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Autore: Jules_Black    09/06/2011    5 recensioni
"Ci incontreremo dove il mondo è silenzioso".
Ogni mattina parte, dalla stazione di un paese quasi sconosciuto, il treno delle 7 e 32, quello "che non ritarda mai". Nella penultima carrozza, i posti della terza fila sono sempre occupati. Eppure non sarà così, non per sempre.
Dal capitolo I:
"Aveva maledetto quella vecchia automobile, ormai ridotta ad un ammasso informe di lamiera, vetri infranti e vite spezzate. Aveva provato a non pensare che tra soli due giorni avrebbe dovuto affrontare da sola il treno vuoto di periferia, quello delle 7 e 32 che non ritardava mai di un minuto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Il treno vuoto

Quando quella mattina il treno partì, non c’era nessuno ad occupare i posti della terza fila, nel penultimo scompartimento. Sulla banchina, tra la nebbia fitta e minuscoli granelli di polvere, una ragazza si stringeva nella sua felpa troppo grande, umida di pioggia. Il treno partì sferragliando e poi tornò il silenzio. La ragazza cercò di afferrare l’emozione del viaggio, ma la panchina su cui era seduta rimase ferma. Si portò le mani al viso, poi strinse i fiori che aveva sulle gambe, incurante delle spine.

Tutto il paese era venuto a conoscenza della tragedia in meno di un’ora. Il suo nome luccicava in ogni vetrina dei piccoli negozi, veniva bisbigliato in chiesa dietro i pesanti rossetti rossi di signore di mezza età, veniva urlato nella piazza senza contegno. Ed anche la ragazza avrebbe voluto sussurrarlo al vento della stazione, così che potesse portarselo via e custodirlo lontano da lì, nelle rotte di viaggiatori ignari del suo dolore.

Non aveva avuto il coraggio di presentarsi nella camera mortuaria con quel mazzo di rose che, all’improvviso, le era sembrato inadeguato. E non avrebbe mai creduto di avere la forza di andare al funerale senza che qualcuno la costringesse. Si era presentata, ammantata di nero, nella chiesa silenziosa e lacrimante, si era seduta in seconda fila e si era appropriata di centinaia di condoglianze, la mano sinistra stretta in quella della sua migliore amica.

Aveva parlato con lentezza e calma davanti la folla che occupava la vecchia chiesa, parlato di quanto lui fosse stato speciale. Le sue parole, vuote, erano risuonate tra i muri spessi e le statue vitree. Poi aveva ceduto alle lacrime e non aveva fatto altro che fissare quella bara scura posata al centro, sopra il pavimento incasellato di marmo bianco e nero.

Aveva spinto i suoi sentimenti giù nel baratro ed aveva provato a fare finta che fosse morto semplicemente il suo migliore amico e non la persona che, nonostante tutto, amava. Nel microfono difettoso aveva sputato parole di circostanza, chiudendo a chiave le emozioni.

Aveva maledetto quella vecchia automobile, ormai ridotta ad un ammasso informe di lamiera, vetri infranti e vite spezzate. Aveva provato a non pensare che tra soli due giorni avrebbe dovuto affrontare da sola il treno vuoto di periferia, quello delle 7 e 32 che non ritardava mai di un minuto. Aveva inghiottito ogni possibile ricordo, lasciandoli marcire nel fondo del suo stomaco, ormai inutili.

Il vento soffiava forte e si costrinse ad alzarsi dalla panchina di pietra grigia. Quel mattino, il treno delle 7 e 32, era partito senza di lei, senza di lui. Quella mattina, il treno delle 7 e 32, non era riuscito a portarsi via la sua inadeguatezza e le sue paure come quando, fino a cinque giorni prima, lo aveva preso con lui. Si tuffavano sui vecchi sedili incrostati di sporco e di polvere stantia, al riparo dalla pioggia di novembre ed aspettavano che li portasse a destinazione. Rimanevano stretti nei loro giacconi senza bisogno di dirsi poi chissà quante cose, lasciando che a parlare fossero i loro respiri vicini, a volte troppo, e le loro mani, spesso strette insieme in un’ineguagliabile morsa.

Prima di morire, il pomeriggio immediatamente precedente alla sera dell’incidente, lui le aveva detto che si sarebbero ritrovati il giorno dopo “sul solito treno”. Lei era andata all’appuntamento, senza speranze, il viso rigato di lacrime di rimmel nero, tracciando nella nebbia del mattino il solito percorso.

E non aveva trovato nessuno ad attenderla.

Aveva aspettato, finché, puntuale come sempre, il treno era partito senza di lei, senza di lui, senza di loro.

E così aveva fatto anche il mattino successivo e quello successivo ancora, ed il quinto giorno ancora era lì, tremante, avvolta nella sua felpa e con le mani graffiate dalle spine dei fiori, delle rose.

Avrebbe voluto rivederlo, dirgli quelle parole che le erano rimaste incastrate in gola, ma non sapeva dove.

***

Primo capitolo di una mini-long nata grazie a Claire. A proposito, grazie mille cara. ^^ Infatti la sopracitata ispiratrice mi ha fatto conosce una frase che credo mi rimarrà stampata dentro.

Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio di aver letto.

Ogni commento è ben gradito, ovviamente.

Anche perché a questa Originale tengo particolarmente.

Jules

   
 
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