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Autore: ginnyx    01/06/2011    6 recensioni
Dimenticatevi il Billie Joe che avete sempre conosciuto, perchè in realtà non è mai esistito, per lo meno non in questo modo. Il mondo di cui vi parlo io, quello dove vivo, è un po' diverso da quello che conoscete. Qui Billie Joe non ha mai pubblicato tutti quegli album, i Green Day non esistono (non ancora). L'unica cosa intatta, anche nei modi paralleli, sono i legami. Forti, indissolubili. Si potrebbe parlare del filo rosso del destino, nonostante Billie Joe sia in manicomio
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mental15-4 Dicembre, notte [Tra lacrime e sorrisi]

 

-4 Dicembre, notte-

[Tra lacrime e sorrisi.]

 

Dopo la nostra pacificazione, tutto sembrò andare per il verso giusto.

Gideon aveva imparato la lezione.

Lo vedevo a volte mordersi la lingua, impedendosi di dire l’ennesima cretinata.

Naturalmente l’avevo imparata anch’io.

Infatti mi ritrovavo a sgobbare dalle 8 della mattina fino alle 6 di sera, ovviamente con pausa pranzo in mezzo, per i miei maledettissimi amati libri.

Se non fosse stato per Rob avrei mollato subito, i clienti sanno essere odiosi.

Se non gli porti il loro dannato ombrellino blu, mi raccomando BLU, non lo guardano neanche il drink!

Potevo lamentarmi quanto mi pareva, ma la regola era sempre una sola.

-I clienti hanno sempre ragione, nonostante siano degli emeriti coglioni!-

Così diceva Rob e così mi faceva scappare da ridere.

Quel ragazzo era veramente straordinario.

Non ho mai capito bene cosa ci legasse.

Infondo avevamo interessi, compagnie e idee differenti, però…

Però mi sembrava di respirare un aria diversa quando stavo con lui.

Era tutto più leggero, più facile.

-Juliet, emhhh c’è un cliente che chiede di te!-

Mi gridò Rob da fuori con un tono strano.

Io gli risposi un ok perplesso, poi mi precipitai ai tavolini e vidi una mano alzata, così mi diressi lì.

-Salve posso… NO, ancora tu!-

Esclamai non poco scocciata e come risposta mi arrivò una risata.

-Dai, sorellina, non è colpa mia se qui servono il caffè più buono della città.-

Io lo guardai male e lui scoppiò di nuovo a ridere.

Ebbene sì, Gideon passava minimo due volte al giorno a prendere questo famoso caffè, che in verità era della brodaglia imbevibile.

Ma ormai mi ero rassegnata ad averlo tra i piedi.

Avevo capito che era un modo tutto suo per starmi vicino.

 

-Allora cosa ti porto?-

Gli chiesi mentre boccheggiavo per il caldo.

Era metà giugno, ma sembrava di essere ad agosto inoltrato.

-So che il caffè non me lo risparmierai mai, quindi quello, tre ciambelle più un muffin.-

Mi segnai tutto sul taccuino e lo guardai perplessa.

-Hai paura di rimanere a stomaco vuoto, Gideon?-

Lui sospirò teatralmente e scosse una mano davanti al suo naso.

-No, scema. Sto aspettando i miei amici.-

Io gli feci una linguaccia a quell’insulto e ripresi il giro delle ordinazioni.

Più o meno così si svolgevano le giornate della mia estate.

Conobbi anche altri ragazzi che lavoravano o erano clienti lì al bar.

Gente semplice e alla mano, ognuno con proprie sue particolarità e i propri modi di fare.

Settimana dopo settimana ritiravo il mio misero stipendio, ma andava bene così.

Ci riuscivo a comprare poco, ma almeno riuscivo a pagarmi da sola il biglietto per il cinema quando Rob m’invitava.

Almeno lì Gideon non mi seguiva.

In verità non glielo dicevo neanche, quindi non c’era pericolo.

Mi viene da ridere a pensare che erano queste piccole cose a fare la mia giornata.

Ridere insieme a Robert, azzuffarmi con Gideon, leggere libri.

Dio, quanto mi manca.

 

Era il mio ennesimo giorno al bar.

Luglio era appena iniziato e, con l’avvicinarsi dell’esame finale, le visite di Gideon si erano fatte più sporadiche.

Non che ne sentissi la mancanza, ma non lo invidiavo affatto.

Sapevamo tutti che ce l’avrebbe fatta e sarebbe passato con i voti migliori.

Il problema era l’università.

O, nel caso di mio fratello, Hollywood.

Gideon aveva provato più volte a parlarne con mio padre, ma lui faceva il finto tonto.

Sperava ancora che fosse un semplice capriccio.

Povero burattinaio illuso.

Era un così buon padre che non ascoltava neanche i suoi figli.

Quando gli faceva comodo diventava sordo come pochi.

Se poi si parlava del futuro di mio fratello, diventava logorroico.

Ma in sintesi i suoi discorsi rifluivano in un'unica costante.

-Mio figlio seguirà le mie orme e diventerà un ottimo presidente per l’azienda.-

E lui non vedeva.

Non vedeva gli occhi di Gideon velarsi.

Non vedeva le sue mani strette sotto il tavolo.

Non vedeva che il suo sogno aveva un nome solo.

Cinema.

 

Mi ricordo che al tempo c’era in gioco un grande affare.

L’industrie Blackwood avrebbero comprato la Lockhart inc.

Quando si parlava di questo gli occhi glaciali di mio padre s’illuminavano, mentre quelli di Gideon si spegnevano, andandosi a specchiare nel pavimento.

-Juliennnn!-

La voce di Rob mi riscosse dai miei pensieri.

-Rob, smettila di chiamarmi così, sai che non mi piace quel nome!-

Gli risposi un po’ irritata dal soprannome e lui strabuzzo gli occhi sbuffando.

-È colpa mia se tu sei così tra le nuvole che l’unico modo per richiamare la tua attenzione è urlarti cose che non sopporti?!-

Non potei fare a meno di ridere, faceva certe facce!

-E non ridere, è una cosa seria!-

Aumentai d’intensità e lui si lasciò scappare un sorriso.

-No, smettila… n-no.-

Cercò di fare il serio prima di esplodere e seguirmi a ruota, continuando a ripetere che la mia era una risata stregata, ti costringeva a seguirla.

Con le lacrime agli occhi e i crampi allo stomaco incominciò ad insultarmi chiamandomi “strega”, “idiota” o simili.

Adoravo quel ragazzo.

-Juliet, Robert, cosa state facendo? Non siete qui per divertirvi!-

Ma non adoravo quel lavoro.

Così, lanciandoci un ultima occhiata, procedemmo con le rispettive ordinazioni.

 

Dopo cinque minuti di gimcana intorno a diversi tavoli, venne il turno di mio fratello.

Con il vassoio delle ordinazioni mi diressi verso di lui e notai che tutti i suoi amici erano arrivati, però una sedia rimaneva vuota.

-Ecco qui le tre ciambelle, il muffin e “il caffè più buono della città”.-

Gli dissi ridacchiando mentre gli porgevo la tazzina, ma lui sembrava in sovrappensiero.

Guardava in continuazione l’orario, sbuffava e i suoi occhi tradivano una certa preoccupazione.

-Gideon, tutto ok?-

Gli chiesi sfiorandolo sulla spalla e improvvisamente si riscosse.

-Ah, scusami, pensavo ad altro.-

-Non l’avrei mai detto.-

Risposi meritandomi una sua occhiataccia.

-Aehm, scusate ma noi ci conosciamo?-

Entrambi ci girammo verso l’altra parte del tavolo, dove i tre ragazzi mi stavano sorridendo.

-Oh, voi dovete essere gli amici di Gì, piacere io sono Juliet! Scusatemi se vi ho interrotto.-

Dissi molto cortesemente e assai incuriosita da quei ragazzi.

Insomma finalmente conoscevo gli amici di mio fratello!

Per me era una grande conquista, conoscere loro equivaleva a conoscere una parte di Gideon che fino a quel momento mi era stata impossibile capire.

-Tranquilla, non hai interrotto niente. Comunque io sono Axel.- mi rispose un tipo dagli strani capelli a istrice, non smettendo mai di sorridere.

Gli altri due, se non ricordo male, si chiamavano Mark e Josh, o forse Victor?

Quello che mi è sempre rimasto impresso, è la paresi facciale che pareva essersi impossessata del loro viso.

-Sì, sì, abbiamo capito. Juliet, ma tu non devi tornare a lavoro?-

Interruppe quello strano comizio mio fratello, ma subito Axel tornò all’attacco.

-Eddai, Gid, lasciala stare un attimo, mica ti freghiamo la ragazza!-

Alla parola “ragazza” mio fratello si fossilizzò all’istante.

-Cosa?-

Esclamai io assolutamente stupita.

-Ma, non sei tu quella Juliet fidanzata con lui? Dalla descrizione che ci ha fatto, sembreresti proprio tu… insomma magari ho capito male e il vostro fidanzamento andava tenuto segreto… io…-

Non mi curai dei balbettii di quell’istrice e puntai lo sguardo sul mio presunto fidanzato.

-Gideon, maledetto, cosa gli hai raccontato?-

Gli dissi con le parole che gocciolavano di rabbia repressa.

Lui alzò le spalle e mi fece uno stupidissimo sorriso a trentadue denti.

Gli avrei staccato la testa se la voce di Rob che invocava il mio aiuto non mi avesse distratto, ma prima di andarmene dovevo chiarire le cose.

-Ora scusate devo andare e so che non dovrei dirvelo ma… Gideon è mio fratello, la sua fidanzata in verità è quel travestito che si vede di tanto in tanto sulla statale. Seviziatelo quanto volete, non mi opporrò, anzi se volete una mano vi assisto!-

Stavo per correre via quando una voce scocciata mi distrasse per l’ennesima volta dal mio operato.

-Ha bisogno di qualcosa, signore?- dissi girandomi velocemente con un sorriso soddisfatto.

-Juliet?!-

Ci misi un attimo per capire chi avevo davanti.

Il blocco delle ordinazioni cadde per terra insieme al vassoio.

-Cosa diavolo ci fai qui?!-

I miei genitori.

Mio padre mi guardava gelido, ma nello stesso momento mi marchiava con tutto il disprezzo che possedeva in corpo.

Mi gettai a terra cercando di recuperare tutto quello che avevo fatto cadere.

Il cuore mi batteva a mille e avevo una gran voglia di correre via.

Le mie mani incominciarono a tremare e cercai di balbettare qualche scusa.

Rob vedendomi in difficoltà si fece avanti, parandosi davanti a me, come per farmi scudo.

Voleva proteggermi dallo stesso pericolo che lo minacciava ogni giorno.

-Ci penso io, signori, desiderate?- chiese con affabilità.

-Togliti di mezzo ragazzino, voglio parlare con mia figlia.-

Non fece segno di stupirsi, dopotutto chi non conosceva i coniugi Blackwood almeno di vista?

-Se vuole parlare con Juliet lo farà durante la pausa, adesso sta lavorando.-

-Mia figlia non lavora in un bar, mia figlia non metterebbe in ridicolo i propri genitori, non li farebbe vergognare! Quella…-

Lo vidi digrignare i denti e sputare fiamme dagli occhi.

Fiamme che stavano bruciando il mio cuore.

-Quella non è mia figlia, non più.-

Lo guardai negli occhi, dritta, ma non vidi niente.

Niente.

Io non ero niente.

E in quel momento il mondo sparì, lasciandomi sola, soffocata dalle lacrime di una vita, trattenute nel cuore fino a quel momento.

E stavano uscendo, una ad una.

E io affogavo, sempre di più.

Morivo, e mio padre mi voltava le spalle.

   
 
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