Niente(Tutto)

Era in quei momenti che lo amava.

Non quando era il Re Lucertola, inguainato nei suoi pantaloni di pelle nera, intento a incantare la sua corte fremente.

No, in quei momenti ne era ammaliato e ne aveva paura insieme.

Lo amava quando si buttava addosso un paio di jeans e una camicia aperta, si sedeva a gambe incrociate al tavolo, il caffè e le sigarette a portata di mano, uno dei suoi mille taccuini davanti. E, la schiena curva come il ramo di un albero, l'espressione assorta, i boccoli neri davanti al viso, scriveva.

Quelli erano i momenti in cui lo amava.

In cui poteva incantarsi a guardarlo, senza sentirsi in imbarazzo; in cui poteva quasi studiarlo. Il modo in cui teneva in mano la penna, posata sul mignolo invece che fra due dita come insegnano a scuola. I colpetti leggeri che dava al solito ricciolo ribelle che gli cascava perennemente sugli occhi. E quando buttava la testa all'indietro, gli occhi strizzati, in cerca di una parola che gli sfuggiva.

Erano quelli i momenti in cui lo amava; in cui era sé stesso più che mai.

Jim raddrizzò la schiena, si allontanò i capelli dal viso, rilesse la pagina con un sospiro soddisfatto. Poi si voltò verso di lui, seduto all'Hammond ma senza neppure guardare la tastiera- perché stava guardando qualcosa di decisamente più interessante -, e aggrottò le sopracciglia. «Che c'è, Ray?»

Lui abbassò di scatto la testa sui tasti del pianoforte, vi posò le dita, incerto, immobile per un secondo. «Niente, niente» barbugliò infine, con un sorriso metà imbarazzato metà felice che diceva "Tutto, tutto".