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Autore: dreamer_is    06/06/2011    0 recensioni
Diceva Aristotele che la Poesia era tra le forme d’arte la migliore, poiché rappresentava le cose non per com’erano, ma per come avrebbero -o sarebbero- dovuto andare.
Dunque eccomi qui, a scrivere cosa sarebbe accaduto se tutto fosse andato secondo i miei sogni, non secondo la realtà.
E forse ho anche uno scopo, liberarmi di queste visioni melliflue che mi assediano la testa, così mi lasceranno andare.
O forse perché spero ancora che la fantasia e i sogni si confondano e una dolce e generosa fata esaudisca i miei desideri.
Forse.
O forse spero solo che l’ultimo Cavallo di legno contenga la fiamma letale che m’incendi totalmente e mi distrugga per davvero.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto. Rosso ghiaccio.


Se volessi averti vicino,
Dovrei solo stendere un braccio,
Solo avanzare di un passo
Verso il soave veleno d’oblio.
Ma sono lucida ancora.
Sono reale.
Ancora.
 
Il mattino era gelido, il colore delle mie dita di un brillante amaranto.
Incredibile quanto freddo possa essere il rosso.
Eppure quello della sua sciarpa sembrava emanare tanto calore da farmi venir la voglia di chiudere le dita nella morbida lana, stringerla fino a sentire il sangue pulsare possente nelle vene. Ma non era solo rossa. Era come lui, aveva dei piccoli disegni neri ad adornarla, a renderla diversa.
Ascoltavo qualcosa di piuttosto dolce mentre passavo davanti a lui.
Non lo avrei salutato, avrei fatto finta di non conoscere nemmeno il suo naso.
Invece mi fermò lui,
con un sorriso.
E gli sorrisi anch’io.
E così fui avvolta dalla sua voce.
Poi sfilò le mani dalla giacca nera e mostrò un paio di guanti scarlatti, di pelle.
Risi di lui, pensando a quanto fossero ambigui e di dubbio gusto; il mio, sicuramente, non li approvava.
Non si offese, non si curava di conformarsi, anzi. Sembrava vivere per il gusto di contravvenire ad ogni convenzione.
Ricordo l’ironia nei suoi occhi quando prese una mia mano, la portò sulla sua guancia ma, al gelido tocco, la ritrasse subito.
E fu lui a ridere di me.
Quasi con affetto, però: con cura, sfilò il suo guanto destro e lo infilò sulla mia mano intorpidita. Così mi sarei ricordata di lui, disse.
Io non potevo accettare, però. Saremmo stati entrambi ridicoli, andando in giro con un sol guanto. Scosse il capo, mi facevo troppi problemi: strinse la sua mano nuda sulla mia.
Guardai quel singolare connubio sbalordita, poi sbuffai un sorriso guardandolo. Mi accompagnò al portone e, sulla soglia, si chinò verso di me.
Mi allontanai d’istinto, ma non se ne curò.
Le sue labbra sfiorarono il mio orecchio, mentre sussurrava: “Allora, scappi via con me?”
Sgranai gli occhi, cercando i suoi.
Eravamo vicinissimi,
tanto che le onde dei suoi capelli offuscavano tutta la luce di quel sole albino.
“Mare, salsedine, brezza…non ti ho ancora convinta?”
Mi voltai. Era evidente quanto poco mi conoscesse. Non si era mai nemmeno sentito che io avessi saltato scuola senza il consenso dei miei in quei tre anni di liceo.
M’incamminai tutta impettita verso l’entrata, avevo un orgoglio da difendere io. Quando sfiorai il corrimano, notai il guanto rosso. Che cosa ridicola.
Mi girai per restituirglielo e lo trovai camminante verso la fermata dei bus, in direzione opposta all’entrata della scuola.
Lo chiamai, ma non si fermò, così lo inseguii.
La cosa incredibile era che più acceleravo, più mi distanziava, con le gambe chilometriche che si ritrovava. Quando finalmente lo raggiunsi, si appoggiò al palo che evidenziava la fermata e mi guardò beffardo.
Gli porsi il guanto, ma non lo prese.
“Quindi ti ho persuasa.”
Sollevai le sopracciglia, convincendomi a rispondergli, anche se l’evidenza era ovvia.
Mi rise in faccia: avevano chiuso i cancelli della scuola perché erano passate le otto e venti.
Il tutto a causa sua.
Dentro di me esplose una bomba: non solo mi aveva messo nei guai, mi aveva anche oltraggiata ed umiliata. Provai un intenso bisogno di fargli del male.
“Ehi, non ti arrabbiare, non credevo avrebbero chiuso i cancelli.”
Forse aveva percepito il mio sguardo d’odio, ma cercò di avvicinarsi come per abbracciarmi. Lo fulminai e strinsi il suo dannato guanto, un ottimo antistress, a dire il vero.
“Se ti offro un cornetto, mi perdoni?” chiese con un sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi ochetta della scuola, ma non me.
Giusto un po’ di calore all’inizio delle guance.
“Al massimo un caffè.”
Catturò di nuovo la mia mano e mi trascinò in un piccolo bar non troppo lontano. La mia rabbia era improvvisamente scemata tra le battute e i discorsi seriosi che riusciva ad alternare con tanta facilità.
Erano le nove meno cinque quando mi chiese se volessi tornare a scuola per la seconda ora o fuggire davvero al mare. Inutile attendere la risposta.
Quando mi lasciò davanti alla mia classe, stampò un bacio sulla mia guancia gelida.
  
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