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Autore: Mina7Z    31/05/2011    21 recensioni
Nowadays, ovvero oggigiorno. Chi sarebbero stati i nostri amati protagonisti di Versailles no bara se si fossero ritrovati a vivere nella nostra epoca
Aggiungo un elemento:e se ci fossero dei misteri da svelare? Se Francoise e Andrè non fossero chi dicono di essere e se qualcuno nascondesse loro un oscuro segreto??
Non ho mai amato particolarmente le storie ambientate ai nostri giorni, ma un pomeriggio, improvvisamente, questi personaggi hanno bussato alla mia mente e non sono riuscita a chiuderli fuori!!!
Genere: Erotico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che lo vidi mi trovavo nella camera della Regina Maria Antonietta, al Petit Trianon.
Avanzavo lentamente soffermandomi rapita sulle meravigliose fantasie  floreali che rivestivano il piccolo letto a baldacchino, le tende e le poltrone. L’oro dei ricami luccicava sulla seta bianca, resa ancora più luminosa dalle candide pareti rivestite di un legno pregiato, ornato con splendide decorazioni che avevano l’effetto di  trasmettere una sensazione di rigore e al contempo di raffinatezza. 
Mi  soffermai poi sulla piccola finestra, posta alla destra del letto e il mio sguardo fu rapito dalla meravigliosa vista che si poteva godere. Il Tempio dell’Amore si presentava in tutto il suo splendore.
Chissà quante volte la Regina aveva osservato dalla finestra della sua stanza quella costruzione perfetta che simboleggiava il sentimento per lei più prezioso.
Chissà quante volte, appoggiata a quel davanzale aveva sperato che Fersen arrivasse a farle visita per passeggiare nel prato e amoreggiare appoggiati alle colonne del piccolo tempio. 
L’immagine dei due amanti mi lasciò una sensazione di tristezza ripensando alla forza di quell’amore tanto intenso e travolgente che aveva legato Maria Anronietta e il bel Conte svedese fino alla fine dei loro giorni.
Perché anche dopo l’atroce morte di lei, Fersen aveva continuato ad amarla e rimpiangerla, trascinandosi come  un  fantasma in una vita ormai senza più senso.
Forse, un giorno, avrei vissuto anch’io un amore così speciale.
Fino al quel momento avevo avuto diverse storie piuttosto brevi ma nessuna che mi avesse coinvolta totalmente.
Sapevo di suscitare il desiderio di molti uomini.
Percepivo sguardi ammiccanti al mio passaggio e non mi mancavano certo inviti e ammiratori. Ero molto bella e la mia figura alta e longilinea sapeva affascinare e attrarre l’interesse di chiunque mi circondasse.
Ma più che darmi piacere, tanto interesse mi infastidiva, provocandomi una sensazione di disagio. Non ostentavo mai la mia bellezza e di solito nascondevo il mio corpo  in abiti molto rigorosi.
Tornai a pensare a quanto la storia d’amore della Regina  mi toccasse nel profondo e a quanto i magici luoghi in cui mi trovavo continuassero ad esercitare il loro fascino su di me, nonostante  i miei primi ricordi di bambina fossero legati al castello di Versailles e ai Domaine de la Reine. Accompagnata da mia madre o da mia nonna, percorrevo gli infiniti saloni della Reggia memorizzando ogni piccolo particolare, osservando con ammirazione ogni decorazione, ogni mobile, ogni vaso che rendeva quel palazzo magnifico che diventava via via la mia seconda casa.
Mi soffermavo a osservare rapita i ritratti di Re, Regine e Principi, non con la tristezza che si riserva a chi non c’è più, ma con sentita ammirazione per coloro che avevano rappresentato una parte della storia di Francia.
 Le mie origini nobili, mi portavano a sentirmi io stessa parte di quella storia e di quella grande e meravigliosa casa.
Ogni ricordo era legato a quei luoghi che avevano sempre rappresentato per me un rifugio dove l’atmosfera incantata sembrava avere il potere lenire ogni mio dolore.
Fu a Versailles che volli andare quando mia madre morì e fu la Reggia l’ultima cosa che chiesi a mio padre di vedere prima di partire per uno dei tanti collegi che avrei visto nella mia vita.
L’amore per Versailles mi riportava lì ogni volta che il mio lavoro mi consentiva di dedicare tempo a me stessa e anche quella mattina di luglio, il 13, per l’esattezza, mi ritrovai a raggiungere il Petit Trianon e a percorrere con la solita eccitazione la meravigliosa scala che portava al piano nobile.
Mi fermai davanti allo specchio vicino alla finestra che ornava un piccolo mobile di ebano e osservai la mia immagine riflessa, seguendo con lo sguardo le nervature scure segno del tempo che era trascorso e che si era portato via gli illustri abitanti di quella dimora.
I lunghi capelli biondi, solleticavano la mia schiena lasciata nuda da un vestito di chiffon beige lungo fino ai piedi, incatenati da un paio di sandali alla schiava che salivano fino alle caviglie.
Scossi la testa per spostare un ciuffo che si era spinto sul viso e sentii il tintinnio delle decine di pietre colorate di cui erano fatti i miei  orecchini. Fissai ancora per qualche istante la mia immagine e un po’ mi vergognai di quel vezzo così femminile che in fondo  non mi apparteneva.
Fu allora che lo vidi. Riflesso nello specchio in cui mi stavo osservando incurante degli sguardi dei visitatori  che si avvicendavano nella stanza, vidi un uomo  dai capelli corvini che indisciplinati ornavano un magnifico viso.
Lo fissai rapita senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo bel  volto e senza preoccuparmi che potesse accorgersi della curiosità che aveva suscitato in me. I suoi occhi verdi, di un colore così bello e intenso come mai prima di allora avevo visto, mi stavano osservando. 
Ci fissammo curiosi per alcuni secondi   fino a quando non sentii il bisogno di voltarmi per assicurarmi che l’immagine non fosse il frutto della mia immaginazione ma fosse una presenza reale  nella stanza e  i nostri sguardi si incrociarono nuovamente per alcuni istanti.
Decisi di lasciare la camera, gli passai accanto sfiorandogli il braccio con la mia spalla e mi ritrovai a percorrere il corridoio che portava alla terrazza esterna. 
Non capivo perché il mio cuore stesse battendo tanto forte e quando uscii all’aria aperta dovetti respirare a pieni polmoni per riprendere fiato. 
E per un attimo sperai che l’uomo non svanisse nel nulla.
La suoneria del cellulare  mi riportò alla realtà.
 
“Ciao  papà” esclamai mentre il mio cuore aveva già capito che i programmi di quella sera sarebbero stati, come al solito, annullati.
 
“Capisco, io  però domani parto e non potremo vederci per molto tempo. Mi sarebbe piaciuto vederti questa sera. Vedi, ci contavo molto, volevo vederti ma vedo che come al solito hai altre priorità”.
 
Le parola mi morirono nulle labbra.
Mio padre mi aveva messo da parte, per l’ennesima volta, per presenziare a un maledetto incontro con un altrettanto maledetto diplomatico di non so quale paese, ma  non volevo fare trasparire quanto quella ennesima delusione mi stesse ferendo.
Chiusi la telefonata prima che mio padre potesse accorgersi del mio tono che stava diventando incerto a causa delle lacrime che avevano preso a rigarmi le guance.
E sul mio volto si dipinse un sorriso amaro perché ero stata così stupida da pensare che mio padre sarebbe venuto veramente a trovarmi, tralasciando per una sera  i suoi impegni di Ambasciatore per cenare con la sua unica figlia che il giorno dopo sarebbe partita per una pericolosa missione in Medio Oriente.  
Come potevo avere sperato che  sarebbe venuto? Era una vita che mi lasciava da sola e la mancata cena di quella sera non poteva certo sorprendermi. Però, nonostante continuassi a ripeterlo le  lacrime non volevano smettere di scorrere.
Presi la borsa con stizza e mi misi a cercare all’interno un fazzoletto che non voleva saperne di farsi  trovare.
 
“Nessun uomo merita le tue lacrime” .
 
Mi girai e vidi l’uomo dello specchio che con un lieve sorriso dipinto sulle labbra mi porgeva un clinex.
 
“Grazie”  presi il fazzoletto e mi asciugai gli occhi.
 
“Non era un uomo, era mio padre. E per l’ennesima volta non verrà ad una cena che  avevamo programmato per vederci. Sono mesi che non lo vedo e desideravo incontrarlo”.
 
Smisi di parlare e tornai a osservare l’uomo  che si era appoggiato alla balaustra del terrazzo e che mi guardava con aria comprensiva. I suoi occhi verdi, illuminati dal sole, erano così chiari da sembrare trasparenti e il suo viso era semplicemente perfetto. Le sue labbra erano carnose e ben delineate e il suo naso piccolo e perfettamente proporzionato. 
Era molto alto e  il suo fisico visibilmente muscoloso e ben modellato. Indossava una camicia di lino a righe bianche e blu e pantaloni blu. Era senza ombra di dubbio l’uomo più bello che avessi visto nella mia vita. E di uomini ne avevo visti tanti, nella mia veste di soldato, e sentii da subito una forte attrazione per lui.
 
“Io sono Andrè” mi disse lui sfoderando un dolcissimo sorriso.
 
“Françoise” risposi mentre decidevo di mettere da parte le lacrime.
 
“Sei di Parigi, Françoise?” Chiese lui senza distogliere lo sguardo dal mio viso.
 
“Si, ma ho vissuto in molti posti nel mondo. In Inghilterra, in Svizzera e  Medio Oriente”. Lessi curiosità sul suo volto e continuai il racconto della mia vita.  “Mio padre si trasferiva spesso per lavoro e io lo seguivo. Abbiamo vissuto in molti paesi”.
 
“Che lavoro fa tuo padre?”
 
“Lavora per lo Stato” risposi evasivamente, cercando subito di portare la conversazione su altri argomenti.
 
“Però, per lo meno ho imparato l’arabo e adesso mi torna utile”.
 
Mi morsi le labbra. Stavo parlando troppo e a queste affermazioni sarebbero seguite altre domande slla mia vita  a cui avrei dovuto cercare di rispondere con bugie credibili. Cercai di portare l’attenzione su di lui.
 
“E tu di dove sei, Andrè?”  Mentre pronunciavo il suo nome un brivido mi percorse la schiena.
 
“Sono nato a Parigi e vivo lì ma i miei erano originari della Normandia”.
 
“Cosa fai a Versailles se non sei un turista? Qui ci sono solo turisti, è difficile vedere un pargino alla Reggia. C’è sempre troppa confusone”.
 
“E’ vero ma  quando voglio fare un tuffo nella storia vengo qui, passeggio tra i saloni, nei giardini e mi sembra sempre di trovare ispirazione da questi luoghi.  Faccio così da quando i miei genitori sono morti. Avevo quattordici  anni e sono deceduti in un incidente stradale. Da allora ho vissuto con mia nonna”.
 
“Oh mi spiace molto”.
 
 Abbassai lo sguardo  toccata da  quanto avevo appena sentito. Esattamente come me, veniva qui per ritrovare un po’ di pace e sentirsi meno solo. 
Mi suonò incredibile questa serie d coincidenze e confusa pensai se pochi minuti prima avessi per caso confidato a lui che Versailles era come una seconda casa, ma proprio non mi rammentai di avere fatto cenno alla cosa.
 
“Anche mia madre è morta quando ero piccola. Avevo dieci anni e da quel momento ogni cosa cambiò per me. Mi separarono da tutto ciò che amavo. Credo che mio padre abbia voluto portarmi con sé nel suo tentativo di scappare da Parigi e da tutti i ricordi che lo legavano a mia madre. Solo che poco dopo divenni un impiccio per lui e con la scusa di darmi un’educazione impeccabile, praticamene mi abandonò alla vita dei collegi, sperado che qualcun’altro si prendesse la briga di darmi un po’ di affetto”.
 
Non mi sembrava vero che stessi raccontando a quell’uomo conosciuto solo pochi minuti prima, episodi così dolorosi della mia vita. Non sapevo niente di lui e non volevo certo rendermi così vulnerabile ai suoi occhi.  Avevo rivelato cose che facevo fatica ad ammettere anche a me stessa. Il rapporto con mio padre rappresentava una ferita aperta che non si sarebbe rimarginata facilmente ma  parlarne a lui mi era sembrata la cosa più naturale del mondo. 
Percepivo il feeling che si era subito stabilito tra di noi e mi sembrava di potermi confidare con lui senza timore di essere delusa.
 
“Non sarà la stessa cosa, ma se ti va questa sera ti porto io a cena al posto di tuo padre”.
 
Rise imbarazzato da quella proposta che anche a lui doveva essere sembrata azzardata, sopratutto perché prendeva spunto dalla mia nuova delusione. 
Lo guardai mentre cercavo di trovare motivazioni plausibili per rifiutare l’invito. Ma non ne trovai.  Trascorrere la serata on lui mi sembrò subito un’idea allettante.
 
“Va bene. Però domani mattina ho un aereo alle sei e non voglio fare tardi”.
 
Ecco, l’avevo fatto di nuovo, avevo risposto con tono rigido puntualizzando le mie esigenze.
 
“Ti prometto che non farai tardi, Françoise” e  il suo volto si illuminò ancora mentre mi dedicò un sorriso rassicurante.
 
Quel pomeriggio stava volgendo al temine, ma Versailles era ancora illuminata da un caldo sole estivo, mentre una leggera brezza soffiava, scompigliando dispettosa i nostri capelli.
Lo seguii senza esitare, ancora  ignara del fatto che quel giorno, il 13 luglio 2010, avrebbe segnato per sempre la mia vita. 
   
 
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