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Autore: past_zonk    08/06/2011    6 recensioni
Ai Muse, perché hanno cambiato la mia vita e ne hanno fatto molto di più (citando Jovanotti). Ai Muse, perché ho capito che la musica non ha parole, non ha gesti ma ha solo sensazioni. Ai Muse che mi fanno piangere, ridere e sfuriare.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sento tutte le emozioni bloccate in gola, tutte bloccate ai limiti dei miei occhi, tutte incastonate in lacrime d’argento.

Cosa dico? D’argento?

Queste lacrime sono solo di nera antracite. Di nero mascara sciolto sulle mie guance. Io sono il dipinto della miserabilità. Sono un’iperbole vivente.

Ripetiamo in coro: Amen.

 

 

Brindo mesta.

Ai Muse, perché hanno cambiato la mia vita e ne hanno fatto molto di più (citando Jovanotti).

Ai Muse, perché ho capito che la musica non ha parole, non ha gesti ma ha solo sensazioni.

Ai Muse che mi fanno piangere, ridere e sfuriare.

Ai Muse anche se in questa categoria c’andrebbero solo fan fiction su di loro; ma io loro tre li vedo in questo scritto, più vividi che mai, li vedo.

A tutta la gente meravigliosa che m’hanno fatto conoscere, sappiate che c’è un pezzo di voi in me, sappiate che vi sento qui accanto a me. Vi amo.

Alle luci che di notte sfrecciano in camera mia mentre guardo un vostro dvd, perché non sono mai sazia dei gridolini di Matt e delle facce porneh di Dom e dell’headbugging di Chris.

Al ciondolo a forma di plettro che mi sfiora il plesso solare, perché arriva da muse.mu e sussulta al battito del mio cuore.

Allo scrivere, perché è il mio vivere, perché loro sono onnipresenti nei miei spartiti di parole.

A mia madre che canta Time is Running out, che batte le mani a tempo su Starlight e che dice di sì e manda una sbarbatella a Milano per vedervi.

Al San Siro, perché magnificente quella notte m’abbracciò tutta, provocando sinergie perfette. Al San Siro che riluceva, al San Siro che cantava e scalpitava.

Alla luna di quella notte. Un anno fa. All’aria che avvolgeva me, Matt Bellamy, Dom Howard e Chris Wolstenholme.

Al mio primo concerto, perché è stato primo di tanti, tanti altri che aspetto con ansia e che ho vissuto con amore. Perché è la vita che voglio vivere per sempre.

Alla mia adolescenza, al ciclo, sì, perché esagera le mie parole, agli ormoni sfreccianti, al mio essere giovane donna in una società occidentale che non va bene, no, ma che amo.

Al naso che ti prude prima di secernere lacrime.

A Kate Hudson, signori, ebbene sì, al cucciolo che porta in grembo ed al magnificente spettacolo della vita, meglio di tanti concerti.

A Matt Bellamy, che corre per smaltire la panza, che sorride col dente storto, che canta come Calliope, che è bello come la Luna.

A Dom Howard, che è leopardato come pochi, che ha un’appendice nasale epica, che sorride con dolcezza, che suona da dio e che è bello come il Sole.

A Chris Wolstenholme, perché è causa della sovrappopolazione sulla Terra, perché fuma la pipa come nessuno, perché suona scuotendo le corde del basso e dell’anima, perché è bello come il Mondo.

Alla maglia che indossai quel giorno, me la regalò mia sorella per il concerto ed io la misi. L’ho addosso, ci dormirò.

A mio fratello, che era con me. Che è con me. Ti amo più di tutto al mondo. Ti amo.

Alla mia famiglia, a mio padre, perché dei concerti viene a sapere tutto il giorno prima. Tieni duro, obdura.

E a te, per ultimo, così, al biglietto sul quale sto piangendo.

 

 

Perdonatemi, è masochismo.

 

Otto giugno duemilaundici, ore 00:00

   
 
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