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Autore: Dils    15/05/2011    4 recensioni
Nick e Miley, semplicemente.
Perché credo che siano assolutamente perfetti l’uno per l’altra, perché sono tormentati, complicati e terribilmente stupendi. Perché mi fanno emozionare come pochi altri.
Un sospiro. L’ennesimo. Poi un sorriso, amaro, questa volta. Le sembrava di poterlo vedere, in camera sua, circondato da qualche spartito e appoggiato allo schienale del letto. Magari con una chitarra in mano e quella vecchia tuta che non voleva mai buttare perché, diceva, gli portava ispirazione.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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I look up at the stars, hoping you’re doing the same.


 

You call and ask to see me tomorrow night,

I’m not a mind reader,

But I’m seein’ the signs, bet you can’t see me again.

 

Tu chiami e mi chiedi di verdermi domain sera,

non leggo nel pensiero,

ma riesco a vedere i segni,

scommetto che anche tu non vedi l’ora di rivedermi.

{Miley Cyrus, “See you again”.

 

L’ennesimo giornale, l’ennesima critica. Era terribilmente stanca di tutto; dei paparazzi che non la lasciavano in pace un momento, dei genitori che non facevano che giudicarla come un poco di buono, di quella situazione. Non capiva ancora come uno stupido video, una foto, o qualsiasi altra cosa facesse, riuscisse a fare così scalpore.

Evidentemente le persone non sapevano fare altro che giudicare la sua vita.

Scosse la testa, quasi sconcertata, e appoggiò il giornale sul sedile del passeggero. Si sistemò meglio i Ray-Ban neri sul naso, socchiudendo gli occhi davanti al sole che, nonostante gli occhiali, la stava accecando e, facendo un bel respiro, uscì dall’auto.

Come di consueto ad attenderla c’erano due o tre paparazzi , più qualcuno in lontananza, con le solite domane “Come va con Liam?” “E’ vero che vivete assieme?”

Lei, veloce e impassibile, ignorava come da copione quelle domande, anche se sapeva che, se avesse avuto un briciolo di autocontrollo in meno, si sarebbe girata e avrebbe urlato a quell’uomo che, no, le cose con Liam non andavano affatto bene (aggiungendo, magari, di farsi una padellata di cavoli suoi, ma questo era del tutto superfluo).

Avevano litigato per l’ennesima volta.

Amava Liam, davvero, eppure sentiva che ci sarebbe sempre stato qualcosa in sospeso tra di loro, era come se lui non riuscisse a distruggere quel muro che si era creta attorno e lei non facesse niente per farlo passare attraverso di esso.

E, onestamente, non sapeva se sarebbe mai riuscita ad abbattere tutte le sue difese, un giorno.

Entrò in casa, sopraffatta, appoggiando la borsa sul tavolo e controllando se aveva nuovi messaggi. Di fatto, Demi ne aveva appena mandato uno; decise però che avrebbe risposto più tardi, certa che l’amica avrebbe capito: voleva stare da sola, in quel momento.

Si guardò attorno, osservando quella casa troppo vuota, troppo grande, troppo estranea per darle qualsiasi tipo di conforto e, cercando di sentirsi meno sola, si distese sul divano, rannicchiata su se stessa.

Cercava di non pensare a niente, ma più ci provava, più aveva la sensazione di voler qualcuno accanto a se… anche se non riusciva a capire chi esattamente volesse.

Dopo qualche minuto, spazientita, si alzò e prese l’iPod, cercando di calmarsi.

Ma nemmeno così funzionava. Era tremendamente frustante.

Doveva uscire di lì, non sapeva ancora dove sarebbe andata ma sapeva che non era lì che voleva stare, aveva bisogno di un luogo familiare, che la facesse stare bene.

Si cambiò, indossando dei comodi shorts e un maglione troppo grande per lei, poi, facendosi una coda alta, uscì dalla porta sul retro, temendo che qualche paparazzo la vedesse. Fortunatamente non fu così. Non c’era nessuno ad attenderla, nessuno che la stava osservando; era una semplice diciassettenne che faceva una passeggiata, in quel momento.

Camminò senza meta per un po’, non sapeva dove stesse andando, semplicemente si faceva guidare dalle proprie gambe, con la testa persa in altri luoghi, in ricordi lontani.

Fu solo quasi mezz’ora dopo che si fermò.

Per qualche secondo non realizzò dove fosse poi, come un flash, come un ricordo improvviso, spalancò gli occhi meravigliata; era da molto tempo che non si rifugiava in quel luogo, forse fin troppo.

Non era cambiato molto da allora.

 

 

Nel quartiere Toluka Lake, vicino alle maestose abitazioni delle star di Hollywood, vicino a macchine costose e lussureggianti giardini sempre in fiore, si erigeva una vecchia casa abbandonata. Era come ogni casa abbandonata che si rispetti: vecchia, angusta, sporca, spaventosa. Un tempo doveva essere stata un’elegante casa ottocentesca, forse la più bella di quel quartiere, ma ora non rimaneva che il ricordo di quella che era stata un tempo. Naturalmente si vociferavano quelle usuali storie di paura, inventate da ragazzini per spaventarsi a vicenda, secondo alcuni era infestata da fantasmi, altri dicevano che proprio lì era stato commesso un delitto spaventoso; di fatto nessuno sapeva a chi appartenesse quella casa e quelle dicerie erano abbastanza spaventose perché nessuno provasse ad abbatterla.

Ne era sempre rimasta affascinata, da quella casa. Ricordava che fin dal giorno in cui si era trasferita a Los Angeles aveva fantasticato su chi ci avesse vissuto, era arrivata anche a pensare che un giorno ci avrebbe abitato.

In un certo senso era stato così, ci aveva passato così tanto tempo che ormai poteva essere definita la sua seconda casa. O meglio, la loro casa.

Lentamente si avvicinò, scavalcò il cancello arrugginito, si avventurò tra l’erba alta del giardino, fin ad arrivare alla sua meta: un grosso buco nascosto da un cespuglio che aveva scoperto la prima volta che si era avventurata in quel luogo, quasi cinque anni prima.

Con fatica attraversò la grande crepa nel buco, molto più piccola di quanto ricordasse, e finalmente entrò.

Come esternamente, anche dentro la casa non era cambiata affatto; sembrava estranea al mondo che la circondava e al tempo che scorreva, veloce e beffardo.

Inquadrò subito il divano logoro dove erano soliti passare le giornate lei e… No, non doveva pensarci.

Eppure dentro di lei sapeva che in quel momento lui sarebbe stato l’unico a riuscire a farla stare meglio, era sempre stato l’unico a farle tornare il sorriso anche nei momenti peggiori, era sempre stato l’unico… l’unico e basta. L’unico in tutto.

Si sedette sul divano, le gambe rannicchiate al petto, con l’iPod nelle orecchie, come in una specie di trans.

Non seppe quanto tempo era passato (minuti? Ore? Giorni? Mesi?), quando qualcuno iniziò a toccarle i capelli.

Doveva essersi addormentata inconsapevolmente. Per qualche secondo non realizzò dove fosse poi, messa a fuoco la stanza, capì che si trovava ancora in quella vecchia casa.

Non le importava, andava bene così, non aveva voglia di alzarsi né tantomeno abbandonare quel luogo confortevole.

Si godette, per un tempo che non seppe definire, quel tempore in cui si era chiusa, ascoltando la musica che usciva ancora lieve dal sul iPod, crogiolandosi dal sole leggero che entrava dalle finestre e poi… cosa era quel così familiare tocco alla testa?

Resasi conto che non era sola, aprì gli occhi spaventata, tirandosi a sedere, aspettandosi un maniaco sessuale o chissà quale altra cosa.

«Calma, calma, calma! Sono solo io!»

Un ragazzo – il ragazzo più bello che avesse mai visto- la guardava con sguardo ironico, quasi malizioso. E poi sorrise, con il suo sorriso luminoso che, lei sapeva, donava a soli pochi eletti. Lo guardò, quasi estasiata, come se pensasse fosse una specie di meteora.

Ma invece lui era lì.

Guardò i suoi occhi, scuri, profondi, sicuri di sé.

Osservò i suoi capelli, ricci, ribelli, allo stesso tempo definiti, morbidi. La sua bocca, rosea, carnosa, perfetta, era ancora come ricordava.

La pelle lattea, i corpo snello ma allenato, le gambe muscolose.

Era proprio lui, lì, con lei… per lei?

«Cosa ci fa tu qua?»

Si guardarono, così intensamente come forse non avevano mai fatto prima.

C’erano così tante domande, in quelli sguardi. E anche tante risposte.

Nell’arco di quei secondi in cui i loro occhi si erano incontrati –incontrati davvero- dopo tanti anni, Miley seppe che non c’era più niente da dire.

«Avevi bisogno di me.»

Alzò le spalle, come se fosse ovvio. E lei annuì, come se fosse d’accordo sul fatto che, sì, era piuttosto ovvio.

Così, senza dire niente, appoggiò la testa sulle sua gambe, godendosi quel momento.

Nick le iniziò a toccare i capelli, canticchiando una vecchia canzone.

Lei chiuse gli occhi, sorridendo.

E quando lui si chinò per baciarla, non si sorprese, semplicemente rispose a quel bacio, con dolcezza e passione, così come erano loro.

Sembrava che il tempo non fosse passato e che fossero ancora quei tredicenni innamorati e senza problemi che un tempo erano stati.

Quel bacio però aveva un sapore diverso: sapeva di promesse, sapeva di malinconia e sapeva di complicità.

Da quel bacio entrambi capirono che, qualunque cosa fosse successa, loro sarebbero stati lì, per l’altro, ovunque fossero e in qualunque modo si fosse evoluta la loro vita.

E andava bene così, perché il giorno dopo sarebbero tornati alle loro frenetiche vite, avrebbero continuato ad ignorarsi, avrebbero continuato a sorridere al mondo fingendo di essere felici, ma niente avrebbe sostituito la magia di quell’attimo.

 

 

 

 

Ehm… per prima cosa, in mia difesa, vorrei dire che ho pochissimo tempo, che sono piena di compiti, che studio ogni giorni quattro/cinque ore e che il tempo per scrivere è sempre meno. :3

Comunque sia oggi ho voluto finire questa shot che era rimasta incompleta da un po’.

Niente da dire, tranne che amo questi due. E, ovviamente, un grazie infinito a quei tre splendori che hanno commentato il precedente capitolo. I loge u all!

 

 

  
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