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Autore: A li    15/05/2011    6 recensioni
Sebastian lo seguì avvicinarsi ancora, sedersi con un balzo sulla scrivania davanti a lui e aprire le gambe ai lati del suo bacino con noncuranza, come un bambino dispettoso e ignaro. I loro occhi erano sullo stesso piano. Non l’aveva mai visto così. E la cosa più assurda, tra tutte, era che Ciel Phantomhive in quel momento gli appariva terribilmente provocante.
«Domanda numero tre», soffiò Ciel, direttamente sulle sue labbra.
[Spoiler Finale Seconda Serie]
[Sebastian/Ciel]
Genere: Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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é t e r n i t é

é t e r n i t é

 

 

 

 

{Finale della seconda serie ~ Kuroshitsuji}

 

 

Titolo: éternité

Autrice: A li

Categoria: Kuroshitsuji

Pairing: Sebastian/Ciel

Disclaimers: Spoiler finale Seconda Serie

 

 

 

 

 

Yes.

My.

Lord.

 

Aveva ripetuto quelle parole così tante volte ormai, in forme così diverse, su ordini così vari, che non sapeva più tenerne il conto. Eppure, quell’ultima volta aveva definito il loro rapporto e aveva sancito un contratto di temeraria éternité, imprigionando un demone al servizio di un altro, fino alla fine dei tempi.

 

Fino a quando non divorerai il mio corpo, resterai il mio maggiordomo.

 

Quelle splendide carni e la purezza limpida, totale di un’anima nutrita da una vendetta raggiunta, il succo denso e inebriante di un cuore che non si sarebbe abbandonato al panico nemmeno nell’ultimo istante – non avrebbe assaggiato nulla di simile, mai più. Il suo prezioso bocchan era svanito sulla scia di quel tuffo profondo, scuro, diabolico, che lo aveva trascinato nelle viscere della terra e nell’oscurità di sé stesso, per portarlo a rinascere, ancora una volta, sotto forma di mostro.

Ora che era un demone, suo pari, esattamente come lui in ogni particolare, quel corpo e quell’anima non avevano più attrattive. Poteva percepire il freddo disumano del suo sguardo al di sotto dell’innocente azzurro dell’iride e il fuoco della fame bruciare appena a un passo dalle ossa, dove una volta era stato scosso dai tremiti un morbido cuore.

 

Ormai di Ciel Phantomhive non restava che la scorza; una buccia priva del gustoso frutto che aveva contenuto.

 

Era legato ad un fantoccio.

Si trascinava sulle spalle un essere nato da un anno, senza passato e con un noioso, perfetto, piatto futuro.

E sarebbe rimasto suo maggiordomo. Fino alla fine dei tempi.

 

 

 

Ma Sebastian Michaelis doveva ammetterlo. Non era poi così male.

 

 

 

«Ancora a rimuginare? Ti ho detto che voglio il mio tè, Sebastian».

«E’ sul tavolino proprio davanti a lei, bocchan». Un sorriso a fior di labbra. «Forse è lei quello in preda alle riflessioni?»

Un silenzio ostinato lo avvertì di una piccola vittoria conquistata; anche se era un demone, Ciel Phantomhive restava l’innocente, testardo e capriccioso bambino che era stato fino ad un anno prima. E anzi, forse, ora che era rimasto cristallizzato nei suoi goffi tredici anni, sarebbe stato più semplice prevederlo e torturarlo con i soliti battibecchi.

La tazzina tintinnò quando Ciel la portò alle labbra, assaporando una bevanda che in realtà non era più in grado di gustare. Il cucchiaino urtò malinconicamente il fondo e alla fine la tazzina ritrovò il suo posto sul tavolo.

Nella stanza, il caldo si rifletteva sulle pareti e sul pavimento, sui loro vestiti perfettamente in piega e sulle carte oleose della scrivania; ma i loro volti non tradivano il minimo affanno, non una goccia di sudore ne imperlava le fronti e nemmeno un sospiro tradiva un qualche genere di disagio. Esistevano in una perfezione surreale, espandendo all’atmosfera circostante una sfumatura grottesca e allo stesso tempo idilliaca. Era come se un orologio grande quando il mondo si fosse fermato su di loro e li avesse contemplati estasiato, dimenticandosi di ricominciare a battere i secondi, i minuti e le ore.

«Ne voglio un’altra».

Si chiedeva, alcune volte, se Ciel lo facesse apposta per temprare la sua pazienza. Ma ora che anche lui provava cosa significasse vivere da demone, era assurdo che ancora cercasse in tutti i modi di farlo cedere. Il motivo doveva essere un altro: forse uno strenuo attaccamento alle abitudini che non avrebbe mai dimenticato, o forse la necessità di riempire i giorni vuoti e traboccanti di noia che si prospettavano per lui da quel giorno fino al momento del Giudizio. Se mai ve ne fosse stato uno. Ma Sebastian dubitava che in un universo popolato da demoni immortali, angeli e shinigami non vi fosse spazio per una forza superiore, eterna e dalla potenza prodigiosa, garante di un equilibrio finale e definitivo. E probabilmente era giusto così. Anche se ogni tanto si domandava che fine avrebbe fatto lui, quel giorno.

Si alzò, con un momento di ritardo rispetto al solito, avanzò elegantemente fino al carrello su cui era appoggiata la teiera e la sollevò senza sforzo con una mano; raggiunse Ciel e riempì la tazzina che gli porgeva, arrischiando un’occhiata veloce al suo viso. Non lo guardava da quando, due ore prima, avevano iniziato a lavorare, ciascuno sui propri documenti, per conto della Regina. God Save The Queen doveva essersi radicato in profondità nel Conte Phantomhive se, perfino ora che era diventato lui stesso una delle leggende metropolitane, aveva deciso di caricarsi sulle spalle il peso degli affari loschi della Regina d’Inghilterra, tornata ad essere una delle superpotenze europee. Del resto, ormai, era così rapido ed efficace nell’eseguire gli ordini, che la gente quasi non si accorgeva del suo passaggio – addirittura della sua esistenza – e la Regina lo mandava a chiamare praticamente per ogni inezia.

Sorrise non visto, quando si accorse che Ciel sbuffava leggendo una riga particolarmente difficile da decifrare, o forse eccessivamente noiosa, ma decise di non dissimulare il suo divertimento.

«Ha bisogno, bocchan

Ciel lo fulminò con un’occhiata e i suoi occhi – privi di bende da un bel po’ – si accesero di rosso vivo.

«Ti ho forse chiesto aiuto?»

«Perdoni la mia scortesia».

Si voltò, riportando la teiera al suo posto e stiracchiando le labbra nel tentativo di non ridere. Pensare che anche un demone potesse ridere in effetti era piuttosto buffo, ma aveva imparato da tempo che con Ciel Phantomhive nulla era impossibile.

Riprese posto alla sua scrivania e appoggiò il mento sul palmo di una mano, con espressione divertita.

Non aveva nemmeno ricominciato a leggere, che Ciel lo chiamò.

«Sebastian».

«Desidera, bocchan

«Vieni qui».

I suoi occhi scattarono istintivamente in direzione dell’insolita richiesta. Ciel era seduto al suo posto, con l’anello blu al dito e le braccia conserte appoggiate alla scrivania. Lo sguardo era intenso – come sempre del resto – ma aveva una sfumatura particolare, profondamente umana e nostalgica. Sembrava quasi che il vecchio Ciel Phantomhive, il Cane da Guardia della Regina, il bambino di tredici anni a cui ancora batteva un cuore, si fosse ripreso il proprio corpo scivolandovi sottoforma di mesta ombra.

Il nuovo Conte gli fece segno con un dito di procedere e continuò a chiedergli di avanzare anche quando si fu trovato a contatto con il bordo della scrivania. L’uniforme nera si stava stropicciando pressata contro il legno, infastidendo colui che la indossava. Alzò un sopracciglio in una domanda muta, alla quale Ciel rispose semplicemente muovendo ancora l’indice, avanti e indietro.

Decise di accontentarlo. Piegando il busto in avanti, si avvicinò con il viso a quello dell’altro finché il dito di Ciel si fermò, sospeso a mezz’aria. I loro nasi quasi si sfioravano – se avesse avuto la capacità di respirare i profumi, Sebastian sarebbe stato inebriato dall’aroma del Conte Phantomhive.

Ciel non disse nulla per un buon minuto, lasciandolo lì, proteso in avanti, e beandosi di quell’immagine con il migliore dei suoi sorrisi divertiti.

«Sebastian».

«Sì, bocchan

L’occhio destro di Ciel diede un guizzo sanguigno che si spense subito. Il suo proprietario si protese all’indietro sulla sedia, ostentando una superbia perfettamente aristocratica.

«Ti rivolgerò tre domande e dovrai rispondere con sincerità ad ognuna delle tre».

Non capiva il gioco, ma preferì non chiedere nulla per il momento. Ciel sapeva benissimo che non avrebbe risposto che la verità. Era obbligato: era un perfetto maggiordomo.

«Hai capito?»

«Certo, bocchan».

Ciel si schiarì la voce e si alzò dalla sedia, girando intorno alla scrivania per posizionarsi accanto a lui. Sebastian si sentì autorizzato a ritirarsi dalla postura scomoda che aveva mantenuto fino a quel momento. Dal suo scarso metro e cinquanta, Ciel lo squadrava serio, ma sul suo viso leggeva un certo imbarazzo. Se fosse stato più umano, probabilmente sarebbe arrossito.

 

«Uno», disse, puntandogli in faccia l’indice. «Un demone può innamorarsi?»

 

Sebastian sentì che se non avesse riso quella volta, sarebbe riuscito a trattenersi fino alla fine dei suoi giorni. Ma che razza di domanda era? Tipica del signorino. Lo avrebbe sorpreso per tutto il resto dell’eternità.

Ma Ciel lo inchiodava con due occhi perfettamente seri e probabilmente non avrebbe rinunciato ad una risposta per nulla al mondo.

«Rispondi, Sebastian».

«Sì è possibile. Abbiamo avuto l’esempio di Hannah Annafellows, bocchan».

Ciel gli diede le spalle di colpo, facendo finta di niente, ma Sebastian lo vide muoversi nervoso da un piede all’altro, come se la risposta non lo avesse convinto completamente. Sembrava quasi in imbarazzo ed era particolarmente divertente. Si comportava in modo così umano, per essere un demone.

Improvvisamente davanti agli occhi gli arrivarono due dita.

 

«Due». Ciel prese un respiro e chiuse gli occhi. «Ti sei mai innamorato?»

 

Non appena ebbe pronunciato a fatica quelle poche parole, uno strano rossore gli imporporò le guance – ma probabilmente fu solo una sua impressione, perché era fisicamente impossibile che un demone arrossisse.

Cercò di non richiamare nella propria mente le implicazioni di quella domanda, ma era inevitabile. Una voglia incontenibile di ridere lo attraversò all’improvviso e si lasciò scappare un sorriso senza riuscire a trattenerlo.

Ciel lo guardò in cagnesco e lo prese per il colletto della maglia.

«Non. Ridere. Sebastian!»

Tentò di trattenersi, come da ordine ricevuto, ma non era mai stato così difficile.

Era assurdo che pensasse davvero a lui come a un essere capace di provare amore. Poteva essere dominato dall’ossessione, pervaso dalla furia o schiacciato dalla fame, ma era impossibile – mai successo, in assoluto – che si innamorasse. E poi cos’era l’amore? Ammirazione? Devozione? Altruismo? No, era una caratteristica tipicamente umana. E se Hannah ne era stata contaminata era solo perché un bambino l’aveva mossa a compassione. Quelli con cui lui aveva avuto a che fare non erano mai stati bambini. E anche colui che aveva di fronte non era affatto un bambino: era stato un’anima ribollente di rancore e desiderio di vendetta e ora era un semplice demone.

Ma forse la risposta che si aspettava il Conte era un’altra.

Inclinò la testa da un lato, tendendo gli angoli della bocca.

 

«Mi sta chiedendo se mi sono innamorato di lei, bocchan?»

 

Ciel sobbalzò e si affrettò a scansarsi, allontanandosi di quel poco che doveva sembrargli una distanza di sicurezza. Assottigliò lo sguardo e piegò le labbra verso il basso.

«Che maggiordomo presuntuoso».

Ma il suo viso rivelava che in realtà qualcosa di quella domanda l’aveva irrimediabilmente colpito.

«No».

Ciel alzò gli occhi.

«No cosa?»

«Non mi sono mai innamorato».

Stranamente l’espressione del Conte si distese e il suo divenne un sorriso raggiante, degno dei più bei dipinti di un espressionista pervaso dall’ottimismo.

«Meglio così».

Sebastian lo seguì avvicinarsi ancora, sedersi con un balzo sulla scrivania davanti a lui e aprire le gambe ai lati del suo bacino con noncuranza, come un bambino dispettoso e ignaro. Dondolò avanti e indietro i piedi facendo leva sulle ginocchia e, con le braccia appoggiate alla superficie lignea, si sporse in avanti. I loro occhi erano sullo stesso piano.

Sebastian non l’aveva mai visto così. E la cosa più assurda, tra tutte, era che Ciel Phantomhive in quel momento gli appariva terribilmente provocante.

«Domanda numero tre», soffiò Ciel, direttamente sulle sue labbra.

Il suo sguardo cadde inavvertitamente in basso e sentì che uno strano istinto umano tornava a bussare.

Ciel dovette accorgersene, perché il suo sorriso si amplificò.

«E se ti dicessi di insegnarmi un po’ di ars amatoria?»

Sebastian si lasciò andare ad un sogghigno.

«Le chiederei se è un ordine, bocchan».

Ciel si tolse una ciocca di capelli dal viso e gettò il capo all’indietro.

«Lo è, Sebastian. Fallo».

Senza smettere di guardarlo, Sebastian si avvicinò finché le loro labbra non si sfiorarono. Ciel tremò e per un attimo sembrò perdere la spavalderia di poco prima, ritornando il semplice essere umano che era stato.

Ma era un demone ormai.

 

«Yes, My Lord».

 

 

 

 

«Bocchan

Ciel Phantomhive era riverso sulla scrivania, ansimante e nudo dalla vita in giù.

Non aveva davvero l’aria di essere un demone potenzialmente pericoloso in quel momento.

Mugugnò in risposta, per dare segno di aver sentito.

«Si è mai innamorato, bocchan

Non ci fu nemmeno un attimo di esitazione.

«Sì. Quando ero umano».

«E di chi?»

Ciel Phantomhive sorrise, sospirando.

«Di te».

 

 

 

E, sì, Sebastian Michaelis doveva ammetterlo.

Non era affatto male.

   
 
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