Gli occhi dell’amore
Una donna per amore può fare tutto, può
dare anche la sua stessa vita.
Quando la tua vita non è altro che un
abisso simile all'inferno dove tu non puoi decidere neanche per te stessa, dove
tutto ti è vietato, non appena trovi qualcuno che ti tratta con dolcezza, senza
importi nulla ma donandoti solo un’immensa felicità, ti ci aggrappi.
Questa persona diventa la tua luce, senza
la quale non riesci più a stare, il suo amore ti diventa indispensabile,
diventa per te linfa vitale.
Quando, in quella luce, vedi una
speranza, tutta la tua esistenza, passata, presente e futura, assume un
significato e tu pensi finalmente di poter chiamare quell'esistenza, vita.
Ma quando quella luce scompare
improvvisamente, ti viene strappata via, precipiti in un baratro di
disperazione, da cui nessuno ti può salvare, forse perché non vuoi farti
salvare, forse perché quello è l'unico luogo dove, ricordando e crogiolandoti
nel tuo stesso dolore, riesci a vivere.
Questa è la storia di Misa, una storia
senza lieto fine.
Lei era diversa da tutte le altre ragazze
della sua età, la sua diversità non le aveva mai permesso di fermarsi davanti
alle difficoltà della vita, anzi, l’aveva spinta a superarle, convincendo,
cosi, il resto del mondo, che non aveva bisogno della loro inutile compassione.
Misa amava la musica fin da piccola, la
condizione sociale ed economica della sua famiglia le aveva permesso di
studiare con i migliori professori, frequentare con successo il conservatorio e
arrivare al punto di essere, all’età di diciannove anni la migliore arpista di
tutta Europa, denominata la Rosa dei Venti.
Durante i suoi concerti in giro per il
mondo era sempre nervosa ma, non appena pizzicava la prima corda, intorno a lei
calava il pi_ assoluto silenzio, le note che vibravano nell’aria le
trasmettevano sensazioni ogni volta differenti, che cambiavano secondo il
luogo, della melodia, del pubblico.
Tutte sensazioni che esaltavano i suoi
sensi, permettendole di vedere cio che la vista non le permetteva, compensando
questa mancanza, facendola, per un attimo, diventare una ragazza come tutte le
altre.
La musica la trasportava in un mondo a se
stante, dove non era costretta a rifugiarsi dietro ad un paio di lenti scure,
ma poteva vivere spensierata la sua giovane età; un mondo di fantasia, un mondo
di sogni irrealizzabili in cui amava crogiolarsi, dove si nascondeva nei
momenti di tristezza.
La sua fama e la sua fragilità, avevano
portato il suo avido padre a tenerla rinchiusa in una campana di vetro dorato;
non le permetteva uno svago, non un riposo, ma soprattutto limitava a zero i
suoi contatti con i coetanei.
Il cuore le si riempiva di tristezza
quando, passando per strada, sentiva le voci allegre delle ragazze della sua età
che gioivano nel vedere una bella vetrina o un ragazzo carino.
Vedere…una parola di cui lei non
conosceva il significato; da quando era nata, non aveva mai visto i raggi del
sole ma li aveva solo sentiti sulla pelle nuda, non aveva mai visto il colore
del mare, l’aveva solo sentito descrivere.
I suoi occhi erano ciechi dalla nascita,
gli altri sensi erano sviluppati e acuti e potevano alleviare il disagio di
quella mancanza…ma non la sostituivano.
Gli specchi nella sua vita non
esistevano, tanto per lei erano inutili e il solo sentirne la superficie al
tatto le suscitava un moto di rabbia; cos'aveva fatto di male, lei, per avere
un destino simile? Perché le era toccata quella punizione? Si chiedeva spesso,
quando era sola, quando non poteva far altro che parlare con se stessa perché
lei, per il mondo, non era altro che un nebuloso fantasma.
Spesso si chiedeva come fosse il suo
viso, il suo corpo, i suoi capelli; quando sua madre era ancora in vita,
passava le ore a descriverla mentre le pettinava i capelli.
Sentendo la sua voce le sembrava quasi di
avere gli occhi, di riuscire a vedersi.
Le mancava e anche tanto, nella sua
famiglia era sempre stata l’unica a trattarla normalmente, a non farle pesare
quella sua condizione.
Sua madre l’aveva sempre protetta dalla
maniacale protezione del padre, le aveva consentito, quando il marito era via
da lavoro, di concedersi qualche svago e solo in quelle rare occasioni, la
ragazza, aveva capito veramente cosa volesse dire vivere, cosa significasse
sorridere di felicità, cosa fosse la normalità.
Quando Misa aveva otto anni sua madre
rimase incinta, aveva già un’età in cui, portare avanti una gravidanza, poteva
comportare dei rischi, ma volle rischiare lo stesso.
Furono nove mesi pesanti ma sia lei che
la figlia sopportarono tutto aiutandosi l’un l’altra; la notte del parto la
donna morì e la bambina con lei, vi furono complicazioni che i medici non
furono in grado di risolvere.
Misa attese per giorni il ritorno della
madre; impaziente, curiosa, eccitata all’idea che in casa ci sarebbe stata una
sorellina o un fratellino con cui poter giocare.
Ma niente di tutto ciò accadde; dopo
diversi giorni, Carla, la domestica più anziana, quasi una nonna per lei, le
disse ciò che era accaduto.
Nessuno si era preso la briga di
avvertirla, il padre sembrava persino indifferente alla sorte toccata alla
donna che aveva sposato e con cui viveva da quasi trent’anni.
Quell’evento sembrava di poca importanza,
nessuno ne parlava e, persino il funerale, per ordine del padre, fu svelto,
sobrio e senza troppe perdite di tempo.
Quella donna era stata amata da molti,
tante persone furono distrutte dal dolore venendo a conoscenza della disgrazia
toccatale, ma a nessuno fu permesso di porgerle l’estremo saluto:
“Troppe perdite di tempo e
lacrime inutili” disse il padre quando Carla gli chiese se potesse o
no prendere parte al funerale.
Una donna dalla mirabile bontà, che aveva
sempre dato tanto senza chiedere niente in cambio, che aveva sempre pensato
prima al bene degli altri che al suo, una donna bellissima, cui la sorte aveva
dato per marito un uomo rude, avido e senza cuore.
I due opposti, un matrimonio privo
d’amore, solo frutto degli interessi.
L’unica gioia di quella donna era stata
sua figlia: una figlia che non ha neanche potuto vedere l’ultima volta, cui non
aveva potuto regale un ultimo abbraccio o una parola di conforto, una bambina cui
non era stato neanche permesso di andare a deporre un fiore sulla tomba della
madre e che affrontò il dolore da sola, rinchiudendosi in un gelido silenzio;
soffocando le lacrime, reprimendo il dolore, consapevole di essere rimasta
sola, indifesa.
Ora completamente nelle mani di
quell'uomo terribile da lei chiamato padre.
Da quel momento le catene dorate intorno
al collo della piccola Misa furono strette sempre più di anno in anno, se prima
le veniva concesso di andare a scuola con tutti gli altri bambini, ora venne
reclusa nella grande villa e vennero pagati illustri professori per farle
lezione; se prima ogni tanto usciva per negozi con la madre, ora le venne
proibito persino di uscire nel grande giardino da sola.
Si sentiva soffocare, più cresceva più la
sua voglia di fuggire aumentava, il profumo della liberta si faceva sentire
specialmente in estate, quando la natura sbocciava e il parco si riempiva di
vita; uccellini cinguettanti riempivano l’aria d’allegre melodie, scoiattoli e
piccoli roditori saltavano da un ramo all’altro rincorrendosi gioiosi, gli amori
nascevano e si consumavano durante la notte.
Solo in quella villa tutto era
silenzioso, grigio, privo di anima e allegria.
Fuori era tutto un tripudio di colori,
profumi e suoni, dentro vi era solo un’apatica aria di tristezza, mista a
delusioni, rimpianti e tanta rabbia.
La maggior parte della sua giornata Misa,
la passava tra le lezioni e gli esercizi con l’arpa, ormai aveva rinunciato a
chiedere a suo padre di poter uscire perché tanto la risposta era sempre la
stessa: quel secco no che non ammetteva repliche, quella parola pronunciata con
il tono del comandante, del padrone, con l’atteggiamento di chi sa bene che
ogni suo ordine sarà eseguito all’istante e nessuno tenterà mai di ribellarsi.
Accadde tutto una mattina di gennaio,
l’anno nuovo aveva appena aperto le sue porte e tutti confidavano che sarebbe
stato migliore del precedente tranne Misa che sapeva bene che non sarebbe
cambiato nulla nella sua vita, la sua esistenza sarebbe stata grigia come sempre, monotona, a sprazzi colorata
solo dalla consolante melodia della sua arpa.
Quel giorno era il suo diciannovesimo
compleanno, tutti, tranne suo padre, se ne ricordarono.
Il freddo lì in Francia, in quei giorni,
era piuttosto pungente, suo padre se n’era andato, avrebbe passato un paio di
settimane a Madrid con la sua nuova donna, l’ennesima, ormai aveva la media di
cambiarne una ogni mese, quasi.
Anche se la temperatura non era delle
migliori decise di uscire per andare a fare un giro nel parco, da sola.
Pur essendo inverno, quel parco era
stupendo, per tre quarti era circondato da una recinzione alta di ferro, ma,
sul retro era lasciato libero, perché si univa, diventando un tutt’uno con un
boschetto; era il bello di vivere in periferia, niente baccano, niente intrusi,
niente gente che passa e fa troppo rumore.
Spesso, negli ultimi tempi, Misa, aveva
preso l’abitudine di passeggiare per il parco alla prima possibilità, sfruttava
ogni momento di assenza del padre per godere della serena pace che quel luogo
offriva.
Camminava, ascoltando ciò che quel parco
aveva da offrirle, costeggiava la recinzione, per non rischiare di perdere
l’orientamento, Cloud, il cane lupo, correva felice a pochi passi da lei,
rincorrendo i passeri selvatici; strinse a se la sciarpa quando un alito di
vento la investì, faceva freddo non poteva negarlo, però quel freddo le
permetteva di svegliare i suoi sensi, di scuoterli dal tepore domestico,
facendole ricordare di avere un corpo e di non essere solo una marionetta nelle
mani del padre.
Camminò a lungo, giunse al limite del
bosco, normalmente si sarebbe voltata e avrebbe percorso la strada a ritroso
per tornare alla villa, ma quel giorno non ne aveva voglia.
Varcò il confine della proprietà,
limitato solo dal buonsenso e da niente di visibile, poggiò le mani prima sul
tronco di un albero e poi sul successivo, avanzando piano, attenta a dove
metteva i piedi, consapevole di non essere in un luogo conosciuto.
Quella situazione fece nascere un sorriso
sul volto, spesso si fermava accarezzando gli alberi, i rami, le rade
foglioline marroni e secche, sentiva gli odori che la circondavano, stava
attenta a tutti i rumori.
Era un piacere, un piacere estremo, il
piacere della scoperta; il sapere di essere in un luogo a lei proibito, di aver
disubbidito agli ordini di suo padre, di star esplorando un luogo ignoto, le
donava un mix di sensazioni estremamente eccitanti e splendide.
Cloud non la lasciò sola per un istante,
consapevole del fatto che rischiava di farsi male, le stette accanto
scodinzolante, attento che non ci fossero pericoli per lei.
A un certo punto gli alberi si fecero più
radi, aprendosi in una radura nascosta, ignota ai più, con centro un piccolo
laghetto; quel luogo sapeva d’intimo, di privato, di puro e incontaminato.
Misa non poteva vederlo, ma grazie alle
sensazioni che l’ambiente le donava riuscì a farsi un disegno mentale del
luogo.
Si sedette sulla riva, una rana
gracchiava seduta su una pietra poco distante, i pesci continuavano la loro
pacata esistenza aspettando di trovare del cibo, i piccoli insetti che
popolavano quel posto e il bosco circostante, si dedicavano alle loro laboriose
occupazioni.
Tutto era un pullulare di vita, che si
apriva dinnanzi a chi era capace di ascoltare in silenzio, non con le sole
orecchie ma anche con il cuore.
Per la prima volta Misa era in pace con
se stessa, sfiorava delicatamente l’ambiente intorno a se, percependo tutto ciò
che poteva trasmetterle, sorridendo di quel meraviglioso contatto con la
natura.
I suoi sensi erano in visibilio, quel
luogo, anche in quella stagione di morte, era carico di vita, un concerto
perfetto di sensazioni e rumori; il fruscio delle code dei pesci, gli schizzi
dei loro salti, il gracidare delle rane, il fruscio dei passeri dentro il nido,
i piccoli insetti che correvano veloci sull’erba, tutto in perfetta armonia,
non vi era niente di scordato o anomalo.
Quel silenzio carico di vita fu
improvvisamente interrotto dall’arrivo di qualcuno, Cloud prese ad abbaiare
temendo che potesse essere un pericolo per la sua padrona.
“ Sta buono Cloud, da bravo. “
disse Misa accarezzandolo e tenendolo per il collare.
“ Mi perdoni signorina, non volevo
spaventarla, non credevo di trovare nessuno in questo posto. “ disse
l’intruso.
Un ragazzo alto, magro, con i capelli
castano scuro e gli occhi verdi; dal fisico asciutto, il viso intellettuale e
intelligente; si tolse gli occhiali da riposo e li mise nella tasca del
giubbotto, chiuse il libro che stava leggendo e fece alcuni passi avanti.
Cloud riprese a ringhiare, non sembrava
affatto contento della sua presenza.
“ Lo perdoni, Ë un cane diffidente.
“ disse Misa dandogli una pacchetta sulla testa che lo fece smettere di
ringhiare.
“ Mi perdoni lei per averla
disturbata, normalmente vengo qui a fare una passeggiata e a dedicarmi un po’
alla lettura, ma non ho mai incontrato nessuno “ rispose lui sorridendo “ Forse
è meglio che tolga il disturbo, godetevi questa pace e….spero di rincontrarla
in futuro. “
“ Ma no, aspetti, rimanga qui a farmi
un po’ di compagnia, questo posto Ë abbastanza grande per due, mi sentirei un
egoista a privarla di tanta pace per goderne da sola. “ quelle parole le pronunciò
con un certo imbarazzo, abbassò lo sguardo, evitando di guardare nella
direzione da cui veniva la voce del giovane.
Il giovane sorrise e si andò a sedere di
fianco a lei, Cloud non si fece scappare l’occasione e,sfuggendo dalle mani di
Misa, si posizionò tra i due fingendo di dormire, ma con un occhio controllava
continuamente i movimenti del giovane.
“ Piacere di conoscerti, spero possa
darti del tuo senza problemi “ le porse la mano “ Mi chiamo Samuel, tu
sei? “
La ragazza non si accorse della mano dinnanzi
a lei ma con gentilezza si presentò: “ Piacere mio, io sono Misa “ e sfoggiò
un sorriso da far invidia al sole.
Samuel non riusciva a capire come mai non
gli avesse stretto la mano, forse era stato poco educato da parte sua o forse
aveva fatto o detto qualcosa che l’aveva turbata? Eppure dal suo tono di voce e
dal suo viso non sembrava.
Poi la osservò bene, i capelli erano
corti, un caschetto biondo perfettamente in ordine e curato; la pelle era
chiara, liscia, senza imperfezioni, le labbra a cuore, carnose e dipinte con un
chiaro rossetto rosa.
Ma la cosa che lo colpì maggiormente
furono gli occhiali da sole, quella non era certo una giornata da considerarsi
soleggiata anzi, era persino più grigia del solito.
Non riusciva a capire se lo stesse
guardando o se il suo sguardo fosse rivolto altrove.
“ Perdonami ma…come mai non togli
quegli occhiali scuri? “ chiese con gentilezza.
La ragazza sorrise un po’ amaramente:
“Che io li tolga o no, per me non fa
differenza.” E per la prima volta tolse quella sua scura maschera davanti a
qualcuno, rivelando i suoi occhi; erano di un biancore perlaceo,strano,cosi
strano da apparire finto.
Lui trattenne il respiro per un istante e
si diede dello sciocco per il poco tatto usato e per non averci pensato prima,
poi si soffermò a guardarla, stupito, improvvisamente senza parole.
Quella ragazza minuta, adesso aveva un
altro aspetto, era più bella, radiosa; teneva la testa alta, guardando avanti a
se, consapevole che lui la stava studiando, eppure non batteva ciglio.
Aveva l’atteggiamento fiero di chi non si
vergogna del suo stato, di chi Ë consapevole della propria condizione e
l’accetta con decisione.
Ecco, era decisione ciò che leggeva nel
suo sguardo.
Niente timidezza, niente vergogna.
La osservò attentamente, prendendosi
tutto il tempo necessario, la studiò minuziosamente, in ogni sua parte…
Era bella, non poteva certo negarlo.
Era una bellezza particolare però, il suo
viso era naturale, praticamente privo di trucco al di fuori di quello leggero
sulle labbra; la sua bellezza era cosi pura, semplice da ammaliarlo
incredibilmente, mai aveva visto una ragazza cosi.
Ogni ragazza che aveva incontrato o
frequentato fino a quel momento, o anche solo visto per strada, era sempre
ricoperta di trucco, pettinata in maniera complicata, estremamente alla moda,
ma lei,lei no; l’abito che portava sotto il lungo cappotto nero era di taglio
semplice, una gonna lunga fino alle caviglie, bianca, un paio di stivali neri
con il tacco basso, il cappotto con il colletto tirato su e una sciarpa bianca
fatta a mano a cingerle il collo.
Candore,ecco cosa esprimeva.
“Sei ancora qui oppure sei scappato?
” disse improvvisamente Misa facendolo sobbalzare.
“ Perdonami mi ero…bhe…incantato… ”
non sapeva più cosa dire, quegli occhi, ora puntati su di lui, lo mettevano in
imbarazzo.
“ Incantato? A guardar cosa scusa?
“ pronunciò quelle parole con innocenza, ma con un tono deciso.
“ ….A guardare te… ” il suo
imbarazzo era troppo, si alzò e senza altre parole sparì dalla stessa direzione
in cui era venuto.
A sentir quelle parole, Misa, trattenne
per un istante il fiato; si voltò nella direzione in cui era sparito, ma non riuscì
a dirgli nulla.
Rimase li, ferma, quasi con la speranza
che lui tornasse.
Si riscosse solo quando Cloud le poggiò
la zampa sulla gamba, ricordandola che era ora di rientrare.
Tornò a casa in maniera meccanica, il suo
corpo percorreva il tragitto automaticamente, mentre la sua mente, era ancora
li, davanti a quel lago.
Il pensiero del giovane, il suono della
sua voce, erano impressi nella mente di Misa, indelebili; anche se tentava di
pensare ad altro, non ci riusciva, il pensiero tornava sempre a lui.
Attese due giorni, che sembrarono lunghi
quanto l’eternità, prima di tornare in quel luogo, alla stessa ora.
Quando arrivò, lui era già li, disteso in
riva al laghetto, con la testa appoggiata su un sasso basso.
Cloud ringhiò e Misa ebbe la conferma
della presenza del giovane, aveva immaginato fosse li dal profumo di dopobarba
che aleggiava intorno a lui e che già la prima volta l’aveva attirata
inspiegabilmente.
“Buonasera Misa” esordì alzandosi
in piedi.
“Buonasera a te Samuel” avanzò
lentamente e con calma si sedette accanto al punto in cui era disteso prima
lui.
Il ragazzo tentava di non guardarla,
distoglieva lo sguardo e lo lasciava vagare in giro.
“Sei una persona di poche parole noto…”
disse improvvisamente Misa facendolo sobbalzare, mentre si era chinata per
sfiorare l’acqua del piccolo lago.
Il contatto con l’acqua gelida le donò
una splendida sensazione, in quel momento le sembrò quasi di essere viva, di
uscire dall’apatia che regnava nella sua vita; quel semplice, misero gesto, le
sembrò qualcosa di meraviglioso.
I polpastrelli che perdevano quasi sensibilità,
talmente fredda era l’acqua, il tatto che si intorpidiva e quasi addormentava.
Lui ancora una volta si incantò davanti a
quello spettacolo, sembrava una ninfa del bosco, fragile, aggraziata, un dono
della natura.
Le si avvicinò, lentamente, senza neanche
rendersene conto, le sfiorò il viso con il dorso della mano destra;
rabbrividirono entrambi a quel contatto.
Mille brividi percorsero i corpi dei due
giovani, si erano solo sfiorati, ma era bastato.
Si guardarono negli occhi, lei senza
vederlo, ma sfiorandogli il viso per farsi un’idea di come fosse, lui scrutando
in quegli abissi misteriosi, in cui leggeva troppe cose.
Rimasero fermi cosi per lunghi minuti,
senza nessuna fretta, senza bisogno di parole, si parlavano.
“Descriviti…” disse lei in un
sussurro, sfiorandogli le labbra con un dito.
Lui toccò quel dito con la punta della
lingua prima che quell’intimo contatto finisse.
“Ho i capelli neri, un po’ lunghi, che
tengo legati in un codino” le disse, prendendo delicatamente la mano di Misa
e facendole sfiorare i capelli “Ho gli occhi azzurri,tanti dicono belli come
il mare, tanti altri freddi come il ghiaccio, ma forse la verità è che ognuno
vi vedere ciò che vuole vedere” e la sentì sfiorargli gli occhi, percorrere
il loro contorno, socchiuse gli occhi lasciandosi coccolare da quei piccoli
gesti, apparentemente insulsi, ma per loro cosi dolci e particolari.
“Raccontami qualcosa di te Misa…sono curioso
di sapere qualcosa di più…”
Lei si fermò un istante, non sapeva cosa
rispondergli, nessuno si era mai comportato in maniera tanto gentile con lei,
nessuno le aveva mai chiesto di raccontagli qualcosa di lei, nessuno si era mai
interessato di Misa…tutti si erano sempre interessati solo alla Rosa dei Venti.
Rimase in silenzio, senza esser capace di
pronunciare verbo, insicura su cosa fare o dire.
Samuel si accorse di quel suo disagio ma,
prima che lui potesse qualsiasi cosa, lei cominciò a parlare.
Fu come una liberazione, finalmente
qualcuno disposto ad ascoltarla, forse anche a capirla, qualcuno davanti a cui
togliere la sua maschera e poter parlare liberamente.
Si sfogò, stranamente le veniva naturale
parlare con lui, le ispirava fiducia, sentiva di potersi fidare, anche se,
dentro di lei, una voce le diceva che non doveva, che sarebbe stato meglio
troncare sul nascere quel flebile legame che si stava consolidando istante dopo
istante.
Ma cosi non fu.
Per settimane quella scena si ripetè:
loro due, stesi sul prato vicino al laghetto, abbracciati l’uno all’altra,
stretti nei cappotti, a donarsi calore reciprocamente.
Parlavano, parlavano per ore, ogni giorno
conoscendosi sempre meglio.
Samuel si era appena laureato in
pediatria, e stava facendo tirocinio presso l’ospedale poco distante, aveva
affittato una stanza da due signori molto anziani e si stava dedicando al suo
lavoro anima e corpo.
Più Misa passava il tempo con lui, più
sentiva di affezionarsi a quel ragazzo tanto caro e gentile, cosi prodigo di
attenzioni verso di lei; ogni giorno compariva con un fiore diverso, gliene
faceva sentire il profumo, le faceva sfiorare i petali delicati, facendole
capire la forma che aveva, non smetteva mai di parlarle, con tenerezza e a voce
bassa, descrivendole quel fiore.
Le portava persino dei dolci, a volte comprati,
a volte fatti da lui stesso; giocavano a indovinare gli ingredienti,
sporcandosi di zucchero a velo o nutella, come due bambini, abbracciandosi e
ridendo.
Un giorno mentre le stava facendo
assaggiare un piccolo dolce colmo di cioccolata un po’ le finì sul naso.
“Ferma un attimo Misa” le disse
accarezzandole la guancia.
“Che c’è?” chiese lei voltandosi,
trovandosi cosi ad un passo dal suo viso.
Poteva percepire il suo calore, il suo
respiro lento, che ora sembrava agitarsi e si faceva più pesante; il naso poco
distante dalle labbra di lui.
Samuel deglutì a fatica.
“Sei…sporca…” disse un po’ a
fatica.
“Dove?” quel tono innocente,
ingenuo, un po' da bambina.
“Sul naso…” e detto ciò le leccò
via il cioccolato dalla punta del suo piccolo naso.
Misa si sentì scuotere, quello strano
contatto con lui le aveva procurato una vampata di calore che saliva dal basso
e le inondava il petto, che faceva tornare a battere il cuore; per la prima
volta si sentì viva, il suo corpo era stato scosso e tirato fuori
dall'involucro di gelo che lo avvolgeva.
Viva. Come mai in vita sua.
Un gesto semplice, innocente, che in se
racchiudeva un misto di eroticità e tenerezza, un gesto che la fece sentire
amata, importante.
Le sembrò di esistere finalmente,
qualcuno le stava donando dolcezza, dopo tanto tempo.
Si sentiva calcolata, tenuta in
considerazione non solo per il suo talento e il guadagno che ne poteva
scaturire ma per la sua persona, finalmente qualcuno donava attenzioni alla
piccola Misa, a quella Misa che aveva tanto sofferto per la morte della madre,
ma che non aveva mai potuto confidarlo a nessuno, la piccola Misa che viveva da
anni all'ombra della Rosa dei Venti.
Non disse nulla. Non voleva rovinare quel
momento e al contempo non avrebbe saputo cosa dire.
Poi, così, spontaneamente, si sporse
verso di lui, azzerò la distanza tra le loro labbra e lo baciò.
Un bacio lungo, dolce, un bacio
ricercato; uno di quei baci inaspettati che però ansiosamente attendi; un bacio
dal sapore d'amore e non di sesso, perché tutto vi era in quel bacio, tranne
quello.
Quando si scostarono non sapevano cosa
dire.
Le parole in quel momento erano
superflue, inutili; parlare avrebbe solo rovinato quell'istante, che invece
meritava di essere goduto appieno.
A rovinare l'atmosfera però, contribuì,
la pioggia che goccia dopo goccia obbligò i nostri amanti a salutarsi.
Samuel l'afferrò per un braccio prima che
fuggisse, le rubò un ultimo bacio e se ne andò.
Per settimane continuò a piovere,
incessantemente.
La ragazza rimase chiusa per lunghe ore
nella sua stanza: sfiorandosi più volte le labbra con le dita, passandovi sopra
la lingua per risentire il sapore di lui, ancora così nitido.
Per la prima volta stava provando le
gioie dell'amore, il brivido degli incontri segreti, il piacere dell'attesa; si
sentì per la prima volta normale.
Il suo pensiero era sempre rivolto a lui.
Persino quando suonava, la sua musica,
era diretta a lui. Sperava che la sentisse, che percepisse l'amore che provava
per lui.
Tutto era gioia, era colore, anche
durante quelle giornate grigie e fredde, in cui la pioggia faceva da padrona.
Non si poterono vedere per diverse
settimane, ma ciò non contribuì certo a far loro dimenticare il piacere di
quell'ultimo incontro.
Quando si rividero....erano alle porte di
Marzo.
La temperatura si stava pian piano
mitigando, la natura cominciava a scuotersi e svegliarsi.
I due innamorati si godettero ogni
istante, ogni minuto; spesso riuscivano a vedersi per pochi istanti, spesso
capitò che lei dovesse partire per qualche concerto, ma, a ogni nuovo incontro,
tutto era ancora più bello, più splendido.
Una sera, Misa era sola nella grande
villa; il padre era nuovamente partito, i domestici, stanchi, già erano
ritirati nei grandi alloggi.
Anche se l'aria della sera era ancora
fredda lei era comunque ferma sul balcone, a pensare al suo amore, a sognare un
futuro diverso da quello che suo padre aveva disegnato per lei.
Un nuovo soffio di speranza era entrato
nella sua vita insieme a quel ragazzo; forse, grazie a lui, aveva l'opportunità
di andarsene da quella prigione dorata dove la sua opinione non era altro che
un fastidioso spiffero di vento.
Una flebile voce portata dal vento le
giunse all'orecchio una voce familiare, dolce....la voce che amava.
Samuel aveva voluto azzardarsi ad
attraversare il piccolo bosco, entrare nella proprietà e giungere fin sotto il
suo balcone.
Come Giulietta e Romeo.
Non poteva credere che lui fosse venuto
fin li per lei.
Rimasero un istante fermi: lui a studiare
la bellezza di lei rischiarata dalla luce della luna che filtrava da dietro le
nuvole, lei, così felice da non saper cosa fare.
Quando Cloud cominciò a ringhiare piano,
la ragazza si riscosse e si precipitò fino al portone d'ingresso per farlo
entrare.
Quella notte, la luna e gli astri, furono
testimoni della passione dei due giovani; quella notte, segnò l'inizio della
fine.
In quel momento nessuno dei due voleva
pensare alle conseguenze, un gesto irresponsabile nella sua consapevolezza.
Consumarono una notte di amore, una notte
di dolce passione, dove il desiderio scacciava le paure e i timori, dove la
dolcezza e la tenerezza facevano da padrone.
Al mattino, il sole prese posto nel cielo
e penetrò con i suoi tiepidi raggi nella grande stanza dove i due amanti
giacevano addormentati, abbracciati l'uno all'altra, sorridenti.
Era domenica, 3 Aprile.
Forse una giornata come tutte le altre,
ma che Misa non avrebbe più dimenticato.
Carla, la fidata domestica, fece il suo silenzioso
ingresso nella stanza; lasciò il vassoio della colazione, e uscì con un mezzo
sorriso sulle labbra.
Tutta la servitù aveva intuito che, da
mesi, la signorina si incontrasse con un ragazzo; tutti ne erano felici, perché
avevano visto tornare il sorriso sulle sue labbra. Spesso la coprivano quando
spariva per ore e il padre la cercava.
Tutti sapevano di quella storia
clandestina.
Proprio perché capivano che benefico
effetto avesse l'amore del giovane sulla signorina, avevano deciso di coprire i
due amanti; li lasciarono dormire beatamente, limitarono persino i rumori per
render migliore il loro sonno.
Ma, improvvisamente, il padrone tornò.
Il suo ritorno non era atteso che da una
settimana a quella parte.
Fu una corsa contro il tempo: Carla corse
a svegliare i due giovani.
Li avvertì del pericolo ma fu troppo poco
svelta....
Il padre di Misa entrò nella stanza
mentre Samuel e Carla stavano per uscire.
Si scatenò il finimondo.
Cominciò a inveire contro la ragazza, le
si avvicinò con fare minaccioso.
Misa non capiva più cosa stesse
accadendo, tutte quelle urla, quelle parole, quei rumori, la stavano
confondendo; percepì appena i passi pesanti del padre avanzare verso di lei e
poi sentì solo la mano di lui calare sul suo viso, con tanta forza da farla cadere
a terra; l'ultima cosa che sentì, fu la voce di Samuel urlare qualcosa, poi più
nulla.
Si sveglio nel tardo pomeriggio, la
guancia dolente; era distesa a letto, in quel letto che profumava ancora di
loro, che rendeva tutto più vivido e doloroso.
Accanto a lei sentiva la materna presenza
di Carla che le accarezzava i capelli; non poté che abbandonarsi a un lungo,
sfibrante, pianto.
“Ha
lasciato questa…penso volesse dartela prima di andare via…”
Una scatolina,con dentro una collana,con
un ciondolo a forma di M.
Non c'era bisogno di parole, le lacrime
parlavano per lei.
Per giorni rifiutò ogni tipo di cibo;
tutte le cure che la domestica le prodigava servirono a ben poco.
Il suo viso si faceva pian piano più
scavato; sembrava perennemente assente.
Rimaneva per ore seduta di fronte alla
finestra, senza proferir verbo.
Non usciva più dalla sua camera, si
rifiutava di prender parte alle lezioni.
Ogni tanto si sentiva solo il suo
malinconico della sua arpa che si spandeva per la villa; tristezza, voglia di
fuggire, dolore, ecco cosa esprimeva quella melodia.
Sempre la stessa, ogni volta.
Misa stava pian piano diventando il
fantasma di se stessa.
Un giorno la porta della camera della
giovane si aprì ed entrò Katia, la donna di suo padre, l'unica che,stranamente,
stava con lui da mesi.
Fin dalla prima volta che sentì la sua
voce, Misa, percepì un certo astio per lei; da un lato, perché tentava di
prendere il posto di sua madre e in parte per il suo modo di fare.
"Te lo sei meritato..."
esordì Katia
Misa non le prestò la ben che minima
attenzione.
"Sai, era un bel po' che
sospettavo che stessi tramando qualcosa alle spalle di tuo padre. Lui era
troppo concentrato sui suoi affari per rendersene conto. Ma io no..."
La ragazza chinò semplicemente il capo,
le lacrime scesero lentamente sul suo viso.
"Vedi, io non l'ho fatto certo
per cattiveria ma, era una cosa che andava fatta. Pensavi veramente che quel
ragazzo ti amasse? Povera illusa...quello ti voleva solo per i tuoi soldi. Chi
mai la vorrebbe una come te..."
La sentì avvicinarsi, posare un giornale
sul davanzale innanzi a lei e uscire dalla stanza ridacchiando.
Misa prese tra le mani il giornale, vi
passò sopra le dita e si chiese il perché di quel gesto.
Con fatica si alzò da quella sedia e
suonò la campanella per chiamare Carla, la quale, arrivò in pochi attimi.
Non disse nulla, le porse solo il
giornale.
La donna trattenne il fiato per qualche
istante poi, con il cuore in lacrime cominciò a leggere.
Nell'articolo si parlava della morte per
cause accidentali di un giovane medico; il corpo era stato ritrovato sui binari
del treno, non troppo distanti dalla villa, la mattina del 5 Aprile, da un
signore abitante li vicino e passato li per caso.
La ragazza fermò la donna a metà
dell'articolo: non voleva più sentire niente.
Da li in avanti fu tutto un degrado.
Misa sviluppò una particolare apatia
verso tutto ciò che la circondava; non reagiva più, non parlava, non toccava
cibo.
Ormai era totalmente in un altro mondo.
Non la si vedeva più al di fuori della
sua stanza e non permetteva a nessuno di entrarvi, solo a Carla.
Si era rinchiusa nel suo mondo di ricordi
e di musica, lei, da sola con la sua arpa, escludendo qualsiasi altra persona.
Katia, ora che Misa non era più un
problema, tentava di fare da padrona nella villa, ma con scarsi risultati; la
servitù non la calcolava neanche e il padrone era troppo spesso fuori casa per
preoccuparsi che lei non riuscisse a dettar legge in quel piccolo mondo.
I giorni si susseguivano senza più senso,
tutti uguali agli altri.
Senza più colore.
Senza più vita.
Quella villa ormai sembrava dominata dal
silenzio e dalla disperazione, tutto era grigio, fermo.
Fu proprio quest'atmosfera ad indurre
Katia a supplicare il suo caro marito a condurla per qualche giorno in qualche
meta esotica.
Stranamente l'uomo accettò senza troppi
problemi, ma il suo sguardo diceva che aveva qualcosa in mente.
La mattina della partenza la servitù
caricò in macchina i numerosi bagagli e lui, senza dire parola alcuna, si
diresse nella camera della figlia.
Vi trovò Carla intenta a riordinare e
spolverare e quello che, ormai, era il fantasma di sua figlia, seduta davanti
allo specchio.
Per un istante gli sembrò di tornare
indietro nel tempo: rivide la piccola Misa paffutella, con il viso colorito, il
sorriso sul volto, mentre sua madre la pettinava; i loro volti sereni, i loro
occhi luminosi, tutto sapeva di gioia di felicità, di spensieratezza.
Per un attimo, per un misero istante, si
chiese come fossero arrivati a quel punto, ma fu solo per un attimo, poi quel
pensiero scomparve veloce come era apparso.
"Prepara immediatamente le
valigie di mia figlia, parte con noi" disse seccamente a Carla prima
di uscire dalla stanza.
La domestica annuì con un inchino e
cominciò a scegliere gli abiti da mettere nella valigia della signorina, nel
frattempo la osservava con la coda dell'occhio; quella mattina appariva strana,
più del solito.
Era seduta da ore di fronte lo specchio,
lo fissava, mentre si sfiorava con una mano il viso e con l'altra il ventre.
Ormai erano alle porte di giugno, il
caldo cominciava a farsi sentire, ma lei teneva sempre uno scialle sulle
spalle, come se avesse perennemente freddo; un freddo che proveniva dal suo
cuore e che si espandeva per tutto il corpo fin dentro le ossa.
Un senso di stordimento l’avvolgeva, si
sentiva strana, diversa.
Improvvisamente fu colta da uno strano
senso di nausea, corse in bagno e vi giunse appena in tempo per rimettere tutto
quel poco che, con pazienza, Carla, le aveva fatto mangiare.
Si gettò sul letto, esausta, una mano
sulla fronte, l'altra al ventre, gli occhi semi chiusi.
"Non mi sento bene..."
mormorò.
Carla le fu subito accanto, preoccupata;
era perfettamente consapevole della cagionevole salute della ragazza, in
particolare in quel doloroso periodo e sperava non si fosse ammalata.
Partire in quelle condizioni non sarebbe
stato certo salutare per lei quindi si affrettò a comunicarlo al padrone e a
chiamare un medico.
I due partirono, senza occuparsi
minimamente delle condizioni di salute della ragazza, senza degnarla più uno
sguardo, lasciandosela alle spalle come un brutto ricordo.
Il medico giunse poche ore dopo.
Si chiuse in camera con la paziente, le
fece una visita accurata, discusse con lei dei suoi problemi, ma lei diceva il
minimo indispensabile.
Il medico uscì dalla stanza con un viso
pensieroso, un po' preoccupato:
"Forse ho capito come mai la
signorina Misa è in queste condizioni, però ho bisogno che domani la portiate
in ospedale a fare un esame del sangue, devo esserne certo al cento per cento,
buona giornata. Tentate di farla mangiare il più possibile."
Nessuno capiva.
Tutti si chiedevano cosa potesse avere.
Il cuoco, a pranzo, diede il meglio di se
per preparare i piatti preferiti della signorina; scelse gli ingredienti
migliori, curò ogni dettaglio nella speranza che, finalmente, mangiasse
qualcosa più del solito.
La costrinsero ad uscire dalla penombra
della sua camera, la fecero sedere in sala da pranzo, di fronte ad una tavola
imbandita di piatti prelibati, tutti per lei.
Tutti stentarono a riconoscerla: i suoi
occhi, erano come quelli di un morto, senza vita, spenti; la sua pelle era
bianca, talmente sottile da far scorgere le vene che scorrevano sotto di essa;
il viso incavato, le leggere occhiaie sotto gli occhi; aveva perso il suo
bell'atteggiamento fiero, camminava strisciando i piedi, come se il suo corpo
non fosse altro che un peso di troppo; le mani erano ossute,come se non vi
fosse neanche più carne su quelle piccole e fragili ossa; era magra, molto
magra.
Provarono un’improvvisa pietà per la ragazza
che tanto amavano, che avevano visto crescere, diventare donna.
Una stretta al cuore fu il solo vederla,
reclusa in quel suo ostinato silenzio dove nessun'altro poteva entrare.
Sembrava come non esistere più, ormai nel
mondo terreno vi era solo il suo corpo, la sua mente era altrove; la sua mente
vagava in cerca del suo amante lontano, morto, cercava di raggiungerlo.
Nessuno di loro riusciva a tollerare che
la loro piccola Misa si fosse ridotta in quel modo; pietà, dolore e
disperazione vagavano nei loro animi e, proprio questo miscuglio di sentimenti,
li spinse a non arrendersi, a non lasciare che la loro padroncina si lasciasse
morire.
La spinsero a mangiare, piano piano, con
dolcezza, con pazienza.
I cibi deliziosi stuzzicavano i suoi
sensi, mandavano in visibilio le sue papille gustative.
Le sembrò di ricordare tutti i momenti
con lui, quando le portava quei gustosi dolci che mangiavano poi insieme.
Qualcosa si mosse in lei, qualcosa si
svegliò: una voce le disse di non arrendersi, di non buttarsi via così, di
ricominciare a vivere, perché ora aveva qualcosa, o meglio qualcuno per
cui vivere.
Mangiò, con fame, con gusto. Assaporò i
cibi, di ognuno una piccola porzione.
Tutto le sembrò buono come non mai.
Cibi semplici, i suoi preferiti.
Quella sera Misa non riuscì a chiudere
occhio.
Una strana sensazione di nausea la tenne
sveglia fino all’alba quando, stanca, sprofondò in un sonno privo di sogni; per
la prima volta dopo molto tempo dormì placidamente, senza alcun pensiero.
La mattina dopo Carla la svegliò con
dolcezza,la fece preparare e la condusse in ospedale.
La ragazza non fece domande,si lasciò
solo trasportare dagli eventi.
Non aveva la forza di opporsi,troppo
presa dai suoi pensieri,dai suoi dubbi,dai suoi dolori.
Si lasciò fare i prelievi e visitare in
silenzio; il suo corpo era li,ma la sua mente era altrove,assai lontana.
Misa e Clara attesero a lungo gli esiti
degli esami,sedute in silenzio,l’una accanto all’altra; la domestica osservò
quella bambina,ormai donna,che aveva cresciuto. Solo in quel momento si accorse
di quanto forte fosse quella ragazza,la sua vita non era mai stata semplice
eppure lei non aveva mai chinato la testa, ed era sempre andata avanti più
determinata che mai; la sua vita era stata tutta un susseguirsi di dolori e
difficoltà e,quando finalmente sembrava giunta per lei la felicità,tutto era
stato rovinato dall’arroganza di quell’uomo, ed ora quella ragazza sembrava
priva di un’anima.
Quel viso bianco,spento,nascosto da
quelle lenti scure,il portamento non più fiero,tutti simboli di una decadenza
ormai prossima,quanto ancora avrebbe resistito in quello stato? Quanto sarebbe
stata ancora in grado di andare avanti tenendosi ogni dolore dentro se? Quanto?
Il medico giunse presto a spezzare il
filo di cupi pensieri della donna:
“Venite nel
mio studio,la questione è delicata.”
Il medico tentò di aggirare il
“problema”,parlò a lungo, finche, dopo un lungo respiro, non disse:
“La
signorina Misa è….bhe…è incinta…”
Si abbandonò sulla sedia,dopo aver
pronunciato quelle parole, sconvolto, stupito, senza la benché minima
spiegazione a quella situazione che aveva, per lui, dell’assurdo.
Carla sembrò rianimarsi, le sue
supposizioni quindi erano giuste! Un sorriso le comparve sul viso, forse non
tutto era perduto, forse quella creatura generata da un amore tanto dolce e
atteso poteva far ritornare la signorina a vivere.
Misa invece non riusciva a credere alle
parole di quel medico; le sembrava così assurdo, così irreale ma allo stesso
tempo….così meraviglioso!
Fino a quel momento aveva tenuto il capo
chino, rimanendo in ascolto, senza proferir parola; si sfiorò il ventre con una
mano e sorrise.
“Grazie
mille dottore per la lieta notizia, ora però chiedo gentilmente di essere
riaccompagnata a casa.”
Disse alzandosi in piedi e avviandosi
alla porta, seguita da Carla
“Ah…le
ricordo che ciò che lei sa è coperto dal segreto professionale, nessuno e
preciso nessuno, deve venirlo a sapere….neanche i miei famigliari.”
Carla le aprì la porta e Misa uscì dallo
studio con un mezzo sorriso sul volto; salirono in macchina e l’autista le
riportò alla villa senza fare domande.
Qualcosa in lei si stava muovendo,
sembrava che, finalmente, si fosse svegliata da quello strano torpore, in cui
era sprofondata.
Finalmente aveva trovato la forza di
reagire, finalmente aveva qualcosa per cui valeva la pena lottare: una creatura
che giorno dopo giorno, cresceva nel suo ventre.
Tornate alla villa le sue uniche parole
furono:
“Prepara le
valigie Carla, prendi lo stretto indispensabile e prenota due biglietti per
l’Irlanda…Bantry ci aspetta…”
I preparativi furono istantanei e la
mattina successiva,quando il sole non era ancora alto nel cielo,le due donne
erano già nella piccola casetta di legno.
Tutto era come se lo ricordava Misa; non
poteva vedere ma gli odori,i rumori,le sensazioni erano le stesse di tanti anni
prima.
Le sembrò di esser tornata indietro nel
tempo: da piccola,con sua madre più e più volte era stata in quella piccola
casetta,dotata dello stretto necessario,immersa nella natura
incontaminata,sulla costa dell’Irlanda.
Un piccolo paesino dove gli abitanti
abitavano in modo tradizionale e genuino.
La casa si affacciava proprio sulla
costa,se ci sporgeva dalla scogliera si potevano vedere le onde che giocavano
con gli scogli e gli schizzi giungevano fino al viso.
I tramonti da li sembravano più rossì,più
intensi,più veri; sua madre amava descriverglieli e Misa amava il suo melodioso
della sua voce che le evocava quelle magnifiche immagini che le permettevano di
colorare il suo mondo oscuro e senza luce alcuna in cui viveva.
Finalmente Misa,era in pace con se stessa.
Respirò a pieni polmoni l’odore salmastro
che arrivava li fino alla soglia di casa, l’odore di pesce proveniente dalla
spiaggia e il profumo sublime dei dolci che il pasticcere aveva appena sfornato
e che il vento portava fino da lei.
Il vociare dei gabbiani la rilassava e il
suono delle onde la faceva sentire a casa.
“Dov’è!” urlò adirato il padre “Dov’è andata!”
Ma i domestici lo ignoravano. Stavano
fermi,i fila,l’uno accanto all’altro e nessuno osava rivelare il segreto.
Tutti amavano la signorina,tutti
conoscevano la sua sofferenza e non volevano che vi ricadesse.
“Vi
licenzierò tutti! Ditemi subito dov’è andata mia figlia! Dove l’ha portata
quella vecchia!” silenzio “è un ordine!! Parlate!”
Nessuno parlò.
Il padre non licenziò nessuno,sapeva che
nessun’altro avrebbe sopportato di lavorare in quella villa.
La questione venne chiusa.
Ma lui non si arrese,mandò ovunque i suoi
collaboratori più stretti,ma non pensò mai a quel posto tanto ovvio che sua
moglie aveva tanto odiato e che lui aveva sempre odiato.
Quel luogo paradisiaco dove la donna si
rifugiava per fuggire da quell’uomo che amava,ma allo stesso tempo odiava.
L’unico luogo dove sapeva che sua figlia
sarebbe potuta essere libera,ma dove non è mai riuscita a farla restare.
E Misa questo lo sapeva.
Mai l’avrebbe cercata in quel luogo.
Un vagito.
Un pianto cristallino e un grido di
esultanza.
Era una femmina; quella notte il
villaggio era in festa.
Ormai avevano imparato a conoscere quelle
due straniere che erano arrivate da così lontano.
Si erano affezionati a loro e,in
particolare,a Misa.
Tutti aspettavano quella nascita da nove
mesi.
Ed il momento tanto atteso era arrivato.
Tutti erano nella grande piazza a
festeggiare: canti,balli,risate e allegria.
Misa stava riposando. La piccola dormiva
beata.
La mattina dopo Carla trovò una lettera
nella culla della piccola,riconobbe subito quella scrittura incerta e un po’
inclinata
Carla,
proteggi mia figlia. Allevala come fosse la figlia che non hai mai
avuto. Grazie di tutto,del tuo affetto,del tuo conforto,della tua amicizia e
della tua comprensione. Grazie per avermi tirata fuori dal baratro dove ero
sprofondata ma ora…devo raggiungere il mio amato. La piccola vivrà sicuramente
meglio con te.
Donale tutto l’amore che le avrei dato io e,un giorno,quando sarà
grande,raccontale la mia storia….Sono certa che capirà.
Ti voglio Bene Carla
Tua,Misa
Corse alla scogliera ma ormai era troppo
tardi.
Qualche giorno dopo,trovarono,durante una
pesca, il corpo di Misa nelle profondità del mare che tanto amava.
Sorrideva. E tra le mani stringeva la sua
collana.
Questa è la storia di mia madre,ho voluto
raccontarvela perché è giusto che tutti sappiano. Voglio che il suo ricordo
venga tramandato di generazione in generazione,voglio che viva in eterno nelle
nostre memorie.
Una donna come lei non merita di essere
dimenticata.
Mamma,grazie di tutto.
Non ti porto rancore per la tua
scelta,non so se avrei mai avuto la tua stessa forza,probabilmente avrei ceduto
al peso del destino molto prima.
Sii felice.
“Misa! Torna dentro che incomincia a far
freddo.”
“Si Carla arrivo subito. Lascio solo un
fiore alla mamma.”