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Autore: Luce Lawliet    30/05/2011    16 recensioni
Il mio nome è Lyanne Stoinich e questa è la mia storia.
A sedici anni sono stata rinchiusa in un istituto, con altri pazienti, molto...speciali.
Già, perchè il Wammy's Hospital è un luogo molto particolare, decisamente non adatto a voi se non sapete sopportarne la tensione.
Il Wammy's Hospital è un Ospedale psichiatrico.
Genere: Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Beyond Birthday, Mello, Misa Amane, Near, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                 The Wammy's Hospital.

                                                     
                                                                                                1.
              
                                                                       Reparto numero 7. Lettera L.

 
 
 
 
Che cosa ci faccio, qui?
Una delle domande più scontate e risentite del mondo, a mio parere.
Dove mi trovo?
Cosa sta succedendo?
Perchè non riesco a muovermi?
A chi appartenevano questi volti sconosciuti e seminascosti da strane maschere bianche, che mi guardavano, sotto il bagliore di un enorme cerchio di luce bianco, accecante, che mi induceva a stringere con forza le palpebre dal fastidio, per poi chiuderle nuovamente?
Riaprii gli occhi, quando sentii uno di loro spostare appena il cerchio di luce.
No, non era un cerchio, ma una semplice lampada piatta, una di quelle che si vedono comunemente negli studi dentistici.

Tuttavia, mi dava ancora fastidio.

Feci per alzare un braccio e mettermelo davanti al viso, ma avvertii istantaneamente qualcosa serrarmi il polso. Ruotai appena la mano e sentii il fruscio della stoffa spessa e ruvida graffiarmi la pelle, mentre i lacci ai quali le mie braccia erano strette bloccavano qualsiasi mio tentativo di muovermi.
Allora ruotai la testa alla mia destra, lanciando uno stanco mugolio.

Notte o mattina?

Non riuscivo a capirlo; il luogo in cui mi trovavo era buio. Troppo.

Sapevo di essere sdraiata, sicuramente. Su un letto piuttosto scomodo, oltretutto.
Ero agitata, percepivo la paura farsi strada nella parte conscia del mio cervello, eppure il mio petto si alzava e si abbassava con preoccupante tranquillità.

Oh, no.
Poteva voler dire solo una cosa.
Le persone sopra di me dovevano essere medici.
Mi avevano somministrato qualcosa, un sedativo.
Ma perchè l'hanno fatto...?, pensai.
Voltai di scatto la testa. Perchè ero lì?

<< Perchè?!?>>, urlai inaspettatamente, cercando di alzarmi. Una delle persone mascherate mi appoggiò una mano sulla fronte. Che tocco sgradevole. Riconobbi la consistenza asciutta e sfregante del lattice sulla mia pelle, l'odore di guanti nuovi, monouso.

<< Shhh, tranquilla>>, fu tutto ciò che le mie orecchie udirono.

Di nuovo silenzio.
Tranquilla...? Cos'è, cercava di fare dello spirito?
Se ne avessi avuto la forza avrei ribattuto, ma la cosa che più bramavo in quel momento era lasciarmi andare in un sonno, dimenticandomi questi sconosciuti e il motivo per cui ero lì.

<< Sai dirci il tuo nome?>>.
Un'altra voce, più lontana, più severa. Le mie orecchie la udirono appena. Le mie palpabre non rispondevano più ai comandi.
Ed ecco che avvertii nuovamente quella mano pesante e massiccia, sicuramente maschile, su di me. << Ricordi come ti chiami?>>, ripetè la voce, più dolcemente stavolta.

<< Lyanne Stoinich>>, riuscii a dire, prima di perdere i sensi.
 
 




Erano passati tre giorni, ormai.

Troppo pochi perchè si decidessero a spiegarmi una volta per tutte cosa stesse succedendo, troppi per pensare di poter restare ancora.
Quel luogo dalle pareti di cemento, dalle finestre inferriate, dai letti provvisti di lacci, dai dieci infermieri che avevo visto passeggiare ogni ora per il corridoio, dai pasti completamente privi di carboidrati o altre sostanze in grado di non farti sentire costantemente fiacca...quel luogo dalle urla laceranti che si facevano strada fra le pareti dei piani superiori, giungendo fino a me, era un Ospedale psichiatrico.

In quei tre giorni non mi avevano fatta uscire dalla mia stanza neanche una volta. Era una precauzione, avevano bisogno di controllare che non fossi un soggetto violento o autolesionista. Così mi aveva spiegato un infermiere, senza aggiungere altro.

Tuttavia, oggi era diverso.
Lo notai, in primo luogo, quando fu il dottor Yagami ad aprire la porta della mia stanza, non quel dannato infermiere di cui non conoscevo il nome e neanche mi importava saperlo.
Abbassai lo sguardo, mentre l'illustre medico varcava l'ingresso e si sedeva sul letto, di fianco a me. Il pavimento, un regolare ammasso di piastrelle rettangolari e quadrate, ormai usurate e scheggiate, consumate dal tempo, non era luminoso, ma perlomeno, era pulito.
L'unica finestrella della mia stanza, protetta da sottili sbarre d'acciaio, guidava la vista verso l'esterno, ovvero verso quella che sembrava un'estesa foresta. Non ero sicura di cosa ci fosse oltre, dato che riuscivo a scorgere solo le fitte cime verdi dei cipressi. Nessuna strada, nessun'abitazione.

Era l'eco di una parte del mondo priva di vera civiltà, abbandonata al suo destino da Dio.

Cercai di non spostare l'attenzione dalle irregolarità delle piastrelle, quando in qualche punto indefinito al fondo del corridoio, nasceva un urlo smorzato e rabbioso, che mi fece deglutire. Forse il dottore se ne accorse.
Gli lanciai un'occhiata in tralice.
Indossava un lungo camice bianco e stringeva nella mano sinistra una cartella medica. Probabilmente la mia. Il problema nasceva dal semplice quanto trascurabile fatto che io non fossi malata.

<< Come stai oggi, Lyanne?>>.
Non c'era asprezza, nella sua voce. Non ce n'era mai. In un certo senso, qualcosa nel suo timbro, forse il silenzio fra le sillabe, o forse la prudenza con cui costruiva perfino le frasi più semplici, mi ricordava mio padre.

<< Sto come ieri, signore. E il giorno prima.>>, risposi atona. Non c'era motivo di reagire male con quell'uomo e anche se avessi voluto farlo, non ci sarei comunque riuscita. Lui sorrise e segnò un appunto sulla cartellina.

<< Con questo intendevo dire che mi sento bene!>>, mi affrettai a spiegare, temendo che fraintendesse. Ma lui sorrise stancamente, per poi sottolineare qualcosa. Gettai uno sguardo alla matita. Nuovissima, gommina sulla punta ancora inutilizzata, mina perfettamente appuntita.
Forse troppo.
Per un attimo mi interrogai a cosa sarebbe potuto succedere se uno dei pazienti dell'Ospedale gliela avesse strappata dalle mani con la forza e usata contro di lui; avrebbe potuto essere un efficace strumento di morte.
Poco ortodosso, certo. Ma efficace.
Il dottore seguì il mio sguardo e abbassò la cartellina. << Sono solo normali appunti. Cerco di costruirmi un tuo profilo psicologico>>.

<< Per studiarmi?>>, obiettai, riabbassando lo sguardo.

<< No, per conoscerti meglio>>.

Mi passai lentamente una mano fra i capelli. Da quel che ricordavo, possedevo una massa non indifferente di ricci rossi, soffici e lunghi quasi fino ai fianchi. Ora percepivo la stopposità e i nodi che si erano formati, mentre sulle punte, il colore sembrava quasi sbiadito.

<< Senta>>, iniziai a dire. << sono tre giorni che sono chiusa qui dentro. Mi sento benissimo, non ho ragione per stare qui, per favore mi faccia uscire>>.

<< D'accordo>>, rispose, lasciandomi basita.

<< Posso andare? Davvero?>>.
Il dottore sospirò, per poi alzarsi lentamente. << Non vedo perchè no>>. Mi porse la mano per farmi alzare. << Sei una ragazza tranquilla ed educata. Credo sia giunto il momento di farti uscire. Manderò un'infermiera a guidarti per mostrarti l'Ospedale; ti farà vedere dove sono le docce dello spogliatoio femminile e la Mensa Comune>>.

Aggrottai la fronte. La sua mano stringeva ancora la mia.

<< Non mi sembra giusto tenerti sempre confinata in questa stanza>>, sorrise. Mi adombrai; ecco cosa intendeva dire: uscire dalla stanza. Io non volevo uscire dalla stanza, ma dall'istituto!
Chi diavolo erano quelle persone?!
Perchè non mi lasciavano andare via?

<< Signore, la mia famiglia...>>, mi bloccai. Stavo per propinargli una storiella cotta a puntino, sul fatto che i miei genitori sarebbero stati certamente in pensiero per me, non vedendomi tornare a casa, ma io non avevo più genitori.
Istintivamente, mi ricordai di un'altra cosa: gli avevo detto il mio nome quando ero anestetizzata. Sicuramente avevano già svolto ricerche su di me e sapevano chi ero.

Merda.

Ci riprovai, misurando le parole. << Dottor...Yagami, giusto? Ecco, mi sentirei seriamente molto, molto più tranquilla se lei avesse la cortesia di spiegarmi cosa sta succedendo. Che cos'ho fatto per essere qui?>>.
Il dottor Yagami si sistemò gli occhiali, che gli erano scivolati sulla punta del naso. << Davvero non rammenti nulla?>>.
Io scossi la testa, ma avvertii come se fosse mia la perplessità del dottore, ben celata sotto i lineamenti rigidi e la luce gentile negli occhi scuri.
L'uomo rimuginò per qualche secondo, infine il suo viso si rilassò. << Non credo sia il momento giusto, questo. Facciamo così: ora chiamo l'infermiera per farti da guida; quando sarai pronta, fatti accompagnare nel mio studio questo pomeriggio alle diciassette. Per te va bene?>>.
Finalmente, colsi una nota di sollievo nella mia testa.
Il dottor Yagami si incamminò lungo il corridoio. Lo sentii chiamare una certa signorina Misora. Voltò la testa verso di me e mi fece segno di raggiungerlo.
Svelta, sgusciai fuori da quella stanza grigia che sapeva di cella e mi affacciai al corridoio, proprio mentre una giovane donna, coperta anche lei da un camice bianco, si avvicinava al dottore, per poi lanciarmi un'occhiata che sembrava amichevole.
Il dottore appoggiò una mano sulla mia spalla. << Lyanne, vorrei presentarti Naomi Misora, l'infermiera più disponibile e in gamba di questo posto! Naomi, questa è Lyanne>>.

<< Non dare retta a quest'adulatore. Sono semplicemente l'infermiera di questo reparto>>, sorrise lei, porgendomi una mano. Pelle liscia, unghie curate.

<< Naomi, vorrei che le mostrassi l'istituto. Alle diciassette accompagnala nel mio studio>>, le disse il dottore, prima di incamminarsi lungo il corridoio.

<< Ah, e falle conoscere gli altri! Può darsi che andranno d'accordo>>, aggiunse.

Naomi appoggiò una mano sulla mia schiena. << Allora, andiamo>>.

<< Gli altri chi?>>, le chiesi, confusa.

<< Oh, intendeva gli altri pazienti. Sai, hanno più o meno tutti la tua età, anno più, anno meno...>>, mormorò, sistemandosi una ciocca corvina dietro l'orecchio.
Riflettei.

<< Un momento, sta dicendo che qui tenete sia maschi che femmine?>>.

L'odore di imbottitura e di disinfettante mi irritava le narici. Imboccammo una rampa di scale e giungemmo al piano terra. L'ambiente già era cambiato: pavimento in piastrelle color champagne, lucide, pareti verniciate di bianco e celeste. Solo che lì l'odore dei medicinali era molto più forte. Imboccammo un altro corridoio, molto breve, che ci portò ad un'ampia sala, in quel momento occupata da ragazzi intenti a farsi gli affari loro.
Nel gruppetto notai solo una ragazza, una biondina evidentemente denutrita, intenta ad esaminarsi le ciocche di capelli. Se ne stava seduta su un divano bianco, con le gambe nude, coperte da quelli che sembravano shorts molto shorts, penzolanti su uno dei braccioli.
Un bambino inginocchiato a terra era intento a comporre un puzzle di almeno mille o duemila pezzi, bianco quanto i suoi riccioli. Essendo rivolto verso il pavimento, non riuscii a vedere il suo viso.
Un ragazzo completamente vestito di nero era in piedi, davanti alla finestra, intento a sgranocchiare qualcosa. Non riuscii a capire cosa fosse, perchè Naomi mi condusse ad un'altra rampa di scale.
<< Le docce femminili sono nei sotterranei.>>, mi spiegò. << Puoi venire a lavarti tutti i giorni e puoi decidere se farlo dalle diciotto alle diciannove o dalle ventuno alle ventidue. Non ti conviene trasgredire gli orari, perchè dopo verrà qualcuno a chiudere e gli spogliatoi non saranno accessibili fino alle diciotto di domani. Però...visto che il signor Yagami ti vuole nel suo studio per le diciassette, solo per questa volta faremo uno strappo alla regola, ok?>>, propose, tirando fuori dalla tasca del camice un mazzetto di chiavi.
Le usò per aprire il lucchetto che bloccava le ante. << Vai pure. Hai tempo un'ora, quindi prenditela con calma. A sinistra ci sono gli spogliatoi, a destra le docce. Guarda poi negli scomparti sopra gli armadietti, ci sono degli accappatoi puliti. Siccome ci sono poche signorine qui dentro, non rimarrai mai senza! Intanto, io vado a procurarti dei vestiti più adatti>>, concluse, allontanandosi.
 
 



Il getto bollente della doccia scorreva come un elisir lungo la mia schiena tremante, risvegliando il mio sangue dal torpore, riaccendendo i miei sensi.
Mi ci voleva, davvero, pensai, mentre mi strofinavo sui capelli una seconda dose di shampoo, con il vapore che saliva ad avvolgermi il corpo, ammorbidendo la mia pelle.
Il profumo del bagnoschiuma al cocco non fu di grande aiuto, poichè ricordò al mio stomaco da quanto tempo non mangiavo cibo che si potesse definire tale.
Mi passai la spugna, ormai sepolta dalla schiuma, lungo le braccia, lentamente, riempiendo ogni centimetro di pelle, poi sul collo, infine sul seno.
Chiusi gli occhi, abbandonandomi al tepore, alle gocce caldissime che mi scorrevano lungo le guance come lacrime senza il sapore amaro tipico della tristezza.

<< Dio, com'è invitante!>>, sentii sospirare dietro di me.

Mi voltai di scatto, sorpresa, percependo chiaramente che quella voce acuta e femminile era molto vicina a me.
Le docce erano disposte in fila, l'una attaccata all'altra, ma separate da una parete che concedeva quel minimo di privacy, dato che non c'erano ante o sportelli sul davanti.
La ragazza bionda che avevo adocchiato poco prima era lì, una mano appoggiata sulla parete laterale, ma abbastanza ritratta, in modo da non venire bagnata dall'acqua.
In sala non avevo prestato molta attenzione al suo viso, ma ora che era di fronte a me, la osservai attentamente.
Era alta quanto me, ma molto più magra. Indossava un top nero e gli stessi short di prima, che mettevano in risalto le sue gambe snelle, in quel momento incrociate in una posa che mi ricordava molto quelle delle modelle mentre sfilano in tv.
Le guance del suo viso erano leggermente scavate, i capelli biondi erano sciupati e rovinati, tant'era che si poteva notare perfettamente la tinta che andava via via affievolendosi, per poi lasciare spazio al suo castano naturale, vicino al cuoio capelluto.
Malgrado questo, il viso conservava tratti delicati, decisamente molto belli.
<< Cosa è invitante?>>, le chiesi. Avrei piuttosto preferito chiederle cosa ci facesse lì, ma quello che aveva detto mi aveva lasciata perplessa.
Lei scrollò le spalle e fece un sorrisetto malizioso, soffermando i suoi grandi occhi nocciola sul mio seno. << Il modo in cui ti passi la spugna qui...>>, allacciò le dita attorno al suo braccio << ...qui...>>, si accarezzò il collo. << ...e qui>>, fece un gesto esplicito, avvolgendo entrambe le mani attorno al suo seno.
Voltai la testa di lato. << Ti dispiace andartene? O perlomeno, se devi lavarti, cercati un'altra doccia, questa è occupata>>, risposi, cercando più che mai di non usare il classico tono da va' all'inferno, che ogni tanto mi sfuggiva con la gente che non mi piaceva.
Lei non spostò lo sguardo dai miei occhi e non accennò ad andarsene.

<< Come ti chiami?>>, volle sapere.
Non le risposi.

<< Sei sorda?>>.

<< Cosa ti sfugge del concetto della parola privacy?>>, sbottai, tentata dall'idea di schizzarle dell'acqua addosso.

<< D'ora in poi dimentica il significato di questa parola, tesoro. In più della metà delle stanze ci sono delle telecamere che seguono i tuoi movimenti tutto il giorno!>>, ridacchiò, sfilandosi il top con un movimento fluido.
Lanciai un'occhiata agli angoli del soffitto.

<< No, qui no>>, disse, anticipando i miei pensieri. << Se hai bisogno di aiuto basta che premi quel bottone rosso dietro di te. Ce n'è uno in ogni doccia>>.
Mi voltai. In effetti, all'inizio avevo notato quel bottoncino, ma non mi ero chiesta a cosa servisse. Tornai a fissare la ragazza e con stupore notai che si era sfilata anche i pantaloncini, rimanendo in intimo e posizionandosi sotto il getto, il suo corpo a pochissimi centimetri dal mio. << Il mio nome è Misa Amane>>, disse, togliendomi la spugna dalle mani.

<< Non te l'ho chiesto!>>, esclamai, alzando la voce.

<< Io invece ho chiesto il tuo>>, rispose lei, per niente allarmata dal mio tono. Immerse la spugna sotto il getto e subito dopo fece un'espressione scioccata. << Sei fuori di testa, ragazza? L'acqua così calda rilassa i tessuti...se non vuoi che a trent'anni il seno ti arrivi alle ginocchia, devi usare quella fredda!>>. Girò la manopola, mentre il vapore spariva, poco a poco.
Feci un passo indietro.
Ma cosa vuole, questa?!
Il suo viso mi ricordava tanto qualcuno, ma in quel momento non riuscivo a capire chi. Amane, aveva detto?
Spalancai gli occhi.
Ma certo che ne avevo sentito parlare...era una modella che in seguito era stata beccata a fare uso massiccio di droghe. Era da quasi un anno che non appariva più sulle riviste e negli shows.

<< Devo andare>>, balbettai, a disagio.

<< Prendo il tuo posto, allora>>, disse, infilandosi sotto il getto d'acqua ghiacciata. << Ci vediamo, Fanciulla Senza Nome!>>.

<< Mi chiamo Lyanne!>>, berciai, piccata dal suo pessimo senso dell'umorismo.

Lei si morse il labbro inferiore. << Reparto numero 7, lettera L>>.

<< Come?>>.

<< Il tuo nome inizia con la L. Ti manderanno in una stanza del reparto numero 7.>>, rispose.
Io annuii, pur senza capire di cosa stesse parlando e afferrai l'accappatoio che avevo preso da uno degli scomparti, per poi avvolgermelo addosso. Feci per uscire.

<< Ah, Lyanne?>>, mi richiamò Misa. << Due cose. La prima: non dire a Naomi che mi sto facendo la doccia. La seconda: sta' alla larga dall'infermiere del tuo nuovo reparto!>>.

<< Perchè?>>, volli sapere, strofinandomi i capelli.
L'espressione sul viso della bionda cambiò. La sua voce assunse una nota di minaccia, me ne accorsi, anche se si sforzava di nasconderla.

<< L'infermiere che fa il turno di notte nel tuo reparto si chiama Light e non ti azzardare a toccarlo, perchè se lo venissi a sapere, da me aspettati qualsiasi cosa. Mi sono spiegata?>>.

Pazza, pensai.
Probabilmente come tutti gli altri pazienti.
Mi allontanai in fretta, decisa a non restare un altro minuto con lei.
Intanto, mi pulsavano nelle orecchie le sue parole.

Reparto numero 7, lettera L.
Reparto numero 7, lettera L.
Reparto numero 7, lettera L.

 
 
 
                                                                                                                     [ continua]
 

Grazie a voi che avete seguito l'inizio della mia storia fino a qui ^^
Se foste così disponibili a lasciarmi un parere sulla storia e dirmi se conviene continuarla ve ne sarei grata!
Grazie ancora,
Luce 

 

   
 
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