16. Perdono
“Elena”
cominciò indecisa Bonnie. Mille diverse emozioni ronzavano
dentro il suo corpo,
ma doveva pur cominciare, no? Era obbligata
a metter da parte la timidezza e la paura e a tirar fuori il coraggio
che
talvolta emergeva nella vita, lasciandola sempre senza parole.
È questo quello
che succede quando scopri di possedere un lato della tua
personalità che non
avresti mai creduto di possedere. Bonnie sapeva per esperienza che ce la poteva fare a confessare tutto.
La
sua amica non la guardava, aveva occhi solamente per il copriletto.
Quel
dannato copriletto a quadri blu e verdi. Lo fissava così
intensamente da urtare
i nervi.
“Elena,
ascoltami. Devo parlarti” ripeté Bonnie, sempre
più nervosa. Cominciò a giocare
con le mani, intrecciando le dita nelle posizioni più
assurde.
Elena
si decise a guardarla: la strega poté finalmente vedere i
suoi occhi lucidi e
rossi di pianto. Bonnie non era più tanto sicura di voler
affrontare un
discorso così serio, perché sapeva che ogni
lacrima versata da Elena era per
colpa soltanto sua. Elena stava
soffrendo, era ovvio, e lei non riusciva, e non voleva, perdonarla per
ciò che la strega le stava
facendo passare.
Primo,
Elena aveva problemi a trovare quella persona che aveva combinato quel
disastro:
non aveva la più pallida idea di chi potesse essere e non
immaginava nemmeno
che quella ragazza era proprio davanti a lei.
Secondo,
Bonnie aveva coinvolto in quel caos anche suo fratello.
Terzo,
era preoccupata per Jeremy: era evidente, almeno per Elena, che suo
fratello era
cotto della sua ormai ex amica strega. Ma Bonnie poteva renderlo
felice? Poteva
non farlo soffrire? Dopo tutte le ragazze che aveva dovuto perdere,
Bonnie
poteva essere quella giusta?
“Bene,
Bonnie” farfugliò. “Che vuoi ora da me?
Vuoi darmi inutili spiegazioni
inventate sul momento sul perché sei qui con
Jeremy?” continuò lei
ricominciando a singhiozzare.
“No!
No, io voglio solamente…” provò a dire
la streghetta.
“Ti
prego! Ti conosco da quando avevi cinque anni, anzi prima. Ti conosco dalla nascita, Bonnie. Non fingere con
me” l’ammonì Elena, stringendo un
cuscino tra le braccia.
Bonnie
abbassò di nuovo lo sguardo: “Non sto fingendo un
bel niente, Elena. Anch’io ti
conosco da una vita ed è proprio per questo che capisco che
tu stai davvero soffrendo
molto” rispose lei.
“Ma
dai!” esclamò Elena, alzandosi e cominciando a
camminare avanti e indietro
davanti al letto. “Sul serio credi di conoscermi fino in
fondo?” domandò
ancora, “beh ti sbagli. Sai qualcosa su quello che provo per
Damon?” continuò a
chiedere, fermandosi finalmente di camminare.
Bonnie
sussultò al suono di quel nome: “No, non ne ho
idea” ammise.
Elena
annuì: “Già. Non ne hai la
minima idea”
confermò.
“Sì,
infatti. Ma se io avessi saputo, se lo avessi saputo non avrei mai fatto quello che ho fatto”
cominciò.
La verità stava cominciando a venire a galla: la bomba era
stata sganciata; ora
bisognava attendere quanto sarebbe stata potente
l’esplosione.
Elena
la fissò con uno sguardo pieno di domande: “Che
cosa non avresti mai
fatto?” chiese sospettosa, ritornando
a sedersi sul letto con una lentezza disarmante.
Bonnie
riusciva solamente a pensare al dopo, ma se non lo diceva il dopo non ci sarebbe mai stato. Il punto
era che lei lo voleva dire perché era la cosa giusta da
fare, ma aveva paura
del dopo. Come avrebbe reagito
Elena?
“Io…”
tentò. Primo tentativo: fallito.
“Tu…”
la incitò Elena, impaziente. Ora la rabbia era stata coperta
dalla curiosità;
sentiva che quella rivelazione era qualcosa di grosso, qualcosa che
voleva
sentire ad ogni costo, ma che avrebbe avuto un prezzo enorme alla fine.
“Io…”
riprese Bonnie. Secondo tentativo: fallito.
Elena
sbuffò e ritornò alla sua passeggiatina nella
camera: “Che perdita di tempo! Ci
conosciamo da una vita, Bonnie” ribadì lei,
esasperata.
Bonnie
colse la verità in quelle parole. Quella ovvia
verità che avrebbe dovuto
toglierle almeno un po’ della paura per il dopo.
L’amicizia fra loro due era nata diciannove anni fa e durava
tuttora. Stavano
solo attraversando un brutto periodo.
“Ok,
hai ragione. Sarò… ok, lo dico. Io… sono
stata io”
ammise Bonnie tutto d’un fiato.
Elena
non capiva, il suo cervello lavorava, correva per capire quello a cui
si stava
riferendo la sua amica. Sentiva che la risposta era lì
davanti, che dondolava
con lena e canticchiava per farsi notare. Ma per quanto Elena si
sforzasse di
capire quello che l’intuito e l’intelligenza le
stavano comunicando, non
riusciva ad arrivare ad una conclusione.
“A
che ti riferisci?” domandò Elena, socchiudendo gli
occhi con sospetto. Di cosa
stava parlando?
Bonnie
chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e li riaprì,
guardando Elena piena
di scuse: “Sono stata io. Io ho
fatto
l’incantesimo che ha scambiato Damon e Edward, io
ho mandato Jacob a Mystic Falls, io
sono l’artefice di tutto questo disastro
ma” aggiunse, prima che
Elena potesse cominciare a urlarle contro, “Elena
l’ho fatto con tutte le buone
intenzioni del mondo. Pensavo che non provassi certi sentimenti nei
confronti
di Damon! Lui ti aveva fatto del male in passato, e lo vedevo come una
cattiva
presenza nella tua vita, ma mi sbagliavo!” spiegò
disperata Bonnie. Aveva le
lacrime agli occhi da quanto era dispiaciuta.
Elena
sentiva acqua salata che stava per ricominciare a scendere a bagnarle
le
guance. Tentava di parlare, ma non ci riusciva. Apriva la bocca, e
invece delle
parole usciva un singulto, un singhiozzo pieno di comprensione e di
dolore.
Delusione. Confusione. Voglia di perdonare, che Elena tentava di
reprimere con
tutte le sue forze. Come poteva davvero perdonare una cosa del genere?
Aveva
sofferto giorni; ogni singolo minuto era stata una ferita durante
l’assenza di
Damon. E ora era distrutta, sì. Distrutta
dal dolore.
Non
erano mancati i momenti in cui era riuscita ad alleviare tutto quel
male.
Emmett, i Cullen, Jacob. Non sapeva come avrebbe fatto senza di loro.
Era vero
che erano in grado di sentirti meglio in modo incredibile; nonostante
non si
conoscessero nemmeno, erano grandi amici. L’avevano aiutata.
Era debitrice nei
loro confronti.
Elena
tentò nuovamente di parlare: “Quindi
tu… tu hai fatto tutto questo” ragionò
infine.
Bonnie
annuì: “Ma per…”
tentò di dire.
“Tu
non hai la più pallida idea vero? Tu non sai come mi sono
sentita!” gridò
Elena, scoppiando nuovamente a piangere.
“Io
no, non ne ho idea! Ma voglio rimediare! Sono pentita di quello che ho
fatto!”
rispose Bonnie.
Elena
scosse la testa, asciugandosi le lacrime: “No, tu non lo
sei” sussurrò. Non
sembrava che quella fosse un’affermazione rivolta
all’amica che le stava di
fronte, in lacrime e quasi inginocchiata a terra; no, sembrava che
quella frase
fosse rivolta a sé stessa, in un disperato tentativo di non
voler accettare la
verità.
Bonnie
cadde a terra: “Sì che lo sono”
farfugliò, stringendo le mani di Elena fra le
sue. L’amica non le ritrasse perché, per quanto le
costasse ammetterlo, le
erano mancate quelle mani. Quella pelle leggermente secca e ruvida, ma
così
piacevole e che le ricordava tanto che la vita aveva un
senso. Le faceva pensare a una persona con
cui poteva confidarsi, con cui poteva parlare di tutto. Ma non lo aveva
fatto:
Elena non aveva parlato di Damon a Bonnie.
Era
colpa sua, in fondo.
Elena
spalancò gli occhi tremanti: “Scusami”
balbettò; sembrava che le sue palpebre
potessero cedere da un momento all’altro.
Bonnie
scosse la testa, confusa: “Per che cosa, Elena?”
domandò, stringendo più forte
le mani dell’amica. Le erano mancate così
tanto…
Elena
prese un profondo respiro: “In fondo è colpa mia:
io non ti ho mai parlato di
Damon prima. È solo che… la storia di Caroline,
Stefan… Damon era sempre con me
e non ne avevo avuto l’occasione. Mi dispiace
Bonnie” concluse con un
singhiozzo la ragazza.
Fissò
per un ultimo istante gli occhi neri pece di Bonnie e poi si
catapultò tra le
sue braccia. Immerse la testa nei suoi capelli e la strega fece lo
stesso nei
suoi. Finalmente si erano ritrovate.
In
quel momento, Elena capì che non aveva solamente sofferto
per Damon in quei
giorni, come si era invece ostinata a credere. Le era mancato il
fratello, la
zia, la migliore amica e Damon. E, pian piano, tutti i tasselli del
puzzle si
stavano mettendo a posto.
“Mi
perdoni?” domandò Elena, abbracciando
più forte Bonnie.
“Certo.
E tu perdoni me?” chiese lei.
Elena
annuì: “Certo! Come non potrei?”
sussurrò, inspirando il profumo dei capelli
dell’amica. Improvvisamente lei si staccò:
“Devo fare una cosa” annunciò.
Frugò
negli armadi in cerca di qualcosa, e ne venne fuori con qualche
candela.
“Che
stai facendo?” domandò Elena, storcendo il naso.
Bonnie
sorrise, indaffarata: “Mi faccio perdonare meglio”
disse, senza chiarire i
pensieri confusi di Elena, che continuava ad avere uno sguardo
interrogativo
stampato in faccia.
“Vedrai”
disse solo Bonnie.
Elena
si fidò; e quella scelta fu la migliore che aveva fatto
negli ultimi giorni.
*
Caroline
era così felice di essere accanto a Stefan. Avere la persona
più importante
nella sua vita tutta per sé era una sensazione
già provata sicuramente, ma in
modo completamente diverso. Non si era mai sentita così
libera e felice di
essere se stessa, ma allo stesso tempo con il peso di mille
responsabilità per
far funzionare quella relazione.
La
vampira continuava a sorridere ogni volta che pensava a un futuro
contorto dove
c’erano solo lei e Stefan, circondati da amici e parenti, con
lo sfondo di
mille paesaggi diversi. Come un album fotografico che scorreva a
velocità
allucinante.
Caroline
non si curava di Alice, Bella e Rosalie che giravano per la casa, in
attesa che
Damon tornasse con Nessie alla pensione. Non le importava se la
vedessero
sorridere come un’idiota. Perché non ti importa di
niente quando sei felice. Sei felice; punto e
basta.
“Perché
sorridi?” chiese Stefan, giocando con un boccolo di Caroline.
Lei
sorrise di nuovo per tutta risposta e tentò di trovare le
parole più giuste per
esprimere la sua felicità. “Io… io sono
solo felice. Solamente molto, tanto
felice” spiegò lei. Le sembravano
parole talmente scarne in confronto alla contentezza che sentiva dentro
di sé,
che aveva paura che si sarebbe arrabbiato un po’.
“Anch’io
lo sono. Perché ti amo” dichiarò
Stefan. Perché lui riusciva a comunicare i
propri sentimenti con così tanto trasporto, mentre Caroline
non ne era in
grado? Per la prima volta dopo ore, la vampira si lasciò
andare una smorfia.
“Ora
non sei più felice quando ti dico che lo sono
anch’io?” chiese divertito
Stefan, anche se leggermente preoccupato per i tremendi sbalzi di umore
inspiegabili della sua nuova fidanzata.
Lei
scosse la testa: “No, ovvio! È solo
che… tu sei così bravo a dire ti amo,
mentre io sono davvero incapace!” confessò
imbarazzata, abbassando la testa e
coprendola per bene con la folta chioma bionda.
Stefan
ridacchiò: “Non è vero! E comunque,
anche fosse, ti amerei anche per questo”
disse dolcemente, tentando di alzare la testa di Caroline la quale,
cocciuta
fino al midollo, non intendeva guardarlo negli occhi.
“Avanti,
Care! Avrai l’eternità per imparare a
migliorare… e non devi fare tanta strada!
Io ti credo quando mi dici ti amo, anche se magari non è il
modo in cui
vorresti dirlo! Sai, non siamo tutti perfetti e grazie a Dio siamo
tutti diversi,
se tutti dicessimo ti amo nello stesso modo uno finirebbe per
annoiarsi, non
trovi?” cercò di farla ragionare ancora Stefan.
Solo in quel momento Caroline
alzò la testa, gli occhi leggermente lucidi e lo
guardò, annuendo
impercettibilmente.
Stefan
sorrise, contento che la sua Care avesse cambiato opinione sui suoi
modi di
fare. A volte bastava così poco per convincerla.
Sentirono
bussare alla porta. Si scambiarono un’occhiata e Stefan si
alzò di malavoglia
per andare ad aprire a chiunque fosse quel cretino che fosse arrivato a
disturbare. Casa Salvatore era grande e su questo non c’era
dubbio, ma non
voleva che fosse stata scambiata per un Bed & Breakfast.
Aprì
la porta e davanti a sé trovo l’ultima persona che
avrebbe voluto vedere: Tyler Lockwood.
“Ciao,
Stefan!” lo salutò il licantropo tenendo le mani
nelle tasche per l’imbarazzo.
Lui e Stefan non avevano mai avuto molto da raccontarsi e
c’era della tensione
all’ingresso della casa.
Stefan
annuì in cenno di saluto a Tyler, che sorrise nervoso. Dopo
secondi che
sembrarono un’eternità, nella quale Caroline si
stava chiedendo disperatamente
cosa volesse il suo ex, cosa ci facesse lì e cosa lei
avrebbe dovuto fare,
Tyler riprese a parlare: “Senti, non è che sai
dov’è Caroline?” chiese sempre
più con la voce tremolante. Probabilmente, pensò
Caroline, aveva lo sguardo
rivolto al tetto della casa per non fare trapelare
l’imbarazzo che lo invadeva
dalla testa ai piedi, accumulato particolarmente sulle guance.
Stefan
a quella domanda cominciò a digrignare i denti, furioso
solamente per aver
fatto il nome della sua nuova ragazza. Si erano appena messi assieme,
questo
doveva proprio venire a rompere le scatole durante quel momento
perfetto?
“Oddio,
amico. Non serve essere così furiosi. Ho solamente fatto una
domanda…” cercò di
calmare le acque Tyler, cominciando ad arretrare. Forse non era stata
una buona
idea venire in quella casa. No, forse la prossima volta sarebbe stato
meglio
ignorare quei dannati piedi che lo spingevano in una direzione e usare
la
testa, che sicuramente ne sapeva di più.
Caroline
agì d’istinto, senza sapere bene perché
lo stesse facendo e si presentò
all’entrata della casa, in modo che Tyler la potesse vedere
bene. “Sono qui,
Tyler” disse, sicura di sé come non lo era mai
stata in passato.
Lui
strabuzzò gli occhi, confuso. Che ci faceva Caroline a casa
Salvatore? “Ah, io…
non lo sapevo” farfugliò lui in preda alla
confusione. Guardava Stefan e vedeva
l’odio nei suoi occhi, come se gli avesse detto qualcosa di
incredibilmente
offensivo. E Caroline lo squadrava con una luce negli occhi che non le
aveva
mai visto. Aveva visto egoismo, gentilezza, rabbia,
felicità, tristezza negli
occhi di Caroline Forbes, ma quella sfumatura delle sue iridi proprio
non l’aveva
mai notata in tutti gli anni che si conoscevano.
Era…
preoccupazione, forse? Premura, forza di volontà?
Non
riusciva ad arrivarci per quanto si sforzasse e a distrarlo forse era
il
mistero sul perché Caroline si trovasse a casa di Stefan.
Doveva
capire: sentiva di avere il diritto di ricevere delle spiegazioni.
Cominciò ad
indicare i due con le dita, muovendole velocemente: “Voi
due… così, state…
siete” farfugliò, mettendo le mani in tasca a
scatti.
Caroline
si sentiva in colpa; meritava di sapere, ma non voleva sbattergli in
faccia la
grande novità del secolo. Sapeva anche, però, che
se fosse stato Stefan a
dirgli la verità, sarebbe stato molto meno delicato di
quanto lo sarebbe stata
lei.
Aveva
bisogno di una scusa; all’istante. Per grazia divina, vide
spuntare da dietro
l’angolo una macchina piuttosto nota. Appena conducente e
passeggero uscirono,
Caroline colse l’occasione al volo.
“Ciao,
Damon!” urlò Caroline. Corse verso di lui e Nessie
che stavano chiacchierando animatamente.
Lui la teneva d’occhio, come se fosse una preziosa gemma di
vetro che potesse
cadere da un momento all’altro e spezzarsi in mille pezzi.
Tyler
seguì con gli occhi la corsa di Care e la vide allegra. Si
aspettò di vederla
tra le braccia di Damon, ma invece stava abbracciando con delicatezza
qualcuno
che stava accanto al vampiro, che intanto faceva delle strane smorfie
disgustate e si stava allontanando a passo svelto.
Passò
accanto al fratello e sbottato qualcosa ironicamente su: “Le
donne, fratello” e
poi aveva alzato gli occhi al cielo.
Si
stava dirigendo verso il suo tavolino preferito su cui teneva con
estrema cura
la sua scorta di alcolici, ma poi si accorse di essere passando davanti
a…
“Lupacchiotto”
esclamò con un sorriso, tornando all’ingresso
della casa.
“Damon”
lo salutò Tyler, osservando il punto dove Caroline stava
ancora abbracciando
quella persona che ancora non riusciva a distinguere chiaramente.
“Oh,
non lo sai lo scoop?” lo provocò ancora il
vampiro, che nel frattempo era
riuscito ad andare a prendere due bicchieri e una bottiglia di scotch.
Tyler
scosse la testa e Damon gli si avvicinò, cominciando a
parlare con un tono da
vecchia pettegola che raccontava alla vicina l’ennesimo
scandalo della
settimana: “Presente quel libro per povere ragazzine
arrapate? Twilight? Ecco, i
personaggi sono
arrivati a Mystic Falls” concluse con un tono misterioso.
“E quella lì è la
figlia del vampiro tormentato e della Bella” aggiunse,
indicando la ragazza
emersa dai capelli biondi di Caroline.
Tyler
rimase colpito dalla sua bellezza così innocente: aveva
lunghi capelli mossi
color del bronzo, occhi marroni come il cioccolato fuso e un viso
pallido. Due
braccia e due gambe fine e… una pancia enorme.
Il
licantropo non riusciva a trovare le parole adattate per un commento:
“Wow… la
generazione va avanti. Nuovo libro?” commentò
sarcastico per coprire quanto
fosse incantato da quella ragazza. Una forza lo stava attirando verso
di lei,
un qualcosa che non riusciva a toccare, a vedere, a respirare, a
sentire con le
orecchie. Sì, perché la riusciva a percepire
solamente con il cuore.
Qualcosa
di cui Tyler sentiva di potersi fidare lo stava trascinando verso
quella
ragazza. Non era attrazione vera e propria, sentiva che era molto di
più. Un
sentimento che non poteva essere paragonato all’amicizia, ma
nemmeno era così
potente come l’amore. Era una forza d’attrazione a
cui non riusciva resistere.
Tyler
si sentiva come un elastico: una forza lo trascinava verso Nessie, e
lui
tentava con tutto quello che poteva fare di resistere a quel richiamo
così
dolce.
“Speriamo
di no… quelli che ci sono bastano e avanzano”
rispose sarcastico Damon. Poi,
vedendo che Tyler stava cominciando ad apparire un po’
strano, cominciò a
destare qualche sospetto: “Ehi lupo. Tutto ok?”
chiese prendendo per una spalle
e scuotendolo.
Tyler
ritornò in sé, dopo un po’. Scosse la
testa e mormorò delle scuse.
“Figurati
amico” disse solo Damon, senza smettere di fissarlo con
preoccupazione.
“Nessie!”.
Il coro delle tre vampire del Nord America fece la sua trionfale
comparsa.
“Mamma!
Zie!” strillò lei in risposta. Corse incontro a
loro e le abbracciò. Mentre lei
correva goffamente, Tyler seguì ogni suo singolo passo con
lo sguardo, come se
i suoi occhi e i piedi di lei fossero poli che si attraggono.
“Guardate!
Damon mi ha regalato questa per il piccolo!”
esclamò tutta contenta lei,
saltellando goffamente per il peso che era costretta a portare in
grembo.
Le
tre vampire guardarono il regalo di Damon meravigliate, e si aprirono
in un
“oh” collettivo, fastidiosamente acuto.
“Damon
non dovevi. Grazie” disse affettuosamente Bella a Damon.
Lui
alzò le spalle, cominciando a bere: “Un piccolo
pensierino per il piccolo”
disse tranquillo.
Bella
lo fissò intensamente: “Davvero: grazie”
ripeté più decisa. Poi lo abbracciò, e
Damon si sentì un amico. Sentì che Bella lo
considerava un vero amico.
“Già
Damon! Grazie!” strillarono Alice e Rosalie, correndo ad
abbracciarlo.
Dopo
essere stato stritolato per bene, Damon decise di correre verso la casa
di
Elena. Avrebbe dormito nel suo letto, quella notte. Avrebbe respirato
il suo
profumo, sarebbe stato circondato dalle sue fotografie. Sì,
lo avrebbe fatto.
“Bene,
io me ne vado” si congedò. Non aggiungendo altro,
si andò confondendo nella
foresta.
Tyler,
che era stato muto tutto il tempo, non riusciva a trovare la forza di
andarsene. Voleva abbracciare una sconosciuta e lei non sembrava
mostrare
particolare interesse nei suoi confronti. Stefan si avvicinò
a lui e gli batté
con una mano sulla schiena: “Voglio dirti che io e Caroline
stiamo assieme e
che non ti voglio di mezzo” mormorò minaccioso, ma
senza guardarlo negli occhi.
Caroline voleva essere lei a dirlo a Tyler, ma Stefan ci teneva alla
sua
relazione e voleva allontanare il concorrente da subito.
“Caroline
vuole dirtelo per prima, ma io non mi fido di te”
spiegò rapidamente il
vampiro. “Quindi non metterti in mezzo e trovati qualche
altra lupa” concluse
Stefan. Gli lanciò una rapida occhiata e se ne
andò.
Tyler
decise in quel momento che sarebbe rimasto a conoscere Nessie; doveva
farlo.
Per rimediare alla ferita lasciata da Caroline, per capire meglio
quello che
stava succedendo alla sua mente e al suo corpo.
Era
come se quella di conoscere Nessie fosse la sua unica strada. Non aveva scelta.
*
Damon
entrò dalla finestra a casa Gilbert. Passando attraverso le
tendine leggere
sentì il profumo di Elena invadere le sue narici. Era una
sensazione che non
provava da giorni, giorni eterni che gli parevano anni.
Si
sdraiò sul letto e fissò il soffitto, incantato
dalle stelle luminose che Elena
non aveva voluto staccare durante l’adolescenza
perché le ricordavano i bei
tempi dell’infanzia.
Improvvisamente
Damon sentì che in quella stanza non era più
solo. Qualcuno era apparso.
Ma
sentiva che non c’era nulla di spaventoso.
Non
aveva paura.
Perché
lei era lì con lui.
In
tutti i sensi.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Vedete
che sto aggiornando a tempo record! Ieri sono tornata con I
Feel You
e oggi, finalmente dopo quasi due mesi, ritorno con il mio pazzo
crossover!
Mi
dispiace tanto, ma sono stata molto occupata e spero di esservi mancata
(perché
significa che ciò che scrivo vi piace J) ma la scuola mi stava uccidendo.
Per
inaugurare l’ultima verifica del mio primo anno di Liceo J, ecco un nuovo fresco capitolo. E
finalmente ci
siamo! Voglio recensioni a palate, ok? =)
Spero
che abbiate intuito cosa è successo nella terza parte, che
si collega con la
prima…
Il
prossimo capitolo sarà quello che voi attendete da molto
tempo, spero di non
deludere le vostre aspettative.
Vi
ringrazio davvero per tutto il vostro sostegno, grazie a chi ha
aggiunto questa
storia tra le ricordate, le seguite e le preferite. Grazie anche a chi
legge
solamente in silenzio.
Grazie
soprattutto a chi recensisce… purtroppo sono piuttosto in
ritardo con le
risposte alle recensioni, quindi corro a rispondervi e a farvi i
ringraziamenti
persona per persona.
Grazie
ragazze! Spero di aggiornare prestissimo!
Bacioni
Fra
PS
Vi segnalo qualche mia storiella più qualche altra che adoro:
Una
mia OS deprimente che spero leggiate… qui
La
mia pazza raccolta demenziale…
qui
E
infine… Impossibile
di kija_salvatore,
che
(come me J) è appena tornata da
una lunga assenza. Presto recensirò! Bentornata Vale! =)