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Autore: coshicoshi    10/06/2011    2 recensioni
estratto dal testo: “ogni momento era stato prevedibile: i risvegli solitari, maghi e babbani tirati a lucido che per strada lo scansavano, le aspettative di trovare un lavoro pari a zero, le inutili serate passate in squallidi bar con persone che solamente il mattino dopo perdevano sia nome che volto..”
Una visita inaspettata di Silente interrompe la monotonia della vita di Remus.
Storia partecipante al contest "E il titolo?" indetto da Erica Weasley.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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N.d.A. : Lo so, questo è un missing moment ormai trito e ritrito da diversi autori, però l’idea di questa fanfic mi ronzava in testa da fin troppo tempo.. e quando ho visto il nome del contest e il titolo della canzone assegnata non ho saputo trattenermi.

       Eccola qui, quindi. Spero di essere stata almeno un po’ originale con il mio Nuovo Personaggio e di non annoiare nessuno. :)          
               Thank U very much.







Sirius era davanti a lui. Correva e Remus era rimasto indietro, tanto che dell’amico non scorgeva niente, se non la macchia nera e lucida dei suoi capelli. Ad un certo punto il ragazzo si fermò e tornò indietro, posandogli una mano sulla spalla.
“Tutto bene, Lunastorta?” chiese.
“S-sì.” ansimò Remus in risposta, tenendosi una mano sui fianchi. “Starei meglio se sapessi dov’è che stiamo andando…”
Sirius sorrise, ma c’era qualcosa di inquietante nel suo volto, tanto che sembrò più un ghigno.
“Tu fidati e basta. Fidati.”
Remus alzò lo sguardo appena in tempo per assistere al cambiamento.
Il volto da diciassettenne di Sirius, liscio e pieno, si trasfigurò improvvisamente in una maschera incavata e sporca e i capelli un tempo folti e scuri si aggrovigliarono in un ammasso di paglia stopposa.
Ma furono gli occhi a sconvolgere maggiormente Remus.
Della luce maliziosa e allegra non vi era rimasta più traccia.
L’unica cosa che dava loro vita era una scintilla di follia.
Remus avrebbe dovuto provare paura, ma quello che lo scosse fu un fiotto di puro odio.
Avrebbe voluto insultarlo e fargli male; qualunque cosa per fargli pagare il crimine compiuto, ma non fece in tempo a fare nulla prima che l’uomo estraesse la bacchetta.
“Avada Kedavra!”
 
Remus si svegliò di soprassalto dal suo incubo e si ribaltò dal divano su cui si trovava, trascinandosi dietro coperte e cuscini vari.
Dopo qualche momento si rialzò borbottando e, con un misto di stupore e imbarazzo, notò che tra il suo corpo e la coperta non c’era niente.
Era completamente nudo.
Questo fatto, unito al mobilio più che dignitoso che lo circondava e ai ritratti immobili che lo fissavano vitrei dalle pareti, lo indusse a credere di trovarsi a casa di Danielle. Doveva essersi addormentato lì senza accorgersene.
Sbadigliò, e mentre cercava di riprendersi da un’insolita debolezza, il suo sguardo si posò quasi distrattamente su una rivista abbandonata sul pavimento, da cui il volto del sogno lo scrutava con un’espressione tormentata.
Era troppo occupato a fissare truce la copertina patinata per accorgersi dell’ingresso di Danielle, che calò su di lui e gli posò un bacio sulle labbra.
“Ben svegliato.” gli disse, sorridente.
Remus la fissò, sorridendo di rimando.
Danielle tendeva ormai ai quarant’anni piuttosto che ai trenta, e considerato che non aveva avuto una vita facile i segni dell’età erano ben visibili sul suo viso, ma Remus la trovava sempre piuttosto attraente con i suoi riccioli neri e le labbra piene.
Danielle era una donna babbana che Remus aveva conosciuto al parco pochi mesi prima, durante uno di quei tanti giorni in cui ammazzava il tempo vagando senza una meta.
Avevano iniziato a chiacchierare casualmente e Remus aveva avvertito il suo disperato bisogno di qualcuno che l’ascoltasse. Era sempre stato attento a queste cose.
La donna gli aveva così confidato di essere di origini straniere e di essersi trasferita in Inghilterra per seguire il marito che tanto amava. Purtroppo il matrimonio era velocemente affondato, a causa di lui che la tradiva e dei problemi che Danielle aveva iniziato ad avere con l’alcool.
Era stato proprio a causa di questi che, nonostante avesse ottenuto il permesso di vivere nel loro ex-appartamento, aveva perso ciò a cui teneva di più: l’affidamento dei suoi figli.
Non avrebbe saputo dire se fosse stato il bisogno impellente che avevano entrambi di non sentirsi soli o semplicemente il fatto di volersi distrarre dalle proprie deludenti vite, ma alla fine i due avevano iniziato a frequentarsi e ormai si vedevano ogni giorno. O quasi.
“Mi era sembrato che avessi un po’ freddo e così ti ho coperto.” disse lei, accennando alla coperta ormai inutile arrotolata sotto di lui.
“Sicura che sia per quello?” scherzò Remus. “La possibilità che entrasse Richard e trovasse uno sconosciuto nudo sdraiato sul suo divano non c’entra niente, vero?”
Richard era l’ex-marito di Danielle.
“Ok, mi hai scoperto. In realtà era proprio per quello.” esclamò lei, stando al gioco.
Continuarono a scambiarsi battute per qualche secondo, ma all’improvviso Remus si accorse che c’era qualcosa che non andava.
Lui era entrato nell’appartamento circa alle due del pomeriggio e ricordava con chiarezza la luce pomeridiana che illuminava il tappeto e i vestiti gettati a terra, ma ora ci si vedeva a malapena.
La stanza era quasi immersa nella penombra; si poteva scorgere appena un calendario appeso al muro che lo informava di che giorno fosse.
3 Agosto 1993. La piccola sfera nera accanto alla data lo fece rabbrividire.
“Danielle, che ore sono?”
La donna, sconcertata per il brusco cambiamento nel tono della sua voce, rispose “Le otto e mezza di sera. Ti ho lasciato dormire perché mi eri sembrato molto stanco.”
Remus non rispose. Era come se l’ombra di gelo che era calata su di lui si fosse tramutata in un blocco di ghiaccio e paura.
Si scostò brutalmente da Danielle e si alzò di scatto, avvertendo una nuova ondata di debolezza travolgerlo.
Riuscì a malapena a reggersi in piedi, ma notò con sollievo che il tremito non era ancora iniziato.
Aveva ancora un po’ di tempo.
“Te ne vai?” domandò la donna con aria triste, guardandolo infilarsi i pantaloni.
“Sì.” rispose lui secco.  Non c’era tempo per le spiegazioni.
Tempo pochi minuti e se non se ne fosse andato alla svelta, il mostro nascosto dentro di lui l’avrebbe uccisa. O peggio.
Ma, incurante del rischio che correva, Danielle lo cinse da dietro con le braccia e mormorò “Perché non rimani qui per stanotte?”
Ma è pazza? Non ha idea di quello che sta chiedendo!
Remus si divincolò dalla sua stretta in modo decisamente poco delicato e aprì la porta senza voltarsi indietro.
Era già sul pianerottolo quando udì i singhiozzi della donna.
Seguì l’impulso di girarsi e sgranò gli occhi alla vista di Danielle che piangeva: non l’aveva mai visto le sue lacrime e la prospettiva di lasciarla in quello stato era così orribile che tornò da lei, ormai dimentico del pericolo.
Stavolta fu lei a respingerlo.
“Io non ti capisco, Remus!” eruppe lei. “Cos’è che non va in me? Perché non puoi semplicemente fidarti?”
“Fidarmi? Cosa c’entra la fiducia, ora?”
“C’entra eccome! Credi che non me ne sia accorta? Credi che non abbia notato come ogni mese sparisci per giorni senza lasciare traccia? Nessuna telefonata, nessuna lettera... Ora lo stai per rifare!E non vuoi nemmeno dirmi che accidenti ti sta succedendo!”
Remus s’irrigidì alle sue parole. Aveva creduto di essere stato prudente, di avere calcolato tutto, ma non aveva fatto i conti con l’inopportuno spirito di osservazione di Danielle.
Doveva averci fatto l’abitudine vivendo col marito che la tradiva di continuo. Ora doveva rimediare.
“Danielle, tu sei pazza!”  esclamò lui con tono forzatamente spavaldo. Non riusciva a guardarla negli occhi. “Oppure davvero paranoica. Io non ho certo tempo per stare a sentire le tue sparate. Ne parliamo un’altra volta, eh?”
“Smettila di sfottermi!” Urlò la donna, ormai fuori di sé. Corse davanti a lui e allargò le braccia, bloccandogli la via d’uscita.
Il tempo stava per scadere, Remus lo sentiva. Doveva risolvere quella situazione in fretta.
Si appoggiò alla libreria in mogano accanto all’entrata, ormai troppo debole per reggersi in piedi da solo e si guadagnò un’occhiata di rimprovero.
“Lo vedi?” mormorò triste. “Non riesci neanche a reggerti in piedi... A me non puoi mentire. Ti conosco troppo bene.”
Gli prese il volto tra le mani, obbligando Remus a fissarla negli occhi.
“E’ un problema di droga, per caso?”
Remus fece un fiacco cenno di diniego. Quante volte gli estranei saltavano a quella conclusione?
“Sei in un giro criminale, allora? Ti obbligano a fare... delle cose?”
“No.”
“Allora che cos’è? E’... è per caso..” deglutì per prendere coraggio. “C’è un’altra donna?”
E a quella prospettiva, altre lacrime le solcarono le guance e Remus provò un improvviso moto di compassione per quella donna così insicura di sé, così incapace di vedere le proprie qualità.
Per un secondo pensò addirittura di raccontarle tutto; sapeva che avrebbe capito.
Ma alla fine l’attimo passò e capì che non poteva farlo.
Danielle aveva avuto una vita fin troppo difficile e non era giusto sobbarcarle anche il peso della sua maledizione: sarebbe stato troppo.
Così si rialzò, consumando le ultime energie e si preparò ad auto infliggersi l’ennesimo duro colpo.
“No, non c’è nessun’altra.”
Lei continuava a cercare il suo sguardo, forse cercando di carpirne la verità.
“Allora che cos’è? Me lo vuoi dire una buona volta?”
“No.” fu la secca risposta.
“No, cosa?”
Remus dovette fare ricorso a ogni grammo della sua forza di volontà per pronunciare le parole che disse in seguito.
“No, non te lo voglio dire. Mi sono stancato.”
Fu come se Danielle fosse stata pugnalata. Indietreggiò contro la parete opposta, incapace di pronunciare una sola parola.
“Sì, mi sono stancato davvero. E’ ora di finirla. Mi spiace, ma è meglio per entrambi.”
E senza voltarsi indietro uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Non ebbe bisogno di appoggiarsi allo stipite per udire i singhiozzi della donna all’interno.
Remus si sentiva in colpa; Danielle non si meritava di essere scaricata in quel modo orribile, anche se prima o poi andava fatto. In realtà, pensò Remus mentre cercava di non ascoltare il pianto disperato della donna, avrebbe preferito poi.
Ma in quel momento capì che il tempo per pensare era scaduto. Il tremito era iniziato e forse era troppo tardi.
Il terrore di ciò che sarebbe potuto accadere gli fece recuperare ogni energia persa e si lanciò alla massima velocità giù dalle scale del condominio, irrompendo come una furia nella via sottostante.
Era confuso, dolorante e gli girava la testa. Le luci dei lampioni ferivano i suoi occhi stanchi.
Ma ce la poteva ancora fare; proseguì per strade secondarie ormai buie e, con suo grande sollievo, non incontrò quasi nessuno.
Dovette infatti scansare solo un paio di ubriachi e la vecchia zitella che abitava sotto di lui, per raggiungere lo squallido edificio dove abitava.
In seguito non conservò un ricordo preciso di quella folle corsa, ma mai aveva trovato il suo spoglio trilocale tanto accogliente come quella sera, quando vi arrivò.
Gettò le chiavi su un tavolo a caso e, senza concedersi un secondo di pausa, estrasse la bacchetta per evocare gli incantesimi che avrebbero protetto i suoi vicini e gli avrebbero impedito di essere scoperto.
Non fece in tempo a fare nient’altro, nemmeno a spogliarsi.
Un ultimo, lancinante brivido di dolore e la sua schiena si squarciò in due.
Udì a malapena il rumore dei vestiti che si strappavano e il ringhio che uscì involontario dalle sue labbra.
Poi tutto si tinse di rosso.
 
Fu la luce che filtrava dalle imposte scheggiate a svegliarlo il giorno dopo.
Non ebbe bisogno di aprire gli occhi per intuire il motivo per cui si trovava lungo disteso sul pavimento, né ebbe bisogno di aprirli per ricordare ciò che era successo il giorno prima.
Era tutto lì, in attesa di essere rievocato e così li tenne chiusi, riflettendo.
Non fu affatto sorpreso di provare fu un enorme, lancinante senso di angoscia per ciò che lo aspettava.
O forse sarebbe stato meglio dire per ciò che non lo aspettava.
Che cosa era stata la sua vita dopo quel 31 ottobre di molti anni prima, se non un’infinita distesa di giornate tutte identiche tra loro, accomunate solo da delusione e stenti?
Ogni giorno, ogni momento era stato prevedibile: i risvegli solitari, maghi e babbani tirati a lucido che per strada lo scansavano, le aspettative di trovare un lavoro pari a zero, le inutili serate passate in squallidi bar con persone che solamente il mattino dopo perdevano sia nome che volto..
Poi arrivavano le notti di Luna Piena. In un certo senso rompevano la monotonia.
Ma poi ricominciava tutto da capo.
E per questo motivo era stato tremendamente difficile separarsi da una delle poche consolazioni che aveva avuto negli ultimi tredici anni: Danielle, per quanto sola e insicura, era stata un soffio di aria fresca nella sua vita.
Si erano dati conforto a vicenda, aggrappandosi l’uno all’altra come ad un salvagente, ma ora era tutto finito.
E Remus non voleva nemmeno pensare all’immenso mare di giorni deprimenti e tutti uguali tra loro, che si stendeva davanti a lui.
“Sappiamo entrambi che non stai dormendo, Remus. Non pensi sia ora di aprire gli occhi?”
Quella voce. Nonostante fossero passati anni dall’ultima volta in cui aveva visto il proprietario, sapeva a chi appartenesse.
Solo che non era assolutamente possibile; probabilmente stava ancora sognando.
Ma poi spalancò gli occhi, e l’alta figura di Albus Silente era lì per davvero, illuminata dai raggi mattutini del sole, consistente come il massiccio armadio alle sue spalle.
Un momento. L’armadio era integro. Com’era possibile? Remus avrebbe dovuto ridurlo in briciole durante la notte.
“Mi sono preso la libertà di fare un po’ d’ordine al mio arrivo.” disse Silente allegramente, seguendo il suo sguardo. “E’incantevole il modo in cui hai arredato il tuo appartamento. Certo, un po’ di manutenzione mette in risalto le sue qualità...”
“Già. Sono convinto che chiunque si sia voluto disfare di questi mobili non avesse visto le loro enormi potenzialità.” disse Remus ironicamente, levandosi a sedere.
Per la seconda volta in poche ore, si accorse con imbarazzo di essersi svegliato nudo; ma almeno Silente aveva avuto la gentilezza di coprirlo con un panno. E aveva anche guarito i numerosi tagli.
“Gradisci una tazza di the?” disse l’anziano preside, evocandola. “Ho con me anche diversi biscotti, se lo desideri. Minerva è stata così gentile da regalarmi tanti di quegli Zenzerotti da averne ormai una rifornitura a vita.”
Remus accettò l’offerta, impacciato a causa di quella strana situazione.
“Che cosa ci fa qui, Preside?” chiese poi, quando fu evidente che Silente non l’avrebbe rivelato di sua spontanea volontà. “Ha bisogno di qualcosa?”
“Ho forse bisogno di una scusa per voler rivedere un vecchio amico?” sorrise Silente.
“Sono anni che non la vedo, signore.”
“Sono anni che nessuno vede te, Remus.” replicò quello, con un’ombra di rammarico. “Che cosa hai fatto per tutto questo tempo? Hai perso i contatti con tutti i vecchi amici, nessuno aveva idea di dove fossi finito.”
“Avevo bisogno di ricominciare da capo, Silente.” ribatté Remus secco, ignorando il rimorso per essere così scortese. “Non potevo vivere per sempre nel passato, volevo farmi una nuova vita.”
“E sei riuscito ad ottenere ciò che volevi?”
A quella domanda Remus non rispose e il preside sospirò.
“Non hai bisogno di nasconderti da nessuno, lo sai. Ci sarebbero diverse persone disponibili nei tuoi confronti, se solo lo volessi.” disse con dolcezza.
“Non mi sto nascondendo da nessuno, infatti.”
Ma era un’inutile bugia. E Silente lo sapeva. Fin dai tempi di Hogwarts era capace di leggere dentro il suo cuore, come nessun altro aveva mai fatto.
“E non voglio ricevere la carità dal vecchio Ordine, Preside. Sa che non la accetterei mai.”
“Infatti non è la carità che ti voglio offrire, Remus.”
Lui lo guardò scettico e Silente ridacchiò.
“Che dire? Ormai mi conosci. Avevi ragione ad asserire che la mia visita non è proprio completamente disinteressata.”
“Continui.”
“Credo che tu sappia che di recente ho assunto un nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, il professor Allock.”
“Sì, ne ho sentito parlare.” confermò Remus, pensando alla strega cicciona che si era dovuto sorbire qualche sera prima, mentre gli decantava le lodi del suo idolo.
“Per abbreviare la mia storia, ti basti sapere che il suddetto professore non si è dimostrato... ehm... particolarmente capace e in questo momento si trova all’Ospedale San Mungo, in cura per un Incantesimo di Memoria che si è autoinflitto, e perciò siamo nuovamente a corto di un insegnante.”
“Un bel problema.” commentò Remus, disinteressato. Non capiva ancora che cosa c’entrasse quella storia con lui. “Ha già trovato un sostituto?”
Silente lo trafisse con i suoi occhi azzurri, prima di parlare.
“Certamente. Un validissimo sostituto, oserei aggiungere, ma ora mi piacerebbe ascoltare la sua risposta. Per arrivare al punto, Remus,vorrei offrire quel posto a te.”
Remus lo fissò senza parlare, in preda allo shock.
Mi sta prendendo in giro?
“Non ti sto prendendo in giro. La mia è una proposta seria e vorrei che tu la prendessi in considerazione.”
“P-preside...” esalò Remus, tentando di riportare la conversazione su un tono ragionevole. “Preside, è di Hogwarts che stiamo parlando.”
“Certamente. E che io ricordi, anche l’unica Scuola di Magia che ho l’onore di dirigere.”
Remus scosse la testa, sconvolto da ciò che Silente gli stava chiedendo. Un conto era ammetterlo come studente, ma offrirgli una cattedra da insegnante?
“Silente, io sono un Lupo Mannaro!” esclamò.
“E sei anche un mago molto capace, che, ne sono certo, saprebbe svolgere un incarico simile con il massimo impegno.”
“Lei è uscito di senno.” mormorò Remus incredulo.
“Non sono uscito di senno.” rispose Silente, per la prima volta con un’ombra d’impazienza. “Credo solamente che, se prendiamo le giuste precauzioni, saresti un eccellente insegnante. Ti è così difficile accettare il fatto che qualcuno possa avere fiducia in te?”
“Un conto è la fiducia. Un altro conto è l’imprudenza.”
Silente sospirò di nuovo.
“Ti prego, Remus. Metti da parte per un secondo tutte le tue preoccupazioni e pensa a quest’eventualità. Ti piacerebbe provarci?”
E Remus lo fece. Pensò agli anni trascorsi ad Hogwarts, alle lezioni a cui aveva assistito, all’ammirazione che aveva provato per quei pochi professori che l’avevano saputo affascinare.
E poi pensò di essere al loro posto. Di progettare lezioni, di stare a contatto con ragazzi che non lo sfuggivano, ma volevano imparare qualcosa da lui.
Era un sogno ad occhi aperti.
“Silente... e gli altri professori?”
“Ti ricordano ai tempi in cui frequentavi la scuola e, come me, sono convinti che ne sarai degno. Il collegio docenti ha accettato la tua nomina... ehm... quasi all’unanimità.”
Remus sogghignò a quel quasi. Credeva di sapere chi si fosse opposto. E insieme a quella convinzione apparve nella sua mente l’immagine di un ragazzetto pallido e smagrito dai capelli unti.
In un altro giorno ci avrebbe dato più peso, ma in quel momento non gli importava niente. Era troppo euforico.
“Devo prenderlo come un ‘sì’, allora?” domandò Silente allegro, ben interpretando l’espressione sul suo volto.
Remus si ricompose e rispose “Ci penserò su, Preside.”
Non voleva sbilanciarsi troppo.
“Molto bene. In questo caso ci rivedremo il primo settembre direi.” gli strizzò l’occhio. “Non accetto ripensamenti.”
E si avviò verso la porta.
Prima di uscire, però, si voltò verso di lui e lo guardò con aria grave.
“Non rimpiangere questa scelta, Remus.  Sono certo che stavolta potrai davvero iniziare da capo. E magari, chi lo sa, potrai vivere anche tu un altro giorno.”
E con queste parole se andò.
Remus rimase a fissare per diversi minuti la porta chiusa e alla fine si convinse che Silente avesse ragione.
Era un grande cambiamento quello. E anche un rischio, che forse si sarebbe rivelato più grande di lui.
Ma qualunque cosa sarebbe successa, sarebbe iniziato un nuovo giorno nella sua vita.
Forse sarebbe stato solamente un altro giorno, ma un po’ diverso dagli altri.
Another day.







Riporto qui sotto il giudizio di Erica Weasley, che mi ha fatto gentilmente notare i 'leggeri' errori di punteggiatura e ortografia (ebbene sì, lo ammetto: l'apostrofo è la mia vergogna) sparsi per la storia.
Naturalmente ho cercato di applicare le varie correzioni al testo. ;)


QUINTA CLASSIFICATA:

Another day di coshicoshi

Grammatica e lessico: 6,65/10
Stile e forma: 10/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione personaggi: 9/10
Gradimento personale: 4/5
Attinenza al titolo: 2/2
Totale: 41,65/47

Io giuro che potrei ucciderti. Ed ora capirai il perché. Sedici volte scrivi i tre puntini di sospensione come se fossero semplicemente due (cioè scrivi “..” anziché “…”). Avada Kedavra va scritto con la lettera maiuscola in entrambe le parole, e non Avada kedavra. Bensvegliato non va scritto tutto attaccato, ma staccato, ben svegliato. Ad un certo punto scrivi: “«… In realtà era proprio per quello.» esclamò quella, stando al gioco” e c’è la ripetizione quello/quella. Poi scrivi “Era come se se l’ombra di gelo…” ripetendo due volte il se. Poi ancora, un sacco di sbagli per quel che riguarda gli spazi. Dopo i segni di punteggiatura, quali virgole, punti, punti esclamativi, punti di sospensione, di domanda, quel che è, va sempre messo uno spazio, ma tu lo salti in queste frasi: “Ma, incurante del rischio che correva,Danielle lo cinse…”, “Ora lo stai per rifare!E non vuoi nemmeno dirmi che accidenti ti sta succedendo!”, “ Sei in un giro criminale,allora?” e “Per arrivare al punto, Remus,vorrei offrire quel posto a te.” . Al contrario, lo ripeti tra alla fine del dialogo nella frase: “Danielle, tu sei pazza!” esclamò lui con tono forzatamente spavaldo.” ed infine lo sbagli nella frase: “Si appoggiò alla libreria in mogano accanto all’entrata ,ormai troppo” perché lo metti prima e non dopo della virgola. Ultimo punto, ma non meno importante – anzi! -, è nella frase “No, non c’è nessun altra.” dove manca l’apostrofo tra nessun ed altra.
Ed io ti dico solo che se non fosse stato per questo (errori stupidi!) la fic avrebbe avuto un punteggio ben più alto! E non sai quanto mi dispiace!
Hai scelto un bel momento di cui parlare e mi è piaciuto. Anche il rapporto Danielle/Remus era ben costruito, dal bisogno che avevano entrambi di sentirsi amati, e anche vivi. Questo mi è piaciuto moltissimo, ma mi ha lasciata un po’ perplessa il fatto che poi Remus non ne parli più. So che è arrivato Silente con quella brillante notizia per lui, ma un piccolo pensiero a quella donna che l’aveva amato con tutta se stessa? No? Ecco, secondo me, quella era l’unica cosa che mancava alla trama della ff. E ha penalizzato un po’ anche la Caratterizzazione di Remus, perché l’ho sempre trovato una persona che pensa molto agli altri, forse più che a se stesso, quindi qui è mancato. Invece i complimenti vanno per il tuo Silente: meraviglioso, se posso permettermi!
È stata di sicuro la storia che si è più attenuta al titolo, e questo mi ha fatto molto piacere! Se solo non fosse stata per la grammatica sarebbe stata una delle mie preferite, giuro. 



 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

   
 
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