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Autore: orkaluka    26/05/2011    0 recensioni
"Sette giorni prima eravamo settantacinque, tra donne, uomini, bambini, malati e vecchi; tutti stipati in un piccolo spazio. In quel momento eravamo più o meno la metà, le malattie si erano moltiplicate di persona in persona, i vecchi e i bambini erano morti e i pochi adulti rimasti erano divenuti bestie. Chi moriva era cibo, in quel luogo vigeva la cruda legge di Darwin, chi era forte sopravviveva, chi era debole moriva, divorato dai suoi simili." In luogo abbandonato alla follia, una donna cerca di sopravvivere tenendo stretta a se la sua ragione.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le bestie non piangono - capitolo  2

La veranda é illuminata dai raggi del sole, sotto di essa siede mia moglie, appoggiata a una panca si tiene tra le mani il pancione che cresce di giorno in giorno. Mi avvicino lentamente, senza fare rumore, voglio osservarla in questo  momento di contemplazione del mondo, é bellissima. I lunghi capelli neri le arrivano fino alla vita, una scurissima e liscia cascata che carezzerei  per l’eternità. Il suo viso ha il colore del latte, come tutta la sua pelle del resto e i suoi occhi sono di un colore particolare, un verde scurissimo, che si avvicina al nero. Conosco ogni più piccolo particolare fisico di mia moglie, come il piccolo neo che ha appena sopra l’ombelico o quella voglia a forma di stella che le marchia il collo. Amo mia moglie con tutto me stesso, l’ho conquistata un pezzetto per volta, faticando, facendo mille passi indietro per un passo avanti. Mi avvicino a lei e la abbraccio, lei sussulta lievemente al mio tocco, poi torna al presente e mi sorride. Fu di quel sorriso che mi innamorai due anni fa.

Sono passati sette giorno da quando abbiamo scoperto i contrabbandieri di uomini, sette giorni da quando sono sparite le persone degli ultimi rapimenti. Le speranze sono poche, io e la squadra tenteremo quest’ultima volta, poi abbandoneremo. Settantacinque persone non posso sopravvivere rinchiuse chissà dove senza che nessuno dia loro cibo o acqua per più di una settimana. Il luogo dove dobbiamo cercare è isolato, nell’aperta campagna. A ridosso di una collina sorge una casetta di cemento, già il fatto mi pare strano. Ci avviciniamo di soppiatto, mando alcuni uomini a perlustrare l’area, dopo poco tornano dicendo che non c’è nessuno. Ci avviciniamo alla casa senza preoccupazioni, non sentiamo niente all’interno, ma tanto vale controllare. La porta è ben nascosta, è di legno massiccio e qualcuno ha cercato di murarla, ma non ha fatto un buon lavoro, si vede che era di fretta. Chiamo alcuni uomini che abbattono la porta, poi entro. Il capitano sono io, quindi entro io per primo. Ciò che vedo mi disgusta profondamente. Il pavimento è macchiato di sangue, c’è puzza di marcio e di chiuso. Una quindicina di persone dormono ammucchiate, completamente sporche di sangue, al fianco di un corpo a cui manca molta carne. Che schifo, cannibalismo, una cosa orrenda. Distolgo lo sguardo da quello scempio, non ce la faccio a guardare ancora. In quel momento noto una ragazza rannicchiata contro una parete, lei sembra relativamente pulita, le sue labbra, che vedo tremare, non sono sporche di rosso. Mi avvicino all’unico essere umano rimasto nella stanza e la prendo in braccio. È leggerissima, una piuma. La porto fuori alla luce del sole, mi accorgo in ritardo che i suoi occhi sono abituati da troppo tempo all’oscurità, le metto un paio di occhiali da sole e dico ai miei uomini di recuperare le altre bestie. Loro procedono verso quella specie di stanza degli orrori, poco dopo vedo alcuni di loro uscire di lì,con una mano sulla bocca e una sullo stomaco. Osservo la ragazza più attentamente, sembra intera, nonostante quello che deve aver passato. È sporca, lurida, ha qualche contusione in viso, ma nulla di che. Devo però controllare le altre parti del corpo, i medici si devono occupare di troppe persone. Le sussurro ad un orecchio per non spaventarla.

“Devo controllare che tu stia bene, mi permetti di toglierti la maglia?”

 Lei annuisce, se non altro mi comprende, sembra stranamente tranquilla lì, affidata alle mie cure. Che si fidi di me? Le sfilo la maglia, non ha contusioni o altro, niente ematomi preoccupanti, c’è un morso su un braccio, gonfio. Lo sfioro e lei rabbrividisce.

“Cosa è successo?”

Noto solo in quel momento le lacrime che le scorrono sul viso.

“Mi ero addormentata, pensavano fossi morta, così hanno cercato di mangiarmi.”

La sua voce non è che un debole sussurro, ma mi fa rabbrividire.

“Vuoi raccontarmi cosa è accaduto lì dentro?”

Le chiedo, anche se in fondo non lo voglio sapere. Non voglio conoscere la disperazione che questa ragazza deve aver provato.

 “No”

Risponde lei. Controllo il resto del corpo velocemente, non sembra ferita.

“Hey, Sam.”

Il dottor Lorell mi chiama e mi dice

“Sta bene?”

 E indica la ragazza

 “Niente fratture, un morso e qualche contusione, ma niente d’altro.”

 Il dottore si avvicina e senza neanche guardare, intanto che parla con me, le fa un’iniezione.

“Senti, ci sono dei problemi, non possiamo portare queste persone negli ospedali, non sappiamo quali sono i rischi. Lo sai che non te lo chiederei se non fosse necessario, ma non è che potresti occuparti di lei? Portala a casa tua, falle fare un bagno caldo, falla mangiare e bere poi falla dormire. Ti prego, mi faresti un immenso favore.”

Devo la mia vita al dottor Lorell, quindi annuisco e prendo in braccio la ragazza posandola poi nel mio suv. Comincio a guidare verso casa appena il mio lavoro di capo squadra me lo permette, poi mi avvio silenziosamente verso casa. La ragazza rimane in silenzio per tutto il viaggio, finché non vediamo una cosa che sembra rianimarla, il mare. Accosto sulla spiaggia, forse ha bisogno di fermarsi, io vorrei respirare un poco di aria oceanica dopo essere stato chiuso in una stanza per una settima in mezzo a tutte quelle bestie. Lei scende dall’auto da sola e si lancia nella sabbia, mi spavento subito, e se volesse scappare? Poi mi accorgo di cosa sta facendo. Si rotola nella sabbia ridendo, come fosse la cosa più bella del mondo. È bella in quel momento, con il riso sulle labbra e la sabbia tra i capelli, involontariamente mi ritrovo anche io a rotolarmi nella sabbia, rido anche io, stranamente sono felice. La ragazza si alza in piedi con uno scatto e corre verso il mare, è ovvio che sta giocando ed io la inseguo, così senza un motivo, pensando che, forse, è proprio di questo che ha bisogno. La raggiungo quando ha già le ginocchia immerse nell’acqua, io la scaravento completamente dentro ad essa, affondiamo insieme un momento, per poi risalire. Lo sporco, la polvere sul suo viso è scomparsa, lasciando intravedere la lattea carnagione e un viso dalla bellezza sconvolgente. È in quel momento che mi sorride per la prima volta, è in quel momento che, come un fulmine a ciel sereno, la consapevolezza del fatto che lei diverrà importante per la mia vita mi colpisce. In quel momento non sapevo ancora che lei sarebbe divenuta la mia vita, lei e i quattro figli che mi ha donato.

 

Ritorno al presenta quando Nicolas, il più grande dei miei figli, ci raggiunge. Marry gli carezza la testa con affetto, io lo abbraccio. È dura anche per loro convivere con una madre dal tale passato. Certe notti sogna ancora quella stanza dell’incubo e si sveglia urlando, molte volte il suo sguardo si perde a guardare qualcosa che noi comuni mortali non possiamo vedere. Eppure la amo, la amo come non ho mai amato nessuno e ogni giorno, sotto quella veranda glielo ricordo, perché so che le fa piacere, perché, anche se non mi risponde mai, so che anche lei mi ama.

“Amore”

 è persa in uno dei suoi mondo e non sente il mio sussurro.

 “Marry”

Dico un po’ più forte, lei si gira e mi sorride.

 “Ti amo”

 Le sussurro. Lei osserva il suo pancione, poi guarda Nicolas, che risponde a quello sguardo serio, non capisco, solitamente risponde solo con un anche io, non mi ha mai detto ti amo, ma a me va bene così.

 “Sai una cosa Sam?”

 Mi chiede lei, scuoto la testa, non capisco cosa stia succedendo.

 “Ti amo, con tutta me stessa, anima e corpo, ti amo come non amerò mai nessun’altro.”

Avvicina le sue labbra alle mie e lascia un come una carezza su di esse. Io sono sconvolto, ma in senso buono. Sapevo che facendola entrare nella mia vita sarei divenuto felice, lo sapevo da quando mi aveva sorriso. Eppure mai avrei pensato di essere l’uomo più felice del mondo. Abbraccio mia moglie, con uno slancio d’affetto. In quel mattino infuocato in cui il sole sorge lentamente, inondando di luce la veranda, ringrazio Dio per tutto ciò che mi ha dato, lo ringrazio e piango, piango lacrime di gioia per ciò che è stato, piango lacrime di gioia per ciò che sarà.

 

Note dell’autore

Ed eccomi, con un ritardo da spaventare pure calendari, con il secondo e ultimo capitolo di questa storia. Ho amato con tutto me stesso questo racconto, forse non ci crederete ma ci ho passato celle ore. Lo avrò riletto un’infinità di volte. Spero che vi abbia appassionato, spero che vi sia piaciuto. Vi saluto, vi ringrazio e vi chiedo di lasciarmi un vostro parere. Ciao ciao                               Luka

  
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