Libri > Twilight
Ricorda la storia  |       
Autore: Vivien L    14/06/2011    13 recensioni
Inghilterra, 1912. Bella Swan è una giovane cameriera alle prese con un compito difficile: domare il carattere dell'irruente Edward Cullen, ricco signorotto locale imprigionato da quando aveva sedici anni su una sedia a rotelle. Sono entrambi giovani, pieni di vita, desiderosi di amare e di essere amati, ma le convenzioni sociali, le gelosie, le differenze e i fantasmi interiori di Edward saranno uno scoglio impossibile da superare...o forse no?
Genere: Commedia, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio | Coppie: Bella/Edward, Bella/Emmett
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il tempo che verrà '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

  

 

    Vieni via con me

#1

-
-

 -

-

-

-

-

-

-

Ma ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto, è ovunque, in tutto ciò in cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose.

(C. J. McCandless)

-

-

-

-

 

13 Settembre 1894

La pioggia schiaffeggiava i vetri, sospinta da un vento fortissimo. Silenziosamente, in mezzo all'infuriare della bufera, la porta della cucina si aprì e si richiuse. Le fiammelle dei lumi guizzarono, tremolarono e alcune si spensero. La levatrice entrò di corsa poco dopo le otto. La sua divisa inamidata si era afflosciata per l'acqua, ma lei era pimpante come se non fosse dovuta accorrere per un'emergenza.

-Che ore sono?- chiese Renèe, affaticata.

-Quasi le nove-

-Un asciugamano, per favore- implorò la donna, e un gemito sommesso abbandonò le sue labbra quando una fitta più forte delle altre le percorse la schiena.

La levatrice mise gli asciugamani uno sull'altro contro la finestra, fino ad otturare il buco che i rami degli alberi scagliati dal vento contro i vetri avevano procurato.

Poi si voltò -Riaccendi il lume- ordinò. Il tono era roco, come se la sua voce fosse arrugginita. Charlie obbedì, e lei si tolse lo scialle nero bagnato, lo piegò con cura e lo posò su una sedia.

Le sue dita contorte e macchiate toccarono la fronte di Renèe, poi la propria, e infine le sollevarono e riabbassarono le palpebre. Quindi sollevò la testa di Renèe con la mano sinistra, e con la destra le versò in bocca un liquido scuro. Marie Libvenchert non era una semplice levatrice: apparteneva ad una lunga dinastia di fattucchiere; streghe bianche con incredibili poteri guaritivi originarie dalle zone più remote d'Irlanda, là dove la magia era stata scacciata secoli orsono. Cailleach; ecco come l'avevano soprannominata. Tutti gli abitanti del villaggio la evitavano: pensavano che fosse posseduta dal demonio. I bambini la schernivano, prima che le loro madri li allontanassero da lei, facendosi il segno della croce e scongiurando maledizioni ed empietà. Le donne avevano paura di lei, e avevano fatto circolare la voce che Marie rapisse i neonati sacrificandoli all'oscuro dio di cui era schiava. Gli uomini più anziani, invece, nei suoi confronti provavano un timore reverenziale che li faceva chinare il capo ogni volta che la Cailleach passava loro davanti, diretta a una delle sue solite ricognizioni in mezzo al bosco alla ricerca di erbe curative. Soltanto la moglie del fabbro Swan aveva dato segno di nutrire un'ombra di simpatia, per lei. Lo dimostravano i sorrisi accennati che la giovane le rivolgeva quando i loro sguardi s'incontrarono, i saluti discreti con cui le dava il benvenuto nel villaggio e il fatto che non si scostasse quando Marie la affiancava quasi per caso lungo le strade della piccola cittadina. Ed era grazie a quei sorrisi che la Cailleach aveva deciso di aiutare la donna a dare alla luce il suo bambino, in una burrascosa notte di tempesta in cui nessuno avrebbe potuto assisterla durante il parto. Nessuno tranne lei, perchè Marie non aveva avuto paura di attraversare la selvaggia macchia nera del bosco infuriato dalla pioggia e a remare contro il vento temporalesco che spirava dalla costa.

I suoi piccoli, verdi occhi guardarono prima Renèe, e poi suo marito.

-Urlerà, ma non proverà dolore. Voi non muovetevi. La luce è vitale-

Non fecero in tempo a rispondere, perchè Marie prese un sottile coltello, ci strofinò sopra qualcosa preso da uno dei sacchetti e lo vibrò dall'alto in basso sul ventre di Renèe. Il suo urlo sembrò il grido di un'anima persa.

E ancor prima che fosse tornato il silenzio, la cailleach teneva tra le mani un neonato coperto di sangue. La donna sputò per terra qualcosa che aveva in bocca, poi soffiò una, due, tre volte nella bocca del neonato. Il bambino agitò prima le braccia, poi le gambe. Charlie recitò a bassa voce un Ave Maria.

La cailleach lavò la creatura e la avvolse accuratamente in una delicata coperta di lino bianca. La chiocchia risata della strega fece emettere un roco vagito al neonato, e la femminuccia aprì gli occhi. Marie sorrise dolcemente, si chinò verso Renèe e le depose la bimba fra le braccia.

Le iridi castane sembravano pallidi anelli intorno alle nere pupille ancora incapaci di mettere a fuoco le immagini. Aveva lunghe ciglia nere e sottili sopracciglia arcuate. Non era rossa e sformata come la maggior parte dei neonati, perchè non aveva sofferto durante il parto. Il minuscolo naso, le orecchie, la bocca e il tenero cranio pulsante erano perfetti. La sua pelle perlacea spiccava sulla candida coperta.

Renèe sorrise, e una nuova gioia le infiammò il petto. Si sentiva addosso una strana e paurosa debolezza, un calore che le permeava il corpo come una forte, profonda, avvilupante ondata di bruciore. La neonata aprì gli occhi. Guardarono direttamente in quelli di Renèe, e lei provò un palpito d'amore. Senza condizioni, senza controparte, senza confini, senza riserve, senza egoismo alcuno.

Charlie si avvicinò a loro, e il suo viso meravigliato analizzò con premura i sottili lineamenti della bambina.

-Isabella- sussurrò Renèe, e l'uomo si sentì pervaso da una felicità incommensurabile di fronte a quella piccola creatura sangue del suo sangue che già sentiva di amare con tutto sé stesso -La chiameremo Isabella- le baciò la piccola e liscia fronte. Sorrise -Benvenuta al mondo, amore mio-

 


14 Settembre 1912

-Bella!- la voce di Renèe mi richiama all'ordine. Sobbalzo, sorpresa dall'impeto con cui ha pronunciato il mio nome, e i miei occhi scivolano ancora una volta sul piccolo specchio quadrato addossato alla grigia parete rocciosa del muro. L'immagine che mi rimanda non mi soddisfa affatto.

-Potrò mai avere una spazzola nuova, mamma?- urlo, conscia che è altamente improbabile che Renèe riesca a sentirmi dal piano inferiore. Pesto i piedi per terra, irritata: i miei capelli sono una massa informe di boccoli castani, e neanche tutte le forcine di questo mondo riuscirebbero a tenerli in ordine. Decido di lasciarli liberi di sferzarmi le spalle, e tuttavia il mio già instabile umore risente di questo piccolo inconveniente quotidiano che normalmente non mi avrebbe causato alcun fastidio. Il fatto è che oggi non ho nessuna voglia di andare al lavoro. Non perchè trovi sgradevole i miei padroni o il clima che si respira nella grande villa -sono tutti gentili, con me, persino le anziane e dispotiche governanti-, ma perchè sono una ragazza pigra di natura ed anche mio padre -il buon vecchio Charlie- me lo ripete spesso. La mia vita ideale sarebbe passare le giornate sdraiata su un prato fiorito a sorseggiare caffè caldo e a leggere romanzi d'amore e d'avventura.

-Ben svegliata, fannullona- Renèe mi saluta con un bacio sulla guancia, facendomi arrossire. Ridacchia. E' una brava donna, Renèe Swan. Pettegola, vivace e spigliata, luce degli occhi di mio padre -ancora non riesco a capire come, dopo quasi vent'anni di matrimonio, i miei genitori riescano ad amarsi con lo stesso fervore di quand' erano due sciocchi ragazzini pieni di ideali- ed eterna disgrazia di nonna Marie -la mamma di papà- che la odia e avrebbe preferito vederli morti entrambi piuttosto che acconsentire al loro matrimonio. Anche se sospetto che Renèe e Marie si stiano segretamente simpatiche, ma che preferiscano mostrarsi fredde l'una nei confronti dell'altra per una banalissima questione d'orgoglio.

-Mamma, devo correre o arriverò in ritardo!- sibilo irritata quando la vedo posare sul tavolo un piatto pieno di pane e formaggio. Renèe assottiglia lo sguardo.

-Devi mangiare, Bella! Sei troppo magra per i miei gusti-

-E' l'ultima moda, madre- ribatto, sorridendo con quel sorriso che so riuscirà a farla capitolare. E infatti affloscia le spalle, abbattuta.

-Bene- vorrebbe mostrarsi offesa, ma so che la sua è solo finzione. Rido, e in quel momento Charlie fa capolino dalla porta con in mano una grossa zappa sporca di fango.

-Attenta, Isabella- sbotta burbero, ma un lampo di dolcezza gli illumina il viso -Questa notte la pioggia ha ostruito tutte le strade-

Guardo incredula la morbida luce solare che abbraccia l'ampia campagna che circonda il nostro rudere.

La natura è così volubile, penso affascinata, e noi esseri umani siamo esattamente come lei. I nostri cambiamenti avvengono gradualmente -a volte radicalmente- e nelle nostre vite la pioggia si sostituisce sempre a momenti in cui il sole splende alto nel cielo. In quei momenti l'importante è godere di ciò che il destino ha in serbo per noi. Senza rimpianti, senza inutili recriminazioni, se abbiamo assaporato fino all'ultimo istante la felicità dei giorni passati saremo in grado di resistere anche alle tempeste più violente: quelle della nostra anima.

Scaccio questi sciocchi pensieri dalla mente -ecco il lato negativo di leggere troppi romanzi d'amore: dopo un po' si rischia di diventare poetici- e rivolgo un sorriso impaziente a Charlie.

-Non preoccuparti, papà- mi avvicino alla piccola stufa in rame della cucina, su cui Renèe ha steso -affinchè si scaldasse- la mia giacca primaverile. Me la poggio sulle spalle, e mamma mi porge una sgualcita valigia rossa che ho ereditato da lei.

-Ci ho messo anche un po' di latte fresco- sghignazza orgogliosa -Quel ragazzo ha bisogno di mangiare qualcosa di sano e naturale-

-Non preoccuparti, mamma. Penso io a lui- mi infilo un pezzo di pane in bocca, salutando i miei genitori con un bizzarro inchino di arrivederci -che più che un saluto voleva essere un modo per prenderli in giro- e fiondandomi verso la porta, ignorando gli improperi che mi urla mia madre e i borbottii seccati di papà.

Inizio a correre per la campagna aperta, e la mite aria primaverile mi sferza le guance, arrossandole.

Cerco di masticare la mia colazione senza affogarmi, pregando silenziosamente che il corriere delle otto non sia ancora partito -come farò ad arrivare alla villa senza nessuno che mi ci accompagni?- e calpestando senza pietà i fazzoletti di margherite che mi circondano. La luce del sole mi fa quasi lacrimare gli occhi, e la mia vista si appanna. Proprio quando mi trovo a pochi metri dal rudere degli Stanley -da cui ogni mattina parte una carrozza che fa il giro del circondario- sento due braccia circondarmi la vita e, spaventata, inizio a scalciare con forza, lottando con tutta me stessa per sfuggire alla presa dello sconosciuto.

Le conseguenze sono a dir poco catastrofiche. Ci ritroviamo entrambi a capitombolare sulla distesa d'erba, la mia colazione si riversa sull'umido prato e la mia gonna nuova si macchia di terra. Cosa diranno i padroni quando mi vedranno ridotta in questo stato?. Volto il capo, furibonda, pronta ad assalire chiunque abbia avuto il coraggio di combinare un simile disastro, e due occhi azzurri come il cielo mi restituiscono uno sguardo biricchino che mi fa scoppiare in una risatina sorpresa.

-Emmett!-

-Isabella- vorrebbe mostrarsi impassibile, ma la luce innamorata che gli brilla sul viso mi scalda il cuore e mi fa fremere di contentezza.

Scatto a sedere, fingendomi seccata.

-Come osi fare una cosa del genere? Sai che potrei farti uccidere per questo?-

Sghignazza divertito. Si alza, improvvisando un goffo inchino e mormorando con voce pomposa -Mi perdoni, Madame, per il mio imperdonabile comportamento- sorride -Non si ripeterà mai più un fatto di tanta disdicevole indecenza-

-Oh, sei sempre il solito cascamorto-

Mi porge una mano, aiutandomi ad alzarmi. Lancio un'occhiata alla mia gonna sporca di fango, per poi rivolgergli uno sguardo truce.

-Guarda cos'hai fatto, ignobile ragazzaccio!-

Sembra quasi credere alle mie parole ma, quando un fremito traditrice piega le mie labbra, si accorge che lo sto prendendo in giro.

Alza un sopracciglio -Ignobile ragazzaccio? Io?- ripete incredulo. Annuisco convinta, e una luce sadica gli attraversa il viso.

Scrolla il capo, e lo scricchiolio sinistro delle nocche delle sue mani preannuncia l'inizio della nostra solita sceneggiata. Un simpatico spettacolino a cui non sarei mai disposta a rinunciare.

-Preparati a correre, Isabella Swan, perchè giuro che se ti prendo ti faccio pentire di avermi chiamato a quel modo!-

Sono pochi i minuti che Emmett impiega per farmi capitolare. Il fatto che sia molto più alto e agile di me deve averlo sicuramente avantaggiato nella corsa. E tuttavia nulla può sostituire la felicità che provo quando il vento smuove i miei capelli, mentre calpesto le grandi distese d'erba e il sole mi lambisce il viso trasmettendomi una piacevole sensazione di terpore

Non abbastanza piacevole, però, da farmi trattenere un fremito d' eccitazione quando le braccia di Emmett mi circondano ancora una volta la vita. Le nostre risate risuonano nell'aria fredda, placida e profumata, ed un singulto di gioia mi scuote il petto quando Emmett si getta sul prato trascinandomi con sé, rotolandoci sui colorati fazzoletti di fiori dal profumo intenso e genuino.

-Basta! Emmett, smettila di trattarmi come se fossi un cane da compagnia!-

Sghignazza, senza però lasciarsi intimidire dalle mie minacce. Continua a farmi il solletico, e le sue dita si posano sulla mia pancia, facendomi sussultare e riempendomi il cuore di tenerezza.

Io ed Emmett siamo perfetti, insieme. Due bambini troppo cresciuti che non vogliono affrontare il mondo, che preferiscono rifugiarsi dietro sciocchi ideali infantili piuttosto che scontrarsi con la faticosa realtà che ci circonda.

-Se venisse a saperlo mio padre...- lo ammonisco, e un guizzo di decisione gli attraversa lo sguardo.

Mi prende il viso fra le mani, comprimendo i pollici sulle mie guance e osservando compiaciuto l'intenso rossore che le cosparge.

-Lo verrà presto a sapere, amor mio-

Prendo un respiro profondo. Ogni volta la stessa storia. Le sue promesse sussurrate che cozzano con il mio scetticismo. Lui che mi promette il mondo, io che alzo le spalle e fingo che aspettare il giorno in cui potremo uscire allo scoperto e dichiarare il nostro amore non sia così orribile come sembra. Emmett è il discendente di un ricco baronetto locale, che tuttavia ha preferito crescere suo figlio nell'aperta campagna londinese piuttosto che richiuderlo in uno di quei pomposi collegi che vanno di moda tra la gente di classe. E' così che ci siamo conosciuti, io e lui: stavo passeggiando al fianco di mia madre in una di quelle meravigliose fiere cittadine che i contadini locali allestiscono ogni fine settimana per vendere le loro merci, e all'improvviso i miei occhi incontrarono quelli azzurri come il cielo di Emmett. Ne rimasi colpita, ma finsi che la vista di quell'uomo così bello e affascinante non mi avesse minimamente scalfita. Peccato che Emmett non fosse dello stesso avviso e, pochi giorni dopo il nostro incontro, riuscì non so come a sapere chi fossi e, cosa ancora più importante, dove abitassi. Mi attese per ore sul pendio di una piccola collina che sono solita percorrere a piedi per recarmi al lavoro e, porgendomi una rosa selvatica e dedicandomi un sorriso dalla bellezza mozzafiato, si offrì di accompagnarmi lungo il tragitto fino al corriere che mi avrebbe condotta alla villa dei padroni. Accettai, lusingata dalle sue inaspettate attenzioni, e da quel giorno passarono due anni. Due anni in cui ebbimo modo di conoscerci e innamorarci, e in cui Emmett mi promise che avrebbe parlato al più presto con suo padre per chiedergli il permesso di sposarmi. Due anni in cui ancora continuo a sperare che le parole di Emmett non si rivelino un'infima bugia e che, senza alcuna assicurazione sul fatto che George Mc.Carty ci darà il suo beneplacito, si stanno decisamente rivelando più lunghi del previsto. D'altronde io sono solo un'insignificante cameriera. Una poveraccia, uno scarto della società. Lui, invece...

Sospiro, sfiorandogli la guancia con una carezza delicata -Quante volte me lo hai promesso, Emmett?-

Esita -Tante- ammette con una scrollata di spalle. I suoi occhi ardono nel viso pallido e scavato -Ma questa volta è la verità- raccoglie le mie mani tra le sue -Ti sposerò, Bella- sorride -Entro la fine dell'anno sarai mia- il bacio che segue le sue parole è qualcosa di assolutamente meraviglioso. Nessuno mi ha mai baciato in questo modo. Beh, per essere corretti sarebbe meglio dire che nessuno, a parte lui, ha mai anche solo osato sfiorare le mie labbra...

-Mio Dio, è tardissimo!- urlo all'improvviso, accorgendomi che io ed Emmett siamo stati abbracciati per più di un quarto d'ora.

Senza far caso alle sue risate e ai guaiti divertiti che mi inseguono, tipici della sua sfrenata esuberanza, inizio a correre verso il pendio della collina.

-Me la pagherai, mascalzone!- non faccio in tempo a sentire la sua risposta che mi trovo di fronte al cancelletto di casa Stanley, una piccola tenuta in pietra dall'aspetto abbandonato.

-Isabella, alla buon ora!- ulula Mrs Stanley con voce baritonale, pestando stizzosamente un piede per terra e indicandomi la vecchia carrozza nera che si sta apprestando a partire.

-Aspettate!- li imploro affannata, e il conducente mi lancia un'occhiataccia.

Grazie al cielo riesco a salire sul corriere, e una decina di ragazze in tenuta da lavoro mi accolgono con la tipica espressione placida e assonnata di chi non vuole proprio accettare che i giorni di vacanza sono finiti. Ognuna di loro presta servizio presso una prestigiosa villa del circondario, e ogni lunedì mattina tornano a svolgere le loro mansioni per poi far visita ai genitori durante i fine settimana, esattamente come me.

Sospiro, guardando assorta la campagna che scorre sotto ai miei occhi annoiati, il sole che illumina le grandi distese di girasoli e il vento che, impetuoso e crudele, scuote le fronde degli alberi, rimandandomi l'intenso profumo della natura che prende improvvisamente vita intorno a me.

-

-

-Benedetta ragazza, finalmente sei arrivata!-

La governante, Mrs Kewkins, mi accoglie in cucina con un burbero abbraccio che mi affretto a ricambiare. I suoi occhi scivolano su di me, attenti e impassibili.

-Come hai passato questi due giorni, Isabella? Hai fatto di nuovo impazzire quella santa donna di tua madre  con le tue civette chiacchiere?-

-Oh no, Miss. Sono stata silenziosa come un fantasma- mento, posando la valigia sul pavimento e annusando l'aria. Mi illumino, rivolgendo alla donna un sorriso implorante.

-Non posso darti altre focacce, quest'oggi!- urla istericamente, agitando le braccia al cielo -La signora mi ha ordinato di...-

-Lascia stare quel che dice la signora, Jeanne. Per quanto ti riguarda, sono ancora io che comando qui- pronuncia una voce suadente, e intorno a noi scende un silenzio spettrale.

Volto il capo di scatto, sorpresa, e il mio cuore ha un sussulto quando incontro gli occhi verdi di un ragazzo dal viso pallido e smagrito -ma comunque affascinante-, l'ampia fronte sferzata da una folta ciocca di capelli castani striati di rosso, le mani tremanti strette intorno al bracciolo di un'imponente sedia a rotelle che imprigiona il suo corpo asciutto e slanciato, costringendolo all'immobilità.

Con le braccia spinge la sedia verso di me, e le ruote stridono a contatto con la fredda pietra del pavimento. Un'espressione felice gli illumina il viso, facendolo sembrare molto più giovane dei suoi diciannove anni inoltrati.

Sorrido -Ciao, Edward-

 

 

-

-

- 

-

-

-

-

Cinque capitoli, work in progress, Ooc e chiaramente AU. Mi è venuta in mente mentre rileggevo un passo di Rossella, di Alexandra Ripley: la prima parte della storia è fortemente ispirata a quel libro, così come il termine Cailleach (che letteralmente significa figlia del demonio). In questa fiction, ci tengo a dirlo, non si tratteranno temi come la magia, la stregoneria eccetera. Non sarà una storia particolarmente tragica, anzi spero di renderla piuttosto leggera, nonostante tratti un argomento abbastanza delicato. Mi auguro di riuscire a scrivere al più presto il nuovo capitolo. Nel frattempo mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. :) Un bacio, Eli.  

   
 
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Vivien L