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Autore: Shinji    22/05/2011    6 recensioni
Sono uguale a me stesso da secoli.
Io veglio sulla soglia dello scibile umano, nell’ombra senza fine.
Seppur mutato, risorgo.
La paura è parte integrante del mio potere, perché non c’è nascita senza orrore, e non c’è decadimento senza bellezza.
Seppur mutato, risorgo.
Io rinasco come guida silenziosa e come diafano presagio, come salvezza e come castigo. Qualcuno mi invoca, ma i più chiedono pietà.
Seppur mutato, risorgo.
Le mie ali sono squame colorate, scintillanti e velenose. Chi le vede è ammaliato, chi le vede ne ha paura.
Seppur mutato, risorgo.
Le mie squame sono una corazza, che mi protegge nella crescita. A un passo dalla vita, ma sconosciuto alla morte, io giaccio.
Seppur mutato, risorgo.
La mia corazza è nata dal filo sottile del bruco, che scivola silenzioso nella terra incantata. Sono colui che racconta segreti impenetrabili, nell’arco di una rapida vita.
Seppur mutato, risorgo.
{Papillon Myu centric}
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Eadem Mutato Resurgo

Eadem Mutato Resurgo.

 

 

 

 

 



{00: Uovo}

Sono uguale a me stesso da secoli.

Io veglio sulla soglia dello scibile umano, nell’ombra senza fine.

Seppur mutato, risorgo.

La paura è parte integrante del mio potere, perché non c’è nascita senza orrore, e non c’è decadimento senza bellezza.

Seppur mutato, risorgo.

Io rinasco come guida silenziosa e come diafano presagio, come salvezza e come castigo. Qualcuno mi invoca, ma i più chiedono pietà.

Seppur mutato, risorgo.

Le mie ali sono squame colorate, scintillanti e velenose. Chi le vede è ammaliato, chi le vede ne ha paura.

Seppur mutato, risorgo.

Le mie squame sono una corazza, che mi protegge nella crescita. A un passo dalla vita, ma sconosciuto alla morte, io giaccio.

Seppur mutato, risorgo.

La mia corazza è nata dal filo sottile del bruco, che scivola silenzioso nella terra incantata. Sono colui che racconta segreti impenetrabili, nell’arco di una rapida vita.

Seppur mutato, risorgo.

 

 

 

 

 

 

{01: Bruco}

 

La mia vita è iniziata in un luogo caldo e umido, circondato da una foresta verde bottiglia.

Il mio primo ricordo cosciente è quello di due volti spaventati, e di un nome.

Meinwald. Presumo fosse il mio, di nome.

I volti spaventati erano dei miei genitori. Gli facevano paura i miei occhi, forse: splendevano troppo.

O forse era il fatto che piegassi i cucchiai, rompessi le sedie e le maniglie senza toccarle.

Non avevo una grande considerazione delle persone che avevo intorno: d’altronde, il meccanismo di vita-morte è qualcosa di troppo complesso perché possa essere compreso da un bambino, anche da uno come me. Rompere e uccidere erano per me cose naturali e indiscernibili, come è naturale che un bambino normale si diverti a smontare i suoi giocattoli.

Terrorizzati, i miei genitori a tre anni mi rinchiusero in cantina, dove non potessi nuocere. Avevano troppa paura per uccidermi a loro volta, e non potevano d’altro canto mostrarmi al mondo.

Mi legarono alla catena, costringendomi all’oscurità. A strisciare, come un bruco.

 

La mia prima esperienza di vita fu il riconoscere le imperfezioni del pavimento e gli scricchiolii del legno. Il suono della musica, dall’altra parte della massiccia porta della cantina, in cima alle scale.

Rumori, odori, colori, tutto mischiato nel grigio. Eppure io li discernevo.

Eppure io comprendevo.

 

Venivo nutrito regolarmente, cosicché ho continuato a vivere, nel buio dove ormai i miei occhi si erano abituati. Distinguevo i colori, ormai: ma tutto continuava a sembrarmi grigio, a discapito dei miei sensi.

Vivevo in una cantina piena di oggetti, a me perlopiù incomprensibili, e di libri e riviste: ho imparato a leggere grazie a loro. E grazie a una strana abilità, che mi permetteva di sentire quello che dicevano quelle persone, anche a distanza; assorbivo le loro conoscenze in maniera istintiva, per me naturale.

 

Scoprii che il luogo dove vivevamo si chiama Australia, e scoprii anche che non era la terra d’origine della mia famiglia: erano emigrati da un paese freddo, circondato da montagne, a migliaia di chilometri di distanza. Il nome era simile: Austria.

La parola “emigrare” mi piacque molto fin da subito, non saprei dire perché.

 

Li sentivo camminare sopra la mia testa; li sentivo far finta di ridere, in presenza di ospiti, e piangere e trattenere il respiro, una volta da soli.

 

Dovevano temermi molto, e non capisco ancora perché: ero solo un bambino incatenato.

Non sentivo la necessità di creargli problemi, così consumavo i miei pasti tranquillamente: i piatti venivano appoggiati in cima alle scale, io li portavo giù con quella strana forza, fatta di mille braccia che mi sgorgavano come dagli occhi, mi nutrivo, e lo riportavo su.

Oltre a quella distanza non arrivavo ancora, d’altronde.

 

Rimasi lì per almeno cinque anni. Forse di più. In attesa.

 

Piano piano, la mia forza cresceva, la sentivo bene. Cresceva, cresceva, cresceva, fino a che non riuscii a rompere le catene. Le vidi accartocciate ai miei piedi nudi, e per un attimo mi mancarono.

Ma fu solo un momento.

 

Mi diressi su per le scale, non senza difficoltà: le mie gambe non erano abituate al moto. La mia forza interiore sì, però, e con quella non mi ci volle molto per aprire la porta. Si accartocciò come carta, e si schiantò contro la parete.

 

Era la prima volta da tanto tempo che vedevo quella che dovrebbe essere considerata la mia casa: la trovai molto aliena. Come ho trovato alieno l’urlo di mio padre, che vedendomi uscire aveva afferrato un attizzatoio, come per difendersi.

 

La cosa mi fece ridere. Glielo annodai intorno al braccio, prima di farlo schiantare contro il muro, come avevo appena fatto con la porta.

Come la porta, si accartocciò, e non si mosse più, colorandosi di rosso. Mi piace, il colore rosso.

Curioso: non riesco a ricordarmi la sua faccia.

 

Poi fu il turno di mia madre; anche lei urlò, arretrando lungo il muro.

Diceva tante cose, ma non me le ricordo bene, adesso. Credo che la parola ricorrente fosse “mostro”.

 

Si fermò un attimo a guardarmi, schiacciata contro l’angolo. Anche di lei non ho molta memoria, ma quello sguardo sì, lo rammento bene: per un secondo mi guardò come se si fosse resa conto che quello che aveva davanti era solo un bambino, un bambino che lei stessa aveva generato.

 

Che pensiero sciocco, pensai, mentre la sua testa rotolava sul pavimento.

 

Mi sentii sollevato, credo.

 

Non avevo più niente da fare in quel posto, non aveva per me senso restare lì.

Così, uscii dalla casa, e mi diressi verso la foresta, che vedevo all’orizzonte: era scura, densa e profumata, lo sentivo anche a distanza.

Mi nascosi lì, pensando che fosse la mia casa.

Non sapevo ancora di sbagliarmi.

 

 

 

 

Nothing stays the same.
Someday,
I hope you will make more lasting connections.

 

 

 

 

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T h e  B u t t e r f l y  E f f e c t:


Ciao a tutti! Sono secoli che non scrivo, chiedo venia, me ne rendo conto.

… nessuno mi parli del Canto. Lo so. LO SO! çOOOOOOOOOOç Sono bloccato. Ma riuscirò a finirlo, lo prometto. Ci riuscirò.

 

Intanto vi propongo questa cosina su Myu di Papillon, uno dei miei Spectre preferiti di sempre; saranno pochi capitoli, mi toglierò dalle scatole alla svelta. Soprattutto, i capitoli sono già tutti scritti, non temete. *C*


Passiamo alle note vere e proprie!

 

Eadem mutato resurgo: il titolo, traducibile con “seppur mutato, risorgo”, o anche “risorgo uguale eppure diverso” è uno specifico riferimento alla Spira mirabilis, la cosiddetta “spirale meravigliosa” teorizzata dal matematico Jakob Bernoulli: in sostanza si tratta della spirale logaritmica, che compare in natura in più forme (la curva della conchiglia del Nautilus, le ragnatele, i bracci dei cicloni tropicali, le galassie a spirale). Vi risparmierò noiose spiegazioni matematiche: ho fatto l’accostamento tra questo motto (“Eadem mutata resurgo” compare sulla tomba di Bernoulli a Basilea) e la spirale con Myu in quanto, come Spectre, risorge sempre uguale a stesso. Inoltre, la spirale è simbolo dei cicli infiniti della natura, oltre che delle reincarnazioni. L’ho trovata molto adatta.

 

La questione della nazionalità di Myu è un mio piccolo divertissement: nella edizione Granata Press, per un errore di traduzione, era segnata l’Austria come Paese d’origine. Nelle successive edizioni hanno corretto con Australia. Ho fatto una piccola fusione così. XD

 

La canzone citata alla fine del capitolo è Monochrome, di Ilaria Graziano. Verrà citata lungo tutta la storia. Aw, la amo.

 

Al prossimo capitolo!

 

Shinji a.k.a. Il Nemico Indomo

 

   
 
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