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Autore: Mery92    18/05/2011    0 recensioni
...l'amore...così meraviglioso,ma anche così doloroso..una donna per amore può fare follie...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli occhi dell’amore

 

Una donna per amore può fare tutto, può dare anche la sua stessa vita.

Quando la tua vita non è altro che un abisso simile all'inferno dove tu non puoi decidere neanche per te stessa, dove tutto ti è vietato, non appena trovi qualcuno che ti tratta con dolcezza, senza importi nulla ma donandoti solo un’immensa felicità, ti ci aggrappi.

Questa persona diventa la tua luce, senza la quale non riesci più a stare, il suo amore ti diventa indispensabile, diventa per te linfa vitale.

Quando, in quella luce, vedi una speranza, tutta la tua esistenza, passata, presente e futura, assume un significato e tu pensi finalmente di poter chiamare quell'esistenza, vita.

Ma quando quella luce scompare improvvisamente, ti viene strappata via, precipiti in un baratro di disperazione, da cui nessuno ti può salvare, forse perché non vuoi farti salvare, forse perché quello è l'unico luogo dove, ricordando e crogiolandoti nel tuo stesso dolore, riesci a vivere.

Questa è la storia di Misa, una storia senza lieto fine.

 

 

Lei era diversa da tutte le altre ragazze della sua età, la sua diversità non le aveva mai permesso di fermarsi davanti alle difficoltà della vita, anzi, l’aveva spinta a superarle, convincendo, cosi, il resto del mondo, che non aveva bisogno della loro inutile compassione.

Misa amava la musica fin da piccola, la condizione sociale ed economica della sua famiglia le aveva permesso di studiare con i migliori professori, frequentare con successo il conservatorio e arrivare al punto di essere, all’età di diciannove anni la migliore arpista di tutta Europa, denominata la Rosa dei Venti.

Durante i suoi concerti in giro per il mondo era sempre nervosa ma, non appena pizzicava la prima corda, intorno a lei calava il pi_ assoluto silenzio, le note che vibravano nell’aria le trasmettevano sensazioni ogni volta differenti, che cambiavano secondo il luogo, della melodia, del pubblico.

Tutte sensazioni che esaltavano i suoi sensi, permettendole di vedere cio che la vista non le permetteva, compensando questa mancanza, facendola, per un attimo, diventare una ragazza come tutte le altre.

La musica la trasportava in un mondo a se stante, dove non era costretta a rifugiarsi dietro ad un paio di lenti scure, ma poteva vivere spensierata la sua giovane età; un mondo di fantasia, un mondo di sogni irrealizzabili in cui amava crogiolarsi, dove si nascondeva nei momenti di tristezza.

La sua fama e la sua fragilità, avevano portato il suo avido padre a tenerla rinchiusa in una campana di vetro dorato; non le permetteva uno svago, non un riposo, ma soprattutto limitava a zero i suoi contatti con i coetanei.

Il cuore le si riempiva di tristezza quando, passando per strada, sentiva le voci allegre delle ragazze della sua età che gioivano nel vedere una bella vetrina o un ragazzo carino.

Vedere…una parola di cui lei non conosceva il significato; da quando era nata, non aveva mai visto i raggi del sole ma li aveva solo sentiti sulla pelle nuda, non aveva mai visto il colore del mare, l’aveva solo sentito descrivere.

I suoi occhi erano ciechi dalla nascita, gli altri sensi erano sviluppati e acuti e potevano alleviare il disagio di quella mancanza…ma non la sostituivano.

Gli specchi nella sua vita non esistevano, tanto per lei erano inutili e il solo sentirne la superficie al tatto le suscitava un moto di rabbia; cos'aveva fatto di male, lei, per avere un destino simile? Perché le era toccata quella punizione? Si chiedeva spesso, quando era sola, quando non poteva far altro che parlare con se stessa perché lei, per il mondo, non era altro che un nebuloso fantasma.

Spesso si chiedeva come fosse il suo viso, il suo corpo, i suoi capelli; quando sua madre era ancora in vita, passava le ore a descriverla mentre le pettinava i capelli.

Sentendo la sua voce le sembrava quasi di avere gli occhi, di riuscire a vedersi.

Le mancava e anche tanto, nella sua famiglia era sempre stata l’unica a trattarla normalmente, a non farle pesare quella sua condizione.

Sua madre l’aveva sempre protetta dalla maniacale protezione del padre, le aveva consentito, quando il marito era via da lavoro, di concedersi qualche svago e solo in quelle rare occasioni, la ragazza, aveva capito veramente cosa volesse dire vivere, cosa significasse sorridere di felicità, cosa fosse la normalità.

Quando Misa aveva otto anni sua madre rimase incinta, aveva già un’età in cui, portare avanti una gravidanza, poteva comportare dei rischi, ma volle rischiare lo stesso.

Furono nove mesi pesanti ma sia lei che la figlia sopportarono tutto aiutandosi l’un l’altra; la notte del parto la donna morì e la bambina con lei, vi furono complicazioni che i medici non furono in grado di risolvere.

Misa attese per giorni il ritorno della madre; impaziente, curiosa, eccitata all’idea che in casa ci sarebbe stata una sorellina o un fratellino con cui poter giocare.

Ma niente di tutto ciò accadde; dopo diversi giorni, Carla, la domestica più anziana, quasi una nonna per lei, le disse ciò che era accaduto.

Nessuno si era preso la briga di avvertirla, il padre sembrava persino indifferente alla sorte toccata alla donna che aveva sposato e con cui viveva da quasi trent’anni.

Quell’evento sembrava di poca importanza, nessuno ne parlava e, persino il funerale, per ordine del padre, fu svelto, sobrio e senza troppe perdite di tempo.

Quella donna era stata amata da molti, tante persone furono distrutte dal dolore venendo a conoscenza della disgrazia toccatale, ma a nessuno fu permesso di porgerle l’estremo saluto:

 

Troppe perdite di tempo e lacrime inutili” disse il padre quando Carla gli chiese se potesse o no prendere parte al funerale.

 

Una donna dalla mirabile bontà, che aveva sempre dato tanto senza chiedere niente in cambio, che aveva sempre pensato prima al bene degli altri che al suo, una donna bellissima, cui la sorte aveva dato per marito un uomo rude, avido e senza cuore.

I due opposti, un matrimonio privo d’amore, solo frutto degli interessi.

L’unica gioia di quella donna era stata sua figlia: una figlia che non ha neanche potuto vedere l’ultima volta, cui non aveva potuto regale un ultimo abbraccio o una parola di conforto, una bambina cui non era stato neanche permesso di andare a deporre un fiore sulla tomba della madre e che affrontò il dolore da sola, rinchiudendosi in un gelido silenzio; soffocando le lacrime, reprimendo il dolore, consapevole di essere rimasta sola, indifesa.

Ora completamente nelle mani di quell'uomo terribile da lei chiamato padre.

Da quel momento le catene dorate intorno al collo della piccola Misa furono strette sempre più di anno in anno, se prima le veniva concesso di andare a scuola con tutti gli altri bambini, ora venne reclusa nella grande villa e vennero pagati illustri professori per farle lezione; se prima ogni tanto usciva per negozi con la madre, ora le venne proibito persino di uscire nel grande giardino da sola.

Si sentiva soffocare, più cresceva più la sua voglia di fuggire aumentava, il profumo della liberta si faceva sentire specialmente in estate, quando la natura sbocciava e il parco si riempiva di vita; uccellini cinguettanti riempivano l’aria d’allegre melodie, scoiattoli e piccoli roditori saltavano da un ramo all’altro rincorrendosi gioiosi, gli amori nascevano e si consumavano durante la notte.

Solo in quella villa tutto era silenzioso, grigio, privo di anima e allegria.

Fuori era tutto un tripudio di colori, profumi e suoni, dentro vi era solo un’apatica aria di tristezza, mista a delusioni, rimpianti e tanta rabbia.

La maggior parte della sua giornata Misa, la passava tra le lezioni e gli esercizi con l’arpa, ormai aveva rinunciato a chiedere a suo padre di poter uscire perché tanto la risposta era sempre la stessa: quel secco no che non ammetteva repliche, quella parola pronunciata con il tono del comandante, del padrone, con l’atteggiamento di chi sa bene che ogni suo ordine sarà eseguito all’istante e nessuno tenterà mai di ribellarsi.

 

 

Accadde tutto una mattina di gennaio, l’anno nuovo aveva appena aperto le sue porte e tutti confidavano che sarebbe stato migliore del precedente tranne Misa che sapeva bene che non sarebbe cambiato nulla nella sua vita, la sua esistenza sarebbe stata grigia  come sempre, monotona, a sprazzi colorata solo dalla consolante melodia della sua arpa.

Quel giorno era il suo diciannovesimo compleanno, tutti, tranne suo padre, se ne ricordarono.

Il freddo lì in Francia, in quei giorni, era piuttosto pungente, suo padre se n’era andato, avrebbe passato un paio di settimane a Madrid con la sua nuova donna, l’ennesima, ormai aveva la media di cambiarne una ogni mese, quasi.

Anche se la temperatura non era delle migliori decise di uscire per andare a fare un giro nel parco, da sola.

Pur essendo inverno, quel parco era stupendo, per tre quarti era circondato da una recinzione alta di ferro, ma, sul retro era lasciato libero, perché si univa, diventando un tutt’uno con un boschetto; era il bello di vivere in periferia, niente baccano, niente intrusi, niente gente che passa e fa troppo rumore.

Spesso, negli ultimi tempi, Misa, aveva preso l’abitudine di passeggiare per il parco alla prima possibilità, sfruttava ogni momento di assenza del padre per godere della serena pace che quel luogo offriva.

Camminava, ascoltando ciò che quel parco aveva da offrirle, costeggiava la recinzione, per non rischiare di perdere l’orientamento, Cloud, il cane lupo, correva felice a pochi passi da lei, rincorrendo i passeri selvatici; strinse a se la sciarpa quando un alito di vento la investì, faceva freddo non poteva negarlo, però quel freddo le permetteva di svegliare i suoi sensi, di scuoterli dal tepore domestico, facendole ricordare di avere un corpo e di non essere solo una marionetta nelle mani del padre.

Camminò a lungo, giunse al limite del bosco, normalmente si sarebbe voltata e avrebbe percorso la strada a ritroso per tornare alla villa, ma quel giorno non ne aveva voglia.

Varcò il confine della proprietà, limitato solo dal buonsenso e da niente di visibile, poggiò le mani prima sul tronco di un albero e poi sul successivo, avanzando piano, attenta a dove metteva i piedi, consapevole di non essere in un luogo conosciuto.

Quella situazione fece nascere un sorriso sul volto, spesso si fermava accarezzando gli alberi, i rami, le rade foglioline marroni e secche, sentiva gli odori che la circondavano, stava attenta a tutti i rumori.

Era un piacere, un piacere estremo, il piacere della scoperta; il sapere di essere in un luogo a lei proibito, di aver disubbidito agli ordini di suo padre, di star esplorando un luogo ignoto, le donava un mix di sensazioni estremamente eccitanti e splendide.

Cloud non la lasciò sola per un istante, consapevole del fatto che rischiava di farsi male, le stette accanto scodinzolante, attento che non ci fossero pericoli per lei.

A un certo punto gli alberi si fecero più radi, aprendosi in una radura nascosta, ignota ai più, con centro un piccolo laghetto; quel luogo sapeva d’intimo, di privato, di puro e incontaminato.

Misa non poteva vederlo, ma grazie alle sensazioni che l’ambiente le donava riuscì a farsi un disegno mentale del luogo.

Si sedette sulla riva, una rana gracchiava seduta su una pietra poco distante, i pesci continuavano la loro pacata esistenza aspettando di trovare del cibo, i piccoli insetti che popolavano quel posto e il bosco circostante, si dedicavano alle loro laboriose occupazioni.

Tutto era un pullulare di vita, che si apriva dinnanzi a chi era capace di ascoltare in silenzio, non con le sole orecchie ma anche con il cuore.

Per la prima volta Misa era in pace con se stessa, sfiorava delicatamente l’ambiente intorno a se, percependo tutto ciò che poteva trasmetterle, sorridendo di quel meraviglioso contatto con la natura.

I suoi sensi erano in visibilio, quel luogo, anche in quella stagione di morte, era carico di vita, un concerto perfetto di sensazioni e rumori; il fruscio delle code dei pesci, gli schizzi dei loro salti, il gracidare delle rane, il fruscio dei passeri dentro il nido, i piccoli insetti che correvano veloci sull’erba, tutto in perfetta armonia, non vi era niente di scordato o anomalo.

Quel silenzio carico di vita fu improvvisamente interrotto dall’arrivo di qualcuno, Cloud prese ad abbaiare temendo che potesse essere un pericolo per la sua padrona.

 

Sta buono Cloud, da bravo. “ disse Misa accarezzandolo e tenendolo per il collare.

 

Mi perdoni signorina, non volevo spaventarla, non credevo di trovare nessuno in questo posto. “ disse l’intruso.

 

Un ragazzo alto, magro, con i capelli castano scuro e gli occhi verdi; dal fisico asciutto, il viso intellettuale e intelligente; si tolse gli occhiali da riposo e li mise nella tasca del giubbotto, chiuse il libro che stava leggendo e fece alcuni passi avanti.

Cloud riprese a ringhiare, non sembrava affatto contento della sua presenza.

 

Lo perdoni, Ë un cane diffidente. “ disse Misa dandogli una pacchetta sulla testa che lo fece smettere di ringhiare.

 

Mi perdoni lei per averla disturbata, normalmente vengo qui a fare una passeggiata e a dedicarmi un po’ alla lettura, ma non ho mai incontrato nessuno “ rispose lui sorridendo “ Forse è meglio che tolga il disturbo, godetevi questa pace e….spero di rincontrarla in futuro.

 

Ma no, aspetti, rimanga qui a farmi un po’ di compagnia, questo posto Ë abbastanza grande per due, mi sentirei un egoista a privarla di tanta pace per goderne da sola. “ quelle parole le pronunciò con un certo imbarazzo, abbassò lo sguardo, evitando di guardare nella direzione da cui veniva la voce del giovane.

 

Il giovane sorrise e si andò a sedere di fianco a lei, Cloud non si fece scappare l’occasione e,sfuggendo dalle mani di Misa, si posizionò tra i due fingendo di dormire, ma con un occhio controllava continuamente i movimenti del giovane.

 

Piacere di conoscerti, spero possa darti del tuo senza problemi “ le porse la mano “ Mi chiamo Samuel, tu sei?

 

La ragazza non si accorse della mano dinnanzi a lei ma con gentilezza si presentò: “ Piacere mio, io sono Misa “ e sfoggiò un sorriso da far invidia al sole.

 

Samuel non riusciva a capire come mai non gli avesse stretto la mano, forse era stato poco educato da parte sua o forse aveva fatto o detto qualcosa che l’aveva turbata? Eppure dal suo tono di voce e dal suo viso non sembrava.

Poi la osservò bene, i capelli erano corti, un caschetto biondo perfettamente in ordine e curato; la pelle era chiara, liscia, senza imperfezioni, le labbra a cuore, carnose e dipinte con un chiaro rossetto rosa.

Ma la cosa che lo colpì maggiormente furono gli occhiali da sole, quella non era certo una giornata da considerarsi soleggiata anzi, era persino più grigia del solito.

Non riusciva a capire se lo stesse guardando o se il suo sguardo fosse rivolto altrove.

 

Perdonami ma…come mai non togli quegli occhiali scuri? “ chiese con gentilezza.

 

La ragazza sorrise un po’ amaramente:

 

Che io li tolga o no, per me non fa differenza.” E per la prima volta tolse quella sua scura maschera davanti a qualcuno, rivelando i suoi occhi; erano di un biancore perlaceo,strano,cosi strano da apparire finto.

Lui trattenne il respiro per un istante e si diede dello sciocco per il poco tatto usato e per non averci pensato prima, poi si soffermò a guardarla, stupito, improvvisamente senza parole.

Quella ragazza minuta, adesso aveva un altro aspetto, era più bella, radiosa; teneva la testa alta, guardando avanti a se, consapevole che lui la stava studiando, eppure non batteva ciglio.

Aveva l’atteggiamento fiero di chi non si vergogna del suo stato, di chi Ë consapevole della propria condizione e l’accetta con decisione.

Ecco, era decisione ciò che leggeva nel suo sguardo.

Niente timidezza, niente vergogna.

La osservò attentamente, prendendosi tutto il tempo necessario, la studiò minuziosamente, in ogni sua parte…

Era bella, non poteva certo negarlo.

Era una bellezza particolare però, il suo viso era naturale, praticamente privo di trucco al di fuori di quello leggero sulle labbra; la sua bellezza era cosi pura, semplice da ammaliarlo incredibilmente, mai aveva visto una ragazza cosi.

Ogni ragazza che aveva incontrato o frequentato fino a quel momento, o anche solo visto per strada, era sempre ricoperta di trucco, pettinata in maniera complicata, estremamente alla moda, ma lei,lei no; l’abito che portava sotto il lungo cappotto nero era di taglio semplice, una gonna lunga fino alle caviglie, bianca, un paio di stivali neri con il tacco basso, il cappotto con il colletto tirato su e una sciarpa bianca fatta a mano a cingerle il collo.

Candore,ecco cosa esprimeva.

 

Sei ancora qui oppure sei scappato? ” disse improvvisamente Misa facendolo sobbalzare.

 

Perdonami mi ero…bhe…incantato… ” non sapeva più cosa dire, quegli occhi, ora puntati su di lui, lo mettevano in imbarazzo.

 

Incantato? A guardar cosa scusa? “ pronunciò quelle parole con innocenza, ma con un tono deciso.

 

….A guardare te… ” il suo imbarazzo era troppo, si alzò e senza altre parole sparì dalla stessa direzione in cui era venuto.

 

A sentir quelle parole, Misa, trattenne per un istante il fiato; si voltò nella direzione in cui era sparito, ma non riuscì a dirgli nulla.

Rimase li, ferma, quasi con la speranza che lui tornasse.

Si riscosse solo quando Cloud le poggiò la zampa sulla gamba, ricordandola che era ora di rientrare.

Tornò a casa in maniera meccanica, il suo corpo percorreva il tragitto automaticamente, mentre la sua mente, era ancora li, davanti a quel lago.

Il pensiero del giovane, il suono della sua voce, erano impressi nella mente di Misa, indelebili; anche se tentava di pensare ad altro, non ci riusciva, il pensiero tornava sempre a lui.

Attese due giorni, che sembrarono lunghi quanto l’eternità, prima di tornare in quel luogo, alla stessa ora.

Quando arrivò, lui era già li, disteso in riva al laghetto, con la testa appoggiata su un sasso basso.

Cloud ringhiò e Misa ebbe la conferma della presenza del giovane, aveva immaginato fosse li dal profumo di dopobarba che aleggiava intorno a lui e che già la prima volta l’aveva attirata inspiegabilmente.

 

Buonasera Misa” esordì alzandosi in piedi.

 

Buonasera a te Samuel” avanzò lentamente e con calma si sedette accanto al punto in cui era disteso prima lui.

 

Il ragazzo tentava di non guardarla, distoglieva lo sguardo e lo lasciava vagare in giro.

 

Sei una persona di poche parole noto…” disse improvvisamente Misa facendolo sobbalzare, mentre si era chinata per sfiorare l’acqua del piccolo lago.

Il contatto con l’acqua gelida le donò una splendida sensazione, in quel momento le sembrò quasi di essere viva, di uscire dall’apatia che regnava nella sua vita; quel semplice, misero gesto, le sembrò qualcosa di meraviglioso.

I polpastrelli che perdevano quasi sensibilità, talmente fredda era l’acqua, il tatto che si intorpidiva e quasi addormentava.

Lui ancora una volta si incantò davanti a quello spettacolo, sembrava una ninfa del bosco, fragile, aggraziata, un dono della natura.

Le si avvicinò, lentamente, senza neanche rendersene conto, le sfiorò il viso con il dorso della mano destra; rabbrividirono entrambi a quel contatto.

Mille brividi percorsero i corpi dei due giovani, si erano solo sfiorati, ma era bastato.

Si guardarono negli occhi, lei senza vederlo, ma sfiorandogli il viso per farsi un’idea di come fosse, lui scrutando in quegli abissi misteriosi, in cui leggeva troppe cose.

Rimasero fermi cosi per lunghi minuti, senza nessuna fretta, senza bisogno di parole, si parlavano.

 

Descriviti…” disse lei in un sussurro, sfiorandogli le labbra con un dito.

 

Lui toccò quel dito con la punta della lingua prima che quell’intimo contatto finisse.

 

Ho i capelli neri, un po’ lunghi, che tengo legati in un codino” le disse, prendendo delicatamente la mano di Misa e facendole sfiorare i capelli “Ho gli occhi azzurri,tanti dicono belli come il mare, tanti altri freddi come il ghiaccio, ma forse la verità è che ognuno vi vedere ciò che vuole vedere” e la sentì sfiorargli gli occhi, percorrere il loro contorno, socchiuse gli occhi lasciandosi coccolare da quei piccoli gesti, apparentemente insulsi, ma per loro cosi dolci e particolari.

 

Raccontami qualcosa di te Misa…sono curioso di sapere qualcosa di più…”

 

Lei si fermò un istante, non sapeva cosa rispondergli, nessuno si era mai comportato in maniera tanto gentile con lei, nessuno le aveva mai chiesto di raccontagli qualcosa di lei, nessuno si era mai interessato di Misa…tutti si erano sempre interessati solo alla Rosa dei Venti.

Rimase in silenzio, senza esser capace di pronunciare verbo, insicura su cosa fare o dire.

Samuel si accorse di quel suo disagio ma, prima che lui potesse qualsiasi cosa, lei cominciò a parlare.

Fu come una liberazione, finalmente qualcuno disposto ad ascoltarla, forse anche a capirla, qualcuno davanti a cui togliere la sua maschera e poter parlare liberamente.

Si sfogò, stranamente le veniva naturale parlare con lui, le ispirava fiducia, sentiva di potersi fidare, anche se, dentro di lei, una voce le diceva che non doveva, che sarebbe stato meglio troncare sul nascere quel flebile legame che si stava consolidando istante dopo istante.

Ma cosi non fu.

Per settimane quella scena si ripetè: loro due, stesi sul prato vicino al laghetto, abbracciati l’uno all’altra, stretti nei cappotti, a donarsi calore reciprocamente.

Parlavano, parlavano per ore, ogni giorno conoscendosi sempre meglio.

Samuel si era appena laureato in pediatria, e stava facendo tirocinio presso l’ospedale poco distante, aveva affittato una stanza da due signori molto anziani e si stava dedicando al suo lavoro anima e corpo.

Più Misa passava il tempo con lui, più sentiva di affezionarsi a quel ragazzo tanto caro e gentile, cosi prodigo di attenzioni verso di lei; ogni giorno compariva con un fiore diverso, gliene faceva sentire il profumo, le faceva sfiorare i petali delicati, facendole capire la forma che aveva, non smetteva mai di parlarle, con tenerezza e a voce bassa, descrivendole quel fiore.

Le portava persino dei dolci, a volte comprati, a volte fatti da lui stesso; giocavano a indovinare gli ingredienti, sporcandosi di zucchero a velo o nutella, come due bambini, abbracciandosi e ridendo.

Un giorno mentre le stava facendo assaggiare un piccolo dolce colmo di cioccolata un po’ le finì sul naso.

 

Ferma un attimo Misa” le disse accarezzandole la guancia.

 

Che c’è?” chiese lei voltandosi, trovandosi cosi ad un passo dal suo viso.

 

Poteva percepire il suo calore, il suo respiro lento, che ora sembrava agitarsi e si faceva più pesante; il naso poco distante dalle labbra di lui.

Samuel deglutì a fatica.

 

Sei…sporca…” disse un po’ a fatica.

 

Dove?” quel tono innocente, ingenuo, un po' da bambina.

 

Sul naso…” e detto ciò le leccò via il cioccolato dalla punta del suo piccolo naso.

 

Misa si sentì scuotere, quello strano contatto con lui le aveva procurato una vampata di calore che saliva dal basso e le inondava il petto, che faceva tornare a battere il cuore; per la prima volta si sentì viva, il suo corpo era stato scosso e tirato fuori dall'involucro di gelo che lo avvolgeva.

Viva. Come mai in vita sua.

Un gesto semplice, innocente, che in se racchiudeva un misto di eroticità e tenerezza, un gesto che la fece sentire amata, importante.

Le sembrò di esistere finalmente, qualcuno le stava donando dolcezza, dopo tanto tempo.

Si sentiva calcolata, tenuta in considerazione non solo per il suo talento e il guadagno che ne poteva scaturire ma per la sua persona, finalmente qualcuno donava attenzioni alla piccola Misa, a quella Misa che aveva tanto sofferto per la morte della madre, ma che non aveva mai potuto confidarlo a nessuno, la piccola Misa che viveva da anni all'ombra della Rosa dei Venti.

Non disse nulla. Non voleva rovinare quel momento e al contempo non avrebbe saputo cosa dire.

Poi, così, spontaneamente, si sporse verso di lui, azzerò la distanza tra le loro labbra e lo baciò.

Un bacio lungo, dolce, un bacio ricercato; uno di quei baci inaspettati che però ansiosamente attendi; un bacio dal sapore d'amore e non di sesso, perché tutto vi era in quel bacio, tranne quello.

Quando si scostarono non sapevano cosa dire.

Le parole in quel momento erano superflue, inutili; parlare avrebbe solo rovinato quell'istante, che invece meritava di essere goduto appieno.

A rovinare l'atmosfera però, contribuì, la pioggia che goccia dopo goccia obbligò i nostri amanti a salutarsi.

Samuel l'afferrò per un braccio prima che fuggisse, le rubò un ultimo bacio e se ne andò.

Per settimane continuò a piovere, incessantemente.

La ragazza rimase chiusa per lunghe ore nella sua stanza: sfiorandosi più volte le labbra con le dita, passandovi sopra la lingua per risentire il sapore di lui, ancora così nitido.

Per la prima volta stava provando le gioie dell'amore, il brivido degli incontri segreti, il piacere dell'attesa; si sentì per la prima volta normale.

Il suo pensiero era sempre rivolto a lui.

Persino quando suonava, la sua musica, era diretta a lui. Sperava che la sentisse, che percepisse l'amore che provava per lui.

Tutto era gioia, era colore, anche durante quelle giornate grigie e fredde, in cui la pioggia faceva da padrona.

Non si poterono vedere per diverse settimane, ma ciò non contribuì certo a far loro dimenticare il piacere di quell'ultimo incontro.

Quando si rividero....erano alle porte di Marzo.

La temperatura si stava pian piano mitigando, la natura cominciava a scuotersi e svegliarsi.

I due innamorati si godettero ogni istante, ogni minuto; spesso riuscivano a vedersi per pochi istanti, spesso capitò che lei dovesse partire per qualche concerto, ma, a ogni nuovo incontro, tutto era ancora più bello, più splendido.

Una sera, Misa era sola nella grande villa; il padre era nuovamente partito, i domestici, stanchi, già erano ritirati nei grandi alloggi.

Anche se l'aria della sera era ancora fredda lei era comunque ferma sul balcone, a pensare al suo amore, a sognare un futuro diverso da quello che suo padre aveva disegnato per lei.

Un nuovo soffio di speranza era entrato nella sua vita insieme a quel ragazzo; forse, grazie a lui, aveva l'opportunità di andarsene da quella prigione dorata dove la sua opinione non era altro che un fastidioso spiffero di vento.

Una flebile voce portata dal vento le giunse all'orecchio una voce familiare, dolce....la voce che amava.

Samuel aveva voluto azzardarsi ad attraversare il piccolo bosco, entrare nella proprietà e giungere fin sotto il suo balcone.

Come Giulietta e Romeo.

Non poteva credere che lui fosse venuto fin li per lei.

Rimasero un istante fermi: lui a studiare la bellezza di lei rischiarata dalla luce della luna che filtrava da dietro le nuvole, lei, così felice da non saper cosa fare.

Quando Cloud cominciò a ringhiare piano, la ragazza si riscosse e si precipitò fino al portone d'ingresso per farlo entrare.

Quella notte, la luna e gli astri, furono testimoni della passione dei due giovani; quella notte, segnò l'inizio della fine.

In quel momento nessuno dei due voleva pensare alle conseguenze, un gesto irresponsabile nella sua consapevolezza.

Consumarono una notte di amore, una notte di dolce passione, dove il desiderio scacciava le paure e i timori, dove la dolcezza e la tenerezza facevano da padrone.

Al mattino, il sole prese posto nel cielo e penetrò con i suoi tiepidi raggi nella grande stanza dove i due amanti giacevano addormentati, abbracciati l'uno all'altra, sorridenti.

Era domenica, 3 Aprile.

Forse una giornata come tutte le altre, ma che Misa non avrebbe più dimenticato.

Carla, la fidata domestica, fece il suo silenzioso ingresso nella stanza; lasciò il vassoio della colazione, e uscì con un mezzo sorriso sulle labbra.

Tutta la servitù aveva intuito che, da mesi, la signorina si incontrasse con un ragazzo; tutti ne erano felici, perché avevano visto tornare il sorriso sulle sue labbra. Spesso la coprivano quando spariva per ore e il padre la cercava.

Tutti sapevano di quella storia clandestina.

Proprio perché capivano che benefico effetto avesse l'amore del giovane sulla signorina, avevano deciso di coprire i due amanti; li lasciarono dormire beatamente, limitarono persino i rumori per render migliore il loro sonno.

Ma, improvvisamente, il padrone tornò.

Il suo ritorno non era atteso che da una settimana a quella parte.

Fu una corsa contro il tempo: Carla corse a svegliare i due giovani.

Li avvertì del pericolo ma fu troppo poco svelta....

Il padre di Misa entrò nella stanza mentre Samuel e Carla stavano per uscire.

Si scatenò il finimondo.

Cominciò a inveire contro la ragazza, le si avvicinò con fare minaccioso.

Misa non capiva più cosa stesse accadendo, tutte quelle urla, quelle parole, quei rumori, la stavano confondendo; percepì appena i passi pesanti del padre avanzare verso di lei e poi sentì solo la mano di lui calare sul suo viso, con tanta forza da farla cadere a terra; l'ultima cosa che sentì, fu la voce di Samuel urlare qualcosa, poi più nulla.

Si sveglio nel tardo pomeriggio, la guancia dolente; era distesa a letto, in quel letto che profumava ancora di loro, che rendeva tutto più vivido e doloroso.

Accanto a lei sentiva la materna presenza di Carla che le accarezzava i capelli; non poté che abbandonarsi a un lungo, sfibrante, pianto.

 

“Ha lasciato questa…penso volesse dartela prima di andare via…”

 

Una scatolina,con dentro una collana,con un ciondolo a forma di M.

Non c'era bisogno di parole, le lacrime parlavano per lei.

Per giorni rifiutò ogni tipo di cibo; tutte le cure che la domestica le prodigava servirono a ben poco.

Il suo viso si faceva pian piano più scavato; sembrava perennemente assente.

Rimaneva per ore seduta di fronte alla finestra, senza proferir verbo.

Non usciva più dalla sua camera, si rifiutava di prender parte alle lezioni.

Ogni tanto si sentiva solo il suo malinconico della sua arpa che si spandeva per la villa; tristezza, voglia di fuggire, dolore, ecco cosa esprimeva quella melodia.

Sempre la stessa, ogni volta.

Misa stava pian piano diventando il fantasma di se stessa.

Un giorno la porta della camera della giovane si aprì ed entrò Katia, la donna di suo padre, l'unica che,stranamente, stava con lui da mesi.

Fin dalla prima volta che sentì la sua voce, Misa, percepì un certo astio per lei; da un lato, perché tentava di prendere il posto di sua madre e in parte per il suo modo di fare.

 

"Te lo sei meritato..." esordì Katia

 

Misa non le prestò la ben che minima attenzione.

 

"Sai, era un bel po' che sospettavo che stessi tramando qualcosa alle spalle di tuo padre. Lui era troppo concentrato sui suoi affari per rendersene conto. Ma io no..."

 

La ragazza chinò semplicemente il capo, le lacrime scesero lentamente sul suo viso.

 

"Vedi, io non l'ho fatto certo per cattiveria ma, era una cosa che andava fatta. Pensavi veramente che quel ragazzo ti amasse? Povera illusa...quello ti voleva solo per i tuoi soldi. Chi mai la vorrebbe una come te..."

 

La sentì avvicinarsi, posare un giornale sul davanzale innanzi a lei e uscire dalla stanza ridacchiando.

 

Misa prese tra le mani il giornale, vi passò sopra le dita e si chiese il perché di quel gesto.

Con fatica si alzò da quella sedia e suonò la campanella per chiamare Carla, la quale, arrivò in pochi attimi.

Non disse nulla, le porse solo il giornale.

La donna trattenne il fiato per qualche istante poi, con il cuore in lacrime cominciò a leggere.

Nell'articolo si parlava della morte per cause accidentali di un giovane medico; il corpo era stato ritrovato sui binari del treno, non troppo distanti dalla villa, la mattina del 5 Aprile, da un signore abitante li vicino e passato li per caso.

La ragazza fermò la donna a metà dell'articolo: non voleva più sentire niente.

Da li in avanti fu tutto un degrado.

Misa sviluppò una particolare apatia verso tutto ciò che la circondava; non reagiva più, non parlava, non toccava cibo.

Ormai era totalmente in un altro mondo.

Non la si vedeva più al di fuori della sua stanza e non permetteva a nessuno di entrarvi, solo a Carla.

Si era rinchiusa nel suo mondo di ricordi e di musica, lei, da sola con la sua arpa, escludendo qualsiasi altra persona.

Katia, ora che Misa non era più un problema, tentava di fare da padrona nella villa, ma con scarsi risultati; la servitù non la calcolava neanche e il padrone era troppo spesso fuori casa per preoccuparsi che lei non riuscisse a dettar legge in quel piccolo mondo.

I giorni si susseguivano senza più senso, tutti uguali agli altri.

Senza più colore.

Senza più vita.

Quella villa ormai sembrava dominata dal silenzio e dalla disperazione, tutto era grigio, fermo.

Fu proprio quest'atmosfera ad indurre Katia a supplicare il suo caro marito a condurla per qualche giorno in qualche meta esotica.

Stranamente l'uomo accettò senza troppi problemi, ma il suo sguardo diceva che aveva qualcosa in mente.

La mattina della partenza la servitù caricò in macchina i numerosi bagagli e lui, senza dire parola alcuna, si diresse nella camera della figlia.

Vi trovò Carla intenta a riordinare e spolverare e quello che, ormai, era il fantasma di sua figlia, seduta davanti allo specchio.

Per un istante gli sembrò di tornare indietro nel tempo: rivide la piccola Misa paffutella, con il viso colorito, il sorriso sul volto, mentre sua madre la pettinava; i loro volti sereni, i loro occhi luminosi, tutto sapeva di gioia di felicità, di spensieratezza.

Per un attimo, per un misero istante, si chiese come fossero arrivati a quel punto, ma fu solo per un attimo, poi quel pensiero scomparve veloce come era apparso.

 

"Prepara immediatamente le valigie di mia figlia, parte con noi" disse seccamente a Carla prima di uscire dalla stanza.

 

La domestica annuì con un inchino e cominciò a scegliere gli abiti da mettere nella valigia della signorina, nel frattempo la osservava con la coda dell'occhio; quella mattina appariva strana, più del solito.

Era seduta da ore di fronte lo specchio, lo fissava, mentre si sfiorava con una mano il viso e con l'altra il ventre.

Ormai erano alle porte di giugno, il caldo cominciava a farsi sentire, ma lei teneva sempre uno scialle sulle spalle, come se avesse perennemente freddo; un freddo che proveniva dal suo cuore e che si espandeva per tutto il corpo fin dentro le ossa.

Un senso di stordimento l’avvolgeva, si sentiva strana, diversa.

Improvvisamente fu colta da uno strano senso di nausea, corse in bagno e vi giunse appena in tempo per rimettere tutto quel poco che, con pazienza, Carla, le aveva fatto mangiare.

Si gettò sul letto, esausta, una mano sulla fronte, l'altra al ventre, gli occhi semi chiusi.

 

"Non mi sento bene..." mormorò.

 

Carla le fu subito accanto, preoccupata; era perfettamente consapevole della cagionevole salute della ragazza, in particolare in quel doloroso periodo e sperava non si fosse ammalata.

Partire in quelle condizioni non sarebbe stato certo salutare per lei quindi si affrettò a comunicarlo al padrone e a chiamare un medico.

I due partirono, senza occuparsi minimamente delle condizioni di salute della ragazza, senza degnarla più uno sguardo, lasciandosela alle spalle come un brutto ricordo.

Il medico giunse poche ore dopo.

Si chiuse in camera con la paziente, le fece una visita accurata, discusse con lei dei suoi problemi, ma lei diceva il minimo indispensabile.

Il medico uscì dalla stanza con un viso pensieroso, un po' preoccupato:

 

"Forse ho capito come mai la signorina Misa è in queste condizioni, però ho bisogno che domani la portiate in ospedale a fare un esame del sangue, devo esserne certo al cento per cento, buona giornata. Tentate di farla mangiare il più possibile."

 

Nessuno capiva.

Tutti si chiedevano cosa potesse avere.

Il cuoco, a pranzo, diede il meglio di se per preparare i piatti preferiti della signorina; scelse gli ingredienti migliori, curò ogni dettaglio nella speranza che, finalmente, mangiasse qualcosa più del solito.

La costrinsero ad uscire dalla penombra della sua camera, la fecero sedere in sala da pranzo, di fronte ad una tavola imbandita di piatti prelibati, tutti per lei.

Tutti stentarono a riconoscerla: i suoi occhi, erano come quelli di un morto, senza vita, spenti; la sua pelle era bianca, talmente sottile da far scorgere le vene che scorrevano sotto di essa; il viso incavato, le leggere occhiaie sotto gli occhi; aveva perso il suo bell'atteggiamento fiero, camminava strisciando i piedi, come se il suo corpo non fosse altro che un peso di troppo; le mani erano ossute,come se non vi fosse neanche più carne su quelle piccole e fragili ossa; era magra, molto magra.

Provarono un’improvvisa pietà per la ragazza che tanto amavano, che avevano visto crescere, diventare donna.

Una stretta al cuore fu il solo vederla, reclusa in quel suo ostinato silenzio dove nessun'altro poteva entrare.

Sembrava come non esistere più, ormai nel mondo terreno vi era solo il suo corpo, la sua mente era altrove; la sua mente vagava in cerca del suo amante lontano, morto, cercava di raggiungerlo.

Nessuno di loro riusciva a tollerare che la loro piccola Misa si fosse ridotta in quel modo; pietà, dolore e disperazione vagavano nei loro animi e, proprio questo miscuglio di sentimenti, li spinse a non arrendersi, a non lasciare che la loro padroncina si lasciasse morire.

La spinsero a mangiare, piano piano, con dolcezza, con pazienza.

I cibi deliziosi stuzzicavano i suoi sensi, mandavano in visibilio le sue papille gustative.

Le sembrò di ricordare tutti i momenti con lui, quando le portava quei gustosi dolci che mangiavano poi insieme.

Qualcosa si mosse in lei, qualcosa si svegliò: una voce le disse di non arrendersi, di non buttarsi via così, di ricominciare a vivere, perché ora aveva qualcosa, o meglio qualcuno per cui vivere.

Mangiò, con fame, con gusto. Assaporò i cibi, di ognuno una piccola porzione.

Tutto le sembrò buono come non mai.

Cibi semplici, i suoi preferiti.

Quella sera Misa non riuscì a chiudere occhio.

Una strana sensazione di nausea la tenne sveglia fino all’alba quando, stanca, sprofondò in un sonno privo di sogni; per la prima volta dopo molto tempo dormì placidamente, senza alcun pensiero.

La mattina dopo Carla la svegliò con dolcezza,la fece preparare e la condusse in ospedale.

La ragazza non fece domande,si lasciò solo trasportare dagli eventi.

Non aveva la forza di opporsi,troppo presa dai suoi pensieri,dai suoi dubbi,dai suoi dolori.

Si lasciò fare i prelievi e visitare in silenzio; il suo corpo era li,ma la sua mente era altrove,assai lontana.

Misa e Clara attesero a lungo gli esiti degli esami,sedute in silenzio,l’una accanto all’altra; la domestica osservò quella bambina,ormai donna,che aveva cresciuto. Solo in quel momento si accorse di quanto forte fosse quella ragazza,la sua vita non era mai stata semplice eppure lei non aveva mai chinato la testa, ed era sempre andata avanti più determinata che mai; la sua vita era stata tutta un susseguirsi di dolori e difficoltà e,quando finalmente sembrava giunta per lei la felicità,tutto era stato rovinato dall’arroganza di quell’uomo, ed ora quella ragazza sembrava priva di un’anima.

Quel viso bianco,spento,nascosto da quelle lenti scure,il portamento non più fiero,tutti simboli di una decadenza ormai prossima,quanto ancora avrebbe resistito in quello stato? Quanto sarebbe stata ancora in grado di andare avanti tenendosi ogni dolore dentro se? Quanto?

Il medico giunse presto a spezzare il filo di cupi pensieri della donna:

 

“Venite nel mio studio,la questione è delicata.”

 

Il medico tentò di aggirare il “problema”,parlò a lungo, finche, dopo un lungo respiro, non disse:

 

“La signorina Misa è….bhe…è incinta…”

 

Si abbandonò sulla sedia,dopo aver pronunciato quelle parole, sconvolto, stupito, senza la benché minima spiegazione a quella situazione che aveva, per lui, dell’assurdo.

Carla sembrò rianimarsi, le sue supposizioni quindi erano giuste! Un sorriso le comparve sul viso, forse non tutto era perduto, forse quella creatura generata da un amore tanto dolce e atteso poteva far ritornare la signorina a vivere.

Misa invece non riusciva a credere alle parole di quel medico; le sembrava così assurdo, così irreale ma allo stesso tempo….così meraviglioso!

Fino a quel momento aveva tenuto il capo chino, rimanendo in ascolto, senza proferir parola; si sfiorò il ventre con una mano e sorrise.

 

“Grazie mille dottore per la lieta notizia, ora però chiedo gentilmente di essere riaccompagnata a casa.”

 

Disse alzandosi in piedi e avviandosi alla porta, seguita da Carla

 

“Ah…le ricordo che ciò che lei sa è coperto dal segreto professionale, nessuno e preciso nessuno, deve venirlo a sapere….neanche i miei famigliari.”

 

Carla le aprì la porta e Misa uscì dallo studio con un mezzo sorriso sul volto; salirono in macchina e l’autista le riportò alla villa senza fare domande.

Qualcosa in lei si stava muovendo, sembrava che, finalmente, si fosse svegliata da quello strano torpore, in cui era sprofondata.

Finalmente aveva trovato la forza di reagire, finalmente aveva qualcosa per cui valeva la pena lottare: una creatura che giorno dopo giorno, cresceva nel suo ventre.

Tornate alla villa le sue uniche parole furono:

 

“Prepara le valigie Carla, prendi lo stretto indispensabile e prenota due biglietti per l’Irlanda…Bantry ci aspetta…”

 

I preparativi furono istantanei e la mattina successiva,quando il sole non era ancora alto nel cielo,le due donne erano già nella piccola casetta di legno.

Tutto era come se lo ricordava Misa; non poteva vedere ma gli odori,i rumori,le sensazioni erano le stesse di tanti anni prima.

Le sembrò di esser tornata indietro nel tempo: da piccola,con sua madre più e più volte era stata in quella piccola casetta,dotata dello stretto necessario,immersa nella natura incontaminata,sulla costa dell’Irlanda.

Un piccolo paesino dove gli abitanti abitavano in modo tradizionale e genuino.

La casa si affacciava proprio sulla costa,se ci sporgeva dalla scogliera si potevano vedere le onde che giocavano con gli scogli e gli schizzi giungevano fino al viso.

I tramonti da li sembravano più rossì,più intensi,più veri; sua madre amava descriverglieli e Misa amava il suo melodioso della sua voce che le evocava quelle magnifiche immagini che le permettevano di colorare il suo mondo oscuro e senza luce alcuna in cui viveva.

Finalmente Misa,era in pace con se stessa.

Respirò a pieni polmoni l’odore salmastro che arrivava li fino alla soglia di casa, l’odore di pesce proveniente dalla spiaggia e il profumo sublime dei dolci che il pasticcere aveva appena sfornato e che il vento portava fino da lei.

Il vociare dei gabbiani la rilassava e il suono delle onde la faceva sentire a casa.

 

 

“Dov’è!” urlò adirato il padre “Dov’è andata!”

 

Ma i domestici lo ignoravano. Stavano fermi,i fila,l’uno accanto all’altro e nessuno osava rivelare il segreto.

Tutti amavano la signorina,tutti conoscevano la sua sofferenza e non volevano che vi ricadesse.

 

“Vi licenzierò tutti! Ditemi subito dov’è andata mia figlia! Dove l’ha portata quella vecchia!” silenzio “è un ordine!! Parlate!”

 

Nessuno parlò.

Il padre non licenziò nessuno,sapeva che nessun’altro avrebbe sopportato di lavorare in quella villa.

La questione venne chiusa.

Ma lui non si arrese,mandò ovunque i suoi collaboratori più stretti,ma non pensò mai a quel posto tanto ovvio che sua moglie aveva tanto odiato e che lui aveva sempre odiato.

Quel luogo paradisiaco dove la donna si rifugiava per fuggire da quell’uomo che amava,ma allo stesso tempo odiava.

L’unico luogo dove sapeva che sua figlia sarebbe potuta essere libera,ma dove non è mai riuscita a farla restare.

E Misa questo lo sapeva.

Mai l’avrebbe cercata in quel luogo.

 

 

Un vagito.

Un pianto cristallino e un grido di esultanza.

Era una femmina; quella notte il villaggio era in festa.

Ormai avevano imparato a conoscere quelle due straniere che erano arrivate da così lontano.

Si erano affezionati a loro e,in particolare,a Misa.

Tutti aspettavano quella nascita da nove mesi.

Ed il momento tanto atteso era arrivato.

Tutti erano nella grande piazza a festeggiare: canti,balli,risate e allegria.

Misa stava riposando. La piccola dormiva beata.

La mattina dopo Carla trovò una lettera nella culla della piccola,riconobbe subito quella scrittura incerta e un po’ inclinata

 

Carla,

proteggi mia figlia. Allevala come fosse la figlia che non hai mai avuto. Grazie di tutto,del tuo affetto,del tuo conforto,della tua amicizia e della tua comprensione. Grazie per avermi tirata fuori dal baratro dove ero sprofondata ma ora…devo raggiungere il mio amato. La piccola vivrà sicuramente meglio con te.

Donale tutto l’amore che le avrei dato io e,un giorno,quando sarà grande,raccontale la mia storia….Sono certa che capirà.

 

Ti voglio Bene Carla

Tua,Misa

 

 

 

Corse alla scogliera ma ormai era troppo tardi.

Qualche giorno dopo,trovarono,durante una pesca, il corpo di Misa nelle profondità del mare che tanto amava.

Sorrideva. E tra le mani stringeva la sua collana.

 

 

Questa è la storia di mia madre,ho voluto raccontarvela perché è giusto che tutti sappiano. Voglio che il suo ricordo venga tramandato di generazione in generazione,voglio che viva in eterno nelle nostre memorie.

Una donna come lei non merita di essere dimenticata.

 

Mamma,grazie di tutto.

Non ti porto rancore per la tua scelta,non so se avrei mai avuto la tua stessa forza,probabilmente avrei ceduto al peso del destino molto prima.

Sii felice.

 

“Misa! Torna dentro che incomincia a far freddo.”

 

“Si Carla arrivo subito. Lascio solo un fiore alla mamma.”

 

   
 
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