sopra e sotto le mie gambe, arrivando su ed ancora più su. Violò ogni territorio che avevo.
Una volta finito si allontanò, con me che tremavo come una foglia. Mi slegò, dandomi il privilegio di rivestirmi. Una volta fatto, mi legò ancora. Mi osservò soltanto, ancora e ancora e ancora, sembrarono passare ore, fino a quando non mi fissò di nuovo negli occhi.
“Che peccato. Sei così carina, soprattutto per i tuoi capelli. Un vero peccato che se ne debbano andare tutti…”. Se le mie mani non fossero state legate, sarebbero immediatamente volate alla mia lunga treccia.
“Cosa? Che vuol dire? Dimmelo ora!” soffocai con la vocina che mi era rimasta. Lui tirò l’estremità della treccia scherzosamente e si alzò, dirigendosi di fronte al camion.
“Dormi un po’. Abbiamo un lungo viaggio davanti a noi” .
Lo guardai a bocca aperta, ma provai a mettermi comoda sul muro di legno.
“Ricorda, non sarai più trattata in modo speciale” .
“Lo so” .
“Sogni d’oro, Prinzessin”. Uscì dal compartimento dove mi trovavo ed il mio pensiero corse agli eventi passati. Che ipocrita…Dirmi che non sarei stata trattata in modo speciale, per poi chiamarmi Principessa.
Mostro, sudicio mostro.
  
Leggi le 31 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: edwardandbella4evah