Uhm.
Non
so come giustificare ciò che ho scritto, credetemi.
Solitamente
non sono così… ehm… depressiva malinconica.
Stavo
vagando per i vuoti meandri del mio intelletto e - sbam!
- è venuta fuori questa cosa.
Perdonatemi
se vi farò entrare in modalità Emo, non era mia
intenzione.
Fatemi
sapere se con questa cosa ho perso quel po’ di stima che avevate verso di me,
ci terrei a saperlo per regolarmi sulla punizione da infliggermi.
Attendo
vostri responsi, nel frattempo, vogliate scusarmi, vado a fustigarmi nell’angolino
come Silas nel Codice da Vinci. (Se avete letto il
libro e visto il film potrete capire la mia esclamazione, altrimenti datevi da
fare e leggete/guardate! Vi siete persi un capolavoro)
A
presto,
A.
Ps: Per il titolo non me la sono sentita di utilizzare un colore
come il bordeaux o il rosso, come faccio solitamente. Non chiedetemene il
motivo, posso solo dire che mi ha fatto l’effetto di qualcosa di cattivo gusto.
Forse sono pazza particolarmente sensibile, non so.
Ps”: La poesia che vedete sotto (Di cui ho citato anche
titolo ed autore, naturalmente) non è completa. Manca infatti l’ultima parte, che ho
preferito evitare. La troverete completa qui: http://circuitoterre.forumfree.it/?t=51832668
Valore e viltà - L’addio di Lucy a Lucy
La mia mente era uno specchio:
vedeva ciò che vedeva, sapeva ciò che sapeva.
In gioventù la mia mente fu come uno specchio
d'un auto in rapida corsa,
che coglie e subito disperde i tratti del paesaggio.
Poi col tempo
sullo specchio si produssero profonde scalfitture,
tra cui s'insinuava il mondo esterno,
e affiorava il mio io più segreto.
E' questa la nascita dell'anima nel dolore,
una nascita fatta di guadagni e di perdite.
La mente vede il mondo come una cosa separata,
e l'anima ne fa un tutt'uno con se stessa.
Uno specchio graffiato non riflette immagini.
Ernest Hyde - Edgard Lee Masters
Non eri coraggiosa, l’avevi
sempre detto.
Ad Edmund, quando ti aveva
sfidata ad arrampicarti su di una grande quercia.
A Susan, quando ti aveva
chiesto di aveva chiesto di dormire sola in camera.
A Peter, quando aveva
deciso di mandarti da sola alla ricerca del grande leone.
Ad Aslan, quando ti aveva
chiesto di aiutarlo a salvare quel mondo a te tanto caro.
Il mondo in cui avevi
trovato davvero te stessa, in cui avevi scoperto di poter significare qualcosa
per qualcuno. Il mondo in cui tutti ti conoscevano come la Valorosa.
Ma lo eri davvero, Lucy?
Eri valorosa come tutti credevano? Possedevi quella tempra morale che ti era
sempre stata attribuita?
Tempo fa avresti risposto
di sì, senza alcun dubbio.
Eri una regina, una grande
regina. Avevi portato tu i tuoi fratelli a Narnia, eri stata tu a spingerli
verso quella che sarebbe stata l’avventura della vostra vita. Sempre tu non
avevi mai smesso di sperare, una volta tornati a Londra, non eri stata sorpresa
quando eravate stati riportati nel vostro regno, distrutto. Tu, proprio tu,
avevi visto per prima Aslan, avevi assistito al suo ritorno. Tu eri stata la
chiave per la vittoria del tuo popolo martoriato. Senza di te Caspian non
avrebbe mai acquisito il trono, non ci sarebbe stata alcuna rinascita. Tu avevi
notato il quadro in casa di Eustace, rendendoti conto di quanto somigliasse
alle grandi navi dell’Età d’Oro. Avevi aiutato i Tontopodi
a tornare visibili, portando i tuoi amici dal mago. Tu eri sempre stata la
chiave di volta per la salvezza di Narnia.
Ma era arrivato il tuo
momento, non saresti più tornata.
Non avresti più visto
fauni, animali parlanti, ninfe e tutte le altre creature che avevi incontrato
nei tuoi lunghi viaggi. Non avresti più avuto altro che un ricordo dei tuoi amici,
di quella che era stata la vita più bella che avresti mai
potuto chiedere. Eri stata strappata via dal tuo mondo, tornando ad
essere la ragazzina inutile che eri stata.
Era bello ricordare i bei
tempi, all’inizio. Con Peter chiacchieravi delle lunghe gite per il regno, con
Edmund delle mirabolanti battaglie che avevate vinto, con Susan di tutte le
cose incredibili e magiche che avevate visto, con Eustace amavi chiacchierare
del periodo in cui era stato un drago e di quanto si fosse comportato da sciocco
prima di arrivare a Narnia.
Credevi che ce l’avresti
fatta, saresti riuscita a vivere nel ricordo, rinnovando ogni attimo passato
nel tuo regno per il resto della tua vita.
Poi tutto era crollato.
Susan, la Regina Dolce,
aveva dimenticato tutto. Narnia era diventata solo un gioco fatto da bambini,
frutto esclusivo dell’immaginazione infantile. Non ricordava nulla delle grandi
battaglie, del vostro castello e tantomeno del Grande
Aslan, che vi aveva resi ciò che eravate.
Lei aveva eliminato tutto,
quasi fosse stata della polvere su di un mobile prezioso. Un soffio aveva
portato via anni ed anni di avventure, di emozioni.
Sarebbe successo anche a
te, un giorno? Avresti dimenticato? Non avresti più portato con te l’immagine
del signor Tumnus, sotto la neve? Oppure dei castori nella loro bella casetta?
Avresti eliminato il ricordo di Cair Paravel addobbata a festa, di tutte le
splendide avventure vissute a Narnia? Avresti dimenticato il piccolo Ripicì,
Caspian e tutti gli altri, esattamente come aveva fatto lei? Avresti perso
Aslan?
No, non l’avresti mai
permesso, a qualunque costo.
Non avresti mai avuto la
forza di convivere con un simile peso. Dimenticare Narnia? No, non potevi. Cosa
ne sarebbe stato della tua vita? Che cos’avresti fatto? Ti aspettava l’ignoto,
lo sapevi. Non avresti avuto nulla a cui aggrapparti in un mondo talmente buio
e grigio come quello a cui, sfortunatamente, appartenevi.
Avevi avuto paura, ecco la verità finale. Paura dell’ignoto, paura di
dimenticare te stessa. Perché tu sapevi che la vera Lucy non era la figlia più
giovane dei signori Pevensie, quella timida ed impacciata.
La vera te
non era altri che la Regina Lucy di Narnia, la Valorosa, colei che aveva
combattuto battaglie e guidato il suo popolo verso la sua più gloriosa età.
Sapevi che con il tuo
gesto avresti deluso tutti coloro che ti credevano coraggiosa: Edmund, Susan,
Peter, Aslan e, soprattutto, te stessa. Non avresti voluto
arrivare ad un tale punto, ma non eri abbastanza forte per affrontare ciò che
il destino ti stava riservando.
Lucy Pevensie aveva deluso
la Regina Lucy, la Valorosa.
Una metà del tuo essere
era entrata in conflitto con l’altra, un conflitto a cui non potevi trovare
altra soluzione che il tuo gesto.
Avevi guardato con
attenzione il tuo riflesso sulla superficie del fiume, cercando qualcosa,
qualunque cosa, che avrebbe potuto riportare a galla il tuo valore, che ti
avrebbe fermato dal fare quella sciocchezza.
Ma la codardia aveva vinto
sul coraggio.
Cosa poteva esserci di
meglio che la prospettiva del nulla, in una vita che già si prospettava una
delusione? Cosa poteva esserci di meglio che eliminare il pericolo di perdere
una parte di te stessa, nonostante quest’ultima fosse stata contraria al tuo
gesto?
Avevi fatto un passo e ti
eri fermata. Un ripensamento? No, volevi solo esprimere la tua ultima preghiera
a colui che ti aveva sempre ascoltata, ad Aslan. Desideravi la certezza che i
tuoi fratelli non avrebbero mai perso una parte del loro essere, che non
sarebbero mai stati vittime ingiuste del vostro mondo. Forse il tuo gesto era
un modo per rammentar loro quello che avevate fatto, forse poteva essere
considerato un sacrificio per mantenere sempre salda almeno la loro memoria.
Forse era solo un modo per
sentirti meno in colpa, non potevi saperlo.
Un altro passo, l’ultimo. Il
Tamigi, con le sue fredde e putride acque, aveva accolto il tuo minuto corpo.
Il tuo primo pensiero era
stato la differenza con le acque cristalline della tua Narnia, la presenza
giocosa delle naiadi e dei pesciolini allegri. Poi era arrivata la
consapevolezza di ciò che avevi fatto. Non avevi provato paura, solo una grande
delusione verso te stessa. Le incertezze di Lucy Pevensie avevano sopraffatto
il valore della Regina Lucy.
Ed avevi capito. Eri stata
tu stessa ad eliminare Narnia dalla tua vita. Eri stata tu a soffocare quella
parte di te che era stata una regina. Avevi perso la battaglia più importante,
quella che avrebbe potuto determinare un tuo eventuale ritorno, la tua vita
come la donna che eri stata e che non saresti stata mai più.
Se Susan era precipitata
nel baratro della mondanità, tu eri caduta nel tunnel della vigliaccheria. Come
la dolcezza era diventata malizia, il valore era diventato viltà.
E mentre precipitavi verso
il fondale di quell’oscuro fiume, lacrime erano fuoriuscite dai tuoi occhi,
mischiandosi alle acque putride che ti circondavano. Gocce di purezza disperse
nel grande flusso della colpa. Ciò che restava della Regina Lucy che si
disperdeva nel mare di tormenti e paure di Lucy Pevensie.
Le forze stavano sempre
venendo meno, il momento dell’addio era arrivato. Non avresti più sofferto, non
saresti stata vittima di alcun tormento. Eri arrivata al momento della calma,
della pace.
Ma per ogni cosa serviva
sempre un pegno da pagare.
Il tuo pegno, Lucy, era te
stessa.
Delle parole avevano
accompagnato la tua resa, una voce fin troppo amata in passato e terribilmente
temuta in quel momento. Un ruggito che ti aveva scaldato il cuore nei tempi
trascorsi e che in quel momento aveva accompagnato la sua immobilità.
Mi dispiace, bambina mia.