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Autore: minimelania    27/05/2011    6 recensioni
Quando la notte scivola sui muri e le cortine di damasco del letto, niente è più al sicuro, neppure la più ferma virtù. E se a decidere di infrangere la strana tregua esiziale è il sogno proibito dell'uomo più casto, non c'è delitto che non possa avvenire. Non c'è virtù che non si possa perdere. Non c'è ossessione che non possa avverarsi.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*


< Nec diu nec noctu
licet
Iudices quiescant >



*


1.



Non era mai stato così vicino a credere a un sogno. Di solito i sogni non lo interessavano, eppure, in quel momento, lei sembrava reale.
- Sei un sogno?
- Secondo te?
Si fece ancora più vicina. Emergeva fresca e splendente dal fondo scuro della stanza illuminata solo da un debole tepore di luna.
- Sei proprio tu? - deglutì, piano, il Giudice. Aveva la gola secca.
- Secondo te?
Si avvicinò, sorridendo del sorriso vago e maligno che hanno le statue. Era bellissima.
- Secondo te?
Un dito le scivolò pian piano dal bordo di mogano del letto alle prime cortine. Poi la coperta, tracciò disegni sul ricamo, si fermò un istante sopra un fiore rosso. Al Giudice venne fatto di pensare che - se era un sogno - lui voleva che continuasse in eterno.
Il dito lieve, un poco abbronzato, dall'unghia liscia come una perla appena nata scorse il pesante strato di stoffa fino al monticello che nascondeva il piede di lui. Si insinuò piano sotto le coperte, fece il solletico.
- Allora? Credi ancora che io sia un sogno?
A lui venne voglia di ridere. Di ridere come forse non faceva da decenni. Inarcò la schiena, rapito da quell'assurda e potentissima sensazione di piacere.
- Che cosa sei venuta a fare? Cosa vuoi?
Lei all'istante arrestò il dito sull'incavo del piede. Mise il broncio.
- Cos'è, non mi vuoi?
Lui stava ancora ridacchiando, piano.
- No. Ti voglio, eccome.
- Ah, bene, ecco.
- Continua, per favore.
Lei ci pensò.
- Non so se voglio.
- Te ne prego.
- Che cosa? Non ho sentito. Di' più forte.
- Te ne prego.
Lei fece un sorrisetto soddisfatto. Ricominciò a fargli il solletico.
- Meglio.
La mano salì appena, alla caviglia. Lui avvertì che scostava la stoffa laddove era la camicia da notte. Sentì un brivido, non per il freddo - pure era freddo, e lei stava così - ma perché quel tocco era il primo, di una donna, da tanti anni in quello strano posto. Gli venne di nuovo da ridere.
- Che cosa fai? Sei impazzito? - chiese lei.
Lui smise subito.
- Perdonami.
- Bravo.
Il dito salì ancora, alle ginocchia. Quando incontrò la pelle più tenue nell'incavo del ginocchio, il Giudice esalò una specie di brivido. Nessuno mai, nessuno mai gli aveva accarezzato un ginocchio in quel modo.
- Certo che sei proprio strano.
Ma stavolta rideva anche lei.
Era bella, bellissima come un mattino di sole pieno. Aveva ancora la vesticciola lacera che le avevano messo quando era entrata in carcere, dopo che lui l'aveva salvata perché lei aveva scelto lui, alla fine. E poi tutto era stato così veloce, lei che non vuole neanche guardarlo, che lo odia, gli sputa in faccia, in carrozza. Umiliazione. Questa parola bruciava ancora tantissimo tra le pallide labbra del Giudice. Per questo non l'aveva più voluta, per questo avrebbe lasciato che marcisse nonostante le tenebre e il freddo della cella fossero quasi una tortura per lui quanto dovevano esserlo per lei. Avevano dormito già quasi un mese intero sotto lo stesso tetto, al Palazzo. Lui annidato nelle sue corpete di ombra, morbide, opache, a tormentarsi sognandola dentro il segreto guscio delle cortine. Lei in una cella, a morire di freddo. Sperando anzi di morire prima che piegarsi alle lusinghe di lui.
- Perché adesso sei venuta? - le chiese, in un soffio. Ma sapeva che non avrebbe risposto, quella zingara  imprevedibile. Stava per chiederle come aveva fatto a liberarsi dalle segrete, ma lei, con la punta del suo dito diabolico, era arrivata all'interno della coscia,  aveva  allargato la palma, e ora aderiva con la mano alla carne.
- Ti sta piacendo? - chiese lei, chinandosi come in un soffio sulle coperte. Il seno tiepido e i fianchi generosi, la pelle morbida e la cascata disordinata dei capelli, tutto a non più di qualche centimetro da lui, dalla sua bocca.
Lui pensava di poter sopportare quasi tutto, ma non il suo alito di zafferano. Mosse una mano, impcercettibilmente. Cercò di toccarla, ma lei rise.
- No, no, no, no - sussurrò roca, assestandogli una minuscola pacca sul naso, come si fa coi cani disubbedienti - No, no, no, no. Sono io, qui, che faccio le Regole. Sempre se vuoi giocare, ovviamente.
Lui chiuse gli occhi. Non sapeva come, ma la mano di lei adesso era magicamente scivolata sul suo petto, aveva disfatto i lacci della camicia, si era insinuata tra le pieghe della tela ... non aveva mai provato niente di simile. E credeva di non poterlo provare. E invece lei, abbondante, meravigliosa, china sopra il suo petto cominciava a stampigliargli minuscole miriadi di baci praticamente dovunque. Alla base del collo, vicino all'orecchio, sulle spalle ...
- Esmeralda. Ti prego.
Un sussurro. Un mugolio pietoso, ovviamente. Niente a che fare con la voce dura che gli usciva dal petto ogni giorno. In quel momento lui non era niente, cera liquida tra lei sue mani. Un bambolotto che poteva essere distrutto in un attimo.
- Esmeralda ...
- Che cosa?
Lei, ridendo, gli scivolò accanto, nel letto. Come pervase da un istinto di vita che non poteva che essere inumano, la stoffe sovrapposte, i vecchi lini inamidati, il broccato rigido divvennero come di panna. Panna freschissima e incredebilmente morbida, panna in cui tuffare le labbra e morire.
- Oh ...
Ma non fece in tempo a dire altro, perché lei era a cavalcioni su di lui.
- Oh? - rise piano - Non mi dire che è tutto quel che ti viene in mente ...
Glie lo aveva soffiato in un orecchio, con la sua voce atroce di colomba, mentre con dita lente e torturatrici giocava con gli ultimi legacci che trattenevano la virtù di lui.
- Non dirmi che è tutto qui quello che sai dire. Tu facevo più loquace, amore mio.
Quello era troppo. Amore mio? D'istinto le sue mani si mossero. Non riusciva più a stare fermo, anche se muoversi, forse, equivaleva a far scivolare via per sempre quel sogno. Ma lo strazio era troppo. Doveva, doveva correre quel rischio.
- Amore mio - ripetè lei, in un sussurro, mentre le labbra rosse di ciliegia scendevano piano dalla sua gola al petto, e dal petto poi all'ombelico ... ma poi, prima di scendere oltre, si fermarono. Con una mana gli accarezzò la curva che dalle costole scende alla pancia. Lui, mugolò, pianissimo, a occhi chiusi.
- Amore mio ... amore ... ti prego ...
Lei rise, di una rista come mille sonagli d'oro.
- Ti piace?
- Oh, santo cielo, amore mio, amore mio ...
- Ti piace sì o no?
- Mia adorata, mia piccola, splendida ...
- Allora? Non ti ho chiesto come mi chiamo. Ti ho chiesto se ti piace.
Lui aprì piano gli occhi. Talmente accaldato e fremente che un battito, un battito di ciglia qualunque avrebbe potuto farlo impazzire.
- Mi stai facendo morire - sussurrò, roco.
Lei lo fisso, un istante, coi suoi occhi immensi e vellutati di cerbiatta.
- Benissimo - scoppiò a ridere - Proprio quello che speravo di ottenre.
Poi si alzò, come se niente fosse stato. I piedi nudi sfiorarono di nuovo il pavimento.
- Buona notte - disse avviandosi, leggera, verso la porta.
- Eh? Che cosa?
Anche lui si tirò su a sedere.
- Esmeralda, dove vai ... ma cosa?
Stava mettendo fuori un piede anche lui. Ma lei lo trattenne con uno sguardo. Uno sguardo tremendamente reale.
- Non farlo. Non farlo oppure romperai l'incanto. Non tornerò più, se tocchi terra.
- Che cosa devo fare? - chiese lui, annichilito. Il desiderio di prenderla, rincorrerla, trascinarla sul letto lo stava letteralmente soverchiando. Come poteva quella splendida gitana, quella regina maledetta, quella bambina pretendere di torturarlo in quel modo ... ma poi pensò a che cosa aveva appena detto.
- Ritornerai? - chiese con un filo di voce.
Lei si portò un dito alla bocca in un'atroce, paradisiaca pantomima di indecisione. Poi rise, rise di nuovo.
La porta si richiuse in un soffio, prima che il Giudice potesse capire se era stato solo un sogno o no, a visitarlo.  



*



<Angolo Autrice: carissimi, un piccolo divertissement che avevo scritto qualche tempo fa e che per caso mi è ricomparso davanti questa sera ... i personaggi sono sempre i soliti, le situazioni mutano. Stavolta mi sono chiesta cosa accadrebbe se Esmeralda, prigioniera a Palazzo del Giudice, decidesse di aprire con lui una sorta di danza notturna d'incerto esito. Una danza per fuggire o decidere che cosa fare di una strana ossessione che ha incominciato a impadronirsi di lei ...  Spero di poter scrivere presto il secondo capitolo, comunque non sarà una cosa troppo lunga, non temete. Nel frattempo, come al solito, vi abbraccio, sempre vostra Minimelania <3 >
  
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