Tu credi nel destino?
Come un
bambino piccolo, era stato buttato fuori di casa a calci da sua madre per
andare dal fruttivendolo. Era stato cacciato dal letto alle otto di mattina
quando avrebbe dovuto svegliarsi alle dieci per andare al lavoro.
Faceva il
fotografo e aveva degli orari abbastanza flessibili. Il suo capo era un suo
amico da parecchio tempo e molto spesso gli lasciava qualche ora di sonno in
più, sapendo quanto adorasse dormire.
Stava
camminando per le strade con le mani in tasca e la sua solita camminata sicura.
Era un
giorno d’inverno. Uno di quei giorni uggiosi e freddi, troppo freddi. Quei
giorni che ti costringono ad andare in giro con il giubbino allacciato, una sciarpa
attorcigliata bene al collo e un paio di guanti caldi con cui potersi coprire e
proteggere le mani.
Quelli
erano i vestiti che ogni persona comune avrebbe messo, ma non Chad, non lui.
Lui non temeva il freddo, era probabilmente uno dei pochi inglesi che soffriva
il caldo anche durante una giornata uggiosa come quella.
Forse si
era portato appresso qualche raggio di sole quando se n’era andato, qualche
anno prima, dalla calda e assolata California. A cosa era dovuto quel
trasferimento? Principalmente per i genitori. Chad era di origine inglese, ma
era sempre stato attratto dalla California: dal sole tutto l’anno, dal caldo,
dalle belle ragazze che girano in bikini per le strade. Tutte quelle cose lo
avevano spinto a trasferirsi appena finita la scuola e l’aveva fatto, lasciando
i genitori senza un minimo di ripensamento. Ma purtroppo, qualche anno prima il
padre si era gravemente malato e la madre non sarebbe riuscita ad accudire da
sola il marito, così, Chad fu costretto a tornare nella fredda e uggiosa
Notthing Hill.
Ricominciando
a vivere in quel posto, scoprii quanto non fosse poi così male, come il
pensiero di poter vivere lì per sempre non gli sembrasse per niente male.
Chad
ormai aveva ventotto anni, non era più il ragazzo a mala pena diciottenne che
aveva lasciato l’Inghilterra. Era maturato e cresciuto, aveva esigenze diverse
e probabilmente voleva cambiare vita. Era stufo dei ritmi sregolati che aveva
assunto in California, era stufo del sole, di vedere ragazze facili in ogni
dove.
Ne era
stufo e così, dopo la morte del padre, decise di trasferirsi definitivamente a
Notthing Hill, andando ad abitare con la madre che in quel momento aveva
bisogno di lui.
Ormai era
passato quasi un anno dalla morte del padre, ma ogni sera sperava ancora di
vederlo tornare a casa dal lavoro come faceva quando era bambino. Speranza
vana, ovviamente.
Faceva
fatica a farsene una ragione e pure quel giorno, camminando per andare dal
fruttivendolo, sperava ancora che al suo ritorno l’avrebbe visto fare colazione
o leggere il giornale sulla veranda, come faceva ogni mattina prima di andare
al lavoro.
Chad era
rimasto scosso dalla morte del padre, ma non continuava a ripensare al passato,
ogni tanto però capitava. Con il passare del tempo capì che doveva andare
avanti, che doveva continuare a vivere per suo padre, per se stesso, per la
madre che pensava già fin troppo alla morte del marito.
Gli
mancava ancora un po’ di strada prima di arrivare dal fruttivendolo, quando lo
chiamò il suo capo, Luke, e il suo più grande amico. Si conoscevano fin da
piccoli, erano cresciuti praticamente insieme e quando Chad aveva lasciato
l’Inghilterra, Luke ne aveva molto sofferto. Aveva visto partire suo fratello,
aveva visto partire una parte integrante della sua vita e quando finalmente
l’aveva rivisto tornare, anche se per una circostanza tutt’altro che felice, ne
era rimasto contento.
Nel
periodo della sua permanenza, Luke lo aveva sostenuto, lo aveva assistito, gli
era stato accanto come solo un fratello poteva fare. Alla notizia che sarebbe
rimasto, e sapendo della passione per la fotografia di Chad, gli offrì un
lavoro, lavoro che lui accettò di buon grado.
Da quel
giorno diventarono ancora più inseparabili e si chiamavano per raccontarsi ogni
minima conquista o cosa fatta. Probabilmente era un comportamento da donne, ma
non gli importava. Si erano sempre comportati così fin da piccoli e avrebbero
continuato a farlo.
Luke lo
aveva chiamato per raccontargli della ragazza con cui era stato la serata
prima. Una certa Rebecca, che lo aveva stregato e con cui era uscito per bere
qualcosa, solo per bere qualcosa.
Era
strano sentir dire da Luke che con una ragazza ci aveva solo bevuto, lui era
quel classico uomo che conquista le donne per andarci a letto la prima sera per
poi lasciarle senza nemmeno un numero di telefono. Le seduceva e le abbandonava,
come la maggior parte degli uomini al giorno d’oggi fanno.
Ormai era
praticamente arrivato dal fruttivendolo, cercò di far capire a Luke che doveva andare,
che avrebbero continuato a parlare quando l’avrebbe raggiunto in negozio, ma
niente, sembrava che non riuscisse a capire. Era tutto preso dal descrivergli
le sensazioni che gli aveva provocato quella ragazza da non rendersi conto che
l’amico aveva da fare.
Sconfitto,
rendendosi conto che ormai l’avesse perso, entrò con ancora il cellulare
all’orecchio e il suo amico che parlava praticamente da solo.
Si mise a
girare tra i piccoli banchetti del fruttivendolo, ormai fin troppo conosciuti.
Passò
davanti al banchetto delle mele e come un deficiente ci andò a sbattere contro.
Per un
secondo rimase a guardare, sperando che non fosse successo niente e che tutto
sarebbe rimasto intanto, ma, purtroppo, quello sembrava non essere il suo
giorno fortunato.
Le mele
cominciarono a cadere a una a una e provò a recuperarle e a limitare i danni,
cercò di salvarle e di non farle cadere a terra.
Chad non
se ne accorse, ma anche una ragazza bionda cominciò ad aiutarlo.
Cercarono
in tutti i modi di fare meno danni possibile , ma purtroppo le mele erano
cadute velocemente al suolo, tutte.
Il
fruttivendolo, amico di Chad, lo guardò male e mise le mani suoi fianchi.
<<
Scusa, Phil >> si grattò il capo con una faccia colpevole.
La
ragazza vicino a lui rimase colpita dalla voce così bassa e baritonale
dell’uomo, ne rimase affascinata e osservò il suo volto cercando di studiarne
il più possibile i lineamenti e i dettagli. Qualcosa colpì la sua attenzione:
due grandissimi occhi azzurri che si girarono a guardarla e la inchiodarono al
muro.
Si sentì
quasi trapassare da quello sguardo di ghiaccio, lo sentì entrarle nel corpo e
nell’anima, giù in profondità, in posti che nemmeno lei pensava di avere.
I due
rimasero a guardarsi per minuti interminabili e Lexie -così si chiamava la
ragazza- sentendosi totalmente in imbarazzo, cominciò a raccogliere le mele e a
rimetterle sul banchetto.
Lexie era
completamente spiazzata, nessun uomo l’aveva mai messa in imbarazzo, nessuno
era mai riuscito a lasciarla senza parole solo con uno sguardo.
Lexie era
quel classico tipo di donna che ne aveva viste talmente tante da non lasciarsi
più affascinare da niente, quel tipo di donna che pensa di conoscere ogni
genere di uomo sulla faccia della terra, ma a quanto pareva, non ne aveva
ancora conosciuto uno. Uno che era un genere tutto a sé: Chad.
Lui
rimase a guardarla, a osservare il corpo sinuoso e i movimenti. L’aveva
stregato con i suoi occhi castani da cerbiatta, l’aveva completamente ammaliato.
Quel suo sguardo quasi smarrito che gli aveva rivolto, gli avevano fatto
perdere la ragione e l’uso della parola.
Rimase
lì, accovacciato per terra, a osservare quella donna che si piegava a raccogliere
un po’ di mele per appoggiarle sul banchetto.
Stupido, che razza di gentiluomo
sei? Dalle una mano.
Si rialzò
velocemente, scattando in piedi a quel pensiero.
Com’era
potuto essere così stupido?
In
silenzio, raccolsero una per una le mele senza rivolgersi nemmeno una parola di
circostanza, nemmeno una battuta per smorzare l’atmosfera che diventava sempre
più pesante, ma nonostante questo, Chad si sentiva quasi rilassato, felice e
c’era un motivo: aveva sempre trovato donne facili, donne che gli cadevano ai
piedi al solo guardarlo negli occhi, invece quella donna no, non lo stava
facendo, anzi, sembrava quasi non avesse nemmeno notato quel bellissimo
dettaglio di lui.
Era interessato
a lei perché sembrava non essere attratta da lui, dal suo aspetto fisico, dai
suoi occhi. Probabilmente era pazzo, era solo un pazzo che avrebbe potuto
ricevere un due di picche, ma non gli importava.
Quando
finirono di raccogliere ogni singola mela, si resero conto che i loro
telefonini giacevano per terra inermi.
Se
n’erano completamente dimenticati, stavano parlando al telefono quando era
successo il danno e, per cercare di limitare i danni, li avevano lasciati
cadere senza farlo apposta.
Raccolsero
il primo telefono che si trovava vicino a loro e si guardarono.
<<
Mi dispiace averle fatto perdere tempo >> disse Chad cercando di rompere
il ghiaccio e le sorrise.
Lexie rabbrividì
quando vide quell’uomo sorriderle in quel modo strano, in un modo che non aveva
mai visto. Doveva appartenere a lui, a quell’uomo, perché nessuno aveva un
sorriso come il suo.
Cercò di
non lasciarsi scalfire da quel sorriso e da quegli occhi così penetranti.
<<
Non si preoccupi, l’ho fatto volentieri >> si sforzò di non sorridere,
cercò di farlo, ma purtroppo, all’ultimo, gli angoli della bocca andarono verso
l’alto mostrando a Chad un sorriso leggermente impacciato che gli scaldò il
cuore.
Lexie si
sentiva una stupida, non le era mai capitato di comportarsi in quel modo,
soprattutto con un uomo. Era sempre sicura di sé, sapeva quello che voleva, ma,
soprattutto, sapeva quello che gli uomini volevano: una sola cosa e pensava che
anche a quel ragazzo interessasse solo quello, ma non ne era così sicura.
Voleva crederlo, le faceva comodo crederlo perché per trovare l’unico uomo
sulla terra che non voleva solo una cosa, bisognava avere molta fortuna,
fortuna che Lexie non aveva.
Rimasero
lì, in piedi, uno davanti all’altra per interminabili minuti. Il mondo intorno
a loro continuava a muoversi, le persone si aggiravano nel negozio come se
quelle due persone non fossero proprio in mezzo alla stanza. Il mondo
continuava a vivere eppure loro erano immobili, per loro il tempo si era
fermato e aveva deciso di non far scorrere più le lancette dell’orologio.
Nessuno
dei due si rese conto di quello che succedeva intorno a loro, non si resero
conto che molte donne rimasero a guardarli sorridendo ripensando a quando
avevano incontrato il marito per la prima volta e se ne erano innamorate
subito. Non se ne resero conto perché in quel momento esistevano solo loro due,
loro due e nessun altro.
La prima
a riprendersi da quel momentaneo smarrimento fu Lexie, che non appena si rese
conto di essersi fermata a guardarlo come una stupida ragazzina alle prime
armi, gli girò la schiena e se ne andò, non dicendo una parola, non dicendo un
“Piacere, mi chiamo…”.
Non disse
niente, assolutamente niente, ma Chad nonostante tutto era felice, si sentiva
felice e non ne capiva nemmeno lui il motivo.
Anche
lui, come Lexie in quel momento, si sentiva uno stupido. Entrambi si sentivano
allo stesso modo, ma per motivi diversi: Chad si sentiva uno stupido perché gli
sembrava di comportarsi come un dodicenne alla prima cotta; Lexie, dal canto
suo, si sentiva una stupida perché si era lasciata abbindolare da due occhi
azzurri, da due bellissimi occhi azzurri. Si era dimostrata debole, aveva
mostrato una parte di sé che probabilmente nemmeno i suoi genitori avevano mai
visto.
Era
sempre stata così, sempre, fin da piccola. Aveva imparato a mostrarsi sempre
forte, a non avere mai paura, a non dimostrare alla persona che aveva davanti
che cosa provasse davvero. Lexie aveva imparato a usare una maschera, lei in
realtà non era così, lo era diventata. Aveva deciso di diventarlo dopo che la
madre aveva perso tutto quello che aveva a causa della sua troppa bontà, della
sua troppa fiducia. Aveva visto l’effetto che aveva avuto sulla madre
quell’episodio e da quel momento decise che nessuno l’avrebbe presa in giro,
non si sarebbe mai fidata di nessuno, solo di se stessa.
Ma in
quel momento Lexie si rese conto che per qualche minuto aveva calato la maschera,
l’aveva lasciata cadere, con chi? Con uno sconosciuto? Non era possibile. Non
l’aveva mai fatto e non l’avrebbe dovuto più farlo.
Chad
prese le mele per la madre e si avviò verso casa sua con un sorriso ebete
stampato in faccia. Non lo sapeva nemmeno lui perché sorrideva, ma si sentiva
felice e leggero, gli sembrava quasi di fluttuare in aria. Aveva come la
sensazione che quel giorno qualcosa sarebbe cambiato.
Arrivò a
casa dalla madre e rimase a chiacchierare con lei per minuti interi facendola
ridere e preoccupare. Non aveva mai visto il figlio sorridere in quel modo,
doveva c’entrare di sicuro una donna, ne era certa.
Si avviò
verso il negozio dell’amico dove sapeva l’avrebbe trovato infuriato, e non
poco. Odiava quando le persone gli attaccavano il telefono in faccia e poi non
lo richiavamo più.
Avrebbe
dovuto dargli spiegazioni, spiegazioni che nemmeno lui sapeva dare in quel
momento. O non voleva darle? Che cosa avrebbe dovuto spiegare? Solo un piccolo
incidente che gli aveva permesso di ammirare il più bell’angelo che avesse mai
visto?
Appena
varcata la soglia del negozio, trovò l’amico che tamburellava le mani sul
bancone arrabbiato.
<<
Mi vuoi spiegare perché mi hai riattaccato il cellulare in faccia? >>
incrociò le braccia al petto.
<<
Scusa, ma ho avuto un piccolo incidente dal fruttivendolo e ho lasciato cadere
il cellulare dalle mani. Scusa, davvero, non era mia intenzione >> gli
sorrise e girò intorno al bancone.
<<
Sì, va beh, tanto non mi stavi nemmeno ascoltando >> tornò a sviluppare
delle foto.
<<
Certo che ti stavo ascoltando. >>
No, non
era vero, aveva smesso di ascoltarlo quando stava ancora elogiando le
caratteristiche fisiche e caratteriali di quella ragazza, poi si era perso nel
suo mondo.
<<
Bene, quindi, siccome mi stavi ascoltando, che cosa stavo dicendo? >> si
girò a guardarlo con un’espressione che diceva “Adesso voglio proprio vedere
che cazzate spari”.
<<
Stavi parlando della serata >> non sapeva cosa dire, si stava
arrampicando sugli specchi e il sopracciglio dell’amico che si alzò
improvvisamente, gli fece capire che non stava andando per niente bene.
<<
Sì, ok, va bene. Vai avanti >> quel suo tono canzonatorio lo faceva
andare in panico.
Sapeva
benissimo che l’amico avesse intuito che non l’avesse ascoltato per niente, ma
ammetterlo ad alta voce non era da lui, non l’avrebbe mai fatto, avrebbe fatto
stridere e rompere i vetri piuttosto di ammetterlo.
<<
Eh beh, l’hai descritta, hai detto quanto sia carina, quanto ti abbia fatto
stare bene e che avete preso solo un caffè. >>
<<
Altro? >>
Minuti di
silenzio interminabili, minuti che fecero capire a entrambi che quella storia
non sarebbe andata avanti ancora molto.
Si
guardarono mentre il tempo scorreva imperterrito.
<<
Ok, va bene, mi arrendo, non lo so. Non so che cosa sia successo dopo e che
cosa tu mi abbia raccontato. Contento? >> sbuffò sonoramente. Odiava
ammettere di avere torto, odiava solo ammettere qualsiasi cosa.
<<
Sì, parecchio grazie >> il suo amico gli diede le spalle con un sorriso
soddisfatto.
Chad
scosse la testa.
<<
Mi racconti che cosa è successo dopo? >> adesso però era curioso di sapere
ogni cosa. Conosceva fin troppo bene l’amico e non credeva che si fosse fermato
solo a qualcosa da bere.
<<
Eh no caro. Adesso ti arrangi, non ti racconto più niente >> fece
l’offeso.
Chad
aspettò qualche minuto e poi si girò a guardare l’amico. Pochi secondi dopo, lo
raggiunse e cominciò a raccontargli tutto il resto.
Rebecca
era una ragazza inglese, nata e cresciuta in quella terra. Non avrebbe cambiato
posto per niente al mondo, neanche se l’avessero pagata migliaia di sterline.
Amava viaggiare, aveva visto molte zone del mondo, ma dopo qualche settimana
doveva tornare a casa, a Londra, in Inghilterra, era qualcosa più forte di lei.
Luke e
lei parlarono praticamente tutta sera, di loro, della loro vita, di quello che
avevano fatto e di quello che avevano passato, parlavano come dei vecchi amici
che non si sentivano da tanto tempo e che avevano un sacco da raccontarsi.
Luke si
sentì in un altro mondo nel lasso di tempo che passò con lei, si sentiva come
se gli angeli avessero cominciato a cantare e lui era nel mezzo, a bearsi di
quei suoni così melodiosi. Si sentiva come se finalmente avesse trovato un
posto in cui stare, un posto assolutamente bellissimo in cui potesse essere se
stesso senza sentirsi fuori posto e senza fingere.
Una parte
di lui quella sera avrebbe voluto invitare la ragazza a casa sua e portasela a
letto come aveva fatto fin da ragazzino con tutte, ma un’altra parte, quella
che continuava a sentire un musica leggiadra e melodiosa nelle orecchie, non
voleva assolutamente farlo, non aveva nemmeno intenzione di baciarla. Voleva
rivederla, quello era scontato, ma niente di più, con lei avrebbe fatto tutto
piano, con calma, a piccoli passi.
Alla fine
del racconto di Luke, Chad era spiazzato, non sapeva più chi avesse davanti, ma
era anche felice di sapere che il suo amico avesse finalmente deciso di mettere
la testa a posto.
Tornarono
alle loro mansioni e rimasero in silenzio ascoltando la musica che usciva dalla
radio.
Guardò
distrattamente il cellulare un paio di volte notando che non suonasse mai, che nessun
cliente avesse ancora chiamato. Doveva sentire una signora per il matrimonio
della figlia, si erano messi d’accordo che l’avrebbe chiamato per le undici, ma
alle undici e mezza non l’aveva ancora fatto. Guardò così di sfuggita il
cellulare che non si rese conto di una cosa importante: quel telefono non era
suo.
Gli ci volle
almeno un’altra mezz’ora per rendersi conto che quello che teneva nella tasca
destra non era il suo telefono.
Non
appena se ne accorse, capì subito di chi fosse: la ragazza che l’aveva aiutato
da Phil.
Compose
il suo numero velocemente e attese che una voce femminile rispose dall’altro
lato.
<<
Ciao! Sono il ragazzo di stamattina, quello del fruttivendolo, penso proprio
che ci siamo scambiati i cellulari per caso >> cercò di essere il più
gentile e allegro possibile, anche se non gli costò molto sforzo farlo.
<< Per caso dici? >> Lexie non riuscì a trattenere un
tono di voce abbastanza acido.
Poche ore
prima si erano dati del lei, ora erano passati tranquillamente al tu come se si
conoscessero da una vita.
<<
Sì, me ne sono accorto solo adesso e quindi ho pensato di chiamarti. >>
<< Ha chiamato una certa signora Webb, voleva parlarti e mi ha scambiato per la tua segretaria >> Chad prese paura, gli sembrò di sentirla ringhiare e gli venne quasi da ridere, ma cercò di trattenersi.
<< Ha chiamato una certa signora Webb, voleva parlarti e mi ha scambiato per la tua segretaria >> Chad prese paura, gli sembrò di sentirla ringhiare e gli venne quasi da ridere, ma cercò di trattenersi.
<<
Quindi è un po’ che sai che quello non è il tuo cellulare? >> era
confuso, perché non l’aveva chiamato lei allora?
<< Sì, è da un po’, ma dato
che ho appena cambiato numero non lo so
ancora a memoria. Stavo aspettando che te ne rendessi conto e che chiamassi
>> sbuffò.
<<
Scusa, ma me ne sono accorto solo adesso. Stavo lavorando >> cercò di
giustificarsi e non ne capì il motivo. Perché avrebbe dovuto farlo?
Luke gli
passò davanti guardandolo con un punto interrogativo stampato in faccia, lui
gli fece segno di lasciar stare.
<< Immaginavo. Comunque,
vorrei indietro il mio cellulare. >>
Ma questa ragazza un po’ di
camomilla la prende mai?
Sorridendo
si rese conto che l’atteggiamento di quella donna, e la donna stessa, gli
stessero piacendo sempre di più. Lo affascinava quella donna dai capelli biondi
che gli rispondeva male senza alcun motivo. Lo faceva sorridere il fatto che
lei lo trattasse in quel modo, nonostante non lo conoscesse. Pensò che ci fosse
un motivo di fondo, che non poteva comportarsi in quel modo solo perché aveva
preso per caso il suo cellulare.
Voleva
conoscerla, doveva farlo. Doveva uscire con lei, parlarle, conoscerla, capirla,
cercare di levigare quello strato duro che ricopriva il suo corpo, il suo
cuore.
Rivoleva
il suo cellulare? Avrebbe dovuto uscire con lui, assolutamente.
<<
Hai da fare all’una? Andiamo a mangiare una pizza da Luigi? >>
<< Cosa?! Rivoglio il mio
cellulare, non un appuntamento >> sembrava un’isterica e lui si divertiva. Probabilmente
stava impazzendo.
<<
Mi dispiace, se rivuoi il tuo cellulare devi per forza uscire con me, oggi.
Prendere o lasciare >> sorrideva divertito. Sì, si stava divertendo come
non mai.
La sentì
sbuffare pesantemente.
Passarono
minuti, minuti in cui Chad arrivò addirittura a pensare che avesse chiuso la
chiamata e lui non se n’era nemmeno reso conto.
<<
Vorrei ricordarti che ti ho chiamato io e che stai pagando tu >> le disse
divertito ridendo leggermente.
<< Lo so, me lo ricordo
grazie >>
sembrava davvero esasperata. <<
Comunque, non possiamo trovare un altro… >>
<< Te l’ho detto, o usciamo insieme oppure niente cellulare. Mi sembra semplice da capire. >>
<< Te l’ho detto, o usciamo insieme oppure niente cellulare. Mi sembra semplice da capire. >>
<< E se non mi piacesse la
pizza? >>
<<
Andremo da un’altra parte. Ti piace la pizza? >> perché gli sembrava di
parlare con un’amica? Con una persona che conosceva da tanto tempo? Perché?
Lexie stava
cercando di trovare un modo per non andare a pranzo con quell’uomo, ma non
sapeva dire di no a una pizza. Lei la adorava, l’avrebbe mangiata a colazione,
pranzo e cena. L’avrebbe mangiata tutti i giorni.
Non voleva
andare a pranzo con quell’uomo, non voleva, aveva un brutto effetto su di lei e
lei non voleva lasciarsi trascinare da quegli occhi azzurri.
No, non
avrebbe accettato, avrebbe detto che non le piaceva la pizza e che sarebbero
dovuti andare da un’altra parte.
<< Sì, la adoro >> come non detto. Non riusciva a
mentire, non quando si trattava di pizza almeno.
<<
Bene, quindi ci troviamo all’una davanti alla Pizzeria da Luigi, va bene?
>> Chad era contento e non riusciva a nasconderlo, si sarebbe messo a
saltare per il negozio se solo non ci fosse stato il suo amico a pochi passi da
lui che ascoltava minimamente ogni sua parola e che guardava ogni sua minima
mossa.
<< Sì, va bene. >>
<< Lo consideriamo come un appuntamento? >> chiese lui speranzoso.
<< Lo consideriamo come un appuntamento? >> chiese lui speranzoso.
<< Non ci contare >> riattaccò lasciandolo lì a ridere
da solo.
Quella
donna sapeva farlo ridere solo con delle semplici parole e con i suoi
atteggiamenti scontrosi. Gli piacevano le donne di quel tipo, divertenti senza
saperlo, ma pensava che sotto quell’atteggiamento da dura, ci fosse una ragazza
ancora più divertente e simpatica, ma soprattutto dolce.
Guardò
l’orologio e si rese conto che mancava poco più di un’ora al fatidico incontro,
al fatidico appuntamento, perché lui lo considerava tale nonostante lei dicesse
il contrario.
Si
ritrovò davanti il suo amico che lo guardava perplesso, gli sorrise.
<<
Vuoi spiegarmi o devo tirarti fuori le parole di bocca? >>
<<
Ti ricordi il piccolo incidente che ho avuto dal fruttivendolo? Ecco, lei mi ha
aiutato a raccogliere le mele, facendo cadere anche il suo cellulare, quando
abbiamo dovuto riprenderli ce li siamo scambiati senza saperlo. >>
<<
Le mele? Ma che razza d’incontro è? >> era leggermente scioccato.
<<
Non lo so, non me lo chiedere, ma non credi sia stato il destino? >>
<<
Sai che non credo a queste cose. >>
Luke non
credeva nel destino, non credeva che tutto fosse stato già programmato e che
lui non potesse fare niente per cambiarlo. Secondo Luke, lui poteva fare quello
che voleva e se lo faceva era perché voleva lui, non perché qualcun altro
avesse già deciso che doveva farlo. Era un pensiero un po’ contorto, ma lui
credeva solo alle cose scientificamente provate, altrimenti per lui erano delle
cavolate assurde.
Il
discorso cadde lì, dato che Luke non sembrava molto interessato al suo incontro
con quella strana ragazza.
Non
sapendo cosa fare, e avendo poco lavoro, si mise a curiosare nel suo cellulare.
Sapeva che non fosse giusto farlo, ma che male avrebbe potuto fare? Voleva
scoprire se avesse un ragazzo, un ragazzo con cui si vedeva solo per qualche
appuntamento, se avesse qualche foto che gliela mostrassero sorridere e
divertirsi, perché in quel momento non riusciva proprio a immaginarsela.
Guardò
nella galleria delle immagini, trovando foto di lei che si divertiva con le
amiche, di lei in giro per Londra che scattava foto come una turista. Era
ancora più bella di quanto la ricordasse: capelli lunghi biondi, occhi marroni
da cerbiatta, un sorriso che avrebbe potuto fare invidia alle migliori stelle
per quanto brillava.
Guardò
anche nei messaggi, violando la sua privacy, scoprendo che non avesse ragazzi,
almeno credeva. Aveva trovato un messaggio di un certo Orsacchiotto che la chiamava Stellina
o Pandina. Al solo pensarla con un
altro, un moto di gelosia lo fece andare a leggere gli altri messaggi. Non
poteva avere un ragazzo, non poteva, doveva conoscerla, doveva avere la
possibilità di conquistarla. Non poteva essere occupata.
Scorrendo
i messaggi di quell’Orsacchiotto,
cominciò a darsi del cretino. Sì, del cretino patentato perché era geloso di…
di un ragazzo gay. Orsacchiotto era
gay, palesemente, in quasi tutti i messaggi parlava di un certo Mark.
Si
sarebbe dato volentieri una sberla. Era geloso, era già geloso e non l’aveva
praticamente conosciuta. Non poteva già essere completamente cotto.
Decise di
rimettere il cellulare in tasca e di lasciarlo lì, qualsiasi cosa fosse
successa non l’avrebbe più preso in mano, a meno che non l’avesse chiamato lei,
ma ne dubitava.
Verso
mezzogiorno e mezzo, uscì dal negozio per andare a piedi verso la pizzeria da
Luigi, una delle più importanti pizzeria della zona che faceva una pizza
favolosa.
La
temperatura era ancora abbastanza bassa e fuori faceva freddo ma Chad camminava
come se non sentisse il vento gelido che gli s’infrangeva addosso.
Da
lontano, quando si stava avvicinando alla pizzeria, vide una chioma bionda che
si stringeva nel suo cappotto lungo e caldo, e sorrise. Sorrise come uno
stupido perché pensava che non l’avrebbe raggiunto e che gli avrebbe dato buca.
<<
Ciao! >> la salutò facendole prendere paura.
<<
Non pensavo saresti arrivato puntuale >> lo guardava scettica.
<<
Io arrivo sempre puntuale agli appuntamenti >> l’aveva fatto apposta a
nominare quella parola che lei sembrava tanto odiare. Voleva vedere come
avrebbe reagito.
<<
Non è un appuntamento >> lo guardò malissimo e lui scoppiò a ridere.
<<
Sì, che lo è. >>
<<
No, non mi sembra. Sono qui solo perché mi hai ricattato, solo per quello
>> Lexie mentre parlava, cercava di non soffermarsi troppo a guardarlo
negli occhi. Quella mattina, in quei pochi istanti che aveva passato con lui,
si era resa conto dell’effetto che avessero su di lei. Non era normale, forse
per le altre poteva esserlo, ma non per lei. Lei non si lasciava abbindolare da
un dettaglio così superfluo e inutile come un paio di begli occhi.
<<
Solo perché ti ho ricattato? Sono così brutto? >> lui stava scherzando,
era evidente, ma lei, non capì per quale strano motivo, ma rimase colpita da
quella frase.
Se quello
era un brutto ragazzo, lei era la regina d’Inghilterra, e non stava scherzando.
Lo
guardò, per la seconda volta da quando era arrivato.
<<
No-non intendevo dire questo >> si sentiva in imbarazzo. Per una stupida
domanda come quella, quell’uomo era riuscito a metterla in imbarazzo, nessuno
c’era mai riuscito. Nessuno.
<<
Stavo scherzando >> le sorrise immobilizzandola quando i suoi occhi
azzurri si misero a luccicare in un modo strano.
Distolse
lo sguardo e si girò per entrare nel locale.
<<
Andiamo? >> cercò di riacquistare un certo controllo di se stessa, ma con
quell’uomo accanto le sembrava quasi impossibile.
Lui la
seguì ammirando la figura del suo corpo ancora avvolto dal cappotto.
Fece
tutto lei, parlò con il cameriere e si fece dare un tavolo non appartato, anzi,
per niente, e lui che sperava di poter stare un po’ da solo con lei.
Il cameriere
li accompagnò al tavolo e lasciò loro le liste, lasciandoli in un assoluto
silenzio.
Cominciarono
a sfogliare le liste alla ricerca della pizza che avrebbero mangiato, non che
servisse molto.
Chad
voleva ammirarla senza essere troppo sfacciato e la lista davanti al viso
faceva proprio al caso suo. Invece Lexie, stava cercando di prendere tempo,
quell’uomo la metteva in imbarazzo, tirava fuori un lato del suo carattere che
non avrebbe mai voluto mostrare a nessuno, soprattutto a un estraneo.
Fece
finta di cercare la pizza, di non sapere quale scegliere, anche se sapeva già
cosa prendere: una buonissima frutti di mare con mozzarella. Era la sua
preferita e lì, in quella pizzeria, la facevano deliziosa.
Chad
continuava a osservala, a perdersi nell’osservare i più piccoli dettagli di
lei: le mani, il naso, la fronte, il collo lungo ed elegante che avrebbe tanto
voluto baciare per poi scendere lentamente e…
Arrivò il
cameriere a fermare il flusso dei suoi pensieri a luci rosse. Non era il
momento opportuno per pensare a certe cose.
Ordinarono
lui una capricciosa e lei una frutti di mare, da bere due birre.
Lexie,
pur di non incontrare il suo sguardo ora che non aveva più niente davanti a parte
lui, si mise a guardarsi intorno, a osservare gli altri clienti della pizzeria
cominciando a immaginare chi potessero essere e quale fosse la loro vita.
Lui
continuava a guardarla, teneva le mani sotto il mento e continuò a guardarla,
sorridendo impercettibilmente.
La
sentiva nervosa, la vedeva nervosa, che fosse la sua presenza?
<<
Ti vedo un po’ tesa, è per caso colpa mia? >> probabilmente la domanda
era fin troppo presuntuosa, ma voleva saperlo.
<<
Tua? E per quale motivo? >> le uscì una voce stridula, una voce che non
aveva mai fatto in tutta la sua vita.
Il
sorriso si gli allargò maggiormente.
Lexie, sei una cretina, sappilo.
Rimasero
nuovamente in silenzio mentre lei si mise a guardare il tavolo.
<<
Come ti chiami? >> le chiese improvvisamente cercando di metterla a suo
agio.
Puntò il
suo sguardo da cerbiatta nel suo e lo guardò in modo strano.
<<
Lexie, e tu? >> la vedeva ancora nervosa, ma sperava che con il passare
del tempo si sarebbe rilassata.
<<
Chad. Che lavoro fai? >> si allungò un po’ verso di lei, mostrandole
ancora di più lo splendore dei suoi occhi.
<<
Sono manager in un’agenzia di Londra. Tu lavori come postino? >> gli
chiese leggermente divertita.
<<
No, mi dispiace dirtelo, ma non consegno la posta. Sono un fotografo. Un bravo
fotografo. >>
<< Non pensi di essere leggermente modesto? >> si sporse anche lei sul tavolo.
<< Non pensi di essere leggermente modesto? >> si sporse anche lei sul tavolo.
La vide
rilassarsi e sciogliersi a mano a mano che continuavano a parlare.
<<
Io? Non sono modesto, dico solo la verità >> le sorrise. << Il tuo
telefono non è suonato molto stamattina per essere una manager d’azienda, sei
così scarsa? >>
<<
Quello è il mio telefono personale, quello che uso per famigliari e amici, non
per il lavoro, quello è off limits, per chiunque. E non sono così pessima,
anzi, sono abbastanza conosciuta nel campo. >>
<<
E come mai non ho sentito il tuo nome? >>
<<
Ti facevo più intelligente, sai. Lexie è come mi chiamano i conoscenti, nel
campo sono conosciuta come Alexia, Alexia Johnson >> lo guardò come per
sfidarlo e lui non rifiutò l’offerta.
<<
Alexia Johnson >> finse di pensare. << Non l’ho mai sentito
nominare >> non era vero. Aveva fin troppo sentito parlare del suo nome.
Era conosciuta nel campo dell’azienda, soprattutto per essere spietata, senza
cuore, menefreghista e qualsiasi altro aggettivo potesse far capire quanto fosse
odiosa. A lui non appariva in quel modo comunque, la trovava adorabile e
simpatica.
Lei lo
trucidò con lo sguardo.
Come si
permetteva quell’insulso fotografo e dire che non la conosceva? Come si
permetteva? Avrebbe voluto avere la sua carriera e la sua reputazione nel
campo. Troglodita.
La vide
nuovamente irrigidirsi e assumere un’aria alquanto arrabbiata.
Si diede
dello stupido, aveva rovinato tutto.
<<
Ok, scusa, so chi sei è che… non sembri come ti hanno descritto. >>
<<
E come mi hanno descritto? >> alzò un sopracciglio perplessa.
<<
Come una senza cuore, stronza, bastarda, insensibile, che vuole solo ottenere
ciò che vuole e non le importa con che mezzo >> probabilmente stava
ulteriormente sbagliando, ma tanto valeva tentare, non aveva niente da perdere.
<<
Perché dici che non sembro? Ti ho forse dato un’impressione diversa? >>
diventò seria, ma almeno non era più arrabbiata.
<<
Beh, sì. Penso che tu non sia senza cuore, che non sei stronza o bastarda, ti
piace solo far credere alla gente che tu lo sia. >>
Lexie
abbassò lo sguardo e sorrise leggermente.
<<
Probabilmente non ti stai sbagliando poi molto >> alzò lo sguardo su di
lui facendolo rabbrividire.
<<
Perché lo fai? >> gli sembrava di essere vicino a scoprire il Santo Graal
da quanto si sentiva emozionato ed elettrizzato.
<<
Perché mi nascondo dietro qualcosa che non sono? >> lo vide annuire.
Stava per
dire qualcosa che non aveva mai detto a nessuno, solo a Josh, il suo migliore
amico, aveva saputo spiegare perché lo faceva, solo lui aveva capito, ma per
qualche strano motivo sentiva che con quell’uomo potesse parlare senza
problemi. Per una qualche strana ragione, voleva essere sincera con lui, voleva
farsi conoscere, voleva fargli conoscere la sua vera lei.
Prese un
profondo respiro. << È più facile. Se la gente pensa che tu sia una
stronza, cinica, bastarda, che vuole solo ottenere quello che vuole a qualsiasi
costo, nessuno ti avvicina e, di conseguenza, nessuno può farmi del male.
Chiamala autodifesa, chiamala paura di soffrire, chiamala come vuoi, ma lo
faccio solo perché non voglio soffrire, non voglio che la gente si approfitti
di me. >>
Lo guardò
negli occhi per captare qualsiasi suo cambio d’espressione, ma non mutò niente
nel suo viso. Continuò a guardarla, con quel suo sguardo fermo e sicuro, la
guardò in silenzio leggendole dentro, scavando nel profondo della sua anima.
Lei si
sentì privata di ogni cosa: dei vestiti, della pelle, delle cellule del corpo,
si sentiva leggera perché il suo sguardo stava conoscendo cose che neppure lei
aveva mai conosciuto.
Si
guardarono per minuti, forse ore, ore in cui entrambi assorbirono
qualcos’altro, qualcosa che li avrebbe tenuti uniti per sempre.
Arrivò il
cameriere a distruggere la magia del momento posando le pizze davanti a loro.
Lo
guardarono di sfuggita per poi tornare a posare lo sguardo negli occhi
dell’altro.
Mangiarono
in silenzio, in un rigoroso silenzio, posando ogni tanto lo sguardo sull’altro.
Non era un silenzio imbarazzato, era un silenzio più rilassato, un silenzio che
li faceva conoscere in modo intimo.
Lexie era
rilassata, ma era stufa del silenzio, le mancava la sua voce, voleva sentirla,
ne aveva bisogno.
<<
Ti capita mai di pensare che a volte sei stato troppo duro con te stesso?
>> era una domanda a cui non aveva mai avuto risposta, una domanda a cui
voleva dare una risposta.
<<
A cosa ti riferisci? >> lui la guardò mentre portava alla bocca un pezzo
di pizza.
<<
Io mi sono costruita questa maschera, mi sono sempre imposta di non fidarmi delle
persone perché tanto sapevo mi avrebbero ferito. Mi sono sempre imposta di non
lasciare trasparire niente di diverso di me, ma ogni tanto penso che se avessi
agito in modo diverso, qualcosa adesso sarebbe diverso >> era seria, fin
troppo.
<< Non
ho mai preteso troppo da me stesso, so i miei limiti, li ho sempre conosciuti e
non ho mai pensato di fingere di essere qualcuno che non sono. Non per questo
io non ho paura di soffrire, anzi, ne ho tantissima, ma so capire quando il
gioco vale la candela. E poi, mi sembra che tu ti stia fidando di me adesso
>> appoggiò i gomiti sul tavolo e appoggiò il mento su una mano.
Lo guardò
negli occhi e imbarazzata per il suo sguardo, li abbassò subito arrossendo
leggermente.
<<
Beh, con te… è qualcosa di… di diverso. Credo, cioè… ho come l’impressione che
di te mi posso fidare. Non chiedermi da cosa sia dovuto, ma so che mi posso
fidare di te o probabilmente voglio farlo. >>
<<
Vuoi sposarmi? >> le chiese seriamente continuando a guardarla.
Lei
aspettò che scoppiasse a ridere, ma così non successe. Lo guardò perplessa
pensando di non aver capito bene.
<<
Cosa? >>
<<
Vuoi sposarmi? >> stavolta Lexie scoppiò a ridere beando il ragazzo di
una risata genuina e allegra.
<<
Stai scherzando spero. Non ti sembra di correre un po’ troppo? >>
continuò a ridere.
<<
Sì, probabilmente sì >> lui aveva un sorriso enorme e aveva anche gli
occhi lucidi a vederla ridere così.
<<
Non ti hanno mai insegnato quel proverbio… quel vecchio proverbio… aspetta,
com’era? Chi va piano, va sano e va lontano? >>
<<
Sì, era quello. Me l’hanno insegnato, ma purtroppo non sono mai stato uno che
fa le cose con calma, a me piace buttarmi a capofitto nelle cose. >>
<<
Ti piace suicidarti allora >> Chad rise, divertito dalla sua frase.
<<
Probabile, ma a me piace cogliere le occasioni al volo e fare in modo che non
se ne vadano mai >> si sporse leggermente verso il tavolo.
<<
Quindi, io sarei un’occasione? >> anche lei si sporse verso di lui.
<<
Una bellissima occasione, una delle più belle, farei qualsiasi cosa pur di non
lasciarti andare via. >>
Lexie si
sentì mancare il respiro a quella frase. L’aveva pronunciata in modo così serio
e solenne che ne rimase colpita, piacevolmente colpita, ma anche leggermente
spaventata. Nessun uomo le aveva mai detto cose del genere, anzi, con nessun
uomo aveva mai parlato in quel modo, la spaventava, non sapeva a cosa stava per
andare incontro. Stranamente però, il sapere che quell’uomo sarebbe stato
accanto a lei, la faceva stare meglio, la faceva stare talmente bene che per
una volta la paura era qualcosa di superfluo, di inutile, la paura non
esisteva, sostituita dalla voglia di passare del tempo con quell’uomo, a
conoscerlo, a parlarci, a fare l’amore con lui. L’amore quello vero che ti fa
provare le più belle sensazioni solo con l’uso della parola, a cui non serve
solo l’atto sessuale per raggiungere quel piacere estremo.
Chad
rimase a guardarla, vedendo cambiare il suo viso dalla paura, dallo stupire a
un sorriso spontaneo che le riempì gli occhi di speranza e di un futuro che
nessuno dei due conosceva, ma che entrambi volevano vivere.
<<
Quindi, questo era un appuntamento? >> le chiese improvvisamente lui
sorridendo.
<<
Non lo so, può darsi. Intanto ridammi il mio cellulare >> allungò la mano
verso di lui.
<<
Mi darai il tuo numero e uscirai nuovamente con me? >> Chad sapeva già la
risposta, ma voleva giocare con lei.
<<
Non lo so, può darsi >> gli sorrise.
Sapevano
entrambi che ci sarebbe stato un altro appuntamento e altri ancora, molti
altri. Lo sapevano, ne erano consapevoli. Quello che avevano provato in poche
ore passate insieme, non era niente in confronto a quello che avrebbero provato
nei mesi a seguire, negli anni, perché quando si è destinati a stare insieme
non c’è niente da fare, si sta insieme.
Buonasera! Ringrazio chiunque
abbia letto questa storia e Soul’s Lullaby, o meglio dire Ivola su EFP, per
aver indetto questo bellissimo contest.
Beh, non ha una fine vera e
propria, vi lascio immaginare a voi che cosa succederà dopo, ma ve ne do’ un
piccolo assaggio.
Spero che vi sia piaciuta =)
Un bacione,
CherryBomb_