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Autore: miss dark    14/06/2011    5 recensioni
Era un libro lungo oltre seicento pagine e molto complicato. Non l’aveva mai fatto leggere a nessuno, ma era sicuro che sarebbe stato un grande successo, una volta terminato. E, ogni giorno, era convinto di poterlo finire, ma ciò non avveniva mai, perché il suo disprezzo per il mondo era illimitato e ogni giorno si ritrovava a scrivere decine e decine di pagine, che andavano a sommarsi alle precedenti.
[Prima classificata al concorso "Nice to meet you" indetto da Bellis e DataLore]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I miei personaggi in cerca d'autore' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Mr. Malcolm

Questa storia si è classificata prima a parimerito con la storia "Lupo" di Mizar19 al concorso "Nice to Meet You" indetto da Bellis e DataLore sul forum di EFP. Si è inoltre aggiudicata il premio per il Realismo.
Lo scopo era descrivere un proprio personaggio originale entro un limite massimo di 1500 parole. Io ne ho utilizzate esattamente 1228.

Probabilmente trasformerò questa storia in una raccolta, ma non è ancora sicuro.

Spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate, mi mancano molto le vostre recensioni.

A presto,

Miss Dark.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Un povero ed insensibile cinico, rinchiuso nella propria misera casa a scribacchiare storielle senza senso su cinici come lui che non hanno capito niente della vita, ma che pensano di essere in diritto di sputare sentenze sul mondo intero senza riflettere sulla propria triste situazione”.

Questo gli aveva urlato sua figlia diciottenne prima di uscire di casa per sempre.

Erano passati sette anni e non aveva più avuto notizie di lei. Non sapeva se fosse sposata o fidanzata, se avesse un lavoro degno della sua intelligenza, se guadagnasse abbastanza per vivere, ma, nonostante questo e nonostante il suo affetto nei confronti di quell’unica figlia scomparsa dalla sua vita, non le aveva mai scritto neanche una lettera e non le aveva fatto nemmeno una telefonata.

Sua moglie si era tenuta in contatto, ma non gli aveva mai comunicato nulla oltre al fatto che stesse bene. Poi se n’era andata anche lei per sempre, in una giornata di marzo, mentre si occupava delle sue rose. Un infarto ed era morta subito: senza soffrire più di tanto, avevano detto i medici.

E così Malcolm era rimasto solo, completamente solo. Quasi per scelta, dato che non aveva cercato di allargare le proprie amicizie e che, anzi, aveva tagliato i contatti con tutti. Non per il dolore causato dalla perdita dell’amata moglie, che, nell’ultimo periodo, aveva cominciato ad odiarlo, quanto per l’insofferenza compulsiva che aveva sviluppato nei confronti di tutto il resto del mondo.
Aveva venduto il grande appartamento nel centro della città e il cane che aveva accompagnato la sua famiglia per oltre dodici anni e si era trasferito in una piccola casa nella periferia est.

L’arredamento era funzionale alle sue necessità: una cucina piccola e spartana, una camera da letto spoglia e fredda e un salone occupato da una grande scrivania di legno su cui troneggiava una vecchia macchina da scrivere. Le finestre erano sempre chiuse e le serrande abbassate; la porta di casa era sprangata e veniva aperta solo due volte alla settimana, ovvero quando Malcolm era costretto ad uscire di casa per andare a fare la spesa.

Non aveva una macchina, perché la riteneva inutile, per cui si spostava utilizzando i mezzi pubblici, luogo di incontro di decine e decine di persone diverse e, quindi, potenziale spunto di ispirazione per uno scrittore. Malcolm, però, detestava i pullman. Li trovava puzzolenti e sporchi e diffidava delle persone che vi poteva incontrare: non sopportava gli extracomunitari dai vestiti colorati, le vecchie che elemosinavano posti a sedere facendo pressione su odiosi adolescenti sbruffoni, che durante tutto il tragitto urlavano e ridevano, senza però riuscire a coprire i fastidiosissimi pianti di bambini che le madri incapaci non erano in grado di far tacere. Lui saliva al capolinea, si sedeva in fondo e, per distrarsi dal fastidio che tutte quelle persone gli procuravano, mangiava mentine e osservava il paesaggio al di là del finestrino. Scendeva dopo diciassette fermate, faceva duecento metri ed entrava nel supermercato, dove comprava sempre le stesse cose, per una spesa complessiva di trentaquattro dollari e ventisette centesimi. Distribuiva gli articoli in quattro buste di plastica, che trasportava con estrema fatica, vista la sua magrezza.

Al ritorno non c’erano mai posti liberi, per cui gli toccava stare in piedi. In quella condizione, sopportare il viaggio era molto più difficile e di conseguenza tornava a casa stanco e arrabbiato. Metteva a posto la spesa e, seccato, si sedeva alla propria scrivania e riversava il proprio astio verso la gente e verso la società nel romanzo che stava scrivendo da oltre tre anni.

Era un libro lungo oltre seicento pagine e molto complicato. Non l’aveva mai fatto leggere a nessuno, ma era sicuro che sarebbe stato un grande successo, una volta terminato. E, ogni giorno, era convinto di poterlo finire, ma ciò non avveniva mai, perché il suo disprezzo per il mondo era illimitato e ogni giorno si ritrovava a scrivere decine e decine di pagine, che andavano a sommarsi alle precedenti. Non l’avrebbe mai finito e non l’avrebbe mai presentato a nessun editore, per cui non l’avrebbe mai pubblicato e non sarebbe mai diventato uno scrittore vero e proprio, ma lui era sicuro di esserlo già. Quando, casualmente, incontrava qualcuno, si presentava come “Malcolm Herson, scrittore del più grande libro di analisi della società moderna”. Nessuno gli chiedeva mai di che cosa trattasse quel libro dal tema così vasto e nessuno lo invitava mai a continuare la conversazione in un ristorante.

Nessuno voleva spendere del tempo con lui e questo non lo rendeva affatto infelice.

Aveva sessantacinque anni e si riteneva sufficientemente vecchio da buttare le proprie giornata al vento, sedendo sul retro della propria casa a leggere libri sconosciuti ai più, isolandosi dal resto del mondo, che, pensava, avrebbe fatto a meno della sua presenza.

Spesso la sua giovane vicina di casa si avvicinava alla staccionata e lo osservava a lungo, ricercando nei suoi movimenti un segno della sua tristezza infinita, causata dalla solitudine nella quale viveva, ma non era mai riuscita a cogliere alcun sintomo di fragilità.

Dietro ai piccoli occhiali tondi posati sul grosso naso, due occhi azzurri e inquieti scorrevano veloci sulle pagine dei libri, poggiati sulle gracili gambe e sfogliati da due mani grosse e sproporzionate rispetto alle braccia esili.

Al di là della disarmonia di quel corpo poco curato e al di là di quello sguardo ostile, però, Mary era convinta potesse esistere un essere da cui imparare molte cose. Per questo, ogni tanto, si azzardava a salutarlo gentilmente, nella speranza di essere invitata a sedere vicino a lui, sulla panchina di quel giardino abbandonato. La risposta a quella gentilezza, però, era sempre uno sguardo di disapprovazione per il tono troppo allegro e per lo sguardo troppo solare.

“Inutili ragazzine piene di vita”, si ritrovava a pensare la sera Malcolm, quando, seduto al tavolo della cucina, mangiava la cena preparata in fretta e sentiva le risate della ragazza provenire dalla casa di fronte.

Spesso, infatti, Mary organizzava delle piccole feste con le amiche. Aveva ventiquattro anni e non studiava all’università, ma impiegava la maggior parte del proprio tempo lavorando come impiegata statale nel centro della città. Non era una scansafatiche e non incarnava nemmeno uno dei pregiudizi che portavano Malcolm a diffidare di tutti i giovani, eppure l’uomo non aveva mai ricambiato le gentilezze della ragazza ed ella, dopo qualche tempo, aveva smesso di rivolgergliele.

Malcolm non era mai stato un ragazzo, e poi un uomo, felice, perché riusciva a trovare un lato negativo e criticabile in qualunque cosa. La sua vita era stata un susseguirsi di eventi spiacevoli, non in sé, ma a causa dell’atteggiamento con il quale l’uomo li affrontava. Non era mai stato in grado di cogliere le opportunità per migliorare la propria vita e non ne era capace neanche ora che poteva costruire un rapporto Mary e porre fine al proprio isolamento.

Quando finiva di cenare, si alzava dal tavolo, lavava i piatti e si soffermava alla finestra ad osservare la casa di fronte, in cui le ombre delle ragazze si muovevano a ritmo di musica.

“Gioventù bruciata”, ripeteva tra sé e sé, senza pensare che la vera vita bruciata era la sua, quella di uomo accecato dal proprio cinismo ed intrappolato in una solitudine da cui era incapace di liberarsi.

Si sedeva alla scrivania e iniziava a scrivere le proprie parole piene di rabbia, avvolto in un silenzio di rimorsi inconsapevoli.

 

 

 

 

 

 

  
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