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Autore: Miss Demy    12/06/2011    49 recensioni
C'è un'età per l'amicizia, per l'affetto fraterno, per le confidenze, e un'età per l'Amore capace di far scalpitare i cuori e mandare in tilt il cervello.
Tra l'amicizia e l'Amore, alcune volte il passo può essere breve, altre impiega più di dieci anni. E se razionalmente non fosse giusto? Ascolta il tuo cuore, non c'è nient'altro che tu possa fare.
Dal cap.1:
Un colpo di tosse li destò da quella pericolosa lite.
Voltandosi verso l’arco che collegava il salone al resto dell’appartamento, gli occhi spalancati e imbarazzati di Hana li osservavano. Non era l’unica.
Setsuna, aveva assistito. Era curiosa di ascoltare come il suo fidanzato avrebbe giustificato quella scena che lo vedeva ancora in ginocchio, tra le gambe dischiuse di Usagi, cingendole la vita e con il viso a pochi centimetri di distanza da quello della ragazzina. Che nervi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Nuovo personaggio, Setsuna/Sidia, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Capitolo 1:  Piccola Lolita
 
L’aveva osservata per qualche istante. Se ne restava con il busto leggermente in avanti, gli avambracci ben poggiati alla bassa ringhiera di ferro. 
Quella domenica di inizio giugno i gabbiani attraversavano il cielo limpido per poi planare sulla coltre d’acqua salata. I raggi del sole creavano punte di diamante che si riflettevano anche sulla costa sabbiosa, distesa dorata.
Usagi da quella prospettiva sembrava proprio una bambina. Si lasciava accarezzare il volto dal vento proveniente da est che agitava i rami degli alberi in lontananza e faceva ondeggiare le foglie verdi. Socchiudeva gli occhi per non venire accecata dalla luce del sole che le andava incontro mentre amava perdersi nell’immensità dell’orizzonte di fronte a sé.
Sembrava un’anima in pena quando riempiva i polmoni per poi rilasciare un respiro agitato, cercando conforto in quell’aria calda che odorava di salsedine e di natura, mentre le sue ciocche miele fluttuavano ribelli seguendo la spinta del vento.
Decise di intervenire.
«A che pensi?» le domandò poggiando una mano sulla sua spalla scoperta. 

Lei avrebbe riconosciuto quel tocco tra tanti.
«Niente» rispose, scrollando via i pensieri dalla testa e forzando un sorriso; il suo sguardo non voleva abbandonare l’orizzonte.

«Dai, Odango, cos’è successo?» A Mamoru la risposta non aveva convinto, non si arrese; si era arrogato il titolo di confidente, o meglio, così credeva.
 
La ragazza alzò le spalle e, voltandosi verso di lui, si lasciò andare: «Il fatto è che…» iniziò, prima di tentennare timidamente, come se tutto sommato certi argomenti fossero imbarazzanti se affrontati con Mamo-chan.
 
«Dai, Usa, perché questo faccino pensieroso?» Mamoru poggiò una mano sul mento della ragazza obbligandola a guardarlo. «Sai che con me puoi parlare.»
Tante volte aveva dovuto insistere ma dopo lei aveva ceduto e si era confidata. Era l’unico amico, lui lo sapeva.  

«È per Seiya» spiegò, lo sguardo sul pavimento di terracotta, «sono giorni che litighiamo, lo vedo sempre più lontano, come se fosse assente.» Silenzio. «E poi stasera ci sarà la festa di compleanno di Ami e so già che lui ricomincerà con la solita storia.»
Il tono della sua voce era imbarazzato e i suoi occhi in cerca di rifugio verso il mare di fronte a sé.

Mamoru voleva che lei desse valore a ciò che stava per suggerirle, la guardò negli occhi e proseguì: «Stai tranquilla, non prendere decisioni per paura delle sue reazioni, fai ciò che senti di voler fare.»

Lei annuì. «Sì, è quello che finora ho cercato di fargli capire, che non mi sentivo pronta, ma lui…» Si voltò a incontrare gli occhi di lui, sentiva le guance pizzicare dal sole. «Tutta questa sua pressione mi fa stare male, non ci posso fare nulla, e tutto ciò crea attrito che ci allontana. Non sono pronta ma lui non lo vuole capire. Sembra che a lui non interessi.»
I raggi erano diventati pesanti, così come le sue preoccupazioni; si portò le mani a proteggere il volto, a nascondersi per un po’ dal mondo.

«Usa, stare insieme significa capire se si sta bene con l’altra persona.» Lui la raggiunse nel suo rifugio. «Se questa storia non ti fa più stare bene, lascialo andare, non ci perdi di certo tu.»

Eccolo che, ancora una volta, trovava il pretesto per evidenziare quanto Seiya fosse inadatto per lei. Da quando tre mesi prima gli aveva confidato di aver iniziato a frequentare quel ragazzo conosciuto a una serata universitaria, lui non aveva mai perso occasione per farla riflettere. 
 
Cosa pensi potranno mai avere in comune una studentessa universitaria e un musicista? Secondo me ti sei lasciata attrarre dal fascino dell’artista. Che poi, non è che sia un lavoro effettivo, lui con le serate nei locali pensa di potersi guadagnare da vivere? Cosa resterà quando la passione iniziale lascerà posto alla quotidianità? Passione ecco, passione che Seiya reclamava come un diritto e che lei non riusciva a concedergli.

In dieci anni le chiacchierate tra di loro erano state tante, troppe, e lui non aveva mai perso occasione per evidenziare che quegli otto anni di differenza tra loro fossero sufficienti per elargire consigli a suo avviso saggi. Sperò di esserne capace anche quella volta. 

La avvolse nel suo braccio, tirandola fuori dalla tana che si era costruita. «Quando arriverà il momento giusto lo capirai da sola.»

Usagi sentì il cuore più leggero, non era quindi lei a essere sbagliata; con gli occhi azzurri e vispi su quelli blu di lui, accennò un sorriso. «Grazie Mamo-chan; vedi, quando vuoi riesci a sembrare persino un saggio simpatico.»

Lui ridacchiò divertito. Simpatico. Saggio. Ci era dunque riuscito ancora una volta e sapeva che ogni discorso con Usagi non poteva terminare se son con qualche battuta. Era la loro complicità. 
«Adesso però andiamo a mangiare, Setsuna e mia madre avranno già portato i piatti in tavola» le rispose con un occhiolino, avviandosi all’interno dell’appartamento.
 

«Grazie per aver cucinato, Hana,» Setsuna posò le posate sul piatto di porcellana, iniziando a massaggiarsi il collo con entrambe le mani, «i turni di notte sono micidiali.»
«Ma figurati, lo sai, per me è sempre un piacere potervi essere d’aiuto.» 
Da quando Mamoru aveva acquistato quella casa, per Hana ogni occasione che si presentava era una opportunità per rendersi utile. Suo figlio era un medico, per l’esattezza un chirurgo, Hana lo scandiva con orgoglio quando parlava con le amiche o ai negozianti della zona; quel figlio le sembrava sempre più impegnato, con sempre meno tempo libero da dedicarle. Le mancava.
«Hana, questo riso al curry era buonissimo!» Per Usagi non c’era chef migliore di quella cara vicina di casa e non perdeva occasione per farle sapere di aver apprezzato i suoi esperimenti culinari. 
«Abbiamo notato, Odango!» Mamoru neanche perdeva occasione, quella testolina buffa era il suo divertimento preferito, le espressioni indispettite sul suo viso lo facevano sorridere. «Hai svuotato il piatto dopo aver fatto il bis, ma dove lo metti tutto questo cibo?» Il suo corpo asciutto non sembrava idoneo a contenere tutto ciò che mangiava.
Un’occhiata infastidita lo colpì. «Smettila, fatti gli affari tuoi!»
Hana scosse la testa, ciocche del caschetto biondo vibrarono all’aria. Un sorriso le sfuggì dalle labbra, si alzò da tavola. «Non vi stancate mai, vero?» Sembravano due bambini che pensavano già alla frecciatina successiva. Era da dieci anni che portavano avanti quel teatrino.

«Usa-chan, ho saputo che i tuoi sono partiti.» Setsuna era già stanca delle solite battute tra il suo fidanzato e la ragazzina. «Hana mi ha detto che sono andati a festeggiare il venticinquesimo anniversario, l’Italia deve essere bellissima.» Chissà se finalmente poteva inserirsi in un discorso serio, se c’era spazio anche per lei, se finalmente si sarebbero accorti di lei, stanca di sostituire i colleghi di notte e stanca di sentirsi invisibile di fronte a loro due.

Hana tornò con una fruttiera colma di fragole e ciliegie. Usagi allungò un braccio per afferare una fragola. 
«Hm mh» annuì addentandola, «i piccioncini gireranno venti giorni per diverse città con un gruppo organizzato.»
«Come sta andando questa libertà? Ti sta piacendo restare da sola?» Non sapeva da dove le era arrivata quella frase, voleva soltanto creare una complicità con lei, studiarla, capire perché tra Mamo e quella ragazzina fosse così naturale essere complici e con lei invece no, in fondo si conoscevano oramai da due anni.
Usagi posò il suo sguardo sugli occhi nocciola della ragazza, piccole pagliuzze rosse che rendevano quelle iridi simili alle ciliegie sul tavolo.
 «A volte tutta questa libertà mi sembra soffocante.» Usagi avrebbe voluto riempire il silenzio della propria casa con presenza piena d’affetto, parole di conforto. Ultimamente, i suoi erano sempre fuori.
«Ti soffoco io, piccolina mia.» Il profumo di Hana era caldo e avvolgente, rassicurante, proprio come quella stretta da dietro che percepì. Profumo materno. Profumo di chi ha perso tanto e ha dentro ancora tanto amore inutilizzato.
Mamoru osservò la scena. «Dai, andiamo a vedere un po’ di tv» disse, la sua mano intrecciò le dita di Setsuna. Quella situazione che non gli piaceva. Usagi che ancora una volta lasciava percepire la mancanza di affetto familiare, Usagi che si buttava tra le braccia di persone poco adatte a lei per colmare quel vuoto affettivo. Usagi che finiva per soffrire per le inevitabili rotture, tornando a sentirsi ancora più sola. Sarebbe accaduto ancora una volta, era inevitabile, un fallimento già garantito.
 
Sul divano dalla morbida imbottitura, finalmente Setsuna si poteva rilassare, chiudere gli occhi e sentire il cuore di Mamoru sotto il proprio orecchio. Lui che, appoggiato alla spalliera del divano di pelle bianca, le accarezzava i lunghi capelli lisci. Avrebbe voluto tagliarli, sfrangiarli, o magari osare un bob all’altezza delle spalle, di quelli visti alle attrici di Hollywood sull’ultimo tappeto rosso e, perché no, togliersi quelle sfumature artificiali e ritornare mora. A Mamoru piacevano così però, lunghi fino al fondo schiena e con quei riflessi che la illuminavano, e a lei piaceva piacere a Mamoru. 
“Vorrei che questo momento durasse a lungo” pensava. Era piacevole passare quei momenti di meritato riposo abbracciati l’uno all’altra, accompagnati dal leggero venticello che entrava dalla portafinestra lasciata aperta e portava con sé l’odore salmastro del mare. Erano pochi, sempre più rari, quei momenti in cui non erano solo colleghi intenti a effettuare interventi chirurgici o ad alternarsi i turni, togliendo loro la possibilità di vivere quell’amore sbocciato due anni prima, tra le corsie di chirurgia, e che cercavano di ritrovare in quell’appartamento sul mare. 

Usagi posò gli ultimi piatti sporchi all’interno del lavabo ma la voce di Hana la fermò. 
«Va’ a guardare la tv anche tu, ci penso io qui.»
Non se lo fece ripetere due volte, sorrise e andò a sedere sulla poltrona adiacente al divano.


Dallo schermo piatto quarantotto pollici una giornalista nel suo tailleaur grigio mostrava ciò che restava di un palazzo crollato in un paese vicino Tokyo. I morti erano stati dieci, i feriti ventiquattro. Sul volto di alcuni inquilini il terrore si mischiava alla polvere. 
Usagi sentì l’angoscia pervaderle il cuore, farsi largo dentro di sé. Come era possibile per una madre perdere un figlio così? Quanto avrebbero sofferto i familiari di quelle persone in bilico tra la vita e la morte? Quei volti disperati, straziati, ricoperti di sangue la colpirono come un pugno allo stomaco. Flashback cercavano di ritornare alla mente.
Basta. Non aveva intenzione di continuare a vedere quelle immagini, tanta sofferenza.
La brunetta ritornò sullo schermo, pulita e ben pettinata per annunciare la pubblicità. Era il momento perfetto per Usagi, allungò il braccio verso il tavolino basso prendendo il telecomando e cambiando canale.
«Usa, rimetti il notiziario.» Mamoru ordinò, il suo tono era scocciato ma non sorpreso. 
«Ma sta per iniziare Grey’s Anatomy…» lo implorò, sperando che il suo sguardo dolce e supplichevole potesse intenerirlo. Fu invano. Guardò Setsuna. Lei non interferiva mai. In quel momento era serena, con gli occhi chiusi e le braccia attorno alla vita di Mamo-chan, non avrebbe fatto caso al cambiamento di programma.
«Setsuna, non ti dispiace se guardiamo questo telefilm, non è vero?»
«No, tanto andrò a riposarmi a letto» le rispose con voce stanca alzandosi dal divano. La pace era terminata, avrebbero ripreso a battibeccare e a far casino e non avrebbero potuto seguire né il notiziario né le vicende di quei giovani medici americani. Tanto valeva stendersi la schiena e recuperare un po’ di sonno.

Quando la ragazza lasciò il salone, Usagi allargò un sorrisetto, guardando Mamoru negli occhi e presagendo una nuova vittoria.
«Ridammi il telecomando, Odango» insisté lui, era stanco di dover sempre assecondare i suoi capricci infantili, non era quello il momento.
Lei scosse la testa, non era più un cucciolo tenero ma una prepotente impassibile. Nascose il telecomando dietro la schiena, incrociando le braccia al petto e guardandolo con aria di sfida. 
«Voglio guardare questo programma, dai, non fare il prepotente.»

Mamoru lo sapeva che l’emotività di Usagi si era accentuata nel tempo, a volte era davvero impossibile comprenderla. Si era estraniata sempre di più in un mondo tutto suo, dove non c’era spazio per il dolore, dove la morte non doveva esistere. I notiziari erano banditi nel suo mondo. Una nuova Alice nel Paese delle meraviglie, così l’aveva ribattezzata lui. Era davvero fastidiosa. Voleva farle superare quel blocco ma forse non ci sarebbe mai riuscito, o forse si rendeva conto che ci stava provando nel modo sbagliato.
«Alice, lei permette che io mi tenga informato su ciò che accade nel mondo?»
Vederlo così gentile, che dipendeva da lei, che le chiedeva le cose con garbo, dopo essere stato scontroso e aver capito che non avrebbe ottenuto niente se non la reazione opposta, la divertiva parecchio; le espressioni quasi indifese e speranzose che il suo viso dalla barba leggermente incolta acquisiva erano per lei una pura soddisfazione. Il gioco era diventato ancora più divertente. 
Con le braccia conserte, scosse la testa. «No!» I suoi occhi furbi e vispi sfidavano quelli di lui.
«Okay.» La tregua era solo apparente.
Mamoru si alzò dal divano andandole incontro. Lo vide dal basso verso l’alto, il suo sguardo era enigmatico.
Usagi non capiva se fosse spazientito o pronto ad arrendersi. I suoi occhi blu si avvicinavano sempre di più fin quando lo ritrovò inginocchiato davanti a sé. 
Lui portò una mano ben aperta sulla la vita di lei, tirandola a sé per farla staccare dalla spalliera. La trascinò verso il suo abbraccio, diminuendo sempre più la distanza tra loro. 
Lei premette le mani sulle spalle di lui cercando di fare forza per distaccarsi e ritornare indietro verso lo schienale. Sembrava inutile, lui la teneva a sé mentre si inclinava in avanti stendendo la mano libera verso il telecomando. 
«Mamo-chan, lasciami, smettila!» urlava lei. Lasciò una spalla di lui per cercare di non permettergli di prendere l’oggetto. Le dita delle loro mani si intrecciarono proprio lì. Lui però riuscì ad afferrarlo. 
Usagi non avrebbe perso, non poteva accettare una sconfitta. La sua mano ferma sulla spalla di lui avvolse in un abbraccio il suo collo, l’altra si agitava all’aria nel desiderio di riprendere il telecomando. Aveva paura che lui si alzasse trionfante. Avvinghiò le sue gambe al busto di Mamo-chan. Una presa più stabile. Erano così vicini che poteva percepire il respiro agitato sulla propria pelle. Dimenandosi, sporgendosi in avanti, si ritrovò di nuovo con la mano su quella di lui che stringeva il motivo della lotta, fu in quel momento che alzò lo sguardo notando quegli occhi blu fissi sui propri e il respiro caldo di Mamoru che le accarezzava il viso.

Un colpo di tosse li destò da quella pericolosa lite.

Voltandosi verso l’arco che collegava il salone al resto dell’appartamento, gli occhi spalancati e imbarazzati di Hana li osservavano. Non era l’unica.
Setsuna, aveva assistito. Avrebbe voluto intervenire ma tutto era stato così veloce, così impensabile, aveva quindi deciso di aspettare, di vedere fino a che punto si sarebbero spinti; voleva verificare se era lei la solita esagerata, come lui soleva farla passare ogniqualvolta si parlava del rapporto tra quei due. Era curiosa di ascoltare come il suo fidanzato avrebbe giustificato quella scena che lo vedeva ancora in ginocchio, tra le gambe dischiuse di Usagi, cingendole la vita e con il viso a pochi centimetri di distanza da quello della ragazzina. Che nervi.

Furono gli occhi delle due donne su di loro a far rendere conto a entrambi fino a che punto, inavvertitamente, si erano spinti. Mamoru si alzò subito, spegnando la tv e tirando il telecomando sul divano con aria dispiaciuta, mentre Setsuna abbassò le palpebre quando incontrò gli occhi mortificati del ragazzo prima di voltarsi e tornare in camera da letto. 

Anche Usagi si mise in piedi, mantenendo gli occhi sul parquet. L’aveva combinata grossa, capì.
Con lui poteva giocare, scherzare, confidarsi, nel tempo avevano creato una complicità del tutto spontanea, naturale. Però non tutti, anzi quasi nessuno riusciva a comprendere quella loro ingenua amicizia. Aveva appena creato, in qualche modo, problemi a Mamo-chan. Avvicinarsi ad Hana era l’unico modo per trovare soccorso dopo la battaglia. 

«Vieni, Usagi, andiamo» le disse la donna poggiandole una mano sulla spalla. 
«Mamo, ho già fatto i piatti, va’ a riposarti, noi andiamo.» Ogni parola sembrava troppo assordante in quel silenzio misto tra imbarazzo e rabbia.
«Grazie mamma» si limitò a dire lui con voce bassa. Avrebbe voluto scomparire ma sapeva che una nuova battaglia stava per iniziare. Era stanco di dover combattere. Attese che le due uscissero e si affrettò a raggiungere Setsuna in camera da letto.


Setsuna era sdraiata su un fianco dando le spalle alla porta della camera; i lunghi capelli erano pece sul materasso, i raggi del sole che penetravano dal balcone ne accentuavano riflessi; il giovane si sfilò la maglia di cotone prima si stendersi accanto a lei e premere il suo petto sulla schiena della ragazza, avvolgendola nel suo abbraccio.
«La prossima volta dille di non urlare, stavo cercando di riposare.» La voce della ragazza era piena di delusione, nelle sue vene scorreva rabbia ma cercò di non farlo trasparire, non si sarebbe sentita dire nuovamente che era una gelosia assurda la sua. Restava in attesa di una spiegazione. Curiosa, sempre più impaziente.

Mamoru sapeva che il problema non erano le urla, il solito problema si ripresentava ma come sempre decise di essere coerente con la sua idea che i rapporti dovevano basarsi su sincerità e fiducia. Lui voleva essere onesto, perché lei non aveva fiducia?
«È una stupida ragazzina viziata» esordì lui, quella volta avrebbe cambiato approccio, forse sarebbe stato capace a evitare guerre inutili. 
«Non bastava che i suoi la assecondassero sempre, pure mia madre ci si mette tante volte.»
Le diede un bacio sul collo facendo scivolare le labbra lungo la spalla. 
«Mi dispiace, amore» sussurrò, mentre una mano scorreva sotto la gonna di lino viola e accarezzava la coscia della ragazza.

Setsuna si irrigidì a quel tocco. Avrebbe veramente affrontato l’argomento così? Aveva già chiuso il discorso? Il sangue nelle sue vene ribolliva, si sentiva agitata, inquieta. Mamoru voleva far finta di nulla e passare al sesso? Era troppo. Posò la sua mano su quella di lui, bloccandola.
«Lasciami» ordinò trascinandosi in avanti per allontanarsi da lui. In quel momento avrebbe desiderato prenderlo a pugni, fargli provare lo stesso dolore che le attanagliava l’orgoglio. Quel contatto le dava fastidio, perché lui non si spostava?

«Mi manchi. Tra i turni in ospedale e il fatto che litighiamo spesso ultimamente, ormai è da una settimana che non lo facciamo» confessò lui. Di quella loro relazione avvertiva sempre di più solo gli aspetti negativi. Le baciò il lobo dell’orecchio, come una proposta di pace.

«Se ultimamente litighiamo è perché tu non perdi mai occasione per fare lo scemo con quella» fu la risposta di lei, provò a mostrarsi calma, ma la rabbia era avvinghiata alla sua voce, la tradì. 
Mamoru rimase per un attimo ad analizzare quelle parole. Lo scemo? Con Usagi? Setsuna era forse impazzita.

«Lasciami stare, vattene, se hai voglia fallo con Usagi, sono certa non sta aspettando altro.»

Farlo con Usagi? Era evidente, stava delirando. La gelosia era un mostro verde che accecava. Setsuna ne era stata vittima.
«Stai scherzando, vero?»
Mamoru sapeva, capiva, che l’atteggiamento di poco prima aveva infastidito la sua donna, anche se sperava che lei riuscisse a comprendere che quella situazione non meritava importanza.
Vista da occhi estranei quella scena, dove lui che, con il busto tra le gambe lasciate scoperte da un paio di shorts, stringeva la ragazza per riprendere il telecomando, poteva essere poco piacevole, se ne rendeva conto, ma per lui non c’era malizia.

Conosceva Usagi da dieci anni, da quando i coniugi Tsukino e la loro bambina di dieci anni avevano traslocato in un appartamento nello stesso condominio dei Chiba. Ricordava il giorno in cui l’aveva conosciuta. Aveva appena compiuto diciotto anni, usciva dalla palazzina per raggiungere gli amici trovandosi di fronte a sé un uomo e una donna con degli scatoloni tra le mani. Tenne il portone aperto, permettendo a entrambi di entrare. “Grazie mille” avevano risposto all’unisono, poi la donna aveva chiamato: Vieni Usagi” e lui aveva intravisto una bambina intenta a spazzolare i capelli della sua barbie. Era corsa dentro, ignorandolo e raggiungendo i genitori all’apertura dell’ascensore. 

Setsuna si alzò dal letto di scatto: «Mi sono stancata, Mamoru» iniziò alzando il tono della voce, «sono stanca di vederti scherzare con lei, prenderla in braccio per tuffarla in acqua quando siamo al mare, di sentirti stuzzicarla mentre mangiamo!»
Con il respiro affannato e una convinzione che le spezzava il cuore al ricordo di quella scena, aggiunse: «Deve essere sempre così?» A lei proprio non andava giù. «Prima sembrava che te la volessi fare.» Il respiro affannato di lui mentre si guardavano ormai stanchi di dimenarsi ma non di arrendersi era ancora un’immagine che non voleva andare via dalla sua mente. 

«Ora stai delirando!» Mamoru non ne poté più. Si sedette sul letto e riprese. «A trent’anni come fai a essere gelosa di una ragazzina? È soltanto Usagi!»
Lei sbuffò nervosamente. «Senti, io non sono mai stata gelosa di te, neanche quando vedo le nostre colleghe fare le sceme con te o certe pazienti farti sorrisini ammiccanti» spiegò lentamente, come se in quel modo lui avesse potuto capire bene tutto ciò che provava, «però con lei è diverso, tu sei diverso.»

Lui scosse la testa più volte, capendo che Setsuna non avrebbe mai compreso. 
«Io le voglio bene, frequenta sempre casa dei miei e quando abitavo là me la ritrovavo in continuazione tra i piedi. Siamo cresciuti insieme, abbiamo sempre scherzato, sempre litigato.» Parlò con tutta la dolcezza che aveva nel cuore cercando di rassicurarla. 
«In quello che è successo prima ti assicuro che non c’è stato nulla di malizioso.» Si alzò avvicinandosi alla ragazza che aveva regolarizzato il respiro, «sei tu la mia donna, è te che desidero.»

Lei lo guardò con aria poco convinta. Aveva tanto bisogno di udire quelle parole, erano una rassicurazione, una conferma costante. In fondo, c’era lei lì con lui, non Usagi, quella la conosceva da sempre; se l’avesse veramente voluta, ci avrebbe provato prima, non si sarebbe messo con lei.
Si sentì più leggera. In quel momento lui era lì, accanto a lei, senza maglietta e con la voglia di lei. In fondo, anche l’intimità creava complicità, li avrebbe uniti. Setsuna gli avrebbe dato tutto ciò che cercava così che non avrebbe desiderato averlo da qualcun’altra. Gli sorrise.
Presto si ritrovò avvolta nel caldo abbraccio di Mamoru, sentendo una scia di baci lungo il suo collo. Non si oppose, anzi, gli cinse la schiena con le braccia assaporando quel contatto e inebriandosi del profumo così intenso di lui. Lo amava più della sua stessa vita, non voleva perderlo, era per quello che tante volte era rimasta in silenzio, cercando di mantenere il controllo, nonostante il suo cuore sembrasse spezzarsi in tanti piccoli frammenti alla vista di lui e Usagi guardarsi, scherzare, ridere, in maniera complice. quella complicità che lei non riusciva mai a creare con lui.
Con il tempo lui avrebbe cambiato atteggiamento, lei ne era convinta, o forse ci sperava solamente. 
Mamoru la fece indietreggiare, continuando a stringerla, iniziando a baciarla sulle labbra, fino a quando si ritrovò distesa sotto di lui che cercava di sbottonarle la camicetta. Era suo, era tutto suo.



Un ultimo ritocco al rossetto rosso, un altro agli odango perfettamente rotondi e resi lucidi da uno spray per capelli, e Usagi scese dalla Toyota blu di Minako abbassando il tubino nero che le fasciava il corpo e lasciava scoperte le gambe.
«Dai, su, Usa-chan, Yaten mi ha scritto che è già arrivato, entriamo!» Minako con voce entusiasta e impaziente, si avviò, nei suoi sandali arancioni dal tacco alto dieci centimetri verso la porta d’ingresso, guardandosi indietro in attesa di essere raggiunta dalla sua amica.
“Meno male che ci sei tu” pensò Usagi chiudendo la portiera della vettura senza far attendere troppo Minako.

Si erano conosciute a Settembre, durante l’immatricolazione dei nuovi studenti di Giurisprudenza.
“Anche tu segui il corso di diritto privato I?” aveva esordito Minako, in fila per i tesserini delle matricole.
Usagi aveva sorriso, annuendo e porgendo una mano. “Piacere, sono Usagi Tsukino.”
Crearsi una nuova rete di amici all’Università era quello che desiderava e quella ragazza dai capelli biondi e lunghi e gli occhi chiari come i suoi le sembrò ben disposta verso di lei. Nei mesi avevano scoperto che oltre agli aspetti estetici, avevano tanti punti che le accomunavano: entrambe credevano negli ideali di giustizia e di amore, tanto da essere definite Le paladine della legge, avevano la stessa allegria e lo stesso entusiasmo e, come se non bastasse, amavano Grey’s Anatomy e le feste. 


Una ragazza dal caschetto blu come la notte andò ad aprire accogliendo con un dolce sorriso ospitale le due ragazze nel proprio appartamento. Una volta dentro, una nebbia densa di fumo copriva parte dell’ampio salone rendendo l’aria soffocante. Usagi con un colpo di tosse cercò di schiarirsi la gola che iniziava a sentire pungere.
“Ma come fanno a fumare questo schifo?” si domandava ogni volta. Facendosi spazio tra i tanti ragazzi che ballavano sulle note di On the floor, si avvicinò al tavolo con le bibite, cercando qualcosa che potesse farla stare meglio. 
Tra la musica assordante, la voce squillante di Minako ebbe la meglio. «Vado a cercare Yaten» urlò per farsi ascoltare, prima di mandare giù alcuni sorsi di punch.
Usagi annuì, aveva compreso, poi la vide voltarsi e allontanarsi accompagnata dal fluire dei suoi capelli legati in una mezza coda da un nastrino rosso. Riempì un bicchiere di cartone blu mischiando la vodka alla fragola al Martini bianco. Quello sì che le piaceva tantissimo. Si lasciò trasportare dalla musica ritmica ed energica, mentre il retrogusto fruttato le faceva sembrare la serata ancora più interessante. 
Due mani calde le cinsero la vita da dietro, due labbra premettero sul suo collo. Un brivido le percorse la schiena. Si voltò verso il ragazzo di fronte a sé, sorridendogli con entusiasmo. 

«Ciao, dolcezza» la salutò lui prima di carezzarle le labbra con le proprie.
Usagi ridacchiò divertita da quel tocco. «Seiya, finalmente mi hai trovata» sussurrò in quel bacio caldo e sensuale.
Quel contatto le piaceva sempre di più. «Sai, non avevo voglia di restare ancora tutta sola» confessò strofinando la sua guancia su quella poco ruvida di lui, cercando di fingere un innocente broncio.
Seiya l’avvolse in un abbraccio, iniziando ad accarezzarle le lunghe ciocche.

L’aria fu invasa da una musica tribal, per Seiya fu difficile restare fermo.
«Balliamo?» le domandò allenando il contatto tra di loro e prendendole una mano.
Usagi annuì, svuotò il liquido rosato all’interno del suo bicchiere prima di lasciarlo accanto ad altri bicchieri sporchi sul tavolo da buffet. La gola iniziò a bruciarle e il calore che iniziava a propagarsi in tutto il suo corpo la condusse a una sensazione di leggerezza. Desiderò lasciarsi trasportare dalla musica, di seguirla a ritmo, di dimenticare tutto il resto.  
Si faceva spazio tra i tanti coetanei invitati alla festa, cercava lo sguardo del ragazzo al quale dedicava quei movimenti audaci che amava associare a sguardi ingenui.
Seiya la scrutava partendo dalle labbra e percorrendo il suo corpo. Si soffermava sulle sue forme prosperose e ritornava a fissare quegli occhi che sembravano provocarlo.
A Usagi vederlo attratto dai suoi gesti aumentava l’autostima. Era bello sapere di piacere, era una conferma costante. Forse quella sarebbe stata la loro serata. Forse era pronta. 

«Che ne dici di sederci un po’?» Seiya lo domandò tamponando un fazzoletto sulla sua fronte imperlata di sudore. Era già trascorsa un’ora da quando avevano iniziato a ballare, Usagi avvertiva dolore ai piedi, i tacchi alti erano belli ma avevano un prezzo da pagare. Aveva bisogno di fare una pausa. Annuì, intrecciò le dita a quelle del ragazzo conducendolo verso il tavolo da buffet. Altra Vodka, ulteriore Martini.  

 «Ti va di fare un giro?» Seiya lo propose con la speranza che oramai portava dentro di sé da parecchio tempo. Dopo quegli sguardi e quei movimenti dedicati a lui forse era la volta buona. «Prendiamo un po’ d’aria fresca.» Magari con quella specificazione la sua proposta sarebbe risultata meno pressante. 
Usagi annuì, accennando un sorriso imbarazzato. Lui le cinse la vita stringendola a sé e conducendola verso la porta d’ingresso.
«Devo avvertire Minako» precisò, aveva bisogno di non sentirsi abbandonata a una situazione che si stava creando. Aveva bisogno di un supporto. La cercò invano, uscì fuori ma la Toyota non c’era più. Se n’era andata senza avvertirla. 
“Di questo parliamo domani, Mina-chan” aveva detto tra sé prima di richiudere la porta alle loro spalle.



Dall’altura di periferia i grattacieli in lontananza sembravano puntini luminosi e la torre illuminata rappresentava un  riferimento. La luna crescente abbagliava il buio della notte, le stelle affollavano il cielo, punte di diamante a tratti impercettibili.
Uno scenario suggestivo in quel luogo rinomato per accogliere coppie in cerca di intimità.
Nel silenzio di quel luogo, alla vista di quel panorama, Usagi si sentiva serena. Il vento le strofinò addosso la propria scia, lei l’avvertì sulle braccia. Un brivido.

«Vieni qui.» Seiya alzò il finestrino, sporgendosi col busto in avanti verso la ragazza; la riscaldò nel suo abbraccio, il profumo di lei era così buono, caldo e floreale, voleva inebriarsene sempre di più. Lasciò sotto l’orecchio un bacio delicato prima di alzare il volto e trovare le sue labbra rosse e carnose. Le accarezzò con le proprie prima di schiuderle ed esplorare la bocca di lei. 
Usagi si abbandonò a quel contatto, stringendolo ancora più forte, in quel momento sì che stava veramente bene.

Lui iniziò ad accarezzarle la nuca. La guardò negli occhi, erano contornati da ciglia lunghe e nere e il buio della notte li rese più intensi e profondi. 
«Sei bellissima» le sussurrò sfiorandole la guancia con l’indice mentre l’altra mano cercava la leva del sedile. Lo reclinò, poteva coccolarla meglio in quel modo. 
Usagi non rispose, si limitò a reclamare ancora le labbra del ragazzo, come se quel bacio potesse confortarla. Non mancò ad arrivare, con dolcezza ma allo stesso tempo passione e voglia di farle capire che il desiderio lo faceva ardere, voleva soddisfarlo con lei.
Le loro lingue si intrecciarono, i loro respiri si fondevano creandone uno solo sempre più caldo e affannato; le mani di Seiya si fecero strada sotto l’abito aderente di lei, esplorarono la sua pelle liscia, ne avvertirono la tensione dei muscoli. Ebbe la percezione che lei volesse comunicargli qualcosa.
«Shhh…» la rassicurò, come una carezza calda e sensuale sul suo viso. La accarezzò ancora, una scia umida che si faceva strada nella sua scollatura. Le sfiorò la pelle abbassandole le spalline, iniziando ad accarezzare i suoi seni sodi e caldi mentre le labbra cercavano le labbra di lei.

Il cuore di Usagi scalpitava. 

Le dita di Seiya scivolavano lentamente verso le gambe di Usagi, si creavano spazio, cercavano di arrivare a quel triangolo caldo e proibito. Lo trovarono, iniziarono ad accarezzarlo sopra la stoffa dell’intimo.

Usagi si irrigidì ancora di più. Davvero desiderava ciò? Era veramente così che voleva la sua prima volta? Voleva sul serio che accadesse in un’auto, su un sedile reclinato, in una serata diventata afosa? Era realmente pronta per quel passo importante che avrebbe ricordato per tutta la vita? Era lui il ragazzo che avrebbe voluto associare alla sua prima volta? Lui che aveva conosciuto e frequentava da tre mesi? Lo amava? No. Non lo amava, non per il momento, almeno. Forse col tempo i sentimenti sarebbero sbocciati come una rosa e lei sarebbe stata pronta a sbocciare insieme ad essa. Come una rosa bianca che pian piano schiudeva i suoi petali delicati mostrando qualche venatura rosea al suo interno.
Chiuse gli occhi e fu proprio quando le labbra di lui lasciarono un bacio all’altezza del suo cuore che istintivamente Mamoru si fece immagine nella sua mente, come un appiglio pronto a tirarla fuori dai guai.
“Fai ciò che ti dice il tuo cuore” le diceva. Non ebbe più dubbi.
«Scusami, Seiya, non posso» disse nervosamente, bloccando la sua mano che cercava di scivolare sotto gli slip. 
Aprì gli occhi, incrociando quelli glaciali del ragazzo sorpreso.

Lui non rispose, si limitò a prendere il volto della ragazza tra le mani facendo forza coi gomiti sulla spalliera del sedile. Le sfiorò le guance con le proprie e, come una carezza calda sul volto di lei, confessò:
«Usa, sto impazzendo, ti desidero troppo» mentre con una mano iniziò ad accarezzare i suoi lunghi codini.
«Sei tu che mi fai impazzire, guardati.» La sua voce era eccitata, i suoi occhi ipnotizzati da quella pelle scoperta che metteva in luce le sue forme prosperose e rotonde. Le sue gambe, gli slip ancora visibili tra le gambe dischiuse. Perché indossava quella biancheria ricamata se non aveva voglia di spingersi oltre? Sarebbe impazzito davvero. Cosa avrebbe dovuto fare per convincerla?
«Non ti farò male.» Magari voleva solo essere rassicurata. E mentre la sua mano lasciava i capelli scivolando sul seno ancora scoperto, Usagi scosse la testa spingendolo indietro e alzando le spalline dell’abito. 

«No, Seiya, non insistere, ti prego!»

Un sorriso agitato uscì dalle labbra del giovane che si riportò seduto sul sedile del guidatore continuando a guardarla in viso. 
«Ho voglia di fare l’amore con te, piccola, non devi avere paura.»

Usagi tirò giù il vestito per ricoprirsi le gambe. Con lo sguardo basso, precisò: «Non ho paura, è solo che non sono pronta.»

Seiya roteò gli occhi, quanto ancora avrebbe dovuto aspettare? Perché alla festa si era divertita a provocarlo con gli sguardi e con le movenze se poi non aveva intenzione di fare l’amore? Lo illudeva, lo faceva esplodere dal desiderio e poi lo lasciava con l’amaro in bocca. Non era giusto.
«A te piace giocare a fare la piccola Lolita, sei ancora una bambina.» Iniziò a ridere nervosamente, sì, era sicuramente quello il motivo degli atteggiamenti incoerenti di Usagi.
 «Una roba del genere non mi è mai capitata, neppure con le ragazze più piccole di te.»

Usagi si sentì mortificata, lei non era una bambina e non le piaceva essere paragonata alle altre; lei amava essere se stessa, sempre, nel bene e nel male; non avrebbe fatto mai nulla per compiacere quelli come Seiya. Amava essere libera di decidere, senza vergognarsi di come sarebbe apparsa agli occhi degli altri. Istintivamente, sentendosi ferita nel suo orgoglio femminile, con una mano aperta colpì la guancia del ragazzo che la osservava con aria di sfida. O di sufficienza. 
«Sei solo uno stronzo! Accompagnami subito a casa!» La rabbia le scorreva nelle vene, la delusione cresceva sempre di più dentro di sé. Voleva andare via, stare lontana da lui.

Lui sgranò gli occhi sentendo la guancia bruciare. Era arrivata veramente a compiere quel gesto? Avrebbe potuto avere tutte le ragazze universitarie, era uno popolare lui, il fascino del musicista lo rendeva irresistibile. Eppure aveva voluto lei, le era stato fedele, era rimasto paziente nonostante la voglia che ogni volta lei gli faceva venire con il suo modo di porsi. Una Lolita, appunto. 

Lei continuava ad agitarsi, i suoi occhi erano scintille di fuoco, la sua mano pronta a colpirlo ancora. 

Seiya non ci pensò due volte, col palmo ben aperto diede uno schiaffo in pieno viso con tutta la forza che possedeva a quella ragazzina che usava la forza su di lui. 
«Scendi dalla mia auto» urlò in collera mentre la sua guancia continuava a bruciare.

Usagi rimase immobile, la mano premuta sulla guancia. Ahi, che dolore. Stava accadendo davvero? Notò le dita sporche di sangue, il labbro inferiore bruciava, si era spaccato. Voleva piangere.
«Voglio andare a casa, portami a casa» urlava mostrandosi forte e sicura. Non gli avrebbe mostrato le sue lacrime. Sembrava che lui non l’ascoltasse. Iniziò ad agitarsi, cercando di battere i pugni sul petto di lui che però la bloccò per i polsi. 
«Ahi, mi fai male» riuscì a dire, la pressione sulla sua pelle si fece sempre più intensa, insopportabile. Pianse. E pianse anche perché non era riuscita a trattenere le lacrime.  

Seiya lasciò la presa. Scese dalla vettura, colmo di ira per come era stato trattato, e, aprendo la portiera del passeggero, le afferrò un braccio e la trascinò fuori.

Per la spinta, Usagi perse l’equilibrio, i suoi tacchi non erano idonei a reggere il contraccolpo. Cadde a terra sbattendo le ginocchia, le braccia strofinarono sul terriccio. Ahi.
Il rumore sordo della portiera che veniva richiusa con forza le fece dimenticare per un istante il dolore provato; alzò il viso e il suo cuore mancò un battito quando sentì il motore dell’auto accendersi.
«No! Non mi puoi lasciare qui!» gridò mentre le lacrime le rigavano le gote. 

Lui non la assecondò. Dal finestrino tirò fuori la borsetta nera. Gli oggetti al suo interno attraversarono l’aria, si schiantarono al suolo. 
Usagi non fece in tempo a mettersi in piedi che Seiya aveva già fatto sgommare le ruote sollevando il terriccio prima di accelerare e allontanarsi sempre di più.
Quando lui fu fuori dalla sua visuale, la rabbia provata per lo schiaffo, la delusione per quei commenti squallidi, lasciarono posto alla paura. Era sola, di notte, in un luogo buio, isolato, a parecchi chilometri di distanza dalla città. Il suo respiro divenne sempre più affannato quando, con le mani tra i capelli, si guardò intorno vedendo che non c’erano altre auto parcheggiate.
In che situazione si era messa? Come ci era arrivata? In quel momento non aveva importanza, doveva reagire, trovare una soluzione per andare via da lì.
Si alzò di scatto cercando per terra il cellulare, trovò la batteria e il terrore che il telefono si fosse rotto la fece andare nel panico. Pianse ancora una volta. Riinserì la batteria con mani tremanti e, premendo il tasto di accensione, tirò un sospiro di sollievo quando il display si illuminò.
Scorrendo tra le ultime chiamate effettuate, trovò subito il numero di Minako.
«Il telefono della persona da Lei chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile.»
Portò una mano tremante alla bocca, guardandosi intorno per paura di trovarvi qualche guardone.
C’era soltanto una persona che poteva chiamare, che teneva sempre il telefono acceso e della quale si fidava ciecamente.
La cercò scorrendo indietro la lista dei contatti. Sembrava che il tempo non l’aiutasse nel suo desiderio di abbandonare quel luogo.

Dopo un paio di squilli a vuoto, quando la voce rispose al telefono, Usagi rilasciò all’aria un respiro sofferto, sospiro di speranza.
«Mamo-chan, per favore, vieni a prendermi» pregò con voce tremante, di chi tratteneva un singhiozzo. 
«Ho tanta paura.»
 
 
 
Il punto dell'autrice

24.05.2020

Complice la situazione particolare da COVID-19, sono riuscita a riprendere questa fanfiction dopo ben otto anni. Questa versione è la revisione di ciò che avevo pubblicato anni fa, spero di essere riuscita nel mio intento di riproporvela migliorata prima di proseguire con la revisione dei capitoli successivi e la pubblicazione dell'ancora inedito capitolo 5.
Questa long-fic un esperimento perché, come potete notare, questi pairing iniziali, da lettrice, fanno soffrire un’accanita fan di Usa e Mamo, figuriamoi a scriverli!
Ho cercato di presentare i personaggi con naturalezza, senza far sentire troppo la mia presenza nel testo. Pian piano comunque tutto diverrà sempre più chiaro e molti aspetti saranno approfonditi.
Il titolo della fan fiction, Listen to your Heart (tradotto: Ascolta il tuo cuore) è ispirato all’omonima canzone di Roxette, soundtrack usata per questa storia. 
Come sempre, ringrazio tutti coloro che sono entrati a leggere questo primo capitolo.
Spero tanto di ricevere le vostre opinioni su questa mia nuova follia. Sia positive che negative, saranno molto apprezzate.
Precisazione che tengo a fare: amo Usagi e Mamoru e mi piace creare e sperimentare sempre nuovi contesti e situazioni con loro protagonisti, quindi non chiedetemi di scrivere Originali perchè sarebbe tempo sprecato. Ho inserito la nota OOC e AU continuando così scrivere in questo fandom.
Un ringraziamento speciale va anche stavolta alla Straordinaria Charlie per aver realizzato il logo per Listen to your Heart. Grazie di cuore!
Un bacione e a presto!
   
 
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