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Autore: AmberRei    30/05/2011    1 recensioni
Scritto per la community di Livejournal "syllables of time". Prompt: "verrà la notte e avrà i tuoi occhi".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Giotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio.
Due occhi dalle iridi rosso sangue si spalancarono nel buio. Cozart si guardò intorno. Una luna araba era alta nel cielo, inquietante e mortifera falce che rischiarava il paesaggio notturno e la stanza. Le sue pupille a rosa dei venti vagavano, esplorando la camera in ogni suo angolo, con calma e attenzione.
Era tutto troppo barocco, complicato, pesante. Drappi che scendevano, merlettature, intarsi, affreschi, colonnine, capitelli, tutto così inutile, superfluo, inopportuno, fastidioso.
Si voltò a guardare accanto a sè: Giotto che dormiva, pacifico, il viso disteso-chissà se sognava, chissà cosa sognava, chissà chi sognava. La semplicità del rosa uniforme della sua carne urlava che quella era la perfezione, quella la vera bellezza. E sarebbe stato ugualmente magnifico giacendo in un letto di paglia, o di spine. Tutte quelle complicazioni forse pesavano soltanto, su quel piccolo corpo fragile.
...un letto di spine... non era forse un letto di spine, quello in cui giaceva Giotto ogni giorno? Si impietosì al pensiero, e passò delicatamente una mano sulla sua fronte, scoprendola dai folti capelli biondi. Che strada difficile, quella del Vongola Primo. Una strada a cui lui stesso lo aveva avviato. Eppure, con che splendore la percorreva.
Splendore, luce, abbaglio. Giotto era una stella maestosa che splendeva su tutto. Tanta luce, tanta da far scoppiare gli occhi e il cuore. Quella luce l'aveva riconosciuta il giorno stesso in cui si erano incontrati, ed aveva iniziato a seguirla. Era come nelle vecchie storie della Bibbia che ricordava, in cui i Re Magi seguivano la cometa che li avrebbe condotti al messia... era Giotto forse il suo messia? Non lo sapeva. Certo era che viveva in funzione di quella luce, ma allo stesso tempo più di una volta era stato lui a prendere l'altro per la mano, ed a fargli da guida. Quegli occhi così luminosi, così splendenti, spesso si erano rivolti a lui con sguardo spento, interrogativo, spaventato, persi nella confusione, incapaci a trovare il loro punto focale. E lui, anche quando era spaventato o frustrato tanto e più di lui, anche quando era disperato, anche quando aveva lui stesso bisogno di qualcuno che gli indicasse la via, aveva messo insieme una forza a volte sovrumana, per sorridere e condurlo con sè, dandogli fiducia e sostegno. Aveva sempre fatto del suo meglio per rappresentare un punto fermo, un riferimento... fino a quando non era stato sicuro che Giotto di lui non avesse più alcun bisogno.
Si era sentito inutile, solo, mentre Giotto splendeva sempre più, e così tanto da diventare accecante. Un cielo estivo, azzurro, da cartolina, nella cui luce tutto è nitido e chiaro. Una risposta senza più domande. Cozart, passando lentamente e dolcemente dalla frustrazione all'accettazione di quel cambiamento, aveva deciso di andare via.


Anche se la Terra implodesse, divenisse sterile, svanisse in un punto nel nulla, o in un buco nero, il cielo splenderebbe ugualmente.


Non dovrebbe forse essere una cosa bella? Una cosa da desiderare? Ma forse la paura di essere sostituito, dimenticato, nel suo sottile egoismo, era stata più forte della gioia di vedere l'altro spiegare le sue maestose ali, finalmente pronto a spiccare un volo solitario.

Così, era andato via.

Ah, ma la gravità, la gravità. Era bastato un foglio di carta a farlo tornare, a fargli rischiare tutto, a fargli mettere tutto in gioco. La sua esistenza, i suoi compagni, tutto. Avrebbe fatto di tutto per lui. Dare la vita, la libertà. E lo aveva fatto davvero.

Aveva giurato.

E dopo il giuramento aveva voltato le spalle ed era andato via; con passi di piombo aveva percorso la strada che portava alla nave, con i suoi compagni, pronto a separarsi per sempre da lui, per sempre, sempre, sempre... un'angoscia che cresceva, per inglobarlo, distruggerlo. Un vuoto in mezzo al petto che aumentava sempre di più, un buio che lo avvolgeva. La notte, inevitabile... l'assenza dell'altro, inaccettabile, contro natura.


Ma, senza te, io non ho respiro.


Era stato separato da Giotto per anni, ma il sapere di poterlo un giorno incontrare era cosa ben diversa dal dover stare lontano da lui in eterno, nascondendo all'universo la sua esistenza, senza poterlo mai più vedere. Mai più, mai più... la sola idea lo faceva ammattire. Non riusciva a tollerare di non saper più nulla di Giotto, di essere così distante da lui, specie avendolo lasciato in balia di quella serpe velenosa, che avrebbe potuto baciargli il collo da un momento all'altro.


E' il calare della notte, è un'oscurità che mi toglie la vista, è un ghiaccio che mi penetra fino alle ossa.


Una volta aveva perfino ipotizzato di dimenticarlo, per poi scoppiare a ridere da solo all'assurdità di quel pensiero. L'azione successiva era stata armare una piccola nave, e avviarsi verso l'Italia.
Nulla gli rimase impresso del viaggio, che fu lungo, eterno, e caratterizzato da una totale assenza di pensiero ed emozioni. Assente, solo, lo sguardo perso nel vuoto. Il cuore in cancrena.
Quando finalmente giunse in Italia, avvolto in un mantello che avrebbe dovuto celare la sua identità, provò un senso di smarrimento. Era finalmente a casa, ma non per ritornarci. Si chiedeva che senso avesse tutto ciò.
Era un povero Ulisse appena tornato da Itaca, dalla sua Penelope... ma non poteva strapparsi il mantello di dosso e scacciar via i suoi nemici. Poteva solo pregare che lei fosse sempre al sicuro, e che le sue mani non si ferissero nel loro continuo tessere e sfilare la tela.

Era giunto al maniero, senza capire come. Aveva brancolato in un buio troppo profondo, in un silenzio troppo cupo.
Baciato dal sole intenso del meriggio che disegnava sul suo viso nuove ombre e nuove luci, Giotto si godeva un rarissimo momento di riposo, lontano dagli altri, sereno... fin quando, scorgendo l'uomo avvolto in quel mantello, aveva dipinto sorpresa e sospetto sul suo volto. Poi, in un momento, aveva riconosciuto l'andatura del suo compagno di sempre, ed era corso tra le sue braccia, senza temere nulla al mondo e senza alcun dubbio.

Senza parole.


E' l'alba che rischiara.


Solo in quel momento a Cozart sembrò di riprendere coscienza e vita. La luce aveva ripreso a illuminargli il volto, gli occhi e il cuore. Il calore dell'altro era il suo unico sole. Le labbra gli si schiusero in un sorriso radioso, sereno, che filtrava fino agli occhi lucidi, scintillanti, sciogliendosi in lacrime calde e dolci che gli bagnavano il viso irradiato di felicità. Il cuore gli esplodeva in petto.


E' questo cielo a darmi la vita.


...il calore di carne e sangue dell'altro, lo splendore di quegli occhi, fiamma viva e tenera che riscaldava il buio di quella stanza, e che mentre lui si perdeva in memorie e riflessioni si erano schiusi e risvegliati, erano la sua ragione di vita. Era felice solo in sua presenza, solo al suo pensiero, solo in suo ricordo. viveva per quei ritorni, ormai, sempre più desiderati.

In quel momento, forse per l'irrealtà della scena, forse per l'oscurità, chissà per cosa...?

Cozart realizzò improvvisamente, o forse meglio dire ricordò, che nulla è per sempre.

La morte, temuta falce, avrebbe fatto suoi quei capelli, quegli occhi, quel viso, quella bocca, quel cuore, quella luce, quel calore.

Li avrebbe fatti suoi, prima o dopo, che lo volesse o no.




Cosa avrebbe fatto lui, allora...?



Cremisi fuso nell'ambra, occhi attenti e meditabondi negli occhi luminosi e vivi, si ritrovarono a guardarsi, sospesi come in un fremito, nella notte di luna.

Cozart aveva il fiato sospeso, ed era immobile, quasi terrorizzato: un sottile filo di panico si era avvolto attorno alla sua gola e alla sua lingua, un lieve velo di sudore freddo gli copriva la pelle. Aveva paura di infrangere, quasi fosse stato uno specchio troppo sottile, quell'incanto, con un qualsiasi suo gesto.


"Cozart?" domandò una voce dolce e chiara.


L'altro rispose con un impercettibile movimento della testa, sorpreso e attonito, continuando a fissare come incantato il compagno.


Giotto sorrise con tutto il suo amore, senza aggiungere altro, in un modo che non richiedeva ulteriori parole.


Cozart si sentì stringere improvvisamente il cuore in una fitta insopportabile, e affondò la testa nel petto di Giotto.


Forse la lontananza lo avrebbe aiutato a distaccarsi lentamente, a dimenticarlo lentamente, ad accettare lentamente che un giorno sarebbe stato davvero un addio per sempre?...


...quel calore diceva di no.


Fermerei questa Terra, per far sì che il tuo giorno non abbia fine.
  
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