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Autore: CherryBomb_    17/05/2011    6 recensioni
Seconda classificata nel contest "Il contest della pizza" di Soul'sLullaby.
Chad è un ragazzo inglese a cui sono sempre piaciuti i posti caldi dove le belle ragazze vanno in giro in bikini praticamente tutto l’anno. Non gli sono mai interessate le ragazze facili, gli piaceva solo guardarle e poi trovare una ragazza seria, che potesse fare al caso suo. A causa di un problema in famiglia, si trova costretto a tornare a Notthing Hill dalla madre dove riprenderà la sua vita dove l’ha lasciata rincontrando amici e parenti.
Una giornata cominciata con il piedi sbagliato, con la madre che lo sveglia presto per andare dal fruttivendolo come se fosse un ragazzino, si trasformerà in un’incontro casuale, un incontro forse non propriamente romantico, ma che farà scontrare due mondi completamente diversi, opposti.
Questi due mondi riusciranno ad avere un punto d’incontro? O il destino avrà altro in serbo per loro?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tu ci credi nel destino








Tu credi nel destino?

 

 

 

Come un bambino piccolo, era stato buttato fuori di casa a calci da sua madre per andare dal fruttivendolo. Era stato cacciato dal letto alle otto di mattina quando avrebbe dovuto svegliarsi alle dieci per andare al lavoro.
Faceva il fotografo e aveva degli orari abbastanza flessibili. Il suo capo era un suo amico da parecchio tempo e molto spesso gli lasciava qualche ora di sonno in più, sapendo quanto adorasse dormire.
Stava camminando per le strade con le mani in tasca e la sua solita camminata sicura.
Era un giorno d’inverno. Uno di quei giorni uggiosi e freddi, troppo freddi. Quei giorni che ti costringono ad andare in giro con il giubbino allacciato, una sciarpa attorcigliata bene al collo e un paio di guanti caldi con cui potersi coprire e proteggere le mani.
Quelli erano i vestiti che ogni persona comune avrebbe messo, ma non Chad, non lui. Lui non temeva il freddo, era probabilmente uno dei pochi inglesi che soffriva il caldo anche durante una giornata uggiosa come quella.
Forse si era portato appresso qualche raggio di sole quando se n’era andato, qualche anno prima, dalla calda e assolata California. A cosa era dovuto quel trasferimento? Principalmente per i genitori. Chad era di origine inglese, ma era sempre stato attratto dalla California: dal sole tutto l’anno, dal caldo, dalle belle ragazze che girano in bikini per le strade. Tutte quelle cose lo avevano spinto a trasferirsi appena finita la scuola e l’aveva fatto, lasciando i genitori senza un minimo di ripensamento. Ma purtroppo, qualche anno prima il padre si era gravemente malato e la madre non sarebbe riuscita ad accudire da sola il marito, così, Chad fu costretto a tornare nella fredda e uggiosa Notthing Hill.
Ricominciando a vivere in quel posto, scoprii quanto non fosse poi così male, come il pensiero di poter vivere lì per sempre non gli sembrasse per niente male.
Chad ormai aveva ventotto anni, non era più il ragazzo a mala pena diciottenne che aveva lasciato l’Inghilterra. Era maturato e cresciuto, aveva esigenze diverse e probabilmente voleva cambiare vita. Era stufo dei ritmi sregolati che aveva assunto in California, era stufo del sole, di vedere ragazze facili in ogni dove.
Ne era stufo e così, dopo la morte del padre, decise di trasferirsi definitivamente a Notthing Hill, andando ad abitare con la madre che in quel momento aveva bisogno di lui.
Ormai era passato quasi un anno dalla morte del padre, ma ogni sera sperava ancora di vederlo tornare a casa dal lavoro come faceva quando era bambino. Speranza vana, ovviamente.
Faceva fatica a farsene una ragione e pure quel giorno, camminando per andare dal fruttivendolo, sperava ancora che al suo ritorno l’avrebbe visto fare colazione o leggere il giornale sulla veranda, come faceva ogni mattina prima di andare al lavoro.
Chad era rimasto scosso dalla morte del padre, ma non continuava a ripensare al passato, ogni tanto però capitava. Con il passare del tempo capì che doveva andare avanti, che doveva continuare a vivere per suo padre, per se stesso, per la madre che pensava già fin troppo alla morte del marito.
Gli mancava ancora un po’ di strada prima di arrivare dal fruttivendolo, quando lo chiamò il suo capo, Luke, e il suo più grande amico. Si conoscevano fin da piccoli, erano cresciuti praticamente insieme e quando Chad aveva lasciato l’Inghilterra, Luke ne aveva molto sofferto. Aveva visto partire suo fratello, aveva visto partire una parte integrante della sua vita e quando finalmente l’aveva rivisto tornare, anche se per una circostanza tutt’altro che felice, ne era rimasto contento.
Nel periodo della sua permanenza, Luke lo aveva sostenuto, lo aveva assistito, gli era stato accanto come solo un fratello poteva fare. Alla notizia che sarebbe rimasto, e sapendo della passione per la fotografia di Chad, gli offrì un lavoro, lavoro che lui accettò di buon grado.
Da quel giorno diventarono ancora più inseparabili e si chiamavano per raccontarsi ogni minima conquista o cosa fatta. Probabilmente era un comportamento da donne, ma non gli importava. Si erano sempre comportati così fin da piccoli e avrebbero continuato a farlo.
Luke lo aveva chiamato per raccontargli della ragazza con cui era stato la serata prima. Una certa Rebecca, che lo aveva stregato e con cui era uscito per bere qualcosa, solo per bere qualcosa.
Era strano sentir dire da Luke che con una ragazza ci aveva solo bevuto, lui era quel classico uomo che conquista le donne per andarci a letto la prima sera per poi lasciarle senza nemmeno un numero di telefono. Le seduceva e le abbandonava, come la maggior parte degli uomini al giorno d’oggi fanno.
Ormai era praticamente arrivato dal fruttivendolo, cercò di far capire a Luke che doveva andare, che avrebbero continuato a parlare quando l’avrebbe raggiunto in negozio, ma niente, sembrava che non riuscisse a capire. Era tutto preso dal descrivergli le sensazioni che gli aveva provocato quella ragazza da non rendersi conto che l’amico aveva da fare.
Sconfitto, rendendosi conto che ormai l’avesse perso, entrò con ancora il cellulare all’orecchio e il suo amico che parlava praticamente da solo.
Si mise a girare tra i piccoli banchetti del fruttivendolo, ormai fin troppo conosciuti.
Passò davanti al banchetto delle mele e come un deficiente ci andò a sbattere contro.
Per un secondo rimase a guardare, sperando che non fosse successo niente e che tutto sarebbe rimasto intanto, ma, purtroppo, quello sembrava non essere il suo giorno fortunato.
Le mele cominciarono a cadere a una a una e provò a recuperarle e a limitare i danni, cercò di salvarle e di non farle cadere a terra.
Chad non se ne accorse, ma anche una ragazza bionda cominciò ad aiutarlo.
Cercarono in tutti i modi di fare meno danni possibile , ma purtroppo le mele erano cadute velocemente al suolo, tutte.
Il fruttivendolo, amico di Chad, lo guardò male e mise le mani suoi fianchi.
<< Scusa, Phil >> si grattò il capo con una faccia colpevole.
La ragazza vicino a lui rimase colpita dalla voce così bassa e baritonale dell’uomo, ne rimase affascinata e osservò il suo volto cercando di studiarne il più possibile i lineamenti e i dettagli. Qualcosa colpì la sua attenzione: due grandissimi occhi azzurri che si girarono a guardarla e la inchiodarono al muro.
Si sentì quasi trapassare da quello sguardo di ghiaccio, lo sentì entrarle nel corpo e nell’anima, giù in profondità, in posti che nemmeno lei pensava di avere.
I due rimasero a guardarsi per minuti interminabili e Lexie -così si chiamava la ragazza- sentendosi totalmente in imbarazzo, cominciò a raccogliere le mele e a rimetterle sul banchetto.
Lexie era completamente spiazzata, nessun uomo l’aveva mai messa in imbarazzo, nessuno era mai riuscito a lasciarla senza parole solo con uno sguardo.
Lexie era quel classico tipo di donna che ne aveva viste talmente tante da non lasciarsi più affascinare da niente, quel tipo di donna che pensa di conoscere ogni genere di uomo sulla faccia della terra, ma a quanto pareva, non ne aveva ancora conosciuto uno. Uno che era un genere tutto a sé: Chad.
Lui rimase a guardarla, a osservare il corpo sinuoso e i movimenti. L’aveva stregato con i suoi occhi castani da cerbiatta, l’aveva completamente ammaliato. Quel suo sguardo quasi smarrito che gli aveva rivolto, gli avevano fatto perdere la ragione e l’uso della parola.
Rimase lì, accovacciato per terra, a osservare quella donna che si piegava a raccogliere un po’ di mele per appoggiarle sul banchetto.
Stupido, che razza di gentiluomo sei? Dalle una mano.
Si rialzò velocemente, scattando in piedi a quel pensiero.
Com’era potuto essere così stupido?
In silenzio, raccolsero una per una le mele senza rivolgersi nemmeno una parola di circostanza, nemmeno una battuta per smorzare l’atmosfera che diventava sempre più pesante, ma nonostante questo, Chad si sentiva quasi rilassato, felice e c’era un motivo: aveva sempre trovato donne facili, donne che gli cadevano ai piedi al solo guardarlo negli occhi, invece quella donna no, non lo stava facendo, anzi, sembrava quasi non avesse nemmeno notato quel bellissimo dettaglio di lui.
Era interessato a lei perché sembrava non essere attratta da lui, dal suo aspetto fisico, dai suoi occhi. Probabilmente era pazzo, era solo un pazzo che avrebbe potuto ricevere un due di picche, ma non gli importava.
Quando finirono di raccogliere ogni singola mela, si resero conto che i loro telefonini giacevano per terra inermi.
Se n’erano completamente dimenticati, stavano parlando al telefono quando era successo il danno e, per cercare di limitare i danni, li avevano lasciati cadere senza farlo apposta.
Raccolsero il primo telefono che si trovava vicino a loro e si guardarono.
<< Mi dispiace averle fatto perdere tempo >> disse Chad cercando di rompere il ghiaccio e le sorrise.
Lexie rabbrividì quando vide quell’uomo sorriderle in quel modo strano, in un modo che non aveva mai visto. Doveva appartenere a lui, a quell’uomo, perché nessuno aveva un sorriso come il suo.
Cercò di non lasciarsi scalfire da quel sorriso e da quegli occhi così penetranti.
<< Non si preoccupi, l’ho fatto volentieri >> si sforzò di non sorridere, cercò di farlo, ma purtroppo, all’ultimo, gli angoli della bocca andarono verso l’alto mostrando a Chad un sorriso leggermente impacciato che gli scaldò il cuore.
Lexie si sentiva una stupida, non le era mai capitato di comportarsi in quel modo, soprattutto con un uomo. Era sempre sicura di sé, sapeva quello che voleva, ma, soprattutto, sapeva quello che gli uomini volevano: una sola cosa e pensava che anche a quel ragazzo interessasse solo quello, ma non ne era così sicura. Voleva crederlo, le faceva comodo crederlo perché per trovare l’unico uomo sulla terra che non voleva solo una cosa, bisognava avere molta fortuna, fortuna che Lexie non aveva.
Rimasero lì, in piedi, uno davanti all’altra per interminabili minuti. Il mondo intorno a loro continuava a muoversi, le persone si aggiravano nel negozio come se quelle due persone non fossero proprio in mezzo alla stanza. Il mondo continuava a vivere eppure loro erano immobili, per loro il tempo si era fermato e aveva deciso di non far scorrere più le lancette dell’orologio.
Nessuno dei due si rese conto di quello che succedeva intorno a loro, non si resero conto che molte donne rimasero a guardarli sorridendo ripensando a quando avevano incontrato il marito per la prima volta e se ne erano innamorate subito. Non se ne resero conto perché in quel momento esistevano solo loro due, loro due e nessun altro.
La prima a riprendersi da quel momentaneo smarrimento fu Lexie, che non appena si rese conto di essersi fermata a guardarlo come una stupida ragazzina alle prime armi, gli girò la schiena e se ne andò, non dicendo una parola, non dicendo un “Piacere, mi chiamo…”.
Non disse niente, assolutamente niente, ma Chad nonostante tutto era felice, si sentiva felice e non ne capiva nemmeno lui il motivo.
Anche lui, come Lexie in quel momento, si sentiva uno stupido. Entrambi si sentivano allo stesso modo, ma per motivi diversi: Chad si sentiva uno stupido perché gli sembrava di comportarsi come un dodicenne alla prima cotta; Lexie, dal canto suo, si sentiva una stupida perché si era lasciata abbindolare da due occhi azzurri, da due bellissimi occhi azzurri. Si era dimostrata debole, aveva mostrato una parte di sé che probabilmente nemmeno i suoi genitori avevano mai visto.
Era sempre stata così, sempre, fin da piccola. Aveva imparato a mostrarsi sempre forte, a non avere mai paura, a non dimostrare alla persona che aveva davanti che cosa provasse davvero. Lexie aveva imparato a usare una maschera, lei in realtà non era così, lo era diventata. Aveva deciso di diventarlo dopo che la madre aveva perso tutto quello che aveva a causa della sua troppa bontà, della sua troppa fiducia. Aveva visto l’effetto che aveva avuto sulla madre quell’episodio e da quel momento decise che nessuno l’avrebbe presa in giro, non si sarebbe mai fidata di nessuno, solo di se stessa.
Ma in quel momento Lexie si rese conto che per qualche minuto aveva calato la maschera, l’aveva lasciata cadere, con chi? Con uno sconosciuto? Non era possibile. Non l’aveva mai fatto e non l’avrebbe dovuto più farlo.
Chad prese le mele per la madre e si avviò verso casa sua con un sorriso ebete stampato in faccia. Non lo sapeva nemmeno lui perché sorrideva, ma si sentiva felice e leggero, gli sembrava quasi di fluttuare in aria. Aveva come la sensazione che quel giorno qualcosa sarebbe cambiato.
Arrivò a casa dalla madre e rimase a chiacchierare con lei per minuti interi facendola ridere e preoccupare. Non aveva mai visto il figlio sorridere in quel modo, doveva c’entrare di sicuro una donna, ne era certa.
Si avviò verso il negozio dell’amico dove sapeva l’avrebbe trovato infuriato, e non poco. Odiava quando le persone gli attaccavano il telefono in faccia e poi non lo richiavamo più.
Avrebbe dovuto dargli spiegazioni, spiegazioni che nemmeno lui sapeva dare in quel momento. O non voleva darle? Che cosa avrebbe dovuto spiegare? Solo un piccolo incidente che gli aveva permesso di ammirare il più bell’angelo che avesse mai visto?
Appena varcata la soglia del negozio, trovò l’amico che tamburellava le mani sul bancone arrabbiato.
<< Mi vuoi spiegare perché mi hai riattaccato il cellulare in faccia? >> incrociò le braccia al petto.
<< Scusa, ma ho avuto un piccolo incidente dal fruttivendolo e ho lasciato cadere il cellulare dalle mani. Scusa, davvero, non era mia intenzione >> gli sorrise e girò intorno al bancone.
<< Sì, va beh, tanto non mi stavi nemmeno ascoltando >> tornò a sviluppare delle foto.
<< Certo che ti stavo ascoltando. >>
No, non era vero, aveva smesso di ascoltarlo quando stava ancora elogiando le caratteristiche fisiche e caratteriali di quella ragazza, poi si era perso nel suo mondo.
<< Bene, quindi, siccome mi stavi ascoltando, che cosa stavo dicendo? >> si girò a guardarlo con un’espressione che diceva “Adesso voglio proprio vedere che cazzate spari”.
<< Stavi parlando della serata >> non sapeva cosa dire, si stava arrampicando sugli specchi e il sopracciglio dell’amico che si alzò improvvisamente, gli fece capire che non stava andando per niente bene.
<< Sì, ok, va bene. Vai avanti >> quel suo tono canzonatorio lo faceva andare in panico.
Sapeva benissimo che l’amico avesse intuito che non l’avesse ascoltato per niente, ma ammetterlo ad alta voce non era da lui, non l’avrebbe mai fatto, avrebbe fatto stridere e rompere i vetri piuttosto di ammetterlo.
<< Eh beh, l’hai descritta, hai detto quanto sia carina, quanto ti abbia fatto stare bene e che avete preso solo un caffè. >>
<< Altro? >>
Minuti di silenzio interminabili, minuti che fecero capire a entrambi che quella storia non sarebbe andata avanti ancora molto.
Si guardarono mentre il tempo scorreva imperterrito.
<< Ok, va bene, mi arrendo, non lo so. Non so che cosa sia successo dopo e che cosa tu mi abbia raccontato. Contento? >> sbuffò sonoramente. Odiava ammettere di avere torto, odiava solo ammettere qualsiasi cosa.
<< Sì, parecchio grazie >> il suo amico gli diede le spalle con un sorriso soddisfatto.
Chad scosse la testa.
<< Mi racconti che cosa è successo dopo? >> adesso però era curioso di sapere ogni cosa. Conosceva fin troppo bene l’amico e non credeva che si fosse fermato solo a qualcosa da bere.
<< Eh no caro. Adesso ti arrangi, non ti racconto più niente >> fece l’offeso.
Chad aspettò qualche minuto e poi si girò a guardare l’amico. Pochi secondi dopo, lo raggiunse e cominciò a raccontargli tutto il resto.
Rebecca era una ragazza inglese, nata e cresciuta in quella terra. Non avrebbe cambiato posto per niente al mondo, neanche se l’avessero pagata migliaia di sterline. Amava viaggiare, aveva visto molte zone del mondo, ma dopo qualche settimana doveva tornare a casa, a Londra, in Inghilterra, era qualcosa più forte di lei.
Luke e lei parlarono praticamente tutta sera, di loro, della loro vita, di quello che avevano fatto e di quello che avevano passato, parlavano come dei vecchi amici che non si sentivano da tanto tempo e che avevano un sacco da raccontarsi.
Luke si sentì in un altro mondo nel lasso di tempo che passò con lei, si sentiva come se gli angeli avessero cominciato a cantare e lui era nel mezzo, a bearsi di quei suoni così melodiosi. Si sentiva come se finalmente avesse trovato un posto in cui stare, un posto assolutamente bellissimo in cui potesse essere se stesso senza sentirsi fuori posto e senza fingere.
Una parte di lui quella sera avrebbe voluto invitare la ragazza a casa sua e portasela a letto come aveva fatto fin da ragazzino con tutte, ma un’altra parte, quella che continuava a sentire un musica leggiadra e melodiosa nelle orecchie, non voleva assolutamente farlo, non aveva nemmeno intenzione di baciarla. Voleva rivederla, quello era scontato, ma niente di più, con lei avrebbe fatto tutto piano, con calma, a piccoli passi.
Alla fine del racconto di Luke, Chad era spiazzato, non sapeva più chi avesse davanti, ma era anche felice di sapere che il suo amico avesse finalmente deciso di mettere la testa a posto.
Tornarono alle loro mansioni e rimasero in silenzio ascoltando la musica che usciva dalla radio.
Guardò distrattamente il cellulare un paio di volte notando che non suonasse mai, che nessun cliente avesse ancora chiamato. Doveva sentire una signora per il matrimonio della figlia, si erano messi d’accordo che l’avrebbe chiamato per le undici, ma alle undici e mezza non l’aveva ancora fatto. Guardò così di sfuggita il cellulare che non si rese conto di una cosa importante: quel telefono non era suo.
Gli ci volle almeno un’altra mezz’ora per rendersi conto che quello che teneva nella tasca destra non era il suo telefono.
Non appena se ne accorse, capì subito di chi fosse: la ragazza che l’aveva aiutato da Phil.
Compose il suo numero velocemente e attese che una voce femminile rispose dall’altro lato.
<< Ciao! Sono il ragazzo di stamattina, quello del fruttivendolo, penso proprio che ci siamo scambiati i cellulari per caso >> cercò di essere il più gentile e allegro possibile, anche se non gli costò molto sforzo farlo.
<< Per caso dici? >> Lexie non riuscì a trattenere un tono di voce abbastanza acido.
Poche ore prima si erano dati del lei, ora erano passati tranquillamente al tu come se si conoscessero da una vita.
<< Sì, me ne sono accorto solo adesso e quindi ho pensato di chiamarti. >>
<< Ha chiamato una certa signora Webb, voleva parlarti e mi ha scambiato per la tua segretaria >> Chad prese paura, gli sembrò di sentirla ringhiare e gli venne quasi da ridere, ma cercò di trattenersi.
<< Quindi è un po’ che sai che quello non è il tuo cellulare? >> era confuso, perché non l’aveva chiamato lei allora?
<< Sì, è da un po’, ma dato che ho appena cambiato numero  non lo so ancora a memoria. Stavo aspettando che te ne rendessi conto e che chiamassi >> sbuffò.
<< Scusa, ma me ne sono accorto solo adesso. Stavo lavorando >> cercò di giustificarsi e non ne capì il motivo. Perché avrebbe dovuto farlo?
Luke gli passò davanti guardandolo con un punto interrogativo stampato in faccia, lui gli fece segno di lasciar stare.
<< Immaginavo. Comunque, vorrei indietro il mio cellulare. >>
Ma questa ragazza un po’ di camomilla la prende mai?
Sorridendo si rese conto che l’atteggiamento di quella donna, e la donna stessa, gli stessero piacendo sempre di più. Lo affascinava quella donna dai capelli biondi che gli rispondeva male senza alcun motivo. Lo faceva sorridere il fatto che lei lo trattasse in quel modo, nonostante non lo conoscesse. Pensò che ci fosse un motivo di fondo, che non poteva comportarsi in quel modo solo perché aveva preso per caso il suo cellulare.
Voleva conoscerla, doveva farlo. Doveva uscire con lei, parlarle, conoscerla, capirla, cercare di levigare quello strato duro che ricopriva il suo corpo, il suo cuore.
Rivoleva il suo cellulare? Avrebbe dovuto uscire con lui, assolutamente.
<< Hai da fare all’una? Andiamo a mangiare una pizza da Luigi? >>
<< Cosa?! Rivoglio il mio cellulare, non un appuntamento >> sembrava un’isterica e lui si divertiva. Probabilmente stava impazzendo.
<< Mi dispiace, se rivuoi il tuo cellulare devi per forza uscire con me, oggi. Prendere o lasciare >> sorrideva divertito. Sì, si stava divertendo come non mai.
La sentì sbuffare pesantemente.
Passarono minuti, minuti in cui Chad arrivò addirittura a pensare che avesse chiuso la chiamata e lui non se n’era nemmeno reso conto.
<< Vorrei ricordarti che ti ho chiamato io e che stai pagando tu >> le disse divertito ridendo leggermente.
<< Lo so, me lo ricordo grazie >> sembrava davvero esasperata. << Comunque, non possiamo trovare un altro… >>
<< Te l’ho detto, o usciamo insieme oppure niente cellulare. Mi sembra semplice da capire. >>
<< E se non mi piacesse la pizza? >>
<< Andremo da un’altra parte. Ti piace la pizza? >> perché gli sembrava di parlare con un’amica? Con una persona che conosceva da tanto tempo? Perché?
Lexie stava cercando di trovare un modo per non andare a pranzo con quell’uomo, ma non sapeva dire di no a una pizza. Lei la adorava, l’avrebbe mangiata a colazione, pranzo e cena. L’avrebbe mangiata tutti i giorni.
Non voleva andare a pranzo con quell’uomo, non voleva, aveva un brutto effetto su di lei e lei non voleva lasciarsi trascinare da quegli occhi azzurri.
No, non avrebbe accettato, avrebbe detto che non le piaceva la pizza e che sarebbero dovuti andare da un’altra parte.
<< Sì, la adoro >> come non detto. Non riusciva a mentire, non quando si trattava di pizza almeno.
<< Bene, quindi ci troviamo all’una davanti alla Pizzeria da Luigi, va bene? >> Chad era contento e non riusciva a nasconderlo, si sarebbe messo a saltare per il negozio se solo non ci fosse stato il suo amico a pochi passi da lui che ascoltava minimamente ogni sua parola e che guardava ogni sua minima mossa.
<< Sì, va bene. >>
<< Lo consideriamo come un appuntamento? >> chiese lui speranzoso.
<< Non ci contare >> riattaccò lasciandolo lì a ridere da solo.
Quella donna sapeva farlo ridere solo con delle semplici parole e con i suoi atteggiamenti scontrosi. Gli piacevano le donne di quel tipo, divertenti senza saperlo, ma pensava che sotto quell’atteggiamento da dura, ci fosse una ragazza ancora più divertente e simpatica, ma soprattutto dolce.
Guardò l’orologio e si rese conto che mancava poco più di un’ora al fatidico incontro, al fatidico appuntamento, perché lui lo considerava tale nonostante lei dicesse il contrario.
Si ritrovò davanti il suo amico che lo guardava perplesso, gli sorrise.
<< Vuoi spiegarmi o devo tirarti fuori le parole di bocca? >>
<< Ti ricordi il piccolo incidente che ho avuto dal fruttivendolo? Ecco, lei mi ha aiutato a raccogliere le mele, facendo cadere anche il suo cellulare, quando abbiamo dovuto riprenderli ce li siamo scambiati senza saperlo. >>
<< Le mele? Ma che razza d’incontro è? >> era leggermente scioccato.
<< Non lo so, non me lo chiedere, ma non credi sia stato il destino? >>
<< Sai che non credo a queste cose. >>
Luke non credeva nel destino, non credeva che tutto fosse stato già programmato e che lui non potesse fare niente per cambiarlo. Secondo Luke, lui poteva fare quello che voleva e se lo faceva era perché voleva lui, non perché qualcun altro avesse già deciso che doveva farlo. Era un pensiero un po’ contorto, ma lui credeva solo alle cose scientificamente provate, altrimenti per lui erano delle cavolate assurde.
Il discorso cadde lì, dato che Luke non sembrava molto interessato al suo incontro con quella strana ragazza.
Non sapendo cosa fare, e avendo poco lavoro, si mise a curiosare nel suo cellulare. Sapeva che non fosse giusto farlo, ma che male avrebbe potuto fare? Voleva scoprire se avesse un ragazzo, un ragazzo con cui si vedeva solo per qualche appuntamento, se avesse qualche foto che gliela mostrassero sorridere e divertirsi, perché in quel momento non riusciva proprio a immaginarsela.
Guardò nella galleria delle immagini, trovando foto di lei che si divertiva con le amiche, di lei in giro per Londra che scattava foto come una turista. Era ancora più bella di quanto la ricordasse: capelli lunghi biondi, occhi marroni da cerbiatta, un sorriso che avrebbe potuto fare invidia alle migliori stelle per quanto brillava.
Guardò anche nei messaggi, violando la sua privacy, scoprendo che non avesse ragazzi, almeno credeva. Aveva trovato un messaggio di un certo Orsacchiotto che la chiamava Stellina o Pandina. Al solo pensarla con un altro, un moto di gelosia lo fece andare a leggere gli altri messaggi. Non poteva avere un ragazzo, non poteva, doveva conoscerla, doveva avere la possibilità di conquistarla. Non poteva essere occupata.
Scorrendo i messaggi di quell’Orsacchiotto, cominciò a darsi del cretino. Sì, del cretino patentato perché era geloso di… di un ragazzo gay. Orsacchiotto era gay, palesemente, in quasi tutti i messaggi parlava di un certo Mark.
Si sarebbe dato volentieri una sberla. Era geloso, era già geloso e non l’aveva praticamente conosciuta. Non poteva già essere completamente cotto.
Decise di rimettere il cellulare in tasca e di lasciarlo lì, qualsiasi cosa fosse successa non l’avrebbe più preso in mano, a meno che non l’avesse chiamato lei, ma ne dubitava.
Verso mezzogiorno e mezzo, uscì dal negozio per andare a piedi verso la pizzeria da Luigi, una delle più importanti pizzeria della zona che faceva una pizza favolosa.
La temperatura era ancora abbastanza bassa e fuori faceva freddo ma Chad camminava come se non sentisse il vento gelido che gli s’infrangeva addosso.
Da lontano, quando si stava avvicinando alla pizzeria, vide una chioma bionda che si stringeva nel suo cappotto lungo e caldo, e sorrise. Sorrise come uno stupido perché pensava che non l’avrebbe raggiunto e che gli avrebbe dato buca.
<< Ciao! >> la salutò facendole prendere paura.
<< Non pensavo saresti arrivato puntuale >> lo guardava scettica.
<< Io arrivo sempre puntuale agli appuntamenti >> l’aveva fatto apposta a nominare quella parola che lei sembrava tanto odiare. Voleva vedere come avrebbe reagito.
<< Non è un appuntamento >> lo guardò malissimo e lui scoppiò a ridere.
<< Sì, che lo è. >>
<< No, non mi sembra. Sono qui solo perché mi hai ricattato, solo per quello >> Lexie mentre parlava, cercava di non soffermarsi troppo a guardarlo negli occhi. Quella mattina, in quei pochi istanti che aveva passato con lui, si era resa conto dell’effetto che avessero su di lei. Non era normale, forse per le altre poteva esserlo, ma non per lei. Lei non si lasciava abbindolare da un dettaglio così superfluo e inutile come un paio di begli occhi.
<< Solo perché ti ho ricattato? Sono così brutto? >> lui stava scherzando, era evidente, ma lei, non capì per quale strano motivo, ma rimase colpita da quella frase.
Se quello era un brutto ragazzo, lei era la regina d’Inghilterra, e non stava scherzando.
Lo guardò, per la seconda volta da quando era arrivato.
<< No-non intendevo dire questo >> si sentiva in imbarazzo. Per una stupida domanda come quella, quell’uomo era riuscito a metterla in imbarazzo, nessuno c’era mai riuscito. Nessuno.
<< Stavo scherzando >> le sorrise immobilizzandola quando i suoi occhi azzurri si misero a luccicare in un modo strano.
Distolse lo sguardo e si girò per entrare nel locale.
<< Andiamo? >> cercò di riacquistare un certo controllo di se stessa, ma con quell’uomo accanto le sembrava quasi impossibile.
Lui la seguì ammirando la figura del suo corpo ancora avvolto dal cappotto.
Fece tutto lei, parlò con il cameriere e si fece dare un tavolo non appartato, anzi, per niente, e lui che sperava di poter stare un po’ da solo con lei.
Il cameriere li accompagnò al tavolo e lasciò loro le liste, lasciandoli in un assoluto silenzio.
Cominciarono a sfogliare le liste alla ricerca della pizza che avrebbero mangiato, non che servisse molto.
Chad voleva ammirarla senza essere troppo sfacciato e la lista davanti al viso faceva proprio al caso suo. Invece Lexie, stava cercando di prendere tempo, quell’uomo la metteva in imbarazzo, tirava fuori un lato del suo carattere che non avrebbe mai voluto mostrare a nessuno, soprattutto a un estraneo.
Fece finta di cercare la pizza, di non sapere quale scegliere, anche se sapeva già cosa prendere: una buonissima frutti di mare con mozzarella. Era la sua preferita e lì, in quella pizzeria, la facevano deliziosa.
Chad continuava a osservala, a perdersi nell’osservare i più piccoli dettagli di lei: le mani, il naso, la fronte, il collo lungo ed elegante che avrebbe tanto voluto baciare per poi scendere lentamente e…
Arrivò il cameriere a fermare il flusso dei suoi pensieri a luci rosse. Non era il momento opportuno per pensare a certe cose.
Ordinarono lui una capricciosa e lei una frutti di mare, da bere due birre.
Lexie, pur di non incontrare il suo sguardo ora che non aveva più niente davanti a parte lui, si mise a guardarsi intorno, a osservare gli altri clienti della pizzeria cominciando a immaginare chi potessero essere e quale fosse la loro vita.
Lui continuava a guardarla, teneva le mani sotto il mento e continuò a guardarla, sorridendo impercettibilmente.
La sentiva nervosa, la vedeva nervosa, che fosse la sua presenza?
<< Ti vedo un po’ tesa, è per caso colpa mia? >> probabilmente la domanda era fin troppo presuntuosa, ma voleva saperlo.
<< Tua? E per quale motivo? >> le uscì una voce stridula, una voce che non aveva mai fatto in tutta la sua vita.
Il sorriso si gli allargò maggiormente.
Lexie, sei una cretina, sappilo.
Rimasero nuovamente in silenzio mentre lei si mise a guardare il tavolo.
<< Come ti chiami? >> le chiese improvvisamente cercando di metterla a suo agio.
Puntò il suo sguardo da cerbiatta nel suo e lo guardò in modo strano.
<< Lexie, e tu? >> la vedeva ancora nervosa, ma sperava che con il passare del tempo si sarebbe rilassata.
<< Chad. Che lavoro fai? >> si allungò un po’ verso di lei, mostrandole ancora di più lo splendore dei suoi occhi.
<< Sono manager in un’agenzia di Londra. Tu lavori come postino? >> gli chiese leggermente divertita.
<< No, mi dispiace dirtelo, ma non consegno la posta. Sono un fotografo. Un bravo fotografo. >>
<< Non pensi di essere leggermente modesto? >> si sporse anche lei sul tavolo.
La vide rilassarsi e sciogliersi a mano a mano che continuavano a parlare.
<< Io? Non sono modesto, dico solo la verità >> le sorrise. << Il tuo telefono non è suonato molto stamattina per essere una manager d’azienda, sei così scarsa? >>
<< Quello è il mio telefono personale, quello che uso per famigliari e amici, non per il lavoro, quello è off limits, per chiunque. E non sono così pessima, anzi, sono abbastanza conosciuta nel campo. >>
<< E come mai non ho sentito il tuo nome? >>
<< Ti facevo più intelligente, sai. Lexie è come mi chiamano i conoscenti, nel campo sono conosciuta come Alexia, Alexia Johnson >> lo guardò come per sfidarlo e lui non rifiutò l’offerta.
<< Alexia Johnson >> finse di pensare. << Non l’ho mai sentito nominare >> non era vero. Aveva fin troppo sentito parlare del suo nome. Era conosciuta nel campo dell’azienda, soprattutto per essere spietata, senza cuore, menefreghista e qualsiasi altro aggettivo potesse far capire quanto fosse odiosa. A lui non appariva in quel modo comunque, la trovava adorabile e simpatica.
Lei lo trucidò con lo sguardo.
Come si permetteva quell’insulso fotografo e dire che non la conosceva? Come si permetteva? Avrebbe voluto avere la sua carriera e la sua reputazione nel campo. Troglodita.
La vide nuovamente irrigidirsi e assumere un’aria alquanto arrabbiata.
Si diede dello stupido, aveva rovinato tutto.
<< Ok, scusa, so chi sei è che… non sembri come ti hanno descritto. >>
<< E come mi hanno descritto? >> alzò un sopracciglio perplessa.
<< Come una senza cuore, stronza, bastarda, insensibile, che vuole solo ottenere ciò che vuole e non le importa con che mezzo >> probabilmente stava ulteriormente sbagliando, ma tanto valeva tentare, non aveva niente da perdere.
<< Perché dici che non sembro? Ti ho forse dato un’impressione diversa? >> diventò seria, ma almeno non era più arrabbiata.
<< Beh, sì. Penso che tu non sia senza cuore, che non sei stronza o bastarda, ti piace solo far credere alla gente che tu lo sia. >>
Lexie abbassò lo sguardo e sorrise leggermente.
<< Probabilmente non ti stai sbagliando poi molto >> alzò lo sguardo su di lui facendolo rabbrividire.
<< Perché lo fai? >> gli sembrava di essere vicino a scoprire il Santo Graal da quanto si sentiva emozionato ed elettrizzato.
<< Perché mi nascondo dietro qualcosa che non sono? >> lo vide annuire.
Stava per dire qualcosa che non aveva mai detto a nessuno, solo a Josh, il suo migliore amico, aveva saputo spiegare perché lo faceva, solo lui aveva capito, ma per qualche strano motivo sentiva che con quell’uomo potesse parlare senza problemi. Per una qualche strana ragione, voleva essere sincera con lui, voleva farsi conoscere, voleva fargli conoscere la sua vera lei.
Prese un profondo respiro. << È più facile. Se la gente pensa che tu sia una stronza, cinica, bastarda, che vuole solo ottenere quello che vuole a qualsiasi costo, nessuno ti avvicina e, di conseguenza, nessuno può farmi del male. Chiamala autodifesa, chiamala paura di soffrire, chiamala come vuoi, ma lo faccio solo perché non voglio soffrire, non voglio che la gente si approfitti di me. >>
Lo guardò negli occhi per captare qualsiasi suo cambio d’espressione, ma non mutò niente nel suo viso. Continuò a guardarla, con quel suo sguardo fermo e sicuro, la guardò in silenzio leggendole dentro, scavando nel profondo della sua anima.
Lei si sentì privata di ogni cosa: dei vestiti, della pelle, delle cellule del corpo, si sentiva leggera perché il suo sguardo stava conoscendo cose che neppure lei aveva mai conosciuto.
Si guardarono per minuti, forse ore, ore in cui entrambi assorbirono qualcos’altro, qualcosa che li avrebbe tenuti uniti per sempre.
Arrivò il cameriere a distruggere la magia del momento posando le pizze davanti a loro.
Lo guardarono di sfuggita per poi tornare a posare lo sguardo negli occhi dell’altro.
Mangiarono in silenzio, in un rigoroso silenzio, posando ogni tanto lo sguardo sull’altro. Non era un silenzio imbarazzato, era un silenzio più rilassato, un silenzio che li faceva conoscere in modo intimo.
Lexie era rilassata, ma era stufa del silenzio, le mancava la sua voce, voleva sentirla, ne aveva bisogno.
<< Ti capita mai di pensare che a volte sei stato troppo duro con te stesso? >> era una domanda a cui non aveva mai avuto risposta, una domanda a cui voleva dare una risposta.
<< A cosa ti riferisci? >> lui la guardò mentre portava alla bocca un pezzo di pizza.
<< Io mi sono costruita questa maschera, mi sono sempre imposta di non fidarmi delle persone perché tanto sapevo mi avrebbero ferito. Mi sono sempre imposta di non lasciare trasparire niente di diverso di me, ma ogni tanto penso che se avessi agito in modo diverso, qualcosa adesso sarebbe diverso >> era seria, fin troppo.
<< Non ho mai preteso troppo da me stesso, so i miei limiti, li ho sempre conosciuti e non ho mai pensato di fingere di essere qualcuno che non sono. Non per questo io non ho paura di soffrire, anzi, ne ho tantissima, ma so capire quando il gioco vale la candela. E poi, mi sembra che tu ti stia fidando di me adesso >> appoggiò i gomiti sul tavolo e appoggiò il mento su una mano.
Lo guardò negli occhi e imbarazzata per il suo sguardo, li abbassò subito arrossendo leggermente.
<< Beh, con te… è qualcosa di… di diverso. Credo, cioè… ho come l’impressione che di te mi posso fidare. Non chiedermi da cosa sia dovuto, ma so che mi posso fidare di te o probabilmente voglio farlo. >>
<< Vuoi sposarmi? >> le chiese seriamente continuando a guardarla.
Lei aspettò che scoppiasse a ridere, ma così non successe. Lo guardò perplessa pensando di non aver capito bene.
<< Cosa? >>
<< Vuoi sposarmi? >> stavolta Lexie scoppiò a ridere beando il ragazzo di una risata genuina e allegra.
<< Stai scherzando spero. Non ti sembra di correre un po’ troppo? >> continuò a ridere.
<< Sì, probabilmente sì >> lui aveva un sorriso enorme e aveva anche gli occhi lucidi a vederla ridere così.
<< Non ti hanno mai insegnato quel proverbio… quel vecchio proverbio… aspetta, com’era? Chi va piano, va sano e va lontano? >>
<< Sì, era quello. Me l’hanno insegnato, ma purtroppo non sono mai stato uno che fa le cose con calma, a me piace buttarmi a capofitto nelle cose. >>
<< Ti piace suicidarti allora >> Chad rise, divertito dalla sua frase.
<< Probabile, ma a me piace cogliere le occasioni al volo e fare in modo che non se ne vadano mai >> si sporse leggermente verso il tavolo.
<< Quindi, io sarei un’occasione? >> anche lei si sporse verso di lui.
<< Una bellissima occasione, una delle più belle, farei qualsiasi cosa pur di non lasciarti andare via. >>
Lexie si sentì mancare il respiro a quella frase. L’aveva pronunciata in modo così serio e solenne che ne rimase colpita, piacevolmente colpita, ma anche leggermente spaventata. Nessun uomo le aveva mai detto cose del genere, anzi, con nessun uomo aveva mai parlato in quel modo, la spaventava, non sapeva a cosa stava per andare incontro. Stranamente però, il sapere che quell’uomo sarebbe stato accanto a lei, la faceva stare meglio, la faceva stare talmente bene che per una volta la paura era qualcosa di superfluo, di inutile, la paura non esisteva, sostituita dalla voglia di passare del tempo con quell’uomo, a conoscerlo, a parlarci, a fare l’amore con lui. L’amore quello vero che ti fa provare le più belle sensazioni solo con l’uso della parola, a cui non serve solo l’atto sessuale per raggiungere quel piacere estremo.
Chad rimase a guardarla, vedendo cambiare il suo viso dalla paura, dallo stupire a un sorriso spontaneo che le riempì gli occhi di speranza e di un futuro che nessuno dei due conosceva, ma che entrambi volevano vivere.
<< Quindi, questo era un appuntamento? >> le chiese improvvisamente lui sorridendo.
<< Non lo so, può darsi. Intanto ridammi il mio cellulare >> allungò la mano verso di lui.
<< Mi darai il tuo numero e uscirai nuovamente con me? >> Chad sapeva già la risposta, ma voleva giocare con lei.
<< Non lo so, può darsi >> gli sorrise.
Sapevano entrambi che ci sarebbe stato un altro appuntamento e altri ancora, molti altri. Lo sapevano, ne erano consapevoli. Quello che avevano provato in poche ore passate insieme, non era niente in confronto a quello che avrebbero provato nei mesi a seguire, negli anni, perché quando si è destinati a stare insieme non c’è niente da fare, si sta insieme.

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera! Ringrazio chiunque abbia letto questa storia e Soul’s Lullaby, o meglio dire Ivola su EFP, per aver indetto questo bellissimo contest.
Beh, non ha una fine vera e propria, vi lascio immaginare a voi che cosa succederà dopo, ma ve ne do’ un piccolo assaggio.
Spero che vi sia piaciuta =)
Un bacione,
CherryBomb_


   
 
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