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Autore: OpunziaEspinosa    14/06/2011    0 recensioni
Racconti d'Amore. Tema: il colpo di fulmine. E non solo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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LUI, LEI. ISTANTANEE.

 
Numero 1
 
“Andiamocene da qui.”
Parlavano da quasi un’ora. Lui era un attore. Lei una scrittrice.
Non erano famosi, non a sufficienza da poter essere riconosciuti dalle masse. Ma erano bravi ed amavano il proprio lavoro. Regalava loro di che vivere, oltre che la vita stessa.
Nessuno dei due sapeva esattamente perché si trovava in quel posto, in mezzo a tutta quella gente. Si erano incontrati, e la ragione non contava più, ormai.
“Dove vorresti andare?”
Era una domanda retorica. Lei conosceva già la risposta. Glielo leggeva negli occhi, e si chiese se anche i suoi fossero così trasparenti.
“Dove vuoi tu.”
Non voleva lasciarle alcuna scelta, in realtà. Voleva che la risposta ad ogni domanda che le avrebbe posto fosse un sì. Anche le più oscene.
Ma era un uomo ed era educato e sentiva di rispettarla, pur non conoscendola. I suoi modi, leggeri ma non banali, semplici senza essere dozzinali, alteri senza diventare mai pretenziosi, la rendevano diversa. Una donna che meritava la sua attenzione, fosse anche per una notte od un’ora soltanto.
Ammesso che lui fosse qualcuno.
Lei sorrise di nuovo sostenendo il suo sguardo.
“Dove voglio io…”
“Dove vuoi tu…” ripeté.
“Non importa cosa voglio io,” disse. “Tu mi hai chiesto di andarcene. Sai già dove vorresti essere, ora, con me. Non vuoi che io scelga.”
Le sue parole lo colpirono. Nessuna donna c’era mai riuscita prima di allora. Amava la sua schiettezza. Era dolce. Non c’era rigidità nei suoi modi. Voleva solo che fosse sincero.
“Vorrei che tu mi seguissi nella mia camera d’albergo.”
Voleva dell’altro, ma infondo era timido e quella il massimo della sincerità che riuscì a concederle.
Arrossì, dicendolo, e si chiese se lei lo avesse notato. Si chiese se avesse trovato la sua ammissione di debolezza e di necessità attraente, oppure no.
“Vorrei essere sprezzante al punto di cacciarti, dirti che non voglio, che non mi interessa. Ma non lo sono.”
C’era un velo di timore nei suoi occhi, che lui non fu in grado di interpretare. O forse sì.
“Andiamocene, allora.”
Erano seduti l’uno di fianco all’altra, al bancone del bar. Lui non la guardò negli occhi. Le sussurrò ciò che voleva all’orecchio e le sfiorò il mignolo con indice e anulare. Un tocco lieve, persistente ed erotico.
“Sono troppo orgogliosa,” ammise. “Vorrei non esserlo...”
Non era un no, ed era meglio di un sì.
Capì che anche lei lo desiderava, come lui desiderava lei. Se non lo avesse desiderato, non avrebbe dato peso a quel momento. Avrebbe detto no e se ne sarebbe andata. Seccata o forse scandalizzata. Magari annoiata. Oppure avrebbe potuto dire sì con leggerezza.
Invece aveva dei dubbi, stava ascoltando la propria coscienza, e questo lo riempì di speranza e di orgoglio. Lo fece sentire importante ed audace.
“Questa notte sarò tuo. Solo tuo...”
Era sincero, e lei ne rimase stupita. Non desiderava altro, era chiaro, e lei si aggrappò a quella sincerità. Ne aveva bisogno.
“Andiamocene,” gli disse senza guardarlo in faccia, prendendogli la mano.
Poi si lasciò condurre da lui.
Non le importava davvero il dove. L’importante era lui. Sentiva di appartenergli, e che lui le apparteneva. Non era una speranza, era una consapevolezza.
Non importava neppure per quanto tempo. Forse sarebbe finita ancor prima di iniziare. Quel momento, però, lo avrebbero vissuto. Era reale. Più reale dei palazzi e dell’asfalto. Delle auto e dei marciapiedi. Delle insegne luminose, dei tassisti, delle porte scorrevoli e degli ascensori e delle porte che si chiudono, al buio.
Forse erano più bravi d’altri a riconoscere il reale per il lavoro che facevano. Abituati com’erano a creare personaggi, riuscivano a capire dove la finzione terminava e quando la maschera veniva finalmente calata.
Nessuno dei due portava una maschera, in quel momento. Non più.
Fecero l’amore come mai l’avevano fatto prima, con nessuno.
Totalmente estranei, complici solo di un incontro fortuito, avvenuto un’ora prima, riconobbero i vuoti dell’uno e dell’altra e li riempirono, sentendosi finalmente colmi ed appagati.
Giacquero in quel letto sconosciuto e profumato per ore, dopo.
Ma ormai era il loro letto. Lo sarebbe stato sempre.
Parlarono, fecero ancora l’amore, si nutrirono di semplice silenzio e carezze, e poi parlarono di nuovo, tessendo una linea sottile, un cordone che non li avrebbe mai più separati, qualunque cosa fosse accaduta dopo quella notte.
Potevano ritornare alle proprie vite, oppure iniziarne una insieme. Non era questo il punto.
“Sarò tuo,” le aveva detto. Ed era stato sincero, le aveva dato tutto, mettendosi a nudo. E lei aveva fatto lo stesso.
“Domani mattina cambierà tutto. Sarà tutto diverso,” gli disse.
Abbandonata sul suo petto ascoltava il suo cuore riacquistare regolarità dopo lo sforzo dell’amore.
“È vero,” le rispose. “Ora tu ci sei.”
Lei si irrigidì, impercettibilmente.
Lui aveva dato voce ai suoi pensieri più intimi, parole che temeva di pronunciare. Regalavano speranza nel futuro e lei, fino a quel momento, era certa solo di sé.
Pensò che era bello condividere una speranza.
È vero,” ammise. “Ci sono. E ci sei anche tu.”
Fecero l’amore un’altra volta, poi si addormentarono finché giunse il mattino a svegliarli.
“Hai fame?” le chiese mentre le asciugava la pelle di fronte allo specchio del bagno. Avrebbe potuto contemplare quel corpo per il resto dei suoi giorni.
“Sì.” Lei gli sorrise, prese un altro asciugamano e cominciò a frizionargli i capelli.
“Conosco un posto, qui vicino. Ci sono stato ieri. Si mangia bene.”
“Andiamo.”
“Andiamo.”
Si rivestirono con gli stessi abiti eleganti della sera prima e andarono a fare colazione.
Era una bella domenica, calda e serena.
Il sole splendeva ed era l’inizio.

   
 
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