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Autore: slice    17/05/2011    10 recensioni
Sasori mi affascina. È un personaggio particolare con idee chiare, tanto da far dimenticare la loro follia, scaturite da un dolore. Vogliamo dargli un po' di sollievo, almeno in una AU? u.ù Poverino. Eh!
La porta bianca che divide le scale dal reparto sembra qualcosa di invalicabile e l'idea di parlare con infermiere ciniche e stanche non lo alletta, ma è tutto bianco, ovunque, e fa voglia di vedere se oltre quelle ante c'è qualcosa di colorato.
Deidara è colorato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akasuna no Sasori , Altri, Deidara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Un attimo alla volta, per sempre
di slice





Entrando in un ospedale chiunque può avvertire l'assenza di odori che contraddistingue quelle strutture. È qualcosa di leggero, nella sua spietatezza, che verte vagamente verso il disinfettante, fa venire in mente l'asettico, il pulito, il vuoto; il letto, la camera puliti e vuoti di un essere umano che se n'è andato.
Sasori oltre a tutto quello vede lo smacco terribile che è la morte alla grandezza dell'umanità. Una specie così evoluta, capace e intelligente - in teoria - messa in ginocchio da microorganismi e cellule avariate. La caducità della piaga planetaria lo rende sempre nervoso e intollerante, la sua idea di perfezione ha preso una piega utopica in un breve periodo subito sopo la prematura morte di entrambi i suoi genitori. È rimasto solo, con la nonna paterna.
Ripensare a come la donna si è presa cura di lui e ha tentato di insegnargli lo stesso mestiere che lo aveva privato dei genitori, in un incendio nel loro piccolo teatro tramandato da generazioni nella sua famiglia, non lo aiuta a vedere quelle scale bianche come l'unica cosa che li separa.
Lei aveva visto il suo dolore, ma nuotava già in modo piuttosto scomposto nel proprio e tutto quello che poté fare fu renderlo partecipe della passione di famiglia. Lui aveva odiato quel maledetto teatro tanto quanto la condizione umana, riuscendo ad amare la perfezione delle marionette e dei personaggi che interpretava molto più della realtà. Raggiunta la maggiore età la gestione del locale passò nelle sue mani, come diceva il testamento del nonno, e Sasori lo trasformò in un pub con musica dal vivo.
'Perché tanto tutto finisce e la tristezza delle persone che sopravvivono è tutto quello che rimane'.
Lì aveva incontrato Deidara.
La porta bianca che divide le scale dal reparto sembra qualcosa di invalicabile e l'idea di parlare con infermiere ciniche e stanche non lo alletta, ma è tutto bianco, ovunque, e fa voglia di vedere se oltre quelle ante c'è qualcosa di colorato.
Deidara è colorato. Deidara urla, salta, s'incazza, coltiva un fiore che sboccia ogni quarant'anni perché crede che le cose che durano un attimo siano magnifiche, e poi lo bacia, anche; velocemente, perché
'anche l'orgasmo è un attimo e quello ti piace'.
Ma quando le porte si aprono non vede niente nemmeno di lontanamente somigliante a Deidara, niente di colorato. Nemmeno gli occhi dell'infermiera a cui chiede informazioni hanno colore. Non quel colore che cerca lui.
Allo stesso modo le stanze a cui passa davanti sono tutte uguali, sono tutte silenziose, sono tutte piene e vuote allo stesso tempo.
Chiyo ha gli occhi chiusi quando lui entra nella stanza e per un momento la osserva fermo davanti alla porta. Poi si muove, prende larga la curva che lo porta al capezzale, si prende il tempo necessario per vedere gli anni passati lontani su quel viso anziano, su quei lineamenti contratti dal dolore e quel respiro affannoso.
Un inaspettato sorriso lo blocca sul posto.
“Sasori...”
Il suo nome viene scandito lentamente da una voce arrochita che non riconosce come quella di sua nonna, la osserva ancora però, avvicinandosi.
“Questa vecchia... sperava che venissi a salutarla un'ultima volta,” continua a sorridere lei, tossendo mentre si porta un fazzoletto davanti alla bocca.
“Mi dispiace.” riesce a dire lui quando torna il silenzio.
Perché non aveva capito niente e ha lasciato che le ottusità di una vecchia generazione facessero da scusa per staccarsi da lei. Sasori si rende conto di essere rimasto piccolo fino a poco tempo fa e tutto, adesso che è adulto, pesa come se non fosse mai stato bambino.
“Deidara va benissimo, Sasori... perché la vita è breve e le scelte giuste sono solo quelle che ci rendono sereni,” dice, tornando seria, “volevo che lo sapessi... che non importa, che niente importa perché io ti ho amato come ho amato mio figlio... e avrei amato anche Deidara se solo non fossi stata cieca e stupida,” tossisce ancora e tutte le volte che lo fa il fazzoletto si colora di rosso.
Sasori le porge il bicchiere che c'è sul comodino e l'aiuta a bere, poi si sporge per rimetterlo a posto e lei lo tira verso di sé. Lo abbraccia e appoggia la fronte sulla sua spalla.
“Non sei mai stato solo...”
Poi c'è silenzio. Le dita bianche e vecchie sulla stoffa della sua maglia cedono, il corpo contro il suo si rilassa. Sasori appoggia il capo della nonna sul cuscino e le chiude gli occhi.
La bacia, sulla guancia già fin troppo fredda, e le accarezza i capelli grigi che cadono dalla fronte sul cuscino bianco. Come il letto, come il pigiama di sua nonna, come sua nonna. Di sicuro quella che pochi istanti fa era sua nonna e non colei che adesso è solo bianca, vuota, una vecchia qualsiasi.
“Non sei contento di averla vista? Sai, non è mai stata così bella!” dice Deidara, avvicinandosi, “Le persone poco prima di morire sono belle come...”
Si blocca e non riparte più e Sasori alza la testa per vedere cosa sia successo per aver interrotto quella manfrina. Ma il testone iperattivo lo prende per un polso e lo trascina per due reparti, un sacco di scalini e corridoi, e si fa aprire ad un portone uguale a quello del reparto dove ha lasciato sua nonna, l'unica differenza è che dietro quelle porte c'è colore. C'è movimento, ci sono risate e miagolii strani, ci sono chiacchiere e sorrisi e c'è un vetro dietro al quale si agita la vita.
“Le persone poco prima di morire sono belle come appena dopo la nascita,” conclude Deidara, osservando il compagno spalancare gli occhi e poggiare le dita sul vetro come se ci si stesse sorreggendo.
Sono bambini. Sono così piccoli che sembrano marionette. Sono resettati: fogli bianchi dove la vita deve ancora scrivere, dove chiunque deve ancora imprimere il proprio passaggio. Sono l'unico vero potere della sua specie, sono loro ad essere eterni.
“Eppure crescono in fretta, quindi durano giusto un attimo, uh,” sorride Deidara, facendo spallucce.
Sono eterni e durano un attimo. E loro non potranno mai averne uno, non con i loro geni.
E se la vita è tutta oltre quel vetro allora loro cosa stanno facendo?
“Mh, è una cosa stupida, ma ho sempre pensato che quelli lì non siano altro che un concentrato dei genitori...” risponde Deidara che ha imparato a leggere letteralmente Sasori, grattandosi il naso, vagamente imbarazzato, “magari quindi l'importante è, che ne so, l'amore, tipo, mh?”
L'altro lo guarda, aggrotta la fronte e il ragionamento fila, sorprendentemente.
Ha sempre pensato di essere rimasto solo, si è sempre sentito molto solo, ma la verità era che sapere sua nonna viva, ancora in giro su questo mondo, gli faceva pensare di avere tempo, di avere qualcuno nonostante tutto. Ma è lì, il suo qualcuno. Dice cazzate e urla ed è biondo, però è davvero lui che riempe tutto quel vuoto, quel bianco, quell'assenza di odori e sapori e che colora tutto facendo esplodere il microonde
'perché è artistico!'.
Dietro il vetro una persona adulta si muove con un altro concentrato tra le braccia e lo deposita in quel momento in un nuovo lettino. Scrive qualcosa e poi appende il cartellino in modo che si possa leggere da fuori.
“Chiyo!” quasi grida Deidara, sorpreso, indicando l'etichetta del nome della nuova bambina.
E Sasori sorride perché non importa niente, non importa nemmeno che la madre in vestaglia e flebo e il padre denuncino l'incompetenza delle infermiere anche nello scrivere il nome
Ichigo, perché tanto lui non è mai stato solo.






Owari






L'ultima frase doveva essere accompagnata da questo ---> (?) perché è un po' come dire: “domani piove perché tanto gli uccellini cantano”, che cazz...? u___u' Mah.

Oggi, 17 maggio, era la giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, e ne sono stata informata una decina di minuti dopo aver finito la bozza di questa cavolata. Sembra qualcosa di vagamente attinente? Non so, in un suo modo, secondo me sì.
Un giorno vorrei dire ai miei figli che le persone amano tutte allo stesso modo: scendono a compromessi. E allora è bene dividere la vita con qualcuno che ci rende felici, indipendentemente da razza, sesso, religione e quant'altro, altrimenti si è più stupidi di chi giudica.
Poi, per il resto, sono chiacchiere e cazzate perché nessuno può giudicare e non c'è un modo giusto di vivere la propria sessualità. Contronatura è un termine usato dagli ignoranti che non sanno che ci sono stati più gay in passato di quanto ce ne possono essere ora.

Grazie Tessa, per l'info! XD E grazie mille ad Aya, per il suo prezioso betaggio dell'ultim'ora. *___*



I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.



  
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