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Autore: Lacie    18/05/2011    6 recensioni
«Mani e occhi, capelli, respiri: tutto diventa confuso, quando cielo e mare si incontrano; e ogni nostra più insignificante parte del corpo è un pezzo fondamentale e necessario in questa completa fusione di elementi.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Annego e il mare è lei


Attenzione (così poi non dite che non vi avevo avvertito): è bene che voi diate almeno un'occhiata a queste poche righe, se intendete proseguire con la lettura di quanto ho scritto, al fine di evitare eventuali spiacevoli malintesi. Sconsiglio infatti vivamente la lettura a:

  • Non amanti del genere shoujo-ai/yuri. La coppia qui trattata è infatti quella formata da Haruka/Heles e Michiru/Milena, presente in entrambi anime e manga e chiaramente omosessuale - nonchè canon. Pertanto, chiunque si sentisse offeso o turbato in qualche modo dal mio lavoro è pregato di cambiare fanfiction.
  • Omofobi. Per ovvi motivi sopra elencati.
  • Le mie amiche, che casomai dovessero leggere lo stesso da domani girerebbero con le spalle attaccate al muro, almeno in mia presenza. E ne approfitto per rassicurarle, dicendo loro che no, non ho cambiato "gusti" e che non hanno niente da temere.
Detto ciò, tutti i non appartenenti alle categorie sopra indicate, o semplicemente gente coraggiosa [leggete: masochista], possono proseguire in pace.


Soundtrack: Senshi no Omoi (Feelings of a Soldier)




Le mie mani affondano nei suoi capelli, perdendosi in quell’oceano dai colori innaturali, proprio come un branco di pesci si abbandonerebbe ad un’intensa corrente. Dopotutto, nemmeno io sono così forte. Le mie dita si tuffano in quelle onde, si lasciano condurre da movimenti ormai indipendenti dalla mia volontà, mentre le morbide ciocche acquamarina si inanellano sinuose attorno ad esse.

La luce flebile che penetra dalla tapparella appena abbassata si frammenta sui suoi capelli; si riflette, si infrange, si ricompone e vi si inabissa – chissà se poi farà ritorno in superficie. Io no, non lo farei. Affondo il viso della massa setosa della sua chioma: mi lascerei annegare in questo oceano, permetterei all’acqua di insinuarsi ovunque; nella gola, nei polmoni, nella mente, fino ad accogliermi nel sereno silenzio dell’oblio. Ma il mio corpo è infimo, e richiede aria, pur sapendo che essa stessa è il mio elemento, e che in momenti come questi ne farei volentieri a meno – è un tale spreco di tempo, a che serve l’ossigeno quando ho lei? Inspiro profondamente, chiudendo gli occhi, inalando il suo profumo e cercando di assorbire quanto più possibile della sua essenza, di lei. E’ lei il mio respiro, l’unico mare in cui non ho bisogno di restare in apnea.

Mi sollevo piano dai suoi capelli con ancora il suo odore nelle narici. Una delle mie mani si districa senza intoppi dai suoi ricci arruffati, come se anch’essi avessero intuito la mia prossima mossa e volessero assecondarla. Le mie dita percorrono leggere e veloci il contorno del suo viso, soffermandosi qualche attimo di più sulle sue guance arrossate, e risalendo poi verso la fronte, sulla linea diritta del naso, sul profilo del mento, senza mai interrompere la carezza. E continuano a sfiorarla anche quando lei apre gli occhi, rivelando quelle due pozze color blu oltremare – color mare, in effetti – a cui la parola “iridi” non rende senz’altro giustizia. Ed è di nuovo un tuffo, una caduta libera verso un nuovo mare, che inizia dal momento in cui i nostri sguardi si incontrano e che affronto senza la minima paura – io non ho paura dell’acqua, se quell’acqua è lei.

Il tempo si dilata nel piccolo spazio che separa i nostri occhi; secondi, minuti, che gocciolano lenti verso il fondo di un’invisibile clessidra. Ne passano tanti, ed ognuno di essi vorrebbe una parola, meriterebbe di essere accompagnato da un qualche suono, ma dalle nostre labbra non ne giunge alcuno. Non ne abbiamo bisogno. Il silenzio ci circonda, ci avvolge e ci riscalda, proprio come negli abissi più profondi. L’aria è statica, carica di attesa e di tensione, ma priva del benché minimo alito. Immobile, come me che, sorreggendomi sui gomiti, la guardo dritta negli occhi. Quanto blu che c’è, in quelle iridi. Rimaniamo così per un po’, o forse per un’eternità, cristallizzate nell’istante in cui i nostri sguardi limpidi si sono incrociati. Lentamente, senza interrompere il contatto visivo, abbasso il mio viso verso il suo. Chiudo gli occhi nell’istante esatto in cui le mie labbra sfiorano le sue, e so, dal modo in cui lei ricambia il mio bacio, che d’ora in poi non ci sarà più spazio, né tempo, per il silenzio. L’aria si scioglie, si liquefa, surriscaldata dal calore dei nostri corpi; e uno dopo l’altro ansiti e sospiri riempiono quel vuoto statico di poco prima, fino a saturare completamente ogni singolo angolo della stanza. Il fruscio delle lenzuola è il rumore delle onde, le sue mani tra i miei capelli la mia corrente calda, e i suoi respiri spezzati, i gemiti trattenuti, il mio canto di sirena. Ipnotico, travolgente, inarrestabile: sono queste le note che compongono la nostra perfetta armonia. Tutto ciò che riversiamo sui nostri strumenti musicali, e che permettiamo ad altri di ascoltare, è solo una minima parte di questa meravigliosa sinfonia. Le nostre dita cominciano a rincorrersi, muovendosi pressoché in sincrono e perfettamente a tempo con questa musica, di cui il battito furioso dei nostri cuori scandisce il ritmo. E quando si incrociano, nel percorrere quelle strade infuocate già tracciate innumerevoli volte sui reciproci corpi, si sfiorano. Ma è un attimo, prima di riprendere la corsa. Le mie mani sono veloci, sono ovunque, e si muovono con la stessa curiosità della prima volta su quel corpo già più volte esplorato. La sua pelle è calda e liscia: è sabbia, sfuggente e setosa come quella dei fondali oceanici.

Sono io la sola che riesce a smuovere la gelida imperturbabilità del suo mare di emozioni: io sono il vento. Il suo vento, la sua brezza marina che soffia leggera e inarrestabile a pelo d’acqua e ne increspa la piatta superficie. E adesso ho scatenato una tempesta. Mani e occhi, capelli, respiri: tutto diventa confuso, quando cielo e mare si incontrano; e ogni nostra più insignificante parte del corpo è un pezzo fondamentale e necessario in questa completa fusione di elementi. Le mie dita sono lì dove finisce la sua pelle, i miei capelli si confondono coi suoi e ne prolungano la già notevole lunghezza, e i nostri occhi che non si perdono di vista un attimo sono l’anello più forte di questa catena, il punto in cui cielo e mare si incontrano: l’orizzonte. Quella linea immaginaria che tanto spesso io e lei ci perdiamo ad osservare al tramonto, e che rappresenta in modo eloquente il nostro legame, con noi diventa concreta, reale. Per i navigatori rimarrà sempre un utopia, per gli umani un ambiguo punto di riferimento. Per noi è semplicemente una metafora.

La soglia della mia percezione è acuita di cento e più volte, ora. I miei sensi stanno all’erta tutti e cinque, tesi fino al limite per cogliere ogni cosa possibile, e catturare con occhi, naso, orecchie, labbra e mani i più piccoli granelli di emozioni – granelli di sabbia. Le sensazioni si abbattono con la violenza di un maremoto su di me, un relitto sperduto nel mezzo dell’oceano in procinto di essere inghiottito dall’alta marea. Ma io non sono un relitto; non più, da quando c’è lei. Adesso sono solo un pesce, una creatura che vive di acqua, e che attende con impazienza la prossima onda; e quando finalmente la vede arrivare vi si butta a capofitto.

E come farebbe un pesce, inspiro profondamente, lasciando che il suo profumo - l'onda - mi invada i polmoni e le vene, per diffondersi in me assieme al sangue. Se fosse davvero acqua, a quest'ora sarei già annegata: ma dopotutto, "il naufragar m’è dolce in questo mare".





E' proprio vero che c'è sempre una prima volta. Questa per me è una di quelle: è la mia prima storia sulla coppia Haruka/Michiru, la mia prima in questo fandom, e la prima shoujo-ai che scrivo (molti sperano sia l'ultima). Se questo vi suona come una giustificazione, sappiate che la vera apologia non è nemmeno iniziata xD Senza partire da "correva l'anno 1500..." vi informo che Sailor Moon, e più precisamente la pluricitata coppia H/M, è la mia fissazione del mese (peggio del ciclo xD), e che quindi mi sentivo particolarmente in dovere di dover estendere il mio raggio d'assillo a tutti voi con una fanfiction. Ho avuto molti dubbi sul fatto di pubblicarla o meno, tanto per la mia effettiva abilità nello scrivere, quanto per il tema delicato che la scelta di questa coppia tra le tante mette in evidenza. Alla fine mi sono messa in gioco, e solo voi lettori potrete dirmi se ho fatto bene o no, e magari perchè.
Sento inoltre di dover fare delle precisazioni, perchè alcuni più attenti saranno sorte delle domande. E qui ve le voglio spiegare, se avrete la pazienza di leggere. La scelta di non fare esplicitamente il nome di Michiru è del tutto intenzionale. Prima di tutto perchè dal POV di Haruka, in un momento simile, è piuttosto ovvio a chi si stia riferendo; e poi perchè volevo che la sua presenza risultasse enfatizzata e costante pur senza nominarla, attraverso tutti quei continui richiami al mare. Mi auguro di esserci un minimo riuscita. Anche i termini marini molte volte ripetuti sono una "scelta stilistica" (come le chiama la mia prof. di latino e greco xD): l'analogia con l'acqua è una costante della vita di Michiru proprio per il suo essere Sailor Neptune, e di conseguenza ciò è diventato parte, magari in modo minore, anche della vita di Haruka. Anche i voli pindarici da un concetto all'altro, mediante associazioni di idee note probabilmente solo a me, sono voluti, o quasi: da una parte c'è la totale e comprensibile confusione della mente di Haruka in quello stato, e in secondo luogo ci sono io che scrivo di getto e poi non trovo correlazioni e mi arrampico sugli specchi xD
Infine, specifico un'ultima cosa: per quella che è la mia visione di Haruka, sono quasi del tutto certa che lei non direbbe mai in faccia a Michiru queste cose, ma sono altrettanto sicura che le pensi, dalla prima all'ultima - e che in un certo qual modo Michiru lo sappia. Nell'anime dopotutto se lo sono ampiamente dimostrato a vicenda, e persino la mia parte fangirl è stata appagata da certe frasette che si sono scambiate ;) Altra cosa: il rating è arancione perchè... bè, perchè non è rosso (Capitan Ovvio). Dopotutto non era mia intenzione scrivere una lemon, e alla fin fine non ho descritto praticamente nulla, se non l'essenziale ai fini della trama. Non credo onestamente di costituire un potenziale pericolo per le fragili menti dei minorenni. Concludo scusandomi con il signor Giacomo Leopardi per l'uso improprio dell'ultimo verso della sua poesia (L'infinito), e per il capogiro che gli sarà certamente venuto in seguito al continuo girarsi e rigirarsi nella tomba. Ringrazio inoltre il binomio Cocciante-Plamondon per avermi prestato il titolo della storia, tratto dalla canzone "Mi distruggerai" del musical "Notre Dame de Paris", che comunque con la shot non c'entra una mazza. Vi lascio con il mio francesismo. A presto!
  
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