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Autore: Lue    05/06/2011    2 recensioni
Lo avevo amato come non avevo mai amato nessuno, come nessuno avrebbe mai amato lui.
E la forza del mio sentimento era potente, scottava come la brace accesa di un camino scoppiettante, soffiava forte come il vento dell’est, sradicando gli alberi e portandoli via assieme alle loro radici.
S’era portato via anche le mie di radici, quell’amore opprimente e devastante, mai ricambiato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alta marea.


"And then while I'm away,
I'll write home everyday
and I'll send all my loving to you.
I'll pretend that I'm kissing
the lips I am missing,
and hope that my dreams will come true"

[All my loving - Beatles]



 

Lo avevo amato. Avevo amato lui tutto, ogni aspetto della sua anima, ogni screziatura del suo carattere, anche quegli angoli aguzzi e spigolosi che finivano col graffiarmi ogni volta che mi esponevo troppo.
Lo avevo amato come non avevo mai amato nessuno, come nessuno avrebbe mai amato lui. E la forza del mio sentimento era potente, scottava come la brace accesa di un camino scoppiettante, soffiava forte come il vento dell’est, sradicando gli alberi e portandoli via assieme alle loro radici. S’era portato via anche le mie di radici, quell’amore opprimente e devastante, mai ricambiato.
Ero perfetta. Perfetta. Bella, dicevano, e lo vedevo anch’io ogni mattina, osservando il mio riflesso allo specchio, spazzolandomi con cura i capelli chiari, due paia di occhi verdi che si immergevano gli uni negli altri attraverso la superficie di vetro. Ed ero intelligente, spiritosa. Ero felice.
E lui, con la forza del mare durante l’alta marea, mi aveva trascinata a fondo. Le onde mi avevano sorpresa in una mattina di settembre, ed ero diventata una naufraga a vita, inghiottita dai flutti di quel sentimento.
Lo avevo amato per anni, lo amavo ancora mentre il mio sguardo si perdeva oltre le nuvole tetre (attraverso la scia del suo aeroplano) e nel mio petto rimbombava frusciante una frase. Torna qui, ti prego. Cosa avevo da rimproverargli? Quello che gli rischiarava il viso era sempre stato un sorriso buono, comprensivo.
Mi dispiace, non ti amo, dicevano i suoi occhi chiari, come per scusarsi. Mi dispiace per la tua sofferenza. Sei simpatica, sei bella, sei mia amica. Ma non ti amo. Non ti amerò mai.
Io scuotevo la testa, sorridevo – e Dio solo sa quanto mi costassero quei sorrisi–, gli raccontavo della mia giornata, stringendo più forte la tazza di caffè ormai freddo, fingendo di non aver capito, fingendo che il suo rifiuto mi fosse rimbalzato addosso e si fosse sbriciolato sul bancone del bar. Dopotutto il rumore di vetri infranti lo avevamo udito entrambi, peccato solo fosse quello del mio cuore.
Io l’avevo amato, l’avevo amato così tanto. Gli avrei dato i miei capelli, le mie mani, il mio sangue, gli avrei donato le mie labbra e la mia voce, i miei libri, le mie sigarette. Tutto ciò che possedevo era nulla davanti alla grandezza di quello che provavo.
Avete mai amato così? Si può amare così?
Forse no, forse non si può. Forse ero solo malata e il fuoco che lambiva la mia carne era solamente una rara forma di infezione. Non lo so, non l’ho mai capito.
E intanto lui aveva fatto le valige, silenziosamente, aveva messo via il suo flauto e i suo occhiali, aveva risposto con cura i suoi vestiti, piegati, in un borsone verde.
“Ciao, io parto”.
La semplicità di quell’affermazione mi aveva spiazzato, le lacrime mi avevano riempito gli occhi, ma non avevo pianto. Avevo inghiottito tutto, le lacrime, gli anni, le risate, il sole, gli abbracci, le parole, ogni cosa mi era rimasta impigliata in gola. Lì si era fermata.
Non gli ho mai chiesto di restare.
Sono rimasta a terra, mentre lui sedeva vicino al finestrino e io ero solo un granello di polvere, giù.
Come era sempre stato.
 










   
 
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