Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: Brin    14/06/2011    25 recensioni
Il buio della stanza. Lo schermo impersonale di un computer. Un ammiratore che sembra sapere troppe cose.
Gli ingredienti di un cocktail angosciante e inatteso, un incubo capace di penetrare nella zona più sicura di tutto il mondo: la camera da letto di Miss.
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa breve oneshot che state per leggere è stata pubblicata a puntate sul giornalino del liceo Calini di Brescia “Il resto del Calini”, con la firma della sottoscritta: un’esperienza meravigliosa e diversa, che mi ha costretta a sfidare le mie doti di sintesi atrofizzate.

Un grazie grande come il mare va ad Alessandra, senza la quale nulla di tutto questo sarebbe mai nato; a Francesca, che mi ha aperto le porte del giornale; alla Profia, che invece mi ha aperto le porte del Paese in tanti e troppi modi.

 

A te, invece, auguro buona lettura.

 


Papercut

 

 

 

 

 

It's like a face that I hold inside 
A face that awakes when I close my eyes 
A face watches every time I lie 
A face that laughs every time I fall 
(And watches everything)
 

 

Linkin Park - Papercut

 

 

 

 

1

 

Il buio della camera era come un grembo caldo e rassicurante, un bozzolo che proteggeva la sua intimità e la faceva sentire al sicuro. Il silenzio della sera, l’immobilità del mondo oltre quelle mura che abbracciavano il piccolo microcosmo in cui si consumava la sua adolescenza… Tutto questo le piaceva. La faceva sentire tranquilla.

I suoi genitori l’avevano lasciata a casa da sola, costretti dalla chiamata allarmata della nonna – una povera anziana condannata a una vecchiaia troppo veloce, che la rendeva dipendente dal letto e propensa a spaventarsi per ogni più piccolo dolore che il suo corpo riusciva ancora ad avvertire - e lei era ricorsa al passatempo che era solita concedersi da un po’, ogni sera, per ammazzare la noia nella solitudine della sua stanza.

Chattare.

Anche in quel momento, con la luce pigra dello schermo che le accarezzava le mani, non smetteva di farlo. Il buio attorno a lei, gli occhi stanchi, la schiena che chiedeva riposo da quella postura curva e massacrante… Eppure continuava.

Risucchiata in un vortice di evasione dall’uomo che comunicava attraverso lo schermo – chissà dov’era, chissà com’era -, lei non riusciva a smettere di scrivere. Tasto dopo tasto, quel mezzo sorriso sulle labbra e le sue parole, così carine, così gentili, così ammalianti… Chiunque fosse Papercut – così l’uomo della chat si faceva chiamare nel circuito d’internet - sapeva come farsi ascoltare: aveva modi squisiti e accomodanti, gli stessi di un amante paziente e pieno di attenzioni.

Chiacchierava con lui da poco più di una settimana, sempre nello stesso modo - di sera, come una ladra, nascosta nel buio discreto e rassicurante della propria camera. Gli raccontava i suoi sogni, gli confidava le sue speranze di adolescente insicura e lui ascoltava, accoglieva, custodiva.

Non aveva età, Papercut. Gliel’aveva confidato così, la seconda sera, mentre lei gli raccontava dell’amore. Quando gli aveva chiesto spiegazioni – come?????, gli aveva scritto, la curiosità che le faceva scivolare le dita troppo pesantemente sul tasto interrogativo - lui aveva ribattuto che avrebbe compreso il senso di quelle parole presto.

Molto presto, aveva aggiunto dopo un istante, pignolo. Scrupoloso. Pedante.

Morboso.

E lei era rimasta con quella sensazione stridente nel cuore, quello stupore ragionato e malizioso che aveva dovuto chiudere sotto chiave per non rovinare tutto. Per non iniziare a dubitare, come faceva sempre.

Era un tipo bizzarro, Papercut: era sfuggente, fumoso, ambiguo, sfaccettato.  Era strano, e a lei le stranezze piacevano da morire. Così, quando le aveva chiesto come fossero le sue mani – sono lunghe? Hanno le dita tozze?, le aveva domandato con la casualità incolore filtrata dallo schermo -, lei non ci aveva badato. Faceva parte del costume di stramberie e assurdità che Papercut le mostrava, un abito invisibile che non aveva contorni né forme. E, di nuovo, le era andato bene così.

Le sarebbe sempre andato a genio quel suo modo di fare, ne era certa. Almeno fino a quella sera, in camera sua.

Da sola.

Al buio.

Una chat, un cursore lampeggiante all’inizio della finestra di conversazione. E gli occhi che leggevano e rileggevano, che non potevano credere a ciò che era scritto.

Una cosa assurda, una frase che suonava bizzarra, storta. Sbagliata.

Una frase che lei non comprendeva.

 

22.34  Papercut scrive:  Ti sto guardando.

 

 

 

 

 

2

 

Era una frase che aveva il sapore lontano e sfuggente dell’irrealtà; pochi, brevi vocaboli che non avevano alcun significato reale. Non per lei, almeno.

Ti. Sto. Guardando.

Erano parole intrappolate in una spirale priva di senso, troppo assurde per trovare un riscontro logico capace di spiegarne il motivo. E lei non riusciva a fare altro che fissare lo schermo, stranita, il cursore lampeggiante che sembrava riuscire a scandire i battiti sorpresi del suo cuore.

Lì, con le mani sospese a pochi centimetri dalla tastiera, scoprì di non riuscire a soffocare quella punta prepotente di disagio che premeva per rompere gli argini del suo controllo.

Poi lo squillo della chat suonò come una richiesta d’attenzione, un’imposizione che non poteva essere ignorata: lui era là, oltre lo schermo, seduto su una comoda sedia dalla quale riusciva a manovrare perfettamente qualunque suo pensiero. Esigeva ogni attenzione.

Ignorarlo non fu possibile.

 

22. 40  Papercut scrive: Ci sei?

 

Un trillo. Un altro. L’icona della chat che lampeggiava; lui che esigeva, cercava, chiedeva…

Poi, all’improvviso, silenzio.

Ci fu solamente il battito rumoroso del suo cuore, che si era conficcato in gola e non era più riuscito a scendere da che lui si era fatto insistente. Era sola, davanti al computer.

Avvolta nel buio, la luce artificiale che proveniva dallo schermo e che sobillava quel senso d’inquietudine crescente, si costrinse a rileggere le parole di Papercut. Lo fece due, tre, cinque volte. Ancora e ancora, come se potesse aiutarla a cercare le parole con cui rispondergli.

Quando si disse che probabilmente stava esagerando, ormai era troppo tardi: il gelo nel cuore, quel battito che rimbombava impazzito dalla gola alla testa, le mani fredde, emozionate esattamente quanto il suo stomaco.

 

22. 43  Miss scrive: Ci sono.

 

Un attimo d’incertezza; le parole sospese nel limbo invisibile che separava la mente dalle mani, in quel sottile e labile spazio d’azione chiamato decisione.

 

22.44  Miss scrive: In che senso mi stai guardando?

 

Probabilmente si sarebbe tenuta per sé quella domanda, se avesse potuto prevedere la riposta di Papercut. Avrebbe chiuso internet, e forse quella sera avrebbe fatto ben altro che piazzarsi davanti al computer. Di più, non avrebbe mai iniziato a parlare con l’uomo della chat.

Se soltanto lo avesse saputo prima di conoscerlo…

 

22.45  Papercut scrive: Ti sto guardando.

22.45  Papercut scrive: Indossi un pigiama rosa a fiori e hai i capelli sciolti.

22.46  Papercut scrive: Ti arrivano alle spalle.

 

Poi, quell’icona accanto alla finestra della chat, quel simbolo, quei puntini di sospensione… Chiunque fosse quell’uomo, stava scrivendo ancora.

E allora fu terrore. Puro, angosciante, debilitante terrore. Perché Papercut l’aveva descritta perfettamente, in ogni dettaglio, e ora era là, in attesa. Di nuovo a esigere la sua attenzione, i suoi pensieri, i suoi segreti. La sua paura.

 

22.47  Papercut scrive: Ora hai capito in che senso ti sto guardando, vero?

 

 

3

 

Mi spia!

Calò in un attimo la tapparella sulla finestra, sul mondo e sull’ansia senza fine che le chiudeva la gola, come se potesse bastare. Come se potesse essere sufficiente a estromettere dal suo cuore il dubbio assordante che Papercut aveva diffuso attraverso le parole asettiche filtrate dallo schermo.

Lui mi spia!

La srotolò senza trattenerla, con un frastuono assordante che non poteva in alcun modo competere con il baccano di paura e angoscia che le martellava nella testa: non lasciò nemmeno uno spiraglio, non concesse nessuna fessura che Papercut potesse utilizzare per farle del male. Eppure non era abbastanza per zittire quel terrore subdolo, quell’inquietudine insopportabile che cresceva come un cancro annichilente nella pancia della sua anima.

Quell’uomo MI SPIA!

Il trillo della chat fu la freccia che colpì il centro pulsante dei suoi incubi deformi: improvviso, inaspettato, temuto. Lui era ancora là.

 

22.48  Papercut scrive: Guarda che è inutile.

22.48  Papercut scrive: Ti vedo comunque.

 

Un messaggio lampeggiante, l’icona di Messenger che brillava d’arancio e di follia mentre le sbatteva in faccia l’irriducibilità di quella presenza imposta e soffocante. Chiunque fosse, Papercut era ancora in quella camera. Con lei. Un pensiero che la paralizzò e le gettò in ugual misura gelo e impotenza nelle vene.

Ma l’orrore vero, quello così insopportabile da non poter essere nemmeno pensato, quello che aveva il sapore tremendo della disperazione… Quello venne nel momento in cui sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, gli occhi fissi sul computer e sul demone che era improvvisamente diventato. Venne nell’ennesimo trillo, in una nuova frase.

In un tormento diverso e massacrante, perfettamente complementare a quelli precedenti.

 

22.49  Papercut scrive: Ti sei appena sistemata i capelli dietro l’orecchio.

 

Poi…

 

22.49  Papercut scrive: Mi piace l’espressione che hai.

22.50  Papercut scrive: Sei bella. Ne vorrei di più.

 

E fu inferno. Fu incubo, dannazione, terrore. Un nodo di emozioni così debilitanti, talmente potenti… Fu quella massa informe e serpeggiante a costringerla a controllare di nuovo le finestre, le mani tremanti come ogni più piccola fibra del suo corpo sconvolto e schiacciato da un assedio psicologico agghiacciante. Ma quel rumore tremendo che proveniva dal computer, quella campanella simpatica che violentava il suo cuore con la leggerezza di un coltello da macellaio…

 

22.51  Papercut scrive: Non bastano le persiane per estromettermi. Non capisci che ti vedo lo stesso?

 

E lo capì, finalmente. Lo vide all’improvviso, così limpido nella sua mente da risultare quasi banale: l’unico motivo valido che potesse spiegare perché Papercut fosse in grado di vedere ogni cosa che lei faceva attraverso una semplice interfaccia. Una possibilità unica e razionale, che portava con sé uno strascico di implicazioni agghiaccianti.

Microtelecamere.

Papercut le aveva nascoste da qualche parte, tra quelle quattro mura. Non c’era altra spiegazione accettabile razionalmente, non senza chiamare in causa fenomeni di natura sovrannaturale.

Papercut aveva piazzato delle spie tra le sue cose.

Papercut era entrato in camera sua.

 

 

4

 

Furono istanti interminabili. Momenti in cui l’angoscia le sfilò davanti agli occhi con il suo ghigno viscido, suggerendole scenari che lei non poteva ignorare.

Papercut che si era introdotto in camera sua, Papercut che aveva accarezzato le lenzuola in cui lei dormiva, che aveva annusato il profumo della sua stanza, Papercut che aveva respirato il suo mondo, che aveva forzato la sua intimità, che aveva guardato dentro le sue paure e le sue debolezze…

Perché mi perseguiti? Cosa vuoi da me?

Cercò le telecamere ovunque: sulle mensole, tra i libri, sotto al letto… E ogni volta – per ogni posto che risultava pulito dalle spie - fu come morire un pezzo alla volta, esattamente come i frammenti di terrore che andavano a sommarsi alla bestia informe che cresceva nel fondo della sua pancia: ogni mobile privo della presenza di Papercut rappresentava un nuovo tuffo nell’orrore, in quella domanda che continuava a proporsi sempre più forte dentro di lei.

Dove sei? Dove sei, dove sei, DOVE SEI?!

E poi quel suono, di nuovo, come un appuntamento immancabile con la follia. Quel trillo acuto e stridente che sembrava ridere di lei alle sue spalle.

Lui la stava chiamando. Era lì per lei.

 

22.53  Papercut scrive: Rispondimi. Non mi piace parlare da solo.

 

Te lo puoi scordare!

Rimase a guardare lo schermo del computer, il cuore che pompava terrore e panico nella sua folle corsa al centro del petto; inchiodata davanti alle parole asettiche del suo aguzzino, che la laceravano come pugnali. E lei che si lasciava distruggere, troppo atterrita da quella violenza per poter pensare a difendersi.

 

22.55  Papercut scrive: Vieni qua. Subito.

22.55  Papercut scrive: Rispondimi.

 

Spegni il computer!

 

22.56  Papercut scrive: Rispondimi.

22.56  Papercut scrive: Rispondimi.

22.56  Papercut scrive: Rispondimi.

 

Spegni il computer, subito!

 

22.56  Papercut scrive: Rispondimi o ti ammazzo.

 

Spegnilo, ORA!

E lo fece. Staccò la spina nel momento in cui chiuse anche l’interruttore della propria paura, lo stesso che la costringeva a lasciarsi martoriare da lui: scoprì che il rumore del sollievo durava la frazione di un secondo e proveniva dal computer, proprio come il lieve pizzicore elettrico che uscì dal pc nel momento in cui venne privato della corrente.

Un attimo breve e meraviglioso, un istante in cui credette di avercela fatta. Di essere salva.

Sola.

Ma poi… Poi lo schermo si illuminò di nuovo, all’improvviso, come in un incubo che non può essere spezzato. E quella scritta, quel nome, l’orrore.

 

22. 57  Papercut scrive: Puttana. L’hai voluto tu.

22.57   Papercut scrive: Ora ti ammazzo.

 

 

5

 

Al buio. A lungo. Per minuti che sembrarono ore, giorni, mesi; in testa quel pensiero ossessivo che rendeva quell’incubo sempre più potente, sempre più indomabile.

Sta arrivando!

Rimase così, con la spina del computer tra le mani e l’udito all’erta, il cuore gettato in un’attesa straziante che la lasciò senza fiato. E quella promessa che brillava sullo schermo del pc, che le sbatteva in faccia la grandezza di quell’orrore insopportabile.

 

22.57   Papercut scrive: Ora ti ammazzo.

 

Sta venendo per me! Viene a prendermi!

Respirò l’odore della propria paura mentre il mostro dentro di lei cresceva e la divorava, forte del buio che gli copriva le spalle. Mentre immaginava Papercut forzare la porta, la mannaia stretta nella sua presa come una falce tra le mani della Morte. Mentre pensava a come sarebbe stato sentire il suo alito caldo che violava la sua pelle nel momento in cui le avrebbe leccato la mandibola.

E i brividi, il panico, l’impotenza…

Sta arrivando! Oh mio Dio, STA ARRIVANDO!

Fu quando li sentì, che la paura divenne una lotta per la sopravvivenza: rumori metallici provenienti dall’ingresso. Lo scatto ripetuto di una serratura. L’orrore che bussava alla porta di casa per portarla via con sé.

È ARRIVATO!

Non pensò. A guidarla fu il terrore, quel panico fuori controllo che la stava sbranando alla gola da quando lui l’aveva lacerata, lanciandole addosso la propria follia. Corse verso il ripostiglio, verso l’unica possibilità di salvezza alla sua portata. Verso la cassetta degli attrezzi.

Lo riconobbe dalla forma, la mano che tremava sopra la testa di metallo: il martello di suo padre sonnecchiava nel suo vano, sopra ferraglia senza valore che non avrebbe potuto aiutarla a fermare Papercut.

E quando sentì il rumore della maniglia, di nuovo… Lo scatto della serratura…

Dio, sta cercando di entrare!

Si appostò accanto alla porta, le luci spente, il martello che con il suo peso la trascinava verso la bocca spalancata della paura, la stessa che rendeva incerte le sue mani. In attesa dell’orrore che stava per aggredirla, di quel terrore che stava per saltarle alla gola e divorarle il cuore.

Entra! Entra, così ti darò quello che meriti!

Un altro scatto, la maniglia che si abbassava, la serratura che si apriva e lasciava libero accesso all’incubo…

Non aspettò. Gli concesse lo spazio necessario perché lui fosse alla sua portata, quanto bastava per poterlo colpire. Per fracassargli la testa prima che lui riservasse la stessa premura a lei. Non guardò l’orrore in faccia, non in quel buio che affilava gli artigli avvelenati della sua paura. E quando calò il martello… Quando sentì quella voce spaventata, quel grido non previsto…

«FERMATI!»

Suo padre. Sua madre. Davanti a lei, a pochi centimetri di distanza da una morte tremenda, figlia dello stesso orrore che Papercut aveva scatenato in lei quella sera. E un pensiero viscido, un timore angosciante che serpeggiò insinuando la sua voce oltre il sollievo.

Lui è ancora lì fuori.

 

*

 

Lo sguardo della dottoressa correva da lei a sua madre e, come ogni altra volta, conteneva tutte le risposte dell’universo. Un universo in cui Papercut era lontano eppure presente, con la sua mano invisibile sospesa sopra di lei. Sulla sua testa, pronto a schiacciarla.

«Il delirio che ha colto sua figlia ieri sera fa parte della malattia. Purtroppo la schizofrenia paranoide è difficile da combattere, ed episodi come questo sono frequenti nel decorso della patologia» la dottoressa aprì un ricettario, spingendosi gli occhiali sul naso. «Le prescriverò un farmaco ansiolitico: aiuterà la ragazza a tenere sotto controllo questi episodi deliranti.»

Quegli occhi pieni di risposte, quello sguardo che riusciva a spiegare ogni cosa. Lo sentì addosso quando quella donna porse la ricetta a sua madre, una sensazione che le diede brividi insopportabili.

Che la fece sentire inquieta.

E quando spiò ciò che c’era scritto sul foglio… Quando lesse quelle parole…

Ti sto ancora guardando.

Erano la conferma di un timore tremendo, di un incubo che non avrebbe mai avuto fine: Papercut non se ne sarebbe mai andato.

 

 

 

*

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

 

 

 

Non è un caso che io abbia scelto Papercut come titolo della storia, come non è una scelta casuale che il nome del persecutore sia, appunto, proprio Papercut: è un riferimento all’omonima canzone dei Linkin Park, di cui trovate un passo all’inizio della oneshot. E’ una canzone che parla della paranoia e dell’angoscia persecutoria che la caratterizza.

Ho voluto mantenere la suddivisione operata in previsione della pubblicazione sul giornalino, così da mantenere la fedeltà al progetto originale.

Spero che vogliate lasciarmi le vostre impressioni, tengo molto a questa oneshot per ovvi motivi :)

Se volete chiacchierare con la sottoscritta, potete trovarmi sulla mia PAGINA FACEBOOK o sul GRUPPO AFCEBOOK dedicato alle mie storie: i miei lettori sono sempre una compagnia graditissima.

Un bacio,

 

Brin

   
 
Leggi le 25 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Brin