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Autore: hotaru    22/05/2011    5 recensioni
Seguito di "Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon"
Dal primo capitolo:
- Zio Ed, te la ricordi la storia di Raperonzolo? - chiese.
Ed fece del suo meglio per non sbuffare: se c'era una cosa con cui Alba era fissata, erano certe favole di un grosso librone scritto da due fratelli tedeschi... i Grimm, o qualcosa del genere. Alba aveva una spiccata passione soprattutto per le più macabre e cruente, e la fiaba della fanciulla dai lunghissimi capelli era una di queste.
- Certo che me la ricordo. Vuoi che te la legga? -.
Con sua somma sorpresa, Alba scosse la testa.
- Sai, zio Ed – disse, sorridendo di un sorriso triste ma leggermente ironico – Adesso sono quasi come il principe che compare nella fiaba. Te lo ricordi? La strega lo fa cadere tra i rovi e lui diventa cieco -.
E poi vagava per anni per il mondo, finché non ritrovava la sua Raperonzolo e costei gli rendeva la vista facendo cadere le proprie lacrime sui suoi occhi... certo che se lo ricordava. Anche se non riusciva a capire perché mai raccontare a dei bambini storie simili.
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Edward Elric
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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1- Das Auge- L'occhio Rating: arancione
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, one-shot


Das Auge- L'occhio


"Hai dei begli occhi... occhi forti, che sembrano capaci di raggiungere distanze infinite."

(Scar, episodio 14)


Le giornate erano ancora fredde, ma i più attenti potevano riuscire a percepire, annusando bene l'aria ghiacciata, un primo sentore di primavera.
Ed era proprio quello che andava cercando una ragazzina sugli undici anni dai capelli biondi e gli occhi scuri e sottili, camminando allegramente per le vie di Berlino assieme ad una sua amica. Era un pomeriggio d'aprile, quel giorno a scuola non avevano assegnato molti compiti e lei era certa di aver sentito un inconfondibile profumo di lillà passando accanto al giardino di una villa elegante.
Non stavano passeggiando nel quartiere in un cui abitavano, ma la ragazzina bionda vi veniva spesso, a trovare uno zio che non era suo zio, e lo conosceva bene. Sapeva anche che, girato l'angolo, avrebbero trovato un meraviglioso negozietto di caramelle che poteva benissimo essere paragonato alla casa di marzapane della strega di Hänsel e Gretel, e non vedeva l'ora di entrarvi. Aveva conservato qualcosa della sua ultima mancia, e pregustava già il sapore della liquirizia e delle caramelle al latte che entro breve avrebbe custodito gelosamente in un sacchetto di carta. Aveva anche in mente di fare un salto da suo zio e offrirgliene un po'- ma non le caramelle al latte, quelle gli davano il voltastomaco.
Avevano appena girato l'angolo che la sua amica Esther si bloccò di botto sul marciapiede, tirandola per la manica del cappotto.
- Alba, ma sei impazzita? Lì non ci possiamo mica entrare! -.
La ragazzina bionda- che rispondeva per l'appunto al nome di Alba- si trattenne a stento dallo sbuffare. Esther era la migliore amica che si potesse trovare- i segreti che le venivano confidati li teneva per sé ed era sempre disponibile nel momento del bisogno- ma in quanto a fegato lasciava parecchio a desiderare.
- Andiamo, qui mica ci conoscono! Non corriamo alcun rischio! -.
- E se invece incontriamo qualcuno del nostro quartiere? E se il padrone del negozio si insospettisce e ci chiede qualcosa? - la incalzò Esther, che non era assolutamente in grado di mentire.
Stavolta Alba sospirò pesantemente, cercando in fretta una soluzione che le permettesse di entrare nel negozio e allo stesso tempo tranquillizzare l'amica.
- Senti, facciamo così – propose, rassicurante – Nel negozio ci entro solo io: tu mi dai i tuoi soldi e mi dici cosa vuoi, d'accordo? Non serve che siamo in due, per comprare qualcosa -.
- Ma... non possiamo! E se... -.
- Andiamo, non è mica la prima volta che lo faccio! E poi se compriamo il negoziante ci guadagna soltanto; credi che gli importi qualcos’altro? -.
- Però... - Esther fece un ultimo, debole tentativo, ma quando Alba allungò una mano si decise a darle le monete che aveva con sé e mormorò: - Del marzapane e qualche caramella alla fragola -.
Alba annuì, le disse di aspettarla lì e attraversò la strada, dirigendosi senza indugio verso l'entrata colorata e accattivante del negozio. Nel varcare la soglia socchiuse gli occhi, ignorando il cartello posto sulla vetrina e lasciandosi invadere da quell'odore assolutamente divino che caratterizzava i negozi di dolciumi. A parecchie persone poteva sembrare fin troppo dolciastro e nauseabondo, ma lei era sicura che i cancelli del paradiso dovessero avere una fragranza simile. I profumi dolci e delicati della fragola e della vaniglia si mescolavano a quello più intenso del cioccolato, con una punta dell'odore speziato del marzapane e dei più stuzzicanti di menta e liquirizia.
C'era parecchia gente, ma se l'era aspettato: lì dentro c'era comunque un piacevole tepore, e se Esther voleva stare fuori al freddo... beh, se l'era voluto lei.
Prima di mettersi in coda volle dare un'occhiata a cosa offriva il negozio quel giorno: sul pesante bancone in legno massiccio erano disposte, in un piccolo espositore, decine di tavolette di cioccolato dai gusti più disparati, mentre gli scaffali addossati alla parete ospitavano enormi contenitori in vetro, che le caramelle vivacizzavano con i loro colori vividi e allegri.
Anche il negoziante era un uomo allegro: stava servendo quella che doveva essere una cliente abituale, perché gettò in un sacchetto una manciata di gelatine senza nemmeno pesarle, e la donna annuì con un sorriso. Oh, anche lei voleva aprire un negozio di caramelle da grande, così da poter rallegrare tutti coloro che vi sarebbero entrati. Era una grande osservatrice, e fin da piccola si era resa conto che la gente sorride sempre- forse inconsciamente- quando si trova davanti alle sue leccornie preferite.
Aveva ormai deciso cosa prendere, per sé e per Esther, e stava per mettersi in coda, quando si accorse che nel negozio c'era in effetti qualcuno che la conosceva. Non se n'era accorta subito perché l'individuo in questione era un bambino la cui presenza di solito nemmeno si notava, tanto era magro e quasi rachitico. Il cappotto era più logoro di un cencio e i capelli non sembravano nemmeno biondi tanto erano sporchi; Alba lo conosceva perché veniva spesso in quel quartiere a trovare suo zio, e si ricordava di lui perché gli aveva rifilato una sonora sberla una volta che le aveva allungato un mazzetto di margheritine smunte e cercato di baciarla.
Ma in fin dei conti le stava anche simpatico, e se continuò ad osservarlo era perché le sembrava che avesse un'aria troppo circospetta mentre adocchiava una tavoletta di cioccolato al latte e faceva correre lo sguardo verso l'uomo dietro il bancone, tenendo d'occhio ogni sua mossa.
Alba temeva di sapere che cosa avrebbe cercato di fare, e il timore si tramutò in realtà non appena il ragazzino allungò una mano e afferrò avidamente la tavoletta tanto bramata.


Esther, sul marciapiede dall'altra parte della strada, cominciava ad avere freddo standosene lì in piedi senza muoversi. Ma non sarebbe entrata in quel negozio per tutto l'oro del mondo, figurarsi per un po' di marzapane e caramelle. Però sentiva già l'acquolina in bocca, e sperava con tutto il cuore che Alba si spicciasse e uscisse di lì il più presto possibile, auspicabilmente con un dolce bottino fra le braccia.
Teneva lo sguardo fisso sul negozio, passando dal cartello che occhieggiava dall'entrata alla vetrina che mostrava tutto ciò che avveniva all'interno.
Cartello-Alba che si guardava intorno, cartello-Alba che stava per mettersi in fila, cartello-Alba che si fermava a fissare qualcosa o qualcuno, cartello-strano ragazzino che prendeva qualcosa dal bancone, cartello-...
Esther ammutolì, fissando con occhi sbarrati quel che accadde nel giro di pochi minuti e che le fece completamente dimenticare il cartello affisso all'entrata.
“Vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei”.


Era successo tutto a una velocità incredibile: il ragazzino- che Alba sapeva chiamarsi Folker- non aveva fatto in tempo a ritirare la mano con la tavoletta di cioccolato che il proprietario l'aveva brutalmente afferrato per un polso, chiudendolo in una stretta ferrea.
Alba aveva visto il terrore negli occhi azzurri di Folker, terrore che gli fece lasciare subito la tavoletta e divincolare convulsamente, ma senza risultato.
- Ecco un altro piccolo ladruncolo – commentò a denti stretti il proprietario, che con la stazza che si ritrovava non sembrava fare alcuna fatica a tenere saldamente lo sparuto ragazzino – Sono stufo marcio di quelli come te, adesso ti insegno io -.
Il servizio ai clienti si era momentaneamente arrestato, ma Alba percepì il clima di assoluta solidarietà di tutti i presenti: i ladri andavano severamente puniti, soprattutto se piccoli e cenciosi.
- Lo sai che cosa facevano un tempo a chi rubava? - tuonò nel frattempo l'omone, gli occhi azzurri e acquosi che mandavano piccoli lampi di rabbia. Si allungò verso il mou che stava tagliando e afferrò il grosso coltello usato fino a poco prima – Gli venivano tagliate le mani! -.
Il terrore divenne un pozzo profondo negli occhi del ragazzino, e il suo viso si trasformò in una maschera di orrore. Alba sapeva che in teoria il massimo che l'uomo poteva fare era denunciarlo alla polizia, ma a undici anni non era del tutto sicura di cosa fosse o non fosse permesso agli adulti.
Davanti a quella minaccia nessuno aveva mosso un dito, e Alba cominciava a temere che quel che capitava a un ragazzino povero e cencioso non interessasse più di tanto alla polizia.
- La pago io! - strillò, quasi senza accorgersene.
Tutti i presenti si voltarono a fissarla, negoziante e ragazzino compresi, e a quest'ultimo guizzarono gli occhi quando la riconobbe.
Alba si fece coraggio; stringendo le monete in pugno, non pensò che avrebbe dovuto rinunciare alla sua liquirizia e alle caramelle al latte, e avanzò di un passo. Finita quella brutta avventura sarebbe andata di corsa a casa dello zio Ed, e lui avrebbe saputo far passare tutto quanto; forse avrebbe anche denunciato quell'uomo alla polizia, perché non si potevano dire certe cose ad un bambino.
Forte di quel pensiero, si era ormai avvicinata al bancone, al coltello e ai due che continuavano a fissarla. Allungò la mano e la aprì, mostrando le monete sul palmo.
- La pago io – ripeté.
L'uomo guardò prima lei e poi le monete, e quando parlò il tono di voce era un po' meno brusco.
- Conosci questo piccolo ladruncolo, signorina? -.
Lei annuì timidamente. Aveva addosso il suo miglior cappotto e i capelli erano puliti e ben pettinati: quell'uomo aveva tutto l'interesse a trattar bene una ragazzina che poteva spendere qualche soldo nel suo negozio. Alba tentò di non pensare al fatto che in quel posto non ci sarebbe nemmeno potuta entrare, e cercò di sorridere, allungando ancor di più la mano.
Senza lasciare il polso ossuto del ragazzino, il negoziante posò il coltello e con la mano libera fece per prendere le monete che Alba gli porgeva.
Sembrava che tutto dovesse risolversi per il meglio, ma in quel momento qualcosa scattò nella mente del piccolo Folker. Forse fu la vergogna di farsi vedere così dalla bambina che gli piaceva, forse l'orgoglio ferito dal dover accettare la sua pietà; fatto sta che sentì come un punteruolo pungergli la lingua e l'istante successivo sputò delle parole che ad Alba sembrarono più affilate del coltello per il mou.
- Sta' ferma, stupida ebrea! -.
Alba lo sentì. Sentì l'intero negozio trattenere il fiato, e si rese conto di essere in un mare di guai.


In seguito rivide quell'episodio tante e tante volte, con gli occhi della memoria: e ogni volta tutto si svolgeva sempre più al rallentatore, come una pellicola difettosa in cui il tempo si dilatava a dismisura. Risentiva le parole di Folker e rivedeva l'espressione del proprietario del negozio: si era fatta dapprima incredula, per poi lasciare il posto alla furia cieca di colui che si sente preso in giro da chi meno potrebbe permetterselo.
La mano che si stava allungando a prendere le monete si fermò a mezz'aria, per poi voltarsi con un movimento fluido del polso e assestare ad Alba un manrovescio così potente da farla finire direttamente addosso al bancone.
Alba ricordava perfettamente il tintinnio prodotto dalle monete che caddero a terra in una cascata metallica, mentre lei non capiva che cosa fosse andato storto: lo zio Ed le aveva detto tante volte che i più deboli e indifesi andavano protetti, ed era quello che aveva fatto.
Ma anche lei era debole e indifesa: quando se n'era resa conto e aveva capito che nessun altro dei presenti aveva uno zio Ed capace di inculcare tali idee di giustizia, il sapore ferroso del sangue le stava già pizzicando la lingua e l'occhio sinistro le era finito proprio contro lo spigolo del massiccio bancone in legno.


Esther non aveva capito più niente. Attraverso la vetrina del negozio, al di là della strada, aveva visto Alba sbattere violentemente, colpita dall'uomo, e poi accasciarsi al suolo.
Non era corsa a vedere cosa fosse successo: anche se aveva potuto solo vedere senza sentire, come in un film muto, aveva compreso fin troppo bene che il proprietario doveva aver intuito la verità su Alba, perché non avrebbe mai osato colpire una ragazzina ariana.
Era scappata col cuore in gola, certa che da un momento all'altro l'uomo sarebbe uscito e l'avrebbe rincorsa per quelle vie che lei nemmeno conosceva, perché era stata Alba a volerci venire, e senza di lei non sarebbe stata capace di tornare a casa.
Ma in quel momento le importava soltanto di non venire picchiata a propria volta e, anche se col cuore in gola e il fiato mozzato, continuò a correre a rotta di collo per la strada. Quando voltò un angolo alla massima velocità e finì col sedere a terra, ci mise una decina di secondi a capire che aveva sbattuto contro qualcuno: un adulto che si stava chinando su di lei, chiamandola per nome perché l'aveva riconosciuta.
- Esther? Sei Esther, non è vero? L'amica di Alba? -.
Anche lei lo riconobbe: era lo zio di Alba, quello che voleva andare a trovare una volta uscita dal negozio. Quello che non era suo zio, in effetti: la sua amica una volta le aveva spiegato che lo chiamava così anche se non era fratello di nessuno dei suoi genitori... ma in quel momento non se lo ricordava più. Continuava a respirare affannosamente, senza parlare, mentre lui la fissava con degli occhi di un castano così chiaro da sembrare giallo e le chiedeva cosa le fosse successo.
La aiutò a rimettersi in piedi, e le suggerì gentilmente di calmarsi.
- Io... io non volevo... non è stata colpa mia! - strillò finalmente all'indirizzo di un Edward Elric che si stava ormai avvicinando alla trentina – Io le ho detto di non entrare... ma lei non mi ha ascoltato... -.
- Lei? Lei chi? Alba? - domandò Ed, corrugando la fronte – Sei con lei? Ma dov'è? Cos'è successo? -.
Esther pigolò ancora una volta che non era stata colpa sua, e a mozziconi spiegò cos'aveva visto attraverso lo schermo della vetrina del negozio. A Ed bastò sentire le parole "Alba" e "colpita" per lasciar perdere la ragazzina e correre nel negozio di dolciumi del suo quartiere.
Non appena mise piede oltre la soglia, sentì il sangue defluire e il respiro mozzarsi; non tanto per l'orribile spettacolo che gli si presentava davanti, quanto per chi ne era la protagonista.
- Al... - mormorò, dimenticandosi il finale "ba" come faceva spesso, chiamando quella che non era suo fratello ma una ragazzina nemmeno sua parente. La soccorse all'istante, chiamandola stavolta per intero, ma lei giaceva al suolo priva di sensi. Il pavimento di legno del negozio, spazzato quella mattina dal garzone, era coperto di sangue; sangue che si era ormai rappreso sul bordo del bancone e tra i capelli di Alba.
I pochi clienti presenti sembravano bloccati dall'orrore e il proprietario, dal canto suo, non si era di certo aspettato una conseguenza del genere.
Intanto Ed, inginocchiato per terra, si era sentito per un momento sollevato nel constatare che Alba era soltanto svenuta; ma il sollievo svanì nel nulla non appena le voltò la testa e si rese conto che la ferita non era sulla testa, ma proprio sull'occhio. Nell'occhio.
Ed non aveva lo stomaco delicato; non l'aveva mai avuto. Non aveva avuto nemmeno un conato di vomito quando si era ritrovato con due moncherini sanguinolenti al posto di un braccio e di una gamba, all'età di undici anni. Ma non poté sopprimere un moto di orrore quando tolse un po' di sangue dalle palpebre e le scostò il più delicatamente possibile: quell'occhio nero come la pece e profondo come il cielo notturno non c'era più; al suo posto vi si trovava un grumo molle e informe, una sostanza viscosa resa ancor più viscida da tutto il sangue che stava uscendo.
Ed allontanò subito le dita da quell'orrore, voltandosi verso il padrone del negozio, sorprendendolo alle proprie spalle con il viso stravolto di chi aveva visto ogni dettaglio.
- Mi porti un paio di bende, si muova! - gli intimò, in una manciata di parole che nel silenzio che era calato sembrarono quasi un ruggito.
L'uomo deglutì lentamente, verde in faccia, e annuì. Si diresse dietro il banco, barcollando leggermente, e tornò porgendo a Ed un paio di pezze pulite.
- Venga qui e le tenga la testa - ordinò poi Ed, al che l'uomo rispose con un'espressione ancor più terrificata. Non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi a quell'abominio che dietro al sangue nascondeva un occhio profondamente ferito, ma quell'uomo che ebreo non era affatto lo stava guardando come se avesse voluto ucciderlo seduta stante, con due occhi che- lui non lo sapeva, ma in qualche modo lo intuì- sembravano aver visto le cose più orribili di questo mondo. E dell'altro, in effetti.
Prima che il proprietario del negozio si decidesse a muovere un muscolo, a farsi avanti fu un ragazzino che Ed conosceva di vista, smunto e sporco. In realtà l'aveva già conosciuto: era una delle tante persone identiche alle loro controparti dell'altro mondo, identiche nell'aspetto fisico ma non in tutto il resto.
Quello che nell'altro mondo si chiamava Fletcher- il ragazzino che si era spacciato per Al, assieme a suo fratello, per portare avanti le ricerche sulla pietra rossa- aveva l'aria di uno che sta per vomitare da un momento all'altro. Ma si avvicinò in silenzio, si inginocchiò dietro ad Alba- senza preoccuparsi di stare inzuppando i pantaloni laceri proprio dentro la pozza di sangue- e le prese delicatamente la testa. Ed non fece domande, anche se a stare al racconto mozzato di Esther quel ragazzino era la causa di tutto, e bendò velocemente Alba in modo da coprire l'occhio.
Poi la prese fra le braccia e uscì senza dire una parola- non servì, bastò un'occhiata e il proprietario, anche qualche anno dopo, ci avrebbe pensato due volte prima di colpire chiunque, persino una ragazzina ebrea. Folker rimase inginocchiato nel sangue per qualche istante, e se Ed si fosse dato la pena di guardarlo forse avrebbe rivisto in lui quel ragazzino che tanti anni prima- e in un altro mondo- si era sentito un mostro per aver causato la perdita del corpo a suo fratello.
Ma non lo guardò, e quando uscì non si stupì più di tanto nel vedere la piccola Esther che lo aspettava, appoggiata a un lampione che sembrava quasi sorreggerla. Ed le fece un cenno e lei lo seguì, mentre si dirigevano verso l'ambulatorio medico più vicino.


*     *     *

Tre giorni dopo Alba stava cominciando a capire che i pirati con una benda sull'occhio non dovevano fare una bella vita.
Vedere il mondo con un occhio solo era estremamente faticoso: l'occhio destro le si stancava in fretta, soprattutto se provava a leggere; dopo un po' non riusciva più a mettere a fuoco e le veniva un gran mal di testa.
Stava anche iniziando a chiedersi se, dato che d'ora in poi avrebbe visto solo metà del mondo alla volta, ciò non avrebbe inevitabilmente influenzato i suoi pensieri e il suo modo di vivere. Avrebbe capito solo la metà delle cose? O quella selezione forzata l'avrebbe portata a riflettere di più, cosa che d'altra parte faceva da quando era nata e osservava il padre con occhi identici ai suoi, mentre la teneva fra le braccia? Le era sempre piaciuto il fatto di aver ereditato da lui quegli occhi scuri e sottili, anche se era bionda come la madre: pochissime persone potevano vantare un simile accostamento, e il fatto di non essere geneticamente comune l'aveva sempre fatta sentire speciale.
Beh, quanti suoi coetanei potevano esibire una benda su un occhio che in realtà non c'era più? A conti fatti, poteva anche fingere di essere la figlia maledetta del pirata Morgan.
Ridacchiò guardando il soffitto, persa nelle sue fantasticherie, ma il sorriso le morì sulle labbra: le aveva fatto male, quando si era risvegliata dall'anestesia e aveva trovato lo zio Ed accanto a lei, che le aveva spiegato come il medico avesse dovuto asportare l'intero bulbo oculare per il semplice motivo che il bulbo oculare non c'era più. Non che le avesse raccontato nei dettagli come ciò che era rimasto fosse più simile a un grumo informe che a una sostanza fibrosa, ma non era servito perché Alba non aveva più chiesto niente. Né aveva accennato al perché fosse entrata in quel negozio pur sapendo che le era vietato, e non aveva nemmeno chiesto che fine avesse fatto Folker.
Esther era lì accanto a lei che piangeva, e aveva cercato di sorriderle, scusandosi per la sua assurda testa dura.
Lo zio Ed si era poi occupato di tutto, mentre lei riposava: aveva riaccompagnato Esther a casa e aveva avvertito suo padre e sua madre, anche se Alba si stava ancora chiedendo come avesse fatto a raccontare loro una cosa del genere. Quando si era svegliata di nuovo sua madre era accanto a lei, con i muscoli del viso tesi e gli occhi lucidi ma asciutti; suo padre era seduto vicino al muro, e la stava guardando con quello stesso sguardo che apparteneva anche a lei, ma che da quel momento si sarebbe ridotto di metà.
Si era resa conto di aver cominciato ad osservare gli occhi di chiunque come mai aveva fatto prima di allora: a registrarne il colore, sondarne i guizzi, rimanere affascinata a guardarne ogni singolo movimento e impercettibile cambiamento.
E si era resa conto che chiunque avesse detto "Gli occhi sono lo specchio dell'anima" aveva perfettamente ragione.
 

Ed si trovava in cucina con il signor Rod, che in quel mondo era il padre di Alba ma nell'altro un ex-colonnello dell'esercito che rispondeva al nome di Mustang, e non aveva ancora detto una parola.
Continuava a ripensare ad Alba, a quella benda che le nascondeva praticamente un quarto del viso, e al fatto che quando l'aveva vista si era sentito catapultato in un punto del tempo confuso, tra passato e presente e mondi speculari che si intersecavano fra loro.
Il periodo che aveva trascorso in quel mondo e in quello da cui veniva ormai si equivalevano, ma c'erano ancora momenti in cui si sentiva di nuovo come se fosse stato sul punto di tornare indietro. Come quando aveva visto Alba con la benda sull'occhio, mentre osservava lui e il mondo con lo stesso sguardo a metà che ricordava essere appartenuto a Mustang.
Chissà se faceva sempre parte di quell'onnipresente principio dello scambio equivalente: il Mustang di questo mondo non aveva perso un occhio come la sua controparte di Amestris, ma in compenso era accaduto a sua figlia.
E anche lui aveva perso un paio di parti del corpo all'età di undici anni, ma era stato qualcosa di profondamente diverso: lui se l'era cercata, la sua era stata la punizione del peccatore. Ma Alba era un'innocente: non aveva fatto niente, assolutamente niente per meritare una cosa simile.
- Tutto questo è disgustoso. Semplicemente disgustoso – esordì finalmente Ed, sputando quelle parole come se fossero state dei brandelli di cibo andati a male.
- Lo sai che sono d'accordo con te – rispose il signor Rod continuando a guardare il tavolo – Ma il fatto è che non possiamo farci niente -.
- Potreste andarvene – suggerì Ed senza peli sulla lingua, brusco come lo era tutta quella situazione – Al si trova in Irlanda, ma ha contatti anche in Inghilterra e sono sicuro che riuscirebbe a... -.
- No – lo interruppe il signor Rod – Non ce ne andremo. È questa casa nostra, non l'Inghilterra -.
Ed poteva essere d'accordo, ma non del tutto.
- Casa è un posto dove ci si dovrebbe sentire al sicuro – disse.
- Casa è il luogo a cui si è legati, anche se noi stessi gli abbiamo dato fuoco – ribatté lui con uno sguardo penetrante. Ed gli aveva raccontato- ormai parecchi anni prima- tutte le avventure sue e di Al nel mondo da cui venivano, e ogni volta si stupiva di come il signor Rod riuscisse a ricordarne ogni particolare.
- Anche dopo... - Ed represse un nuovo moto di orrore nel ripensare a come era stata ridotta Alba - … anche dopo quello che è successo? -.
Vide il signor Rod stringere le labbra e assottigliare gli occhi.
- Appunto. Credi che possa succedere qualcosa di peggio? -.
Ed non rispose. Sperava con tutto se stesso che avesse ragione, ma il suo sesto senso- quello che non si fidava mai di niente e di nessuno, e che negli ultimi tempi era più attivo e sospettoso che mai- non gli credeva.
Qualcosa gli diceva che si era solo all'inizio.


La piccola Alba era sempre stata una bambina riflessiva, sin da quando, appena nata, squadrava suo padre con occhi identici a quelli di lui, con immenso divertimento di quest'ultimo.
Vedere le reazioni di coloro che le stavano più vicino la fece riflettere su cose di cui i suoi coetanei non sospettavano nemmeno l'esistenza, ma il comportamento che la sorprese di più fu quello di sua cugina Win.
Forse ormai l'orologiaia più esperta di Berlino, a quasi trent'anni Win era ancora nubile e viveva in un alloggio per conto suo, con annesso laboratorio. Le malelingue del quartiere commentavano che sarebbe rimasta zitella per il resto della vita, ma a lei non sembrava importare granché.
Per Alba sua cugina era una specie di maga che viveva nel suo antro di stregonerie, dove invece che paioli fumanti si potevano trovare orologi ticchettanti, molle e ingranaggi in una cacofonia estremamente affascinante.
Quando la vide entrare nella sua camera, una settimana dopo l'incidente, pensò che poteva approfittarne per farsi leggere qualche pagina del suo libro preferito, ma non fece in tempo ad aprire bocca che Win le porse uno strano involto di stoffa nera.
- Voglio che lo porti sempre con te, ma fa' in modo che tuo padre e tua madre non lo trovino mai – le disse.
Alba non chiese che cosa fosse: srotolò il tessuto scuro e scoprì un coltello infilato in un fodero di pelle. Lo tolse e poté constatare che la lama non era più lunga di dieci centimetri, piatta e appuntita.
- È molto affilato, perciò sta' attenta a non tagliarti. Me l'ha fatto avere Schrott dopo che gli ho riparato di nascosto l'orologio preferito di sua moglie: l'aveva fatto cadere e non voleva che lei se ne accorgesse – raccontò Win – Segreto per segreto -.
Schrott aveva un negozio di coltelleria ed era un abile arrotino, ma Alba era ancora confusa.
- Io... cosa... -.
- Voglio che lo usi – le spiegò Win, seria come non l'aveva mai vista – Se dovesse succedere ancora una cosa del genere -.
- Ma... -.
- Sai, Alba, sono stanca di veder andarsene le persone a cui tengo di più senza che possano fare nulla per difendersi. I miei genitori sono morti sotto le bombe e il mio migliore amico di tubercolosi: se capitasse qualcosa anche a te, non riuscirei a sopportarlo -.
Alba studiò la lama, suo malgrado affascinata: era affilata e luccicante come la luna, e pensare che avrebbe potuto macchiarsi di sangue umano le fece correre un brivido lungo la schiena.
- Ma non è pericoloso? - domandò un'ultima volta – Io non lo so usare, e non... -.
- Credimi, Alba – rispose Win con un sorriso stanco, scostandole i capelli dalla benda – Ti stupirebbe sapere quanta gente ha in mano cose che non sa usare -.


Quando Ed rivide Alba, costei era giunta ad una sua personale conclusione:
- Zio Ed, te la ricordi la storia di Raperonzolo? - chiese.
Ed fece del suo meglio per non sbuffare: se c'era una cosa con cui Alba era fissata, erano certe favole di un grosso librone scritto da due fratelli tedeschi... i Grimm, o qualcosa del genere. Alba aveva una spiccata passione soprattutto per le più macabre e cruente, e la fiaba della fanciulla dai lunghissimi capelli era una di queste.
- Certo che me la ricordo. Vuoi che te la legga? -.
Con sua somma sorpresa, Alba scosse la testa.
- Sai, zio Ed – disse, sorridendo di un sorriso triste ma leggermente ironico – Adesso sono quasi come il principe che compare nella fiaba. Te lo ricordi? La strega lo fa cadere tra i rovi e lui diventa cieco -.
E poi vagava per anni per il mondo, finché non ritrovava la sua Raperonzolo e costei gli rendeva la vista facendo cadere le proprie lacrime sui suoi occhi... certo che se lo ricordava. Anche se non riusciva a capire perché mai raccontare a dei bambini storie simili.
Alba si era zittita un momento, persa in una riflessione che le era appena venuta in mente: si stava chiedendo se sarebbe ancora riuscita a piangere anche dalla parte senza occhio. Da dove sarebbero scese le lacrime?
Ma stava parlando con Ed, per cui tenne questo dubbio per dopo. Sorrise di un sorriso birichino, sentendo tendersi in maniera strana i muscoli sul lato sinistro del volto, attorno a un'orbita ormai vuota.
- Se ti fai crescere i capelli un altro po', magari la prossima volta vengo io a salvarti – concluse soddisfatta.






Tecnicamente questa storia è arrivata terza ad un contest a cui ho partecipato un po' di tempo fa, però da allora ne ho cambiato qualche parte, quindi non so se è un discorso ancora valido.
Comunque, nel contest in questione avevo scelto la tabella “Non per stomaci delicati”: dovevo quindi utilizzare come elementi importanti il coltello e il negozio di caramelle, ed inserire la frase: “Tutto questo è disgustoso”.
È in assoluto la prima volta che scrivo una fic del genere, e prima che possiate muovermi la stessa critica fatta dalle giudici del contest dico che mi sono informata: so che è possibile, se il colpo inferto è violento e nel punto giusto, ridurre un occhio in questo stato, vista la sostanza fibrosa e delicatissima che lo compone. Ho letto di gente che ha fatto la stessa fine perché si è vista lanciare contro un cavolo, credetemi.
Poi mi sembrava in linea con la storia di “Full Metal Alchemist”, dove più di un bambino viene mutilato in modo orrendo, o peggio ancora.  
Questa raccolta vuole essere in ordine temporale, anche se non ho ancora ben deciso come strutturarla: avrete forse capito, però, che in ogni capitolo ci saranno dei riferimenti ad una favola dei Grimm, e nel prossimo capirete perché. Anche il titolo della serie è una citazione del loro libro, che personalmente adoro- e ormai qualcuno l'avrà anche capito.

Nella prossima storia ci sarà un ulteriore scarto temporale, e comparirà di nuovo una faccia nota- una faccia notissima, personalmente uno dei miei personaggi preferiti nella serie. Chi, secondo voi?

Rispondendo alle recensioni dell'ultimo capitolo di “Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon”:
Shatzy: a dire il vero il motivo per cui Eliza sa dell'altro mondo è perché- anche se non l'ho specificato- ha torchiato Rod e se l'è fatto dire. XD Sennò credo che difficilmente uno potrebbe immaginarsi una cosa simile... è un po' fuori dalla portata di qualsiasi intuito, penso.
Sono contentissima che la bambina ti piaccia: anche nel caratterizzarla in seguito, ho cercato di mescolare elementi presi da entrambi i genitori con un carattere che sia suo e solo suo. Non so se l'esperimento è riuscito, in fondo è il primo vero OC di questa storia. ^^
Ah, Ed dev'essere Ed; e comunque credo che, dopo tutto quello che hanno passato, certi pensieri per lui siano talmente naturali che non deve nemmeno sforzarsi. È Al quello che sa trovare aspetti positivi dappertutto, è soprattutto per questo che si compensano.
Anche se tutto ciò che riguarda i vari luoghi in cui è ambientata la storia me lo sono in gran parte inventato, se trovo qualcosa di simile in Germania ti faccio un fischio! ^^
Come ho già detto, poi, i veri Roy e Riza sono soltanto tuoi, io non mi ci provo neanche a prenderli in mano. Non dopo che qui me li sono rigirati come volevo in modo tanto libero!
E... ehm... com'è andata la lettura di questa one-shot? Ti avviso che saremo sul drammatico anche nella prossima- meno cruento, comunque- però è una storia a cui tengo particolarmente, perciò mi farebbe molto piacere ricevere un tuo commento... sappi che è tanto, tanto triste.
CioccoMenta: pensa che la chiacchierata tra Ed e Liza non era neanche prevista, l'ho inventata man mano che scrivevo perché all'inizio volevo semplicemente raggiungere la consueta lunghezza del capitolo. XD Però poi dev'essere venuto fuori bene, visto che l'avete apprezzato tutti- perlomeno chi mi ha lasciato un commento. Sono contenta anche che Rod neo-padre ti sia piaciuto. ^^
MusaTalia: caspita, non pensavo che Rod padre avrebbe seminato il terrore in questo modo! Sì, era un po' esaltato, ma chi non lo sarebbe? A differenza di Hughes, lui poi si è calmato...
La battuta dell'alchimia me la ricordavo anch'io, in non so che puntata di FMA... infatti ho anche pensato di tirarci fuori qualcosa, ma vedremo.
Riguardo la fic che mi hai consigliato, non appena ho un po' di tempo ci farò sicuramente un salto, grazie. ^^
Per quanto riguarda i capitoli dell'altra storia, ecco la “soluzione”:
1- Dove un cane è l'inizio di tutto
2- Refoli di cenere
3- Misteri svelati
4- Faville in musica
5- Solo un ticchettio in più
6- L'alba di settembre
… chissà l'ultimo, come si intitolerà! XD
   
 
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