…zzz…
Come
ogni mattina, Marco De Cristina giaceva nel suo lettone matrimoniale, avvolto
dalle coperte come una farfalla nel suo bozzolo. Intorno a lui, una stanza da
letto all’insegna del buon gusto, con scaffali pieni di libri e stampe di
automobili alle pareti, ascoltava silenziosa i suoi respiri. Tutto era calmo,
nulla fuori posto. Il buon Marco dormiva con la bocca semiaperta, mentre un
pupazzo dalle fattezze di Winnie The Pooh guardava nel vuoto e spalancava il
suo sorriso di peluche, con la mano di Marco sulla pancia. Sparsi sul letto,
una caterva di giornaletti manga, e sulla scrivania, un sacco di disegni fatti
male dei medesimi personaggi della carta stampata che ogni sera Marco leggeva
prima di andarsene a dormire.
Accanto
a questi disegni, c’erano i libri di testo dell’università: Manuali di gestione
aziendale, matematica, statistica e marketing, i quali recavano le etichette
con il nome del proprietario e specificatamente il corso che frequentava,
“Economia e Finanza per l’Impresa”, a cui Marco era iscritto fuori corso da
almeno cinque o sei anni, per volere del padre Alfio.
“Un giorno io non ci sarò più, e tu
dovrai dirigere ciò che io ho costruito dal nulla!” gli diceva
sempre, e Marco dentro di sé pensava “Papà,
ma se dici sempre che i De’ Cristina esistono da
quando è esistita l’automobile? Come fai a dire che hai costruito tutto questo
da solo?”
Di
conseguenza, ogni volta che si metteva a studiare, pensando a quelle parole,
prima rideva e poi chiudeva i libri, andandosene sul letto a leggersi un’altra
avventura da destra verso sinistra.
Anche
quello era un problema, la politica. Destra e Sinistra, gli eterni antipodi
italiani. Ovviamente suo padre era fermo sostenitore della Destra, e ogni due
per tre saltava fuori con discorsi sul lavoro e sul sacrificio, che a suo dire,
quelli di Sinistra non avevano mai potuto concepire come valori fondanti.
Ovviamente in contrasto con le idee del padre, Marco non poteva nemmeno
ricondursi ad un ideale politico tipicamente opposto, in quanto era abbastanza
conosciuto da mezza Torino, e quando disgraziatamente passava per un centro
sociale, gli davano dello “Sporco capitalista rotto in culo”, provocando in lui
un sospiro di rassegnazione e stanchezza, nonché un senso di smarrimento
pari forse a quello di un tedesco che si smarrisce in una remota
località calabrese senza il navigatore satellitare.
Il
senso di smarrimento aumentava se gli veniva la malaugurata idea di pensare ai
suoi amici: più che altro erano compagni di scuola (ovviamente privata) figli
degli amici di suo padre, che, sotto le influenze dei genitori, erano stati
plasmati a loro immagine e somiglianza. Dei perfetti boriosi rompiscatole, che
pensavano solo a comprare l’ultimo modello di auto uscita sul mercato, accaparrarsi
i migliori orologi delle gioiellerie, ostentare la loro ricchezza, nonché a
partecipare ai congressi politici dei vari schieramenti destrorsi.
Insomma,
nella sua perfetta vita, gli unici agi che si concedeva erano un credito
illimitato presso la bottega dei fumetti, un bel bagno caldo la sera… e dei
weekend a Milano, dove viveva Riky (pseudonimo di
Riccardo), il suo fidanzato.
Per
ovvi motivi, nessuno sapeva che Marco fosse gay. All’inizio aveva pensato di
dirlo, ma quando suo padre era saltato su con un’esclamazione piuttosto
arrogante riguardo ad un membro del consiglio d’amministrazione che sembrava un
gay, si era ben guardato dal fare qualunque dichiarazione.
Tutto
sommato la sua storia se la viveva bene, nonostante le varie incazzature di suo
padre e l’indifferenza di sua madre, che, fin troppo conscia di non vivere un
sogno, spendeva i soldi del marito in crociere e feste ai quattro angoli del
mondo, magari visitando anche letti diversi. Ma questo ovviamente a Marco non
importava.
Quella
mattina fu svegliato da un messaggio sul cellulare.
Aprì
lentamente gli occhi, investito da un fascio di luce che a quell’ora cadeva
sempre direttamente sulla sua testiera. Se li coprì con la mano, quindi si tirò
a sedere e acchiappò il cellulare dal comodino. Un giornaletto scivolò sulle
coperte fino a raggiungere la moquette del pavimento, mentre Marco apriva e
vedeva chi era.
*Se
le nuvole potessero ascoltarmi, porterebbero il messaggio del mio cuore e lo
sussurrerebbero alle tue orecchie: Ti amo, mio dolce gianduiotto.*
Il
messaggio era firmato da Riky. Sorrise, e rispose con
un
*Amore
mio, mi manchi tanto. Vorrei venire lì e vederti, ma oggi devo andare a
lezione. Penserò ai tuoi baci infuocati ed al tuo corpo sopra il mio.*
Sorridendo
sognante, si distese sul letto e sospirò di felicità.
Il
suo attimo di estasi, tuttavia durò poco.
- Marco!!! - Si sentì chiamare dal padre. La voce diveniva sempre
più potente man mano che si avvicinava.
- Oh
cazzo! - mormorò il povero Marco, nel sentire il padre che scalpitava sul
parquet del corridoio, chiaramente diretto verso la sua stanza. Siccome sapeva
che il padre non poteva sopportare di vederlo nel letto a poltrire, soprattutto
con i giornalini manga (che suo padre odiava categoricamente), fece un balzo
dal letto e scivolò sulle coperte, cadendo sulla moquette e sbattendo così
forte il sedere che vide le stelle.
- Ahio! - gemette, quindi strisciò sul letto e tirò via tutti
i giornalini, ficcandoli sotto il letto e sistemando le coperte alla bene meglio. Fece appena in tempo a sistemarle, che suo
padre irruppe in camera.
-
Oh, ben svegliato, eh? Sono le dieci e mezza e ancora non sei vestito? -
incominciò suo padre. Indossava un bel completo blu ed una cravatta azzurrina.
Si era rasato di fresco ed i capelli grigi erano ben pettinati all’indietro con
un po’ di brillantina. Anche da quella distanza Marco poteva sentirne il
profumo, quel buon profumo che da piccolo gli piaceva tanto, quando ancora
aveva un dialogo con suo padre.
- B.. buongiorno anche a te, Papà. - disse timidamente Marco, massaggiandosi
il sedere per la botta di prima.
- E
togliti quelle mani dal sedere, cribbio. Mi sembri una donna che l’ha appena
preso in culo da un violentatore! – esclamò suo padre, provocando l’immediata
reazione di Marco, che si tolse le mani dal sedere e si sedette sul letto. Era
vestito solo con canottiera e mutande.
-
Allora. Ascoltami bene, perché non voglio ripetere le cose due volte: Questa
mattina devi andare a Milano. È arrivata un’automobile e io non posso andare a
prenderla, perché mi hanno appena chiamato dei miei amici, che mi aspettano a
Trieste per un congresso. –
A Milano? Pensò Marco, con
un misto di eccitazione e smarrimento. Magari
mentre vado lì posso passare da Riky e fargli un
saluto… e magari… inconsapevolmente, assunse un aspetto sognante. Il padre
se ne accorse, e lo redarguì nuovamente.
- E
togliti quella faccia da pesce lesso! Allora, dicevo… Qui ho un biglietto di
sola andata per Milano. – e tirò fuori un biglietto del treno – Vai dal
concessionario a mio nome, prelevi l’auto e torni qui. È tutto chiaro? – disse,
guardandolo di traverso.
- S…
Sì, papà. Va bene. –
-
Hm. – mormorò il padre – Sul mio tavolo c’è una cartella blu che contiene
tutto. La mia delega, le fotocopie firmate dei miei documenti, e tutto quanto
l’occorrente. – concluse, e si avviò alla porta. La aprì e se la chiuse alle
spalle. Marco fece il gesto dell’ombrello ed una pernacchietta,
quando all’improvviso, la porta si spalancò nuovamente. Marco si ricompose
immediatamente, con un tuffo al cuore.
- Ah
dimenticavo. Se perdi un solo documento o se fai un graffio all’auto… Non
disturbarti a tornare a casa. – disse il padre, con uno sguardo truce.
-
Oh… va… va bene, papà. Ci starò attento. – promise Marco, mentre il padre
annuiva e si richiudeva la porta alle spalle. Lo sentì che camminava in
corridoio, e mentre i suoi passi scomparivano, pensò Che fortuna, vado a trovare il mio amore!!!