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Autore: Roberta87    27/05/2011    9 recensioni
§ Storia PRIMA CLASSIFICATA al contest "Happy ending" indetto da pinzy81 §
Ogni cosa andava al suo posto.
Perfino le volte in cui mi toccava e mi permetteva di vedere i suoi pensieri mi facevano sentire normale, in una situazione in cui nulla era o sarebbe mai stato tale.
Specialmente noi due.
Certo, nella nostra grande famiglia – tra vampiri e licantropi – eravamo avvolti dal sovrannaturale, ma noi … beh noi eravamo diversi. Diversi da tutti, diversi da tutto, diversi dal conosciuto … noi eravamo l’imprevisto, l’eccezione. Noi eravamo quelli strani perfino tra i mostri.
Eppure, lo eravamo insieme.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Buon pomeriggio a tutti.
Ho scritto questa one-shot per il contest "Happy ending" indetto da pinzy81.
Nel momento in cui l'ho terminata mi sono detta che forse era un pò troppo strana, che forse avevo sconvolto un pò troppo la situazione che la Meyer ci ha lasciato alla fine di Breaking Dawn, e mi sono anche detta che forse ... proprio per questi motivi ... mi sarei meritata un ultimo posto.
Invece, contro ogni aspettativa, questa one-shot si è classificata prima.
Non potrei esserne più felice, ma aspetto le vostre recensioni, impaziente di sapere cosa ne pensiate.



Il titolo è un proverbio inglese che trova la sua corrispondenza in Italiano nel nostro "Non tutti i mali vengono per nuocere".

Perchè ho fatto questa scelta?
Lo capirete leggendo.

Roberta.


“ Every cloud …..





Non se ne parlava mai.
Nessuno accennava nemmeno una volta a quell’argomento troppo scomodo per tutti. Ma io non sono mai stata una sprovveduta, e il mio stesso mondo mi insegnava che se c’era qualcosa di cui nessuno parlava, non voleva dire che questa cosa non potesse esistere.
Qualcosa era andato storto.
Ovviamente nessuno l’avrebbe capito dal di fuori. Umano, vampiro, licantropo o mezzosangue che fosse. Mi rendevo perfettamente conto che all’apparenza in quegli anni non era cambiato nulla.
Eppure io lo sentivo.
Lo avvertivo dagli istanti in cui gli occhi di mia madre diventavano vuoti, gli stessi che provocavano sulla fronte di mio padre una ruga invisibile ad occhi umani, sempre gli stessi che facevano spuntare sulle labbra di Jacob un sorriso che non gli apparteneva affatto. Se non in quei momenti.
Quei momenti – lunghi in realtà quanto un istante – nei quali mi punzecchiava la pelle una sensazione scomoda, la percezione che ci fossero tante, forse troppe, cose che non andavano bene. Cose che erano andate storte ieri, o forse l’altro ieri, oppure qualche anno fa e che trovavano sempre un istante di debolezza nel quale farsi notare.
Qualcosa era andato storto.
Decisamente. E quello era uno di quegli istanti in cui quella certezza mi appariva in tutta la sua evidenza. Solo qualche secondo prima mio padre suonava allegramente un pezzo al piano, un pezzo che mia mamma aveva appena ammesso di amare quando andava al liceo. Ridevano.
Papà suonava, la mamma cantava – a poca distanza da me sul divano bianco dei nonni –  ed insieme ridevano. Anch’io non potei fare a meno di sorridere, soprattutto quando alle nostre risate si unì quella grossa di Jacob, seduto sul tappeto ai miei piedi.
Anche Jake conosceva quella canzone e ne intonò una piccola strofa, mettendosi in ridicolo confrontandosi con la splendida voce della mamma. Lei rise ancora più forte, piegandosi e reggendosi lo stomaco come se potesse dolerle davvero per quel piacevole sforzo, e spostò lo sguardo da mio padre a Jacob.
E a quel punto ecco l’attimo. Ecco l’istante.
Jacob restituì lo sguardo a mia madre per una frazione di secondo e nonostante nessuno di noi avesse smesso di ridere successe ancora.
L’attimo di vuoto nello sguardo di mamma, l’invisibile ruga sulla fronte di papà, il finto sorriso che Jacob mi rivolse qualche istante dopo, mescolato alle risate.
Poi mia madre distolse lo sguardo dal volto di Jake e tutto finì così come era iniziato. Mi carezzò i capelli, raggiunse mio padre al piano e Jacob poggiò la sua testa nera sulle mie ginocchia.
Tutto era tornato normale. Tutto era tornato perfetto.
Ma io lo sapevo. Io lo sentivo.
Qualcosa era andato storto.


* * * * * * * * * *


« Nessie! »
Me ne fregai del tono infastidito di Jacob alle mie spalle e continuai a camminare spedita
« Nessie sei diventata sorda? » con poche falcate mi raggiunse e mi si parò davanti « Perché fai così? »
Gettò le braccia lungo il corpo e mi guardò con una punta di fastidio negli occhi. Incrociai le braccia e sostenni il suo sguardo, stavolta ero davvero stanca.
« Perché voi fate così, vorrai dire » strinsi gli occhi e fui certa che nei miei vide molto di più che la sua punta di fastidio.
« Ancora con questa storia? Mi sembra di piombare in un telefilm di terza categoria ogni volta che dici quel voi. Ma voi chi, Nessie? Voi cosa? » gesticolava troppo, come ogni volta che era stufo di qualcosa.
Ormai lo conoscevo meglio di me stessa, e avrebbe potuto anche perdere l’uso della parola ma io l’avrei capito comunque, in qualsiasi circostanza. Il corpo di Jacob mi parlava, e l’aveva fatto da sempre, spesso più di quanto avessero fatto le sue parole.
Ero cresciuta con la sua presenza al mio fianco in ogni istante della mia vita. Non era esistito un singolo momento della mia esistenza senza di lui. Ricordavo ancora quando, qualche anno prima, ero rimasta sbigottita nello scoprire che in realtà la casa di Jacob non era sempre stata casa mia, ma che prima lui abitasse con suo padre Billy. In teoria sarebbe dovuta essere una cosa ovvia e normale per chiunque ma a me, invece, parve la cosa più impossibile dell’intero universo.
Jacob Black che aveva avuto una vita prima di me? Impossibile
Jacob Black che aveva avuto una famiglia prima della mia? Impensabile
Jacob Black che aveva avuto sé stesso prima di avere me? Inconcepibile
O almeno questo era quello che avevo pensato qualche annetto fa, da brava bambina viziata e con i paraocchi. Quando il mondo nel quale vivevo ancora mi sembrava fatato, incantato e perfetto. Quando ancora non avevo deciso di guardarmi intorno e spazzare via per qualche secondo tutta l’apparenza dalla mia famiglia e fissarne direttamente il cuore. Poi un giorno l’avevo fatto.
Avevo cercato di guardare alla mia vita, alla mia natura, alla mia famiglia, con tutta la razionalità e lo spirito critico di cui fossi capace – e a detta del nonno ne possedevo da vendere. Ci avevo provato ed inspiegabilmente mi era riuscito al primo colpo.
Come se il mio cervello stesse rispondendo ad uno stimolo inviatogli per anni in maniera subliminale, ero riuscita a vedere in un secondo quello che gli altri si ostinavano a non voler vedere da una vita.
La mia vita non era magica.
La mia natura non era per nulla speciale. Non nel senso che intendevano i miei genitori.
La mia famiglia non era affatto perfetta.
Avevo notato tutte le piccole imperfezioni di un mondo costruito ad arte, di una commedia con un copione sapientemente scritto per durare in eterno. Avevo notato sempre più forte quella fastidiosa sensazione che qualcosa fosse andato storto ogni volta che gli occhi di mia madre si assentavano per qualche istante, ogni volta che la ruga impertinente di mio padre si faceva di un millimetro più profonda, ed ogni volta che Jacob mi rivolgeva quel sorriso finto che avevo imparato a riconoscere come un contentino.
Perché infondo era stata questa la cosa che mi aveva fatto aggrovigliare i nervi più di tutto.
Mia madre poteva avere le sue buone motivazioni per assentarsi qualche istante. Mio padre poteva avere tutte le ragioni del mondo per preoccuparsi di qualcosa. E se questo qualcosa riguardasse o meno gli occhi vuoti di mia madre erano pur sempre affari loro.
Ma quel sorriso, quel contentino di Jacob non potevo accettarlo. Non potevo accettare che ci fosse qualcosa che ormai mi nascondesse da anni, o peggio, qualcosa che ci facevamo andare bene da anni. Questo davvero mi mandava su tutte le furie.
E questa situazione scomoda era andata avanti per tutto quel tempo perché pensavano che io non capissi, che io non mi accorgessi di nulla. Che io non potessi sentirlo.
Non avrebbero potuto sbagliarsi di più.
« Nel caso in cui te lo fossi dimenticato, il voi è il pronome personale che si usa per intendere tutte le altre persone al di fuori di colei che parla » sapevo che rispondergli così lo avrebbe infastidito, e lo feci apposta.
« Ma brava, Ness, hai studiato » mi fece un piccolo applauso beffardo « E adesso, di grazia, saresti così gentile da spiegare allo zotico » si puntò un dito dritto sul petto « cosa staremmo facendo noi altri che a te non sta bene? »
« Tutto, Jake! Tutto! Qualsiasi cosa voi facciate non nasconderà mai quello che in realtà sta succedendo » mi avvicinai un po’ al suo enorme corpo scosso da un leggero tremore e gli posai le mani sulle spalle « Perché io lo vedo, Jake. Io lo sento. » gli sussurrai un po’ più vicino « E mi meraviglio di come tu non te ne sia ancora accorto. Proprio tu, Jake » gli carezzai dolcemente una guancia bruna e la tristezza mi invase.
Ogni volta era così, ogni volta che cercavo di rompere quel muro di omertà con lui mi ritrovavo sommersa dalla tristezza. Perché anche a me pesava dover rompere quella bolla di perfezione. Anzi, forse a me pesava più di tutti, ben sapendo cosa tutto questo implicasse per Jacob. Per il mio Jacob.
Lui sospirò e il tremore sparì. Mi prese le mani dalle spalle e le tenne tra le sue, invitandomi a sedere sul prato rigoglioso del retro di casa Cullen insieme a lui. Accolsi il suo invito e restammo per qualche istante seduti l’uno di fronte all’altra, sotto una rarissima giornata di sole per la cittadina di Forks.
« Io non sono come loro, Ness » disse serio ad un certo punto, indicando la grande villa bianca alle mie spalle con un cenno della testa « Io lo so benissimo che non ti sfugge nulla. L’ho capito dal primo momento che ti ho osservata mentre ti guardavi intorno, ancora in fasce. » strinse un po’ di più le mie mani tra le sue, riscaldandole più di quanto stesse facendo il sole con il resto della mia pelle pallida « E soprattutto, io lo so quand’è che non sopporti più qualcosa.»
« E allora perché non l’hai capito anche adesso? »
Jacob distolse lo sguardo dal mio « Chi ti dice che non l’abbia fatto? »
Rimasi qualche istante senza parole. Ero convinta che anche lui credesse che mi stessi bevendo la pantomima di tutti. Forse era arrivato il momento di parlarsi a cuore aperto.
« Cosa sta succedendo, Jake? » sospirai « Perché non riusciamo ad affrontare i fatti ed i problemi come abbiamo sempre fatto? »
« Dimmelo tu » si passò una mano tra i capelli
« Io … io non riesco a parlarti di questa cosa, Jacob. E non ci riesco perché non voglio ferirti » fui sincera.
Ma la sua reazione per un attimo mi spiazzò.
« Tu non vuoi ferirmi? » mi chiese stupito.
Evidentemente le cose erano più complesse ancora di quanto avessi sospettato. Forse anche Jacob era confuso e non riusciva a dare il giusto nome alle cose. Ma su di una cosa io ero più che sicura, ed era la stessa che temevo avrebbe potuto spezzargli il cuore.
« Qualcosa è andato storto, Jake » gli dissi finalmente, decidendo che era arrivato il momento di abbattere tutte le barriere « Io odio ammetterlo, ma qualcosa è decisamente andato storto stavolta »
Jacob sollevò le sopracciglia confuso « Aspetta, di cosa stai parlando adesso? »
« Di tante cose, forse troppe. Ma quello che riguarda solo noi due è l’imprinting »
Jacob si morse il labbro alle mie parole, e per me fu il chiaro segno d’ammissione che non mi ero sbagliata. Non disse niente, ma il suo corpo aveva già parlato per lui. Così continuai.
« Ci sono così tante cose coinvolte in questa faccenda che non saprei da dove iniziare. » sospirai un po’ avvilita, poi forse trovai la strada giusta « Sai perché ho voluto smettere di uscire con Paul e Rachel? E dopo anche con Quil e Claire? »
Jacob scosse la testa
« Perché non volevo che tu iniziassi a scorgere quello che io già vedevo da un pezzo. Noi non siamo come loro, Jake. » gli rivelai con una punta di amarezza, perché infondo anche a me faceva male.
Jacob ebbe un fremito a quelle parole, come se non si aspettasse tanta sincerità da parte mia « Nessie non credo che questo sia il momento di indagare nelle differenze tra gli imprinting »
« No, Jake! » lo interruppi immediatamente « Il momento è esattamente questo » tirai via anche l’altra mano che teneva ancora nella sua « Io non sono più una ragazzina, e da un bel po’ aggiungerei. Non ho intenzione di continuare a fingere come pare abbia deciso di fare tutto il resto della mia famiglia » avevo alzato la voce e il fastidio per tutta quella situazione era tornato cocente.
Improvvisamente mi fu chiaro che un po’ di sofferenza era il prezzo da pagare per avere finalmente la mia vita. Quella che mi ero ritrovata a fantasticare da troppi mesi a questa parte, tenendola in gran segreto ogni volta che mi trovassi nei paraggi di mio padre.
« Jacob » gli presi il volto tra le mani, sapendo che di lì a poco avrei visto nei suoi occhi una sofferenza che avrebbe potuto uccidere anche me « Tu non mi guardi mai come Quil fa con Claire » scandii lentamente « così come io non ti guardo come Claire guarda Quil » mi presi un momento di pausa, aspettandomi una bella sfuriata da parte del mio lupo.
Ma la sua reazione non arrivò. O meglio, non arrivò quella che mi sarei aspettata. Jacob tenne gli occhi fissi nei miei, invitandomi a continuare quel discorso che forse lui non avrebbe mai avuto la forza di fare. Così lo feci. Gli dissi tutto, liberandomi di quei macigni che schiacciavano ogni altro pensiero. Sicuramente liberando entrambi da una vita che stavamo conducendo nel modo sbagliato.
« Noi siamo diversi. Il nostro amore è diverso » riordinai un attimo le idee e gli lasciai andare il bellissimo viso, sicura che avrebbe continuato a guardarmi comunque « Loro si amano come Sam ama Emily. Noi … noi ci amiamo a modo nostro. Io non ho mai visto nessuno con il nostro stesso imprinting, Jake, e questa cosa all’inizio mi ha spaventata a morte. Credevo che ancora una volta ci fosse qualcosa di strano in me, mi sono data la colpa per questo imprinting che non funzionava come avrebbe dovuto. E non sai quante volte mi sia chiesta se fosse a causa della mia natura di mezzosangue » un risolino amaro si fece spazio tra le mie labbra, mentre Jacob continuava a fissarmi serio « Poi con il tempo ho capito. Mi sono resa conto che forse questa volta io non c’entravo proprio niente. Forse, per una volta, la bambina viziata non era il centro dell’universo »
« Tu non sei viziata »
« Shhh » lo zittii « Non è questo il punto. Il punto è che stavolta la differenza l’hai fatta proprio tu » gli dissi puntando l’indice pallido sul suo petto scuro « Tu non hai fatto in modo che accadesse, tu non hai fatto in modo che il nostro amore diventasse come il loro »
« Nessie, ma stai scherzando? » mi chiese sbigottito e a me fece un po’ ridere per quell’aria buffa di chi davvero non si è reso conto di nulla
« No, Jake. E non ti sto accusando di niente di male. Semplicemente tu hai continuato ad amarmi come il primo giorno in cui mi hai vista»
« E non è esattamente questo che ti fa fare l’imprinting? Quello vero? Quello che funziona, come dici tu? »
« Sì certo, ma non in circostanze come la nostra. Magari in quelle di Paul e Rachel. Ma noi non siamo stati come loro. Tu mi hai incontrata quando ero appena nata, Jake, e l’amore che hai provato per me durante i primi anni non è affatto quello che avrebbe dovuto durare per sempre. » ripresi fiato e cercai di spiegarmi meglio « Io ti adoro, Jake. E so che tu per me moriresti anche in questo momento. Ma non nel modo in cui dovrebbero adorarsi due ragazzi, due adulti, due … amanti » aggiunsi più a bassa voce e sentii le guance arrossarsi « Io non ti ho mai visto in quel modo, e sono sicura che sia stato per scelta tua. Ho visto cambiare con i miei occhi il modo di comportarsi di Quil nei confronti di Claire. Ad un certo punto lui ha smesso di essere il suo secondo padre, è andato oltre l’essere il suo migliore amico. Quil l’ha semplicemente desiderata come un uomo desidera una donna. Claire questo l’ha notato, l’avrà avvertito sicuramente, ed ha iniziato a vederlo anche sotto quell’aspetto. A noi tutto questo non è mai successo, Jake. E non succederà mai perché tu non l’hai voluto, e non lo vuoi ancora adesso »
Jacob abbassò per un secondo la testa « Ness, mi dispiace, io … »
« No, non ho finito » gli dissi sollevandogli il volto « Innanzitutto non scusarti, e non dispiacerti. Non te ne faccio una colpa, però mi preoccupa. Mi fa preoccupare per te, Jake. Io vorrei che tu fossi felice, vorrei che tu avessi la mia stessa possibilità di avere una vita felice e piena di amore. »
Mi fermai un secondo prima di continuare, sapevo che quello che stavo per aggiungere non era affatto normale, non era affatto giusto, e qualsiasi altra persona a questo mondo l’avrebbe considerato come deplorevole. Ma del resto, cosa c’era di giusto o normale nelle nostre esistenze?
« Io lo so che tu ami, Jacob. E credo di sapere anche chi ami. Qualcuno che hai sempre amato e che amerai per sempre. Una persona alla quale dedichi ogni battito del tuo cuore in cambio del suo, che di battiti non ne ha più »
Jacob quasi saltò sull’erba a quelle parole. Evidentemente anche lui non aveva capito quanto a fondo fosse andata la mia comprensione di tutta la commedia familiare. Ma potevo dirgli di più, e a quel punto non c’era più motivo che mi trattenessi
« Così come io so che in realtà sei ricambiato come mai dovrebbe accadere »
« Nessie ma cosa dici? Smettila immediatamente di … »
Fece per scostarsi da me, ma lo tirai a sedere con tutte le mie forze e lo incalzai
« Dico la verità Jacob! Dico tutto quello che voi pensate di poter nascondere in eterno, dico quello che voi pensate che non si possa mai capire, dico quello che voi fate finta di non vedere per mandare avanti questa commedia che diventa ogni giorno di più una tragedia! » avevo alzato la voce ma non mi importava, finalmente mi stavo liberando di tutto « Credi che mi sia piaciuto, un bel giorno, svegliarmi e capire che mia madre recitava anche lei la sua bella parte? Ed è stato un pugno nello stomaco ancor più forte capire che in realtà lei il problema non lo prendeva nemmeno in considerazione! Come se non esistesse! Perché non può accettare una cosa simile! E il momento più terrificante di tutti vuoi sapere qual è stato? » ripresi fiato soltanto un istante « E’ stato quando mi sono resa conto che ognuno di noi stava recitando una parte. Me compresa. Solo che la vostra parte era costruita tutta intorno a me, alla mia finta felicità, alla mia finta stabilità. Ma sai cosa c’è, Jake? Mi sono resa conto che anch’io non ho fatto altro che recitare la mia parte negli ultimi anni e l’ho fatto a mia volta per voi, in un circolo vizioso e malato senza fine. Perché era sbagliato che non riuscissi a rispondere all’imprinting come avrei dovuto. Ma non ci riuscirò mai a far funzionare questa cosa e l’ho capito proprio grazie a te. Tu, con il tuo amore per qualcuna che non fossi io, mi hai fatto capire che era lo stesso motivo per cui io non riuscissi ad amare te in quel modo » stavolta presi un respiro più profondo di ogni altro, perché era la prima volta che stavo per ammettere ad alta voce quel pensiero « Perché anch’io amo qualcun altro a quel modo »



…. Has a silver lining”






Ogni cosa andava al suo posto.
Come un puzzle che andava componendosi, ritrovando ogni volta il suo pezzo mancante. Bastava che i miei occhi si posassero su di lei e magicamente ogni cosa trovava un senso. Bastava che la sua voce chiara e forte carezzasse le mie orecchie e il mio animo si rasserenava.
Bastava la sua presenza al mio fianco ed io mi sentivo giusto.
Ogni cosa andava al suo posto.
Perfino le volte in cui mi toccava e mi permetteva di vedere i suoi pensieri mi facevano sentire normale, in una situazione in cui nulla era o sarebbe mai stato tale.
Specialmente noi due.
Certo, nella nostra grande famiglia – tra vampiri e licantropi – eravamo avvolti dal sovrannaturale, ma noi … beh noi eravamo diversi. Diversi da tutti, diversi da tutto, diversi dal conosciuto … noi eravamo l’imprevisto, l’eccezione. Noi eravamo quelli strani perfino tra i mostri.
Eppure, lo eravamo insieme.
Prima di lei mi ero sempre sentito fuori posto in qualsiasi circostanza, arrivando ad emarginarmi da solo. Nessuno al mondo avrebbe potuto comprendermi, perché nessuno al mondo era privato dell'ancestrale certezza e consapevolezza di appartenere ad una razza, ad una specie.
Ma io? Cos’ero io?
Ero un vampiro?
In parte.
Ero un essere umano?
In parte.
Quante volte da bambino mi ero chiesto quale delle due parti fosse predominante. Mi auguravo così tanto che ci fosse, pregavo ogni notte tutte le divinità conosciute nella storia dell’umanità che il giorno successivo mi sarei svegliato ed avrei saputo cos’ero un po’ di più.
Non che amassi le restrizioni, ma avrei venduto perfino l’anima al diavolo per essere inserito in uno schema, in una categoria, per potermi appoggiare a qualche punto di riferimento durante la mia crescita.
Invece così non era stato, le mie preghiere erano state tutte vane, e la mia adolescenza – la mia prima vera adolescenza dovrei dire, quella in cui avevo davvero quindici anni e non solo nell’aspetto – era trascorsa ancor più traumatica che per chiunque abbia mai calpestato questo mondo.
Poi un giorno avevo conosciuto lei.
Era solo una bambina durante la battaglia che mi condusse a Forks per salvare la vita a lei e alla sua strana famiglia. Eppure già da allora calamitò la mia totale attenzione.
Il mio mondo, la mia esistenza, furono squarciati come da un fulmine. La sua sola esistenza significava che io non ero così solo a questo mondo.
Feci il mio dovere quel giorno, testimoniai, e in qualche modo riuscimmo ad aiutare i Cullen e i loro alleati licantropi. Dopo pochissimo tempo però ripartii. L’esistenza di Renesmee mi spinse per il mondo a cercare altri come noi. Ne trovai solo altri due.
Inspiegabilmente non riuscii mai a dimenticarmi di lei durante il mio peregrinare, così senza averlo nemmeno deciso, un giorno feci ritorno a Forks.
Tutti mi accolsero come se avessero ritrovato un fratello, o un figlio, ma quando i miei occhi si posarono su Renesmee capii che la mia intera ed eterna esistenza avrebbe avuto senso solo al suo fianco. Era cresciuta, sembrava avere la mia età. La sua pelle perfetta era identica alla mia, la sua grazia era specchio della mia, ma soprattutto, ciò che le leggevo negli occhi era la metà della mia anima.
Ogni volta che Renesmee mi era vicina, ogni volta che mi parlava, ogni volta che rideva, ogni volta che mi sfiorava, ogni volta che semplicemente la sua presenza era nelle mie vicinanze…
Ogni cosa andava al suo posto.
Fu, quindi, la cosa più naturale del mondo che io mi stabilissi a non molta distanza dalla dimora dei Cullen. Loro mi aiutarono a costruire la mia piccola e modesta casetta, con l’aiuto dei licantropi.
Già, i licantropi … seppi fin da subito dell’antica magia che legava Renesmee al ragazzo lupo – il quale imparai a conoscere con il tempo.
Non perché qualcuno me ne avesse parlato, ma perchè quel tipo di cose – per chi come me aveva trascorso tutta la vita in un luogo ed in un popolo che vive di riti, magie, e culti – mi veniva naturale riconoscerle da subito. Avvertivo la potenza del loro legame perfino sulla pelle, come se avessero un sottilissimo campo magnetico attorno a loro. Non nego che all’inizio fu davvero complicato trovare un equilibrio con Jacob, però con il tempo le cose si sistemarono da sole. Anche se la verità era che io sapevo  perché tutto fosse andato a posto così semplicemente.
Da quando mi trasferii gli anni cominciarono a passare per me in maniera diversa. Vivevo le mie giornate in funzione di Renesmee, avido di ciò che ogni nuovo sorgere del sole mi avrebbe donato accanto a lei, accanto all’unica che poteva comprendermi.
Anche Renesmee trovò in me il suo porto sicuro. Spesso mi aveva concesso di poter vedere con i suoi occhi quanto fossimo simili, quanto fossimo naturalmente in sincronia, quanto avesse aspettato qualcuno che potesse capire i suoi stessi tormenti segreti, quanto avesse sofferto nel sentirsi diversa tra i diversi prima di me.
Noi eravamo uguali.
Per la prima volta nelle nostre esistenze vivevamo sentendoci come qualcun altro. L’uno il punto di riferimento dell’altro, l’uno il porto sicuro dell’altro, l’uno il proprio posto nel mondo dell’altro.
Era stato inevitabile per noi avvicinarci sempre di più.
Era stato splendidamente inevitabile per me innamorarmi di Renesmee Carlie Cullen.
Era stato – e continuava ad esserlo ogni giorno – magnificamente inevitabile per me votarle tutta la mia esistenza.
E tutto il mio amore nei suoi confronti risultava palese a chiunque. Lo era sempre stato. Per questo una volta un membro del branco provò a “mettermi in guardia”, provò a farmi realizzare che lei non sarebbe mai stata mia, perché la previdenza dell’imprinting non era a me che l’aveva destinata.
Oh, ma io non me ne curai.
Loro non sapevano. Loro non avrebbero mai potuto sapere. Non avrebbero mai potuto immaginare. Non avrebbero mai potuto comprendere.
Nessuno al mondo avrebbe mai potuto neanche lontanamente avvicinarsi al nostro mondo.
Tutti erano troppo impegnati a voler vedere soltanto il loro di mondo. Un mondo in cui – capii con il tempo – tutto sembrava perfetto, in cui tutti volevano che tutto fosse perfetto, in cui nessuno guardava oltre il proprio naso.
Io avrei continuato ad amare Renesmee anche se non avessi visto la realtà dei fatti e avessi continuato a fingere che la loro esistenza fosse perfetta.
Ma in più c’era il fatto che io avevo visto, che io avevo compreso.
Lo avevo capito da subito che tutta quella perfezione era in realtà piena di crepe. Lo avevo sentito immediatamente sotto la pelle che in realtà la crepa era una sola, gigantesca, profondissima, impossibile da rimarginare.
Era la crepa devastante che solo un amore eterno, impossibile ed assoluto poteva creare.
Avevo avvertito immediatamente l’amore che sia Jacob che Isabella si ostinavano a voler nascondere.
Lo avevo sentito fin sotto la pelle, ancor più forte dell’imprinting tra Jacob e Renesmee.
Lo avevo capito da subito, ancor prima che la stessa Nessie se ne accorgesse. Ancor prima che essa stessa me lo mostrasse un pomeriggio nei suoi pensieri, piena di timore per un mio giudizio.
Eppure, perfino in quel momento così apparentemente sbagliato, ogni cosa mi era parsa giusta e naturale.
La sua presenza al mio fianco era naturale, tutto il resto per me erano soltanto conseguenze.
Perfino in quel momento avvertii che …
Ogni cosa andava al suo posto.
Ed io, d’altro canto, avevo sempre mantenuto il mio di posto. Non avevo mai messo Renesmee in situazioni spiacevoli, non l’avevo mai spinta a dubitare della sicurezza che poteva donarle l’imprinting di Jacob. Mi ero limitato a farle sentire ogni giorno, in ogni momento, in ogni istante, la mia presenza. E tanto era bastato.
Tanto era bastato alla mia creatura dall’intelligenza ammirevole. Tanto le era bastato perché capisse anche lei quanto il suo imprinting fosse diverso dagli altri; quanto – ancora una volta – tutta la sua situazione familiare fosse singolare e diversa.
Diversa come si era sempre sentita lei … fin quando non aveva avuto me.


Per questo avevo capito che fosse solo questione di tempo, qualche mese prima.
Per tutto questo non mi stupivo in quel momento di vederla ondeggiare aggraziata nell’erba antistante casa mia, con una luce diversa in quegli splendidi occhi cioccolato.
Quanto avevo aspettato questo momento.
Il mio cuore iniziò a galoppare forte come mai aveva fatto in oltre cento anni alla vista di quello sguardo finalmente sereno, finalmente consapevole e libero.
Veniva verso di me con fare incerto ed imbarazzato nella luce calda del tramonto che donava ai suoi boccoli ramati uno splendore ancor più incantevole.
Ogni cosa andava al suo posto.
Inciampò lievemente in un sassolino e le sue guance si colorarono appena di uno splendido rossore – che la fece somigliare inspiegabilmente ad Isabella – , sulle sue labbra piene e rosse si dischiuse appena un sorriso sghembo, e fu lo specchio di suo padre. Poi sollevò gli occhi nei miei, leggermente imbarazzata, e fu nessun’altro che se stessa.
Le andai incontro a passi decisi, ostentando una sicurezza che in realtà non avevo e pregando che le mie gambe tremanti d’emozione mi reggessero il gioco fino in fondo.
Quello era il mio momento, quello era il nostro momento.
La raggiunsi e nessuno dei due fiatò. Lei semplicemente mi sorrise e fu solo nel momento in cui pensai di farlo anch’io che mi resi conto che in realtà ero già sorridente.
« Nahuel » sussurrò semplicemente.
Le passai le dita tra quei boccoli lucenti, caldi ed intensi come il tramonto alle sue spalle e le sue guance si colorarono ancora. Carezzai con un dito quella pelle di seta il più lentamente possibile. Volevo che quel momento potesse durare in eterno.
« Renesmee » sussurrai altrettanto semplicemente in risposta.
Poi non ci furono più parole. Non ci furono più tempo, spazio o storia che potessero contenere il nostro amore. Le mie labbra impazienti si posarono delicatamente sulle sue, tremanti.
Naturalmente combacianti.
Naturalmente emozionate.
Naturalmente ed inevitabilmente perfette.
Naturalmente destinate ad essere.
Ed ancora una volta, in quel momento e per l’eternità …
Ogni cosa andava al suo posto.
   
 
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