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Autore: lollylove    06/06/2011    1 recensioni
questa storia nasce dalla pura follia della mia mente. in alcuni tratti la mia anima sognatrice e romantica verrà fuori, ma non leggerete solo questo!spero che quello che ho scritto vi piaccia...fatemi sapere cosa ne pensate!=)
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Resisti, resisti, resisti”. Sono queste le parole che continuo a pronunciare nelle mia testa ogni qual volta un crampo mi trafigge la caviglia e sale su per il polpaccio. Non sono nuova a questo genere di cose, o meglio, a certe sofferenze. Ormai da molti anni i crampi e i piedi sanguinanti fanno parte della mia routine. Proprio così, ogni giorno per circa due ore infilo le scarpette e danzo, danzo fin quando mi è possibile. Già dopo un anno che prendevo lezioni di danza non facevo altro che chiedere a mia mamma di portarmi a vedere qualche spettacolo di ballo, magari in un teatro, ma in un paese piccolo come il mio è già difficile trovare una scuola di danza, figuriamoci un teatro. Quindi ogni volta mi accontentavo di guardare qualche grande ballerino esibirsi in quella scatola magica che è la televisione. E dire che è stata proprio mia mamma a farmi scoprire per la prima volta il fantastico mondo della danza. Ricordo ancora che tenendomi per mano mi accompagnò in una sala piena di specchi dove c'erano bambine vestite in un modo che non avevo mai visto, con i capelli tutti tirati. Mi sembrava un gioco, ero troppo piccola per capire che stavo iniziando a fare qualcosa di grandissimo, che avrebbe impegnato tutta la mia vita. D'altronde a tre anni e mezzo volevo solo giocare, giocare e ancora giocare, ecco perché era così difficile concentrarsi e seguire le insegnanti. Ma col tempo tutto è stato più naturale, ho imparato il rigore, il sacrificio, la voglia di superare i limiti. La danza è stata la mia vita, è la mia vita... ma posso definire vita un'esistenza passata a rincorrere un sogno, un solo ed unico sogno? È come se gli anni fossero trascorsi senza che io lo sapessi, perché ho sempre fatto solo una cosa, perché non conosco il mondo né le bellezze che esso ha da offrirmi. La danza mi ha portato ad allontanarmi da tutto. Non ho coltivato grandi amicizie, non ho fatto esperienze o combinato pazzie, sono sempre stata concentrata solo sul ballo, chiudendo la porta a tutto il resto. Chi mi guarda da fuori mi giudica fredda, timida e probabilmente snob ed io non faccio nulla per cambiare le cose, ogni giorno passo nei corridoi del mio liceo affiancata dall'unica vera amica che abbia mai avuto, Clara, scrutando ogni singola mossa di ogni singola persona mi capiti di fronte, non perché io sia una pazza che non si fa gli affari propri, ma perché vorrei capire cosa mi rende così diversa, inerme.

Quando mi sono iscritta al liceo non conoscevo nessuno, mi ero appena trasferita e tutto mi faceva paura, stavo in silenzio e camminavo sempre vicino al muro. Già il primo giorno di scuola avevo conosciuto più persone di quante potevo sperare ma nessuno aveva avuto la pazienza di aspettare che la corazza che mi ero creata negli anni si rompesse, solo lei era stata capace di non mettermi fretta, ha saputo scegliere i tempi, solo lei ha trovato la chiave del mio cuore. Con il resto dei miei compagni il rapporto era civile, ogni tanto scappava la risatina ma nulla che si avvicinasse alla profondità ed all'intimità di un'amicizia. I primi tempi ho sofferto per questa cosa, poi ho capito che se avessi voluto avrei potuto cambiare la situazione perché molte ragazze mi imitavano ed io non so per quale motivo piacevo a molti ragazzi, ma non volevo che le cose cambiassero perché non avevo nulla in comune con quelle persone e non intendevo accontentarmi di banali rapporti di facciata.

Dal primo anno di liceo erano trascorsi ormai quattro anni ed era arrivato il momento, ormai per tutti, del fatidico diciottesimo compleanno. Non mi piacevano molto le grandi feste, proprio per questo non ho festeggiato il compleanno, ma quello di Clara non poteva passare inosservato, desiderava questo momento da troppo tempo. Insieme ai genitori aveva affittato una grande sala ed il catering per il buffet, aveva scelto palloncini, menù e disposizione dei tavoli. Sembrava tutto pronto, io mi sentivo più emozionata di lei, avevo comprato un vestito che probabilmente non avrei più indossato e delle scarpe bellissime che poi avrei regalato a mia madre. Lei era stupenda come sempre, affiancata dal suo storico fidanzato sembravano cenerentola e il principe. Era sbagliato essere invidiosa della propria migliore amica? Probabilmente si, ma io non potevo farci nulla, mi mancava così tanto della vita di un'adolescente che non potevo far altro che sognare attraverso l'esistenza altrui.

Ero seduta sulla sedia e vedevo la folla ballare in modo irregolare, batteva i piedi per terra come se volesse calpestare quel poco di musicalità che inebriava le pareti della stanza. Volevo lasciarmi andare, esprimere tutte quelle emozioni che tenevo dentro e che riuscivo a buttar fuori solo in una stanza piena di specchi... “Balla!” mi dicevo, “fai vedere a tutti quello che sai fare, fai vedere a tutti chi sei veramente!”. Senza volerlo tenevo gli occhi chiusi, chiunque mi avesse vista in quel momento mi avrebbe presa per pazza, poi, ad un tratto, sentì toccarmi la spalla.

Balliamo?”, mi voltai e senza vedere chi fosse risposi di si. Era Claudio, lo storico fidanzato di Clara!

Mi guardava negli occhi con una tenerezza quasi imbarazzante, avvolgeva i miei fianchi congiungendo le mani dietro la mia schiena, sempre attento a non oltrepassare il confine imposto dal mio sedere. Ero confusa, come sotto effetto di una droga, mi ero isolata dal mondo esterno. In quel momento credevo di essere Betty Rizzo, spavalda ed incurante del mondo esterno canticchiavo: “Look at me I'm Sandra Dee...”.

Sei davvero strana” sentì dire dopo una fragorosa risata. “Oh mio Dio, stavo cantando ad alta voce, lui aveva assistito al mio momento di trans, che figura di m....a!”, alzai lo sguardo scacciando il pensiero di lui che rideva di me e dissi rossa come un peperone: “Scusami...ero assorta nei miei pensieri!”. “Figurati...è stato molto divertente” disse trattenendo a stento una risata. Abbassai lo sguardo e sentì le ultime note del brano, le sue mani lasciare i miei fianchi e il suo corpo allontanarsi pian piano dal mio. Non disse una parola, mi guardò e sorridendo si allontanò. Conoscevo Claudio da un po' ma i nostri discorsi non erano mai andati oltre ad un semplice “Ciao..come va?”, tutta quella gentilezza non l'avevo mai notata, qualcosa non quadrava. Ero tornata alla mia postazione, seconda sedia del terzo tavolo venendo da destra, quando ho sentito Clara dire: “L'hai invitata? Potresti chiedere a qualche tuo amico di ballare con lei!”. Nella mia testa speravo con tutto il cuore che quelle dannate parole non fossero rivolte a me, speravo che facesse il nome di qualche altra ragazza, chiunque! Ma a quanto pare avevo pretese troppo grandi, difatti quando sentì la voce di Claudio rispondere a quelle parole non ebbi più alcun dubbio, ero io, ero io la ragazza stupida che tutti compativano, ero io che venivo trattata come una cretina, ero io e non volevo proprio crederci. Rimasi immobile per un po', poi con una scusa banale me ne andai. Arrivata a casa volevo solo sparire, volevo lasciarmi cadere ma non potevo perché non avrei trovato nessuno a sorreggermi, l'unica persona che avrebbe potuto prendermi mi aveva spinto senza paracadute da un grattacielo poco prima. Ero di fronte allo specchio con gli occhi stracolmi di lacrime senza il coraggio di guardarmi, poi ad un tratto alzai lo sguardo e mi vidi forse per la prima volta. Indifesa e sofferente, cercavo di capire cosa non andava ma mi resi conto che tutto andava bene, ero una bella ragazza, con un fisico che gli anni di danza avevano modellato rendendolo morbido e asciutto nello stesso tempo, invidiabile per molte, poi salì e feci i conti con la realtà... il mio viso era vuoto, spento, i miei occhi sembravano tristi. Senza struccarmi mi buttai sul letto e passai, stranamente, una delle notti migliori della mia vita. Finalmente ero pronta a cambiare le cose. Era domenica e, tradendo il mio solito programma, mi alzai tardissimo e feci un'abbondante colazione, poi andai a fare shopping, rifeci tutto il mio armadio con lo scopo di far vedere a tutti la nuova me. L'indomani arrivai a scuola sorridente, Clara mi guardava sbalordita ed io con naturalezza la salutai e passai oltre. Cercai di evitarla anche nei giorni successivi, poi capì che non potevo prendermela con lei, ero io che non andavo bene quindi tornai a parlarle senza dare molte spiegazioni.

Avevo ordinato la pizza da circa dieci minuti quando dentro al locale entrò Claudio, mi voltai subito di spalle per non farmi vedere ma il posto era troppo poco affollato così si avvinò e mi disse: “Ehi cantante... cosa ci fai qui?”, avrei preferito ignorarlo e girarmi dall'altro lato ma gli risposi: “Sto aspettando che esca la signora perché il dottore mi deve visitare prima che chiuda la farmacia!!!”. Mi sembrava chiaro il tono stizzito e umoristico ma, appena vidi la confusione sul suo volto, aggiunsi: “Sto aspettando la pizza!”. “Ah!” disse ancora perplesso, poi, senza che nessuno gli chiedesse niente, aggiunse: “Io sono passato a prendere una birra!”, non gli risposi, annuì poco interessata. Subito dopo mi arrivò la pizza, la pagai e immediatamente mi disse: “Avevo capito che avresti cenato in compagnia!”, “ Capisci sempre male” replicai mentre mi dirigevo verso la porta. “Aspetta... posso darti un passaggio?” disse venendomi dietro, “ Non c'è bisogno, vado a piedi!” risposi poco convinta, in effetti la strada non era poi così corta. Così in men che non si dica mi ritrovai sulla sua macchina con la pizza calda che bruciava sulle mie ginocchia. Arrivammo alla scuola di danza e non sapevo cosa fare per sembrare il più possibile una persona educata, ma lui, interrompendo il mio pensiero mi chiese: “ Potrebbe esserci la remota possibilità che io ti veda ballare?”, “ No!” risposi senza nemmeno pensarci, ma lui non era il tipo che si arrendeva così iniziò un monologo con lo scopo di straziarmi: “ Non pensavo fossi così crudele, mica ti ho chiesto di perdere una serata con me, voglio solo assistere, vedere come balli! Tanto sei sola, lo dico pure per il tuo bene, chiunque potrebbe entrare e approfittarsi di te ma se ci fossi io...” , “ Ok!”, dissi a voce alta interrompendolo, “ Entra pure, non m'importa!”. Entrammo in punta di piedi come se ci stessimo nascondendo da qualcuno, posammo le borse e subito andai ad accendere lo stereo, non mi piaceva il silenzio di quella sala. “ Vieni ad allenarti tutta sola ogni sera?” chiese incuriosito, “ Io non mi alleno, quando vengo qui faccio uscire tutto quello che ho dentro, quello che in una sala con altre dieci persone non riesco a far vedere! Comunque non vengo tutte le sere, solo quando posso!” dissi come se volessi essere volontariamente distaccata. Mi guardò perplesso, come se volesse capire, scoprire qualcos'altro che io non potevo dirgli. Mangiammo la pizza senza lasciare nemmeno una briciola ma nonostante ciò sentivo qualcosa che mi stringeva lo stomaco, come tanti piccoli crampi che pizzicavano senza sosta. “ Quando potrò vederti ballare?” mi chiese sorridente, “ Mai... non ballerò davanti a te!” dissi tutto d'un fiato, “ Non succederà!”. “ Ma perché?” replicò con la voce smorzata dalla delusione, “ Perché mi vergogno, perché mi sentirei una stupida e soprattutto perché noi non siamo nemmeno amici, non siamo niente!”, “ Potremmo sempre diventarlo!” ribadì con una cortesia che mi imbarazzò, “ Non credo... sei fidanzato con Clara da abbastanza tempo per poter dire che non abbiamo nulla da dirci, nulla in comune!”, “ Abbiamo lei in comune, per esempio, abbiamo il sole che riscalda entrambi in egual misura, abbiamo la strada su cui camminiamo, l'aria che respiriamo!” disse con un sorriso smagliante, “ Non ti sembra abbastanza?”, “ Che sei scemo... sai cosa intendo! Non sono un granché come persona, non ti perdi niente!”, “ Forse dovresti lasciarlo dire a me! Non credi?” disse quasi indispettito, così senza pensarci due volte risposi: “ Se mi ritenessi davvero una persona interessante mi avresti invitata a ballare senza bisogno che te lo dicesse Clara!”. Mi sentì subito gelare, non avrei dovuto dire questa cosa, non l'avevo detta nemmeno alla mia migliore amica! La sua faccia era immobile, senza nessuna espressione, poi senza guardarmi in faccia disse: “ Mi dispiace, non avrei mai voluto che tu lo sapessi... Clara non mi ha costretto a farlo, sono stato io a decidere!”, “ Capito!” risposi a bassa voce senza alzare lo sguardo, “ Ora dovrei andare...” aggiunsi poi con tono più deciso. “ Ti posso accompagnare?” , “ No grazie, preferisco fare due passi a piedi!” risposi cercando di essere più gentile possibile, “ Ma è tardi, forse è..” non gli lasciai il tempo di finire la frase, “ Non preoccuparti, ci vediamo a scuola!”.

Quella sera non riuscì a chiudere occhio, mi sentivo in colpa perché quelle parole avrei dovute dirle a Clara, non ad una persona con cui scambiavo a malapena due chiacchere. Non potevo non fidarmi dell'unica grande amica che avevo! Il giorno dopo entrai un'ora dopo a scuola, non volevo saltare nessuna materia in particolare, solo che la cattiva volontà era stata più forte. Arrivai mentre il professore di storia spiegava, mi sedetti accanto a Clara e iniziai, cercando di non tralasciare nessun passaggio, a parlarle di tutto quello che stava insidiando il nostro rapporto, la discussione fu lunga ma a fine giornata mi sentivo meglio, sentivo di poter ricominciare. Il giorno seguente tutto mi sembrò lucente, nemmeno la lezione di danza insieme agli altri ragazzi mi sembrò noiosa come al solito, ero raggiante.

Da circa un mese, ogni volta che arrivava il giorno della lezione di gruppo sentivo lo sguardo di un ragazzo farsi sempre più insistente. Era arrivato da poco ma quando lo vedevo ballare mi sembrava un angelo, aggraziato e virile al contempo, sapeva concentrare su di lui tutti gli sguardi. Quel venerdì pomeriggio, però, prima di uscire dalla sala si avvicinò e lasciandomi di stucco mi disse: “ Che ne dici se domani vengo a prenderti all'uscita da scuola e trascorriamo un po' di tempo insieme?”, non sapevo cosa dire, nonostante l'intonazione la sua non sembrava propriamente una domanda, così risposi semplicemente di si. Quando tornai a casa dall'emozione chiamai subito Clara ed insieme iniziammo a programmare tutto, dal trucco al capello, dalla scarpa al giubbotto, quello sarebbe stato il mio primo “ appuntamento”!

UN ANNO DOPO

Ero sdraiata sul divano quando Carlo si buttò addosso e iniziò a baciarmi tutta: “Amore mi stai schiacciando, non respiro!” dissi cercando di prendere fiato dal piccolo spiraglio che si apriva alle sue spalle, “ Allora fammi un po' di spazio, dai! Sposta questo culone!” mi rispose ridendo. Carlo era così, naturale e simpatico in ogni momento della sua vita, da quell'appuntamento non c'eravamo più lasciati. Quei tempi mi sembravano lontani, io ero diversa, più sicura, più bella. Grazie a Carlo la mia vita era cambiata, lui aveva capito le mie paure, i miei sacrifici perché forse erano anche i suoi. I giorni in cui la mia vita mi sembrava un tremendo libro nero erano finiti, la vita aveva cominciato a sorridermi. Era sabato sera e mi ero fatta convincere da Clara a fare un'uscita a quattro anche se ultimamente lei e Claudio non sembravano andare più tanto d'accordo. Nonostante fosse sabato, ero andata a ballare per circa un'ora, ero sola, avevo tutto lo spazio per me, potevo sbagliare, cadere e nessuno mi avrebbe ripresa. All'uscita dalla sala ero stanchissima, mi facevano male le gambe e l'idea di tornare a casa a piedi mi faceva sentire male, tutta quella strada! Ad un certo punto sentì un colpo di clacson dietro le spalle, mi voltai e vidi Claudio sulla macchina. Che culo, avevo trovato un passaggio! Balzai in macchina come un fulmine, misi la cintura e con un sorriso smagliante mi voltai verso di lui, ma la sua faccia non era altrettanto felice. Sembrava avesse appena finito di piangere, ma non ne ero certa, quindi cercai di chiedere senza insistere troppo: “ Ehi..ti vedo strano, è successo qualcosa?”, “ No, non ti preoccupare!” rispose titubante. “ E' successo qualcosa con Clara?” dissi cercando di estrapolare qualcos'altro, “ Clara... Clara”, “ Clara cosa? Mi stai facendo preoccupare!” dissi con la voce strozzata dall'ansia, “ Clara è incinta!”. Rimasi immobile mentre il viso di Claudio si rigava di lacrime, non sapevo cosa dire, non sapevo cosa fare. Lo guardai con quanto più affetto avessi in corpo e gli chiesi: “ Cosa avete intenzione di fare? Lo volete tenere?”, “ Lei vuole tenerlo, sembra quasi che la cosa non la smuova più di tanto, quando me l'ha detto era tranquilla, come se questa cosa non avesse importanza”. “ Posso chiederti una cosa?” dissi con un filo di voce, “ Da quanto tempo lo sapete?”, “ Circa due settimane...mi dispiace che non te l'abbia detto!” rispose come se in quel momento fossi io quella terrorizzata e devastata, ma non era così, era lui che aveva bisogno d'aiuto, quindi buttai giù il rospo e sorrisi come se volessi fargli capire che tutto si sarebbe sistemato. Ma non era così, un bambino non passa col tempo, anzi, più cresce più le responsabilità aumentano insieme ai sacrifici. Mi guardava come se cercasse in me la risposta ed io lo fissavo come se aspettassi da lui una risposta. Il silenzio si stava facendo quasi imbarazzante quando lui disse: “ C'è un'altra cosa che mi fa stare male...non sono più innamorato di lei! Quando ci siamo messi insieme eravamo piccoli, troppo piccoli, non capivamo nemmeno cosa ci unisse se non la voglia di camminare nei corridoi con qualcuno. Ora le cose sono cambiate, siamo cresciuti ed io quando la guardo provo affetto e l'affetto non basta!”. Ero sconvolta ed anche un po' arrabbiata, perché non ci aveva pensato prima a tutto questo? Ora come avrebbero fatto?

Mi voltai verso di lui e gli dissi: “ Non so veramente cosa dirti, con quest'ultima cosa mi hai sconvolto. Ma perché non te la sei tenuta nelle mutande visto che provi solo affetto? Non capisco...ti prenderei a schiaffi!”, sapevo di non avere il diritto di arrabbiarmi, sapevo che la faccenda mi riguardava relativamente ma non potevo fare a meno di prendermela con lui per questa mancanza di responsabilità. “ Ora che faccio?” mi chiese lui interrompendo i miei pensieri, “ Ho paura...” continuò guardandomi con gli occhi spenti e sofferenti di chi conosce già cosa lo aspetta. Avrei voluto dirgli che tutto si sarebbe sistemato, che alla fine avrebbe trovato una soluzione, ma non era così, quindi senza pensarci più di tanto mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Sentivo le sue mani stringere la mia felpa, il suo fiato riscaldarmi il collo e le sue lacrime sgorgare, sentivo tutto, persino il suo cuore battere troppo forte, quasi volesse uscirgli dal petto. Poi qualcosa di molto caldo mi bagnò il viso, era una sua lacrima. Subito scostai il volto e lo guardai, era rosso, senza forze, aveva la febbre. “ Corri subito a casa! Hai la febbre” dissi toccandogli la fronte, “ Non voglio, sono solo! Con tutto quel silenzio i miei pensieri mi farebbero impazzire!” rispose con una voce molto più dolce del solito”. “ Si ma se resti qui potresti sentirti male per davvero! Non puoi stare in macchina”.

Sapevo, mentre giravo la pastina nel pentolino, che quello che stavo facendo era sbagliato, se qualcuno fosse venuto a conoscenza di quella sera io avrei dovuto dare molte spiegazioni, ma lui era accucciato tremolante sul mio divano ed io, dopo tutto che aveva passato, non potevo lasciarlo solo. Se solo Clara o Carlo avessero scoperto il motivo per cui avevamo annullato l'appuntamento, per quanto la serata fosse stata innocente e amichevole, ne avremmo subito le conseguenze.

Gli preparai un piatto di pastina e ne misi un pochino in un piatto anche per me, andai verso il salotto dove era coricato ma lo trovai che dormiva. Sembrava un bambino indifeso e sofferente, chino su se stesso come se volesse proteggersi da qualcosa. Mangiai tutta la pastina fino a scoppiare, mi sedetti sul divano ai piedi di Claudio e senza rendermene conto mi addormentai. Non capivo se stavo sognando o meno, eppure sentivo il corpo di qualcuno vicino al mio. Mi svegliai di colpo nelle braccia di Claudio che mi stringevano come in una morsa, sentivo caldo a contatto con quel corpo che non la smetteva di sudare, probabilmente perché la temperatura continuava scendere. Cercai di liberarmi senza svegliarlo, andai in bagno e feci una doccia quasi fredda, come se volessi ripulirmi da qualcosa. Sapevo di non comportarmi bene con Carlo e Clara, ma lui aveva bisogno d'aiuto in quel momento ed io non potevo tirarmi indietro. Mi asciugai i capelli con cura e tornai in salotto, lo trovai seduto in mezzo al divano con la testa fra le mani come se volesse bloccarla per evitare che scoppiasse. “Buongiorno” dissi a voce bassa, lui si voltò e fece un mezzo sorriso. “Come ti senti?” continuai mentre mi sedevo accanto a lui, “ La febbre sembra essere passata, ora prendo le mie cose e vado via”, “ Non devi per forza..” dissi d'istinto interrompendo bruscamente la frase, “Invece devo, sono mortificato per tutto il tempo che ti ho fatto perdere!”. Non risposi, abbassai lo sguardo e con voce tremolante dissi “E ora come farai?”, senza guardarmi negli occhi rispose “Non lo so proprio, vorrei soltanto non avere paura!”. Era così indifeso che non potei far altro che alzarmi di scatto ed abbracciarlo al massimo delle mie forze. “Ti voglio bene” furono le ultime parole che mi sussurrò all'orecchio prima di andarsene.

Avrei dovuto raccontare tutto a Carlo e Clara? Alla fine mi ero solo comportata da amica. Come avrebbero reagito? Decisi di non dire nulla e di far finta di non sapere niente. Il giorno dopo, con una scusa qualunque, andai a casa di Clara, la trovai raggiante, anche troppo. Mi accolse come non faceva ormai da tanto, mi fece sentire come a casa mia e senza pensarci troppo mi disse che era incinta. Faticai a non affogarmi con il biscotto che avevo appena finito di masticare e con una faccia perplessa le dissi: “E me lo dici in questo modo? Come fai ad essere felice?”, “Non lo sono” rispose cambiando leggermente espressione. Restai per qualche secondo immobile, poi intuendo qualcosa nel suo sguardo le domandai: “Perché non sei più felice?” dentro di me speravo dicesse che in realtà felice non lo era mai stata per questa gravidanza, ma che cercava solo di farsi forza ed invece la sua risposta mi spiazzò: “Voglio questo bambino perché rivoglio Claudio!” appena udì quelle parole un brivido salì lungo la mia schiena. “So che può sembrare un ragionamento folle, ma sono disposta a tutto pur di riconquistarlo! Non mi guarda più come faceva una volta, non mi desidera più, non gli manco più!”. Mi aveva commossa con quelle parole, doveva starci davvero male, ma nello stesso tempo avevo sentito salire un impeto di rabbia, così senza pensarci due volte le dissi: “E tu metti al mondo un figlio per questo motivo? È da pazzi! Stai rovinando la tua vita e anche quella di Claudio. Non mi fraintendere, so che i figli sono un dono, ma quando sono il frutto di un amore sincero, di due persone che si amano così tanto da voler mettere al mondo un'altra vita. Siete troppo giovani ed inesperti per poterlo crescere e mantenere, non potete usarlo come tappa buchi”. Non riuscivo a capire il suo comportamento, era inconcepibile ed egoista. Io ero terrorizzata per lei, mi tremavano le gambe al pensiero. Dopo qualche secondo di silenzio mi rispose: “In ogni caso non sono problemi tuoi...metterò al mondo questo bambino anche se a volerlo sarò solo io!”. Quelle erano state le ultime parole che mi rivolse prima che io me ne andassi sbattendo la porta. Non potevo crederci, ero senza parole! Il giorno dopo la discussione andai a casa di Claudio. Non appena entrai, senza lasciargli il tempo di realizzare, gli dissi: “Dimentica quella ragazza di cui ti sei innamorato, concentrati su Clara e sul vostro bambino. Lei è pazza o forse psicopatica per i ragionamenti che fa ma tu sei un uomo senza palle che non ha il coraggio di assumersi le conseguenze delle sue azioni. Non mi cercate più, non ne voglio sapere niente! Quando il bambino nascerà verrò a farvi visita, ma fino ad allora dimenticatemi!”. Ero stata esagerata, plateale come forse non lo ero mai stata in vita mia. Non ero mai così, ma quel giorno ero arrivata al limite. Probabilmente avrei dovuto lasciargli il tempo di rispondere, ma me ne andai prima ancora di aver pronunciato l'ultima sillaba. Ero stata dura con lui e già sentivo i rimorsi divorarmi lo stomaco. Era passata una settimana ed io avevo ripreso la mia routine fatta di Carlo, di danza e di svago quando possibile, avevo pure organizzato una cena per il mio amore in cui tutto era cucinato da me. Ero abbastanza felice, anche se mi mancavano Clara e Claudio. Un pomeriggio, mentre aspettavo l'autobus vicino casa, sentì suonare il clacson, quando mi voltai vidi il viso di Claudio sorridermi e senza accorgermene scoppiai a ridere. Mi fece salire in macchina e dopo pochi istanti mi resi conto che sembrava meno sofferente, ma non gli dissi nulla, non volevo rovinare quel bellissimo sorriso. Restai in silenzio per un po', come se stessi riflettendo su qualcosa di veramente importante, in realtà guardavo solo la strada, la mia testa era vuota, libera. “A cosa pensi?” disse, rompendo quel bellissimo silenzio, “A nulla, sono nell'aria ma non penso a niente!”. “Volevo chiederti scusa per tutto quello che ti ho fatto passare, non dovevo farti patire le mie pene..mi dispiace!”. “Sono io che devo chiederti scusa” dissi tutto d'un fiato, “Non dovevo dirti quelle cose, non sono nessuno per giudicarti. Tu sei una persona bellissima ed io sono felicissima di averti conosciuto!”. Non disse più nulla, mi guardò soltanto. Continuammo a camminare in silenzio fin quando mi ricordai di dover andare in banca, lo fermai di botta, altri cinque minuti ed avrebbe chiuso. Arrivammo davanti alla porta e senza farlo fermare del tutto scesi dalla macchina, entrai e mi misi in fila dietro le cinque persone che c'erano prima di me. Non passarono nemmeno tre minuti e subito vidi arrivare Claudio, “Che ci fai qui?” dissi sorpresa, “Ti faccio compagnia!” rispose lui sorridendo. Ero felice che fosse rimasto, almeno dopo avremmo avuto il tempo di parlare un po'. Stava quasi per arrivare il nostro turno quando tutti i punti luce vennero oscurati e degli uomini incappucciati, vestiti di nero iniziarono a gridarci di stare immobili se tenevamo alle nostre vite. Tutto questo in un'istante, non capivo nulla, le lacrime stavano per annebbiarmi la vista. Cercavo la mano di Claudio ed alla fine mi accorsi che mi stava avvolgendo con il suo corpo, vedevo la scena svolgersi di fronte ai miei occhi ma io non riuscivo nemmeno a muovermi, ero paralizzata. Claudio continuava a dirmi di stare tranquilla, che tutto sarebbe andato bene, ma loro continuavano a gridare e fare fretta ai dipendenti. Mi facevano paura, uno di loro era enorme mentre un altro sembrava davvero giovane. Cercai di focalizzare meglio le immagini, quello grosso teneva d'occhio il banchiere maschio, mentre gli altri tre continuavano ad urlare alle donne che stavano in ufficio di muoversi altrimenti nessuno sarebbe uscito vivo di lì. Poi c'era un altro uomo che teneva d'occhio noi; me, Claudio, un signore ed una donna anziana. Proprio quest'ultima mi diede la forza di non svenire, di stare in piedi con le mie gambe, di affrontare quello che sarebbe potuto accadere. Stava in piedi, sostenuta soltanto dal suo bastone, guardava tutti negli occhi senza smettere nemmeno per un secondo di dire: “Non la passerete liscia, arriverà la polizia!”. La guardai e mi allontanai un po' da Claudio, provando ad affiancarmi a lei. Non riuscì nemmeno a fare due metri e subito sentì gridare: “Fermati se non vuoi che finisca male!”, “Non voglio far nulla, lasciatemi solo arrivare dalla signora!”. Non dissero nulla, quindi raggiunsi la donna, tremava. Ad un certo punto vidi Claudio avvicinarsi ed un colpo di pistola partire da quell'unico uomo che credevo meno crudele. Il colpo non era rivolto verso di lui, ma comunque sentì il cuore uscirmi dal petto ed un urlo graffiarmi la gola. Claudio subito disse: “Va bene, sto qui! Ma non fate del male a nessuno!”. Volevo che fosse vicino a me, volevo stringerlo ma la signora aveva più bisogno di me. Respirava a stento, quel colpo le aveva fatto cadere tutte le certezze, era terrorizzata. Subito implorai i rapinatori di lasciarla andare, non avrebbe resistito ancora per molto, era troppo debole. Nessuno mi ascoltò così mi allontanai dalla signora per andare a prendere dell'acqua nella mia borsa con la speranza di farla riprendere, ma non misi in conto che loro mi avrebbero ostacolato. Non riuscì a sentire nemmeno lo sparo, l'unica cosa che riuscì a sentire fu un dolore disumano che mi tolse il respiro, poi iniziai a sentire freddo. Prima ancora di riuscire a pensare tutte queste cose sentì Claudio urlare a squarciagola, sentì le sue mani cingermi il corpo e pian piano aprì gli occhi. Era lì, chino su di me. Mi baciava le mani ma non riusciva a dirmi nulla, piangeva e basta. “Te l'ha mai detto qualcuno che sei un piagnone?!” sussurrai sorridendo, non sentivo più tanto dolore, il proiettile era entrato nella parte esterna della gamba, ero stata fortunata. “Devi guardami, parlarmi!” disse Claudio raccogliendo le forze, “Dimmi qualcosa di interessante se vuoi la mia attenzione” risposi facendo uscire a stento la voce. Intorno a noi sembrava non esserci più nulla, vedevo la scena, la donna anziana accasciata nelle braccia di quel signore misterioso, i rapinatori in preda al panico. Ma perché? Voltai la testa e dallo spiraglio di una finestra vidi lampeggiare le luci rosse e blu della polizia, chissà da quanto tempo erano li e noi non lo sapevamo. Ecco perché non ci lasciavano andare. Tutto ad un tratto mi sentì sollevata, mi voltai verso Claudio e gli dissi: “Voltati, c'è la polizia!”, “Non mi interessa! Devo trovare un modo per farti perdere meno sangue!” rispose ansioso. Con le poche forze che mi erano rimaste presi la sua mano e la portai vicino al mio viso, provai pure a togliere la mano che cingeva la mia gamba ma senza risultato, la presa era troppo stretta. La sua mano era caldissima in confronto al mio viso troppo freddo. “Mi dispiace per oggi, non dovevi essere qui!” dissi all'improvviso. Scostò la mano di qualche centimetro come se fosse stizzito e mi disse: “Se io oggi non fossi venuto da te non me lo sarei mai perdonato! Ma non capisci quanto sei importante per me?”, lo guardai seria e poi sorridendo a denti stretti dissi: “Certo che lo so! Io sono la tua spalla, anzi il tuo braccio, la tua cavia come al compleanno di Clara!”. “ Pensi di essere solo questo per me? Una spalla? Tu mi fai venire l'ulcera! Sei cieca? Secondo te io passo da casa tua, dalla tua sala prove perché sei la mia spalla? Tu sei pazza!”, non riuscivo a ribattere più, la voce non usciva, il respiro sembrava bloccato, il dolore, come se fosse finito l'effetto di un calmante, cominciava ad aumentare, sentivo sempre di più la voglia di chiudere gli occhi, ma resistevo. Guardavo i rapinatori, nel panico assoluto, minacciare la polizia di uccidere il signore misterioso, avevano paura, nonostante possedessero una pistola sembravano indifesi. Poi spostai lo sguardo su di lui, parlava, probabilmente urlava ma io non lo sentivo più, non sentivo più nemmeno le sue mani su di me. Poi ad un tratto tutto bianco e niente più.

Mi sono risvegliata in una stanza d'ospedale, troppo bianca e lucente per permettermi di vedere bene. “Si è svegliata, si è svegliata!” sono state le prime parole che ho sentito, subito dottori ed infermieri mi hanno coperta con i loro corpi attaccando e staccando tubicini e roba varia. Non sentivo dolore, forse per effetto degli antidolorifici. Finalmente mi lasciarono libera e subito sentì la voce di mia mamma e mio papà. Mi abbracciarono e non riuscirono a trattenere le lacrime, sentivo la paura che avevano provato, sentivo la loro ansia, il loro dolore. Parlammo per circa mezz'ora, ma non mi chiesero quasi nulla di quel pomeriggio, probabilmente perché volevano farmi pensare meno possibile a quei momenti. Quando stavano quasi per andarsene gli domandai come stesse Claudio e mia mamma con una voce più dolce del previsto mi disse: “Era distrutto per non essere riuscito a proteggerti, è stato qui fino ad un'ora fa quando i dottori ci hanno detto che a breve ti saresti svegliata!”, “E adesso dov'è? Perché non è qui?” dissi un po' ansiosa, “Gioia non lo so, in compenso ci sono delle persone che fremono all'idea di vederti. A dopo amore mio”, “Ciao mamy, ciao papi!” dissi con un filo di voce. Dopo nemmeno due secondi entrarono dalla porta Clara e Carlo, mi abbracciarono, entrambi con le lacrime agli occhi e poi Carlo iniziò a baciarmi ed a dirmi quanto mi amava, quanta paura aveva avuto. Tutti e due si misero ai lati del letto e iniziarono a chiedermi di quel pomeriggio, se avevo sentito dolore, se ne sentivo ancora e tutta una serie di cose che non fecero altro che confondermi. Iniziai a raccontare a grandi linee, saltando i passaggi più dolorosi, faceva ancora troppo male, perché non riuscivano a capirlo? Non riuscì a raccontare praticamente nulla di quel pomeriggio, così, fingendo un mal di testa, li mandai a casa. Nei giorni successivi ci fu un via vai di gente da non permettermi nemmeno di prendere fiato, persone che avevo visto poche volte o di cui sapevo a stento il nome venivano a portarmi fiori e dolci, ma nonostante questo il mio pensiero restava fisso su di lui. Perché non si era fatto vedere? Non avevo il coraggio di chiedere a nessuno perché sapevo che se ne fosse venuto a conoscenza Carlo ci avrebbe molto sofferto, ma né lui né nessun altro avrebbe potuto capirmi. Nessuno oltre lui sapeva quello che avevo, avevamo passato. Mancavano dieci minuti e Carlo sarebbe venuto a prendermi per portarmi a casa, ero agitata, non sapevo se ero pronta davvero per affrontare il mondo la fuori. Arrivai in macchina, ma feci fatica ad entrare per via delle stampelle, Carlo mi aiutò con una dolcezza che poche volte avevo visto, durante il tragitto ogni qualvolta poteva mi accarezzava la mano ed ogni tre secondi si girava per seguire il mio sguardo perso nel vuoto. Arrivammo davanti alla porta di casa e notai che tutto era tranquillo, forse troppo, aprì la porta e subito... Un botto troppo simile a quello di uno sparo mi attraversò le orecchie, le luci si accesero immediatamente ed io mi ritrovai di fronte l'immagine, interrotta da stelle filanti che cadevano, delle persone che amavo, ma da cui, al momento, mi sentivo lontana. Non ebbi nemmeno il tempo di focalizzare, appena udì quel botto mi voltai il più velocemente possibile e cercai un modo per uscire di fretta da quella casa. Non vedevo nulla, avevo gli occhi pieni di lacrime, sentivo le gambe che stavano per cedere quando capì di essere tra le braccia di qualcuno. Alzai lo sguardo e vidi Claudio che mi fissava con gli occhi lucidi. Ero arrabbiata, forse senza averne il diritto, volevo dirgli tante cose ma riuscì solo a dirgli con la voce spezzata dal pianto: “Perché non c'eri? Mi hai lasciata sola, avevo paura, ho paura ma tu non ci sei! io..”. Non terminai la frase perché qualcosa mi spinse a voltarmi. Tutti erano a circa un metro da me, avevano sentito tutto. Mi sembrava di aver percorso chissà quanta strada ed invece quelle maledette stampelle mi avevano fatto fare solo un dannato metro. Vidi Carlo avvicinarsi all'improvviso “Lasciala stare, le ricordi solo brutti momenti!” e poi tutti iniziarono a parlare, a dire la loro. Non potevo farcela, mi scoppiava la testa così interrompendo la babilonia dissi: “ scusatemi ma io non ce la faccio proprio. Non posso far finta di stare bene perché non è così! Ho paura, mi terrorizzano anche le cose più stupide. Non vi seguo nei vostri discorsi, dovete lasciarmi del tempo!”. Tutti mi guardavano immobili così presi le mie stampelle e mi diressi verso la mia stanza. Passai circa due giorni sola con i miei, senza pensieri, cercando di vivere normalmente la quotidianità. Nei giorni successivi chiamai Carlo e iniziammo a trascorrere un po' di tempo insieme, per recuperare un po' di quello che avevamo perso. Era così paziente e dolce che anche se non ne avevo voglia facevo tutto quello che mi proponeva. Dall'incedente erano ormai passate due settimane ed io camminavo senza stampelle anche se spesso dovevo fermarmi perché non ce la facevo più. Tutto stava tornando alla normalità, solo il rapporto con Clara sembrava non voler riprendersi. Avevo provato a chiamarla ma lei non mi aveva mai risposto così decisi di andarla a trovare a casa. “Come vanno le cose?” le chiesi per cercare di rompere il ghiaccio, “Cosa vuoi sapere?” rispose in maniera fredda, “Niente di particolare, come sta il bambino? Da quanto sei in linea sembra quasi che tu non sia incinta!”, “Infatti, l'ho perso il giorno prima della rapina!” disse stizzita, “O mio Dio, non lo sapevo! Perché non me l'hai detto?” ribadì perplessa, “Credevo te l'avesse detto Claudio, tanto ormai...” la interruppi subito “Chiariamo questa cosa, l'unico motivo per cui io e Claudio abbiamo legato un po' di più è perché quel giorno eravamo insieme, lui sa quello che ho passato!”, “Non mi riferisco a quello...in ogni caso non voglio che un ragazzo si metta fra di noi!”, “Un ragazzo?”, “Già, non stiamo più insieme!”. Sapevo che soffriva per questa cosa, ma anche lei sapeva che questa era la decisione migliore. Nonostante parlassimo da circa un'ora non riuscì a comprendere il significato delle parole “non mi riferivo a quello” ma non mi importava molto, volevo recuperare quel poco che restava del nostro rapporto. Quando tornai a casa ero molto stanca, mi faceva male la gamba, la sentivo tirare ma resistetti fin quando non entrai. Non appena mi sedetti sul divano sentì bussare alla porta “Ehi..passavo di qui e ho visto la luce!”. Claudio non era bravissimo ad inventare delle scuse però spesso e volentieri apprezzavo l'impegno. Ci sedemmo sul divano, non volevo guardarlo direttamente negli occhi per timore di provare qualcosa, qualsiasi cosa. Poi, probabilmente per spezzare il silenzio, mi chiese: “Come va la gamba?”, “Così così, a volte mi da fastidio ma è sopportabile!”. Non riuscivo ancora a guardarlo così decisi di togliermi subito il dente dolente: “Mi dispiace per quello che ho detto l'altro giorno, non ero in me! So che non te ne farai nulla delle mie scuse però non potevo continuare a stare così!”. Senza dire nulla si alzò dal divano di fronte al mio e si inginocchiò davanti a me prendendomi la mano: “Se ti dicessi che avrei preferito che avessero sparato a me, mi crederesti? Se ti dicessi che non dormo più la notte dalla paura che ho avuto quel giorno di perderti, che mi si spezza il cuore se penso che non ti potrò mai avere, mi crederesti? Perché è la verità ed io devo trovare un modo per andare avanti!”, “Io non so cosa dire, non so cosa fare! Lo so che ti sembrerò ritardata ma io non ho ancora capito cosa vuoi da me!” dissi visibilmente imbarazzata, “Io voglio te!” disse lui deciso “Ma so che è impossibile, che tu sei innamorata di Carlo, che tieni troppo a Clara per darmi una possibilità! È solo che probabilmente mi sono innamorato di te la prima volta che abbiamo ballato...!”. Ero sconcertata, non sapevo come comportarmi così dissi infelicemente: “ ho parlato con Clara, mi ha detto del bambino e di voi due!”, “ Certo, se volevi trovare il modo di buttarmi a terra non ti sforzare più, ci sei riuscita pienamente!”. Volevo sprofondare, sapevo di essere stata davvero inopportuna ma cosa potevo dire?

Forse è meglio che vada a casa” disse Claudio alzandosi di scatto dal divano, “No, aspett...ahi!” , avevo dimenticato di essere un po' impedita, alzarsi velocemente non era più così facile. “Ti sei fatta male?” disse Claudio precipitandosi vicino a me, “No! Sono solo un catorcio!” dissi un po' imbronciata. “Non fare la scema!” disse mentre si alzava. “ Aspetta! Lo sai che sono una stupida, non ne combino una giusta, ma con te è diverso! Tu non mi giudichi, mi fai sentire protetta...”, “ Non è vero, non sono riuscito a proteggerti quando dovevo!” disse intristendosi e abbassando lo sguardo, “Ma cosa stai dicendo! Senza di te io non sarei qui adesso, non so come fartelo capire che io non saprei come fare senza di te, ma non posso stare con te per tante ragioni! Non puoi capire quanto mi faccia male dirti queste cose, ma non posso farti andare via con l'idea che io non provo nulla per te!”. Dopo le mie parole tra noi due era rimasto solo il silenzio, mi teneva le mani, ma il suo sguardo era rivolto altrove, poi d'un tratto disse: “Perché non possiamo stare insieme, non è giusto!”, “Quasi niente di quello che capita è giusto, prima o poi ci passerà! Non resteremo innamorati per sempre, anche perché io non ti permetterò di toccarmi quindi arriverà il momento in cui ti scoccerai!” dissi sorridendo a denti stretti per nascondere il dolore. Mi abbracciò e senza che dicessi nulla mi sussurrò: “Quando avrai voglia di parlare, in qualsiasi istante, qualunque siano i nostri rapporti, ci sarò!”. Mi lasciai andare al suo abbraccio ed a quella serata che sembrava infinita. Erano passati due mesi da quella sera, erano cambiate tante cose. La mia gamba stava riacquistando elasticità e movimento, Clara era tornata la ragazza di una volta, Carlo era sempre più premuroso anche se negli ultimi periodi ci vedevamo di meno perché lui era totalmente immerso nel ballo. E, mentre tutti sembravano aver trovato una loro dimensione, io avevo abbandonato la danza. L'unica cosa che mi rendesse davvero felice, che mi faceva battere il cuore, che mi distoglieva dal pensiero dell'incidente per un tempo sufficiente a farmi tornare il sorriso. Era come se non riuscissi più ad andare avanti, come se non volessi lasciare la vecchia me, ma ormai era scomparsa insieme alle mie doti di ballerina ed a Claudio. Già, proprio così, da due mesi non avevo più sue notizie, avevo provato a chiamarlo un paio di volte ma non mi aveva mai risposto, così decisi di non provarci più. Mi mancava, tanto, forse troppo, ma non lo dicevo a nessuno...con chi mai avrei potuto confidarmi? Sapevo che desiderare di vederlo era sbagliato, ma non potevo farci nulla. Chi altro mi avrebbe fatto ridere in quel modo? Chi avrebbe capito i miei momenti bui? Alla fine non avrei fatto nulla di male, volevo solo riprendermi il mio amico o qualsiasi cosa fosse. Sapevo di essere egoista,ma come potevo scegliere tra il mio fidanzato che non mi faceva mancare nulla e mister occupo un ruolo indefinito nella tua vita? Non potevo scegliere, ma soprattutto non potevo fare ciò alle persone che amavo. Così scacciai via tutti i pensieri forvianti e mi feci bella per il mio ragazzo! Mi guardava con gli occhi di chi vede per la prima volta, di chi scopre il mondo, facendomi arrossare gli zigomi. Mi sedetti di fronte a lui e senza nemmeno accorgermene erano già passate due ore, due splendide ore. Lo guardavo intensamente cercando di capire tutto quello che non me lo faceva amare al cento per cento, ma più lo fissavo più mi rendevo conto che il problema non era lui ma, bensì, io. Lo amavo, ma l'amore che provavo poteva bastare? Avrei dato la vita per lui? Chi avrei buttato dalla torre? Troppe domande per una testolina piccola come la mia, troppo tutto in una sera! Mi sedetti su di lui e senza troppi giri di parole gli dissi: “Ti amo amore mio, spero solo che questo possa bastare per te!”, mi guardò stralunato e senza pensarci due volte mi rispose: “Mi basta fino a quando basta a te!”. Avrei voluto rispondere in qualche modo ma non sapevo come, era perfetto pure nelle risposte più difficili, nelle mie continue figuracce. Facevo piccoli passi mentre cercavo silenziosamente di entrare in casa, ma la mia goffaggine era troppa per permettermi di passarla liscia. “Ciao papà, scusa se ho fatto tardi ma...mi stai ascoltando?” dissi velocemente, “Si tesoro, scusami! Che ore sono?” rispose un po' pensieroso, “Le quattro e mezza!”. Mi aspettavo una mega romanzina del tipo “Anche se sei grande finchè starai sotto il mio tetto dovrai rispettare degli orari. Questa casa non è un albergo!”, invece si limitò a dire: “Vai a letto che domani sarà una lunga giornata!”. Salì le scale e senza nemmeno struccarmi mi misi a letto. Cosa mi aspettava?

Mi ero alzata prima del tempo, avevo fatto una bella doccia ed ero scesa a fare colazione. Nessuno parlava, poi, all'improvviso mia mamma rivolgendosi a me disse: “Ieri abbiamo parlato col medico, ci ha comunicato i risultati degli ultimi esami alla gamba! e..” , “E cosa? Che vi hanno detto?” la interruppi subito, “Ha detto che durante l'intervento non si erano resi conto di un tendine lesionato che adesso si è infiammato. Potrebbe crearti problemi in futuro come no a meno che tu non decida di operarti!” disse come se fosse una soluzione dolorosa, “ Vada per l'operazione!” risposi senza nemmeno pensarci. Ero tranquilla, avevo deciso, poi mio papà aggiunse: “ Dovrai smettere di ballare..intendo ad alti livelli!”. Non sapevo cosa dire, cosa avrei fatto? Non indossavo le scarpette dall'incidente, ma questo non significava che io volessi abbandonare la danza. Sapevo che era li e ci sarebbe stata fin quando non fossi stata pronta, ma adesso pronta non lo sarei stata più.

Avevamo parlato con una miriade di dottori e tutti dicevano la stessa cosa, ne avevo parlato con le persone a me più care e tutti erano concordi nel dire che l'operazione era la soluzione migliore. Forse per loro, come faceva a non capirlo Carlo?

Cercavo in tutti i modi di trovare una soluzione alternativa, ma non esisteva. Volevo parlare con Claudio ma lui non c'era, non sapevo dove fosse, dove l'avrei cercato? La mia ricerca non durò molto.

Pronto” disse con voce sicura e possente e subito un brivido mi attraversò la schiena. Se avessi continuato a chiamarlo con il mio telefono probabilmente non avrei sentito più la sua voce, ma questa volta il cellulare non era il mio e questo cambiava tutto.

Sono io!” dissi titubante, consapevole che se solo avesse saputo il mittente della chiamata non avrebbe risposto.

Ciao..è successo qualcosa?” rispose in maniera fredda, “No, volevo solo parlarti! Ci possiamo incontrare?”. Sentivo la sua incertezza. “Non so se sia il caso, for..”, “Ti prego, non ti ruberò tanto tempo!” dissi immediatamente senza lasciargli finire la frase. Terminammo la conversazione accordandoci per data, orario e luogo e poi staccammo.

Arrivai cinque minuti prima all'appuntamento, ma lo trovai già lì. La giornata era un po' grigia ma vederlo mi era bastato per far spuntare un po' di sole dentro di me. Era diverso, aveva fatto crescere un po' di barbetta e forse un po' di muscoli. Mi avvicinai lentamente e mi sedetti sulla panchina affianco a lui. Appena, però, alzai lo sguardo per guardarlo negli occhi scoppiai a piangere e mi tuffai fra le sue braccia. Lui non disse nulla ma strinse fino a farmi perdere fiato. Gli spiegai cosa mi avevano detto i dottori e senza pensarci un secondo mi disse: “Qual è il problema? Hai affrontato cose peggiori! Non puoi farti buttare a terra da questo!”. Lo guardai perplesso e subito dopo continuò: “La danza fa parte di te. Non sarà una stupida operazione a cambiare le cose perché di te tutto è musicalità, poesia, pura bellezza!”. Non sapevo cosa dire, tutto sarebbe sembrato stupido se paragonato a quelle parole stupende. Poi lui aggiunse :”Ma ti prego dimmi che ti sottoporrai a questo intervento, fallo per me!”. “E no, non si fa così! Non mi puoi dire che lo devo fare per te, perché sai che farei tutto ma questo...”, “Questo puoi farlo! Anche perché ho pensato ad un modo per farti continuare a danzare!” disse sorridendomi e tenendomi la mano. “Cosa? Mi guarisci miracolosamente?”, “Ahah...che siamo spiritose! Potresti aprire una scuola di danza, potresti trasmettere a delle bambine tutto il tuo amore per il ballo!”. Lo ascoltavo sbalordita, perché aveva sempre la soluzione a tutto? Lo odiavo o forse no.

Lo guardai imbambolata e poi gli dissi: “Perché non volevi parlarmi? Perché non hai risposto alle mie chiamate?”, “Perché avevo la barbara pretesa di dimenticarti!”. Un sorriso mi spuntò sulle labbra, ero davvero egoista.

Tornai a casa con il cuore diviso a metà, da un lato ero felice perché l'operazione non sembrava più così tremenda, ma dall'altro ero distrutta perché sapevo che continuare a vederlo era sbagliato. Quella stessa sera andai da Carlo, dovevo parlargli, dovevo essere onesta, se lo meritava. Cercai di essere il più chiara possibile, di usare le parole giuste anche perché fare certi discorsi faceva stare male pure me. Gli volevo ancora troppo bene e questo probabilmente non sarebbe cambiato.

Vedevo i suoi pugni stringersi, tremare dalla rabbia credo e, per quanto io cercassi di comprenderlo, non capivo quella reazione, mi sarei aspettata delusione non aggressività. Iniziò a sbattere le sedie, a tirare calci a tutto ciò che capitava, ma non disse nulla. Ad un tratto smise di muoversi nervosamente e senza che nemmeno me ne accorgessi mi diede un ceffone scaraventandomi a terra. Non sentivo dolore, era troppa l'umiliazione per quel gesto. Mi alzai prima possibile e guardandolo negli occhi gli dissi: “Questa non la dovevi fare, da oggi per me non esisti!”, “Scusami, non volevo colpirti, mi hai fatto infuriare!” rispose come se ancora non avesse capito la gravità del gesto. “Tu sei pazzo!” gridai mentre me ne andavo sbattendo la porta.

Camminavo velocemente per cercare di rimandare indietro le lacrime, ma continuavano a scendere senza sosta. Come aveva potuto schiaffeggiarmi? Con chi ero stata io per tutto questo tempo? Non riuscivo a capacitarmi.

Il telefono da un giorno non la smetteva di squillare, ma non avevo nessuna intenzione di rispondere, con lui avevo chiuso. Era stato già abbastanza difficile mentire ai miei riguardo ai lividi sul viso, la scusa della pallonata sembrava averli convinti, ma non per questo sarei stata una delle tante ragazze ad essere picchiate dal proprio fidanzato. Quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro. Girovagavo da sola per le strade del parco con la speranza di non incontrare nessuno, quegli occhiali non mi avrebbero protetto per sempre. Mi ero seduta sulla panchina mentre aspettavo che il tempo scorresse e si facesse sera, ma, prima che fosse trascorso un quarto d'ora, aveva cominciato a piovere. L'acqua continuava a cadere ma io non la sentivo, ero come paralizzata.

Ma che ci fai sotto la pioggia? Vieniti a mettere sotto l'ombrello!” disse Claudio che mi era spuntato davanti all'improvviso.

Ero con la testa tra le nuvole” risposi io un po' ansiosa. Con lui la scusa della palla non avrebbe retto. Mi accompagnò a casa e senza troppe parole cercai di liquidarlo, ma lui non era della stessa opinione.

Togliti gli occhiali!”. In quel momento gelai, sapevo che aveva capito che qualcosa non andava, ma non potevo cedere.

Sono senza trucco e poi che ti frega se porto gli occhiali!”, “Se non hai niente da nascondere togliteli!” rispose lui con un tono serioso e deciso. Non avevo scelta, sfilai gli occhiali ed osservai il suo volto scurirsi. “Cos'è successo?” chiese amareggiato e arrabbiato allo stesso tempo, “Ho preso una pallonata in faccia, sai quanto sono sbadata!” cercai di mentire nel miglior modo possibile. “Dimmi la verità o trarrò da me le conclusioni e sarà peggio!” gridò infuriato come mai l'avevo visto, “Carlo, quando gli ho detto che tra noi era finita, non ha reagito tanto bene!”.

Lo uccido!” urlò stringendo i pugni dalla rabbia, “Ti prego non fare cretinate!”, lo spinsi dentro casa con tutta la forza che avevo, “Non ho bisogno che tu vada da lui per fargliela pagare, voglio solo che tu stia qui con me, non voglio stare sola!”. Chiuse gli occhi e con la testa fra le mani disse: “Non può passarla liscia, guarda come ti ha combinata. Non si doveva permettere!”.

Sapevo che quello che stavo pensando di fare avrebbe avuto delle conseguenze, ma almeno sarebbe servito a calmarlo, così senza pensarci due volte mi avvicinai e lo baciai. Fu un bacio delicato, di quelli su cui rifletti per settimane, di quelli che ti tolgono il fiato, che ti fanno sentire viva. Non appena le nostre labbra si staccarono iniziai a farfugliare una cavolata dietro l'altra “scusami non dovevo farlo, sono una cretina!”. Lui mi guardava immobile, come se fosse entrato in trans. Ad un certo punto lo vidi muoversi verso di me, più si avvicinava, più il mio cuore batteva all'impazzata, sembrava volermi uscire dal petto. Continuavo a ripetere nella mia mente “Respingilo, non devi lasciarti andare!”, ma ormai era troppo tardi. Mi avvolgeva completamente con il suo corpo, come in una morsa che mi impediva di respirare, ma da cui non volevo scappare. Lo desideravo da così tanto tempo che non mi sembrava più nemmeno reale. Le sue mani scorrevano lungo il mio corpo provocando, nonostante i vestiti, dei brividi che mi lasciavano inerme. Poi le sue mani si posizionarono sul mio viso, aprimmo gli occhi e con una dolcezza infinita mi disse: “Sei tutto quello che voglio, non ho mai visto nulla di più bello!”, “Anche se ho la faccia come un cagnolino della carica dei 101?” risposi sorridendo, “Assolutamente, io vedo oltre, io vedo te!”. Quella notte sarebbe stata indimenticabile, non mi importava se il giorno dopo i problemi sarebbero tornati a galla o se, come appena svegli da un sogno, ci saremmo accorti che non era realtà, non mi importava. Lui era con me, parlava con me, baciava me, faceva l'amore con me e soprattutto amava me. Questo mi bastava, anzi era molto più di quello che avrei mai potuto sperare. Nemmeno l'operazione era più un problema perché ero abbastanza forte da superare pure quella. Ero forte grazie a lui, grazie a quello che avevamo passato insieme. Quindi avrei preso quella notte senza pensare al domani perché il presente ormai mi aveva travolta completamente. Il mio cuore finalmente aveva cominciato a danzare.

 

Ci sono sensazioni che non si possono spiegare, fantasie che non si possono raccontare, vite che non si possono vivere... “

  
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