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Autore: Miki_TR    16/06/2011    2 recensioni
Cosa hanno a che fare Albus e Gellert con l'idea di ballare?
"-Potremmo essere entrambi all'inferno, proprio adesso,- scherzi. -Ci hai pensato?-"
Fic scritta per il terzo turno del Grindeldore Challenge indetto da aGNeSNaPe sul forum.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Dopo la II guerra magica/Pace
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Shall we dance?

Dance, then, wherever you may be
I am the Lord of the Dance said He
And I lead you all wherever you may be
And I lead you all in the dance said He
(Lord of the Dance, The Dubliners, 1996)

Gellert vede qualcosa, in Ariana, che tu che sei suo fratello non vedrai mai.
Lui dice che è perché le sei troppo vicino, perché soffri per lei e hai paura di lei, e insieme per lei. Tu non credi che sia così.
E' che Gellert ha un modo tutto suo di vedere il mondo. Non ti stupisce che voglia così tanto cambiarlo.
Gellert dice, e sei disposto a dargli ragione su quel punto, che Ariana è nascosta da qualche parte, bloccata nei meandri della sua mente e in balia del suo potere. Questa idea collima con tante cose che hai notato nel corso degli anni. Ma non sei sicuro di sapere cosa provi all'idea che Gellert abbia osservato così bene tua sorella, e ancor meno di quel che pensi del fatto che si sia messo in testa di trattarla come una normale ragazzina di tredici anni, sperando che lo diventi, magari, per magia.
Oggi si è messo in testa di insegnarle a ballare.
Siete sul prato, dietro casa tua, al riparo dalla calura all'ombra dei vecchi alberi nodosi che davano frutto, quando eri bambino.
Ti siedi sull'erba e osservi Gellert che prende le dita di tua sorella, elegante come in una sala da ballo, mentre lei lo guarda e sorride come se capisse. La gonna di Ariana fruscia nel vento e se non la conoscessi penseresti che sia una ragazzina come tutte le altre, davvero, solo un po' intimidita all'idea di ballare con un bel cavaliere che è amico di suo fratello. Di uno dei suoi fratelli.
Aberforth è seduto poco distante, sulla staccionata, e scruta la scena con aria torva. E' geloso; di Gellert, di te, probabilmente persino dei riflessi del sole che fanno ridere Ariana, e di chissà cos'altro. E' geloso e arrabbiato, ma ha solo quattordici anni; gli passerà.
Gellert mette in posizione le mani di Ariana, con pazienza. Lei si distrae un attimo a seguire il volo di una farfalla, le corre dietro sul prato, e Gellert la segue, l'asseconda e ride con lei. Li guardi giocare e vedi Gellert scivolare sull'erba e ridi dal sasso su cui sei seduto, pensando che, senza nulla togliere alla potenza delle tue ambizioni, puoi anche goderti la semplice bellezza di un pomeriggio sprecato sul prato, a ridere di qualche sciocchezza e ad insegnare a ballare ad una bambina che non imparerà mai.
Ma Gellert è convinto di potercela fare.
-Andiamo- dice ad Ariana, quando la farfalla scompare e l'attenzione di tua sorella ritorna su di lui. Poi la prende per mano e la riporta dove il terreno è piano, si mette di fronte a lei, tenendole le dita con aria seria, tutto concentrato sul compito impossibile che si è prefissato.
Non avresti mai pensato che avesse tanta infinita pazienza, con lei. Non sai da dove gli venga, perché davvero lui non è un uomo paziente. Gellert, ormai lo conosci, vuole tutto, vuole il mondo, e subito. Ti acceca, qualche volta, con la sua ambizione, con i suoi sogni assurdi e bellissimi. Ma, pensi osservandolo, ha un modo speciale e delicato di toccare certe cose, quelle che considera belle e preziose, che ti stringe lo stomaco in una morsa forte e dolce.
Gellert muove un passo, l'inizio di una danza, e Ariana resta ferma. Lui torna indietro, lentamente, e si muove di nuovo, tirandola piano per non spaventarla. Per qualche minuto sembra che il pomeriggio trascorrerà semplicemente così, Gellert che si muove e Ariana che non capisce cosa lui voglia da lei. La luce morbida del sole d'estate brilla sui suoi riccioli biondi e illumina la sua camicia bianca e svolazzante, come le ali di un grosso uccello, maestoso ed aggraziato nonostante il sudore e le macchie d'erba sugli abiti. Nella tua mente li vedi ballare, ballare davvero, vedi Ariana ridere e volteggiare, e quell'immagine ti intenerisce. A differenza di Aberforth, tu sei contento che Gellert sia affezionato a tua sorella, e quel pomeriggio sul prato ti dà l'impressione di avere di nuovo una vera famiglia, che non provavi da tanto.
Chiudi gli occhi e immagini la musica, Gellert che danza e Ariana che lo segue, e quando li riapri, quasi credi di vivere ancora quella piccola fantasia.
Ariana e Gellert stanno ballando.
Tua sorella non è mai stata aggraziata, nemmeno da piccina, e sicuramente non lo è adesso. Si lascia trascinare senza fare resistenza, e questo è già molto per lei, segue docilmente il tuo amico, inciampando ogni tanto, ridendo tra sé. Ma non importa, perché è Gellert ad essere sicuro mentre la fa ballare, ed è comunque lui che ti incanti a guardare. Il modo in cui si muove e ride scuotendo la testa risucchia tutta la tua attenzione.
Con un gesto armonioso della bacchetta, suoni una musica per tua sorella e il tuo amore che danzano sul prato. Gellert ti lancia un'occhiata felice e grata insieme, e al volteggio successivo ricambia il tuo sorriso. Si sta divertendo, e devi ammettere che, dopo lo sconcerto iniziale, anche tu ti diverti a guardarli; provi la stessa sensazione di qualcosa di riuscito che sai leggere nella postura e nell'espressione di Gellert. Sembra tutto così luminoso in quel momento, che ti accorgi a malapena di Aberforth che rientra in casa sbattendo la porta.
Ma il pomeriggio gioioso non risente della sua assenza. Gellert continua a far ballare Ariana per un po', abbastanza da spingerti a distrarti dalla scena, a pensare ad altro, fino a chiederti come sarebbe ballare con lui; voi due soli nella tua stanza, senza musica per non svegliare i tuoi fratelli. E nella danza, magari, lasciar scivolare le mani sotto i suoi vestiti, baciargli la bocca sorridente ed ascoltare la sua voce che ripete il tuo nome mentre fate l'amore sul tuo letto.
Quando Gellert si siede accanto a te sull'erba, finita la danza, sembra vedere riflessi nei tuoi occhi quei pensieri, con l'accurata consapevolezza degli amanti. Ti prende una mano e la stringe forte, mentre guardate Ariana giocare. Si avvicina a te fino a farti sentire il calore della sua pelle sotto gli abiti leggeri; inclina la testa verso la tua e ti chiede, come per caso, se quella notte può passarla con te.
-Certo,- gli dici, perché non potresti mai non desiderarlo.
Lui posa la testa contro la tua spalla, senza guardarti. -Balleremo senza musica,- ti dice, e sorridi. Magari non ballerete; quando siete soli, finite sempre per farvi prendere dalla passione delle vostre menti per i progetti che sognate di realizzare insieme, e da quella più scontata e un po' indecente dell'amore, allacciati al buio e trascinati da ogni bacio in quello successivo. Ma starete comunque insieme, e adesso il pomeriggio è ancora lungo e tranquillo, davanti a voi.
Ariana gioca serena, hai a fianco il tuo amore e per quanto ti sforzi non riesci a trovare una nota stonata in quella giornata di pace.

La terra è tutta nostra, marcondirondera
ne faremo una gran giostra, marcondirondà.
Abbiam tutta la terra, marcondirondera,
giocheremo a far la guerra, marcondirondà.
(Girotondo, Fabrizio de Andrè, 1968)

Duellare con Gellert è come abbandonarsi a qualcosa di incredibilmente potente e selvaggio. Lo pensavi quando sfidarvi era un gioco, a Godric's Hollow, e l'odore dell'erba vi avvolgeva quando alla fine vi abbandonavate, stanchi e ridenti, sul prato.
Lo pensi adesso, che a circondarvi ci sono solo le macerie del mondo che sognavate insieme, l'odore acre della polvere da sparo, e quello pulito e intenso di Gellert.
Ancora lo ricordi. Ancora ti fa tremare.
La sua voce ti incanta, anche nella rabbia di quei momenti convulsi.
Gellert gira attorno a te, come se fiutasse le tue intenzioni. Come un animale, come quando facevate l'amore.
Scintilla di pura ira, adesso. Si sente tradito; non lo immaginavi, perché non potevi pensare che ancora, dopo tutti quegli anni, dopo ciascuna delle orribili cose che ha fatto, lui aspettasse un tuo ritorno, al suo fianco.
Voleva riaverti con sé. Voleva amarti ancora. Il pensiero ti annebbia la mente, mentre ruoti piano su te stesso, il sole della sua orbita.
La sua rabbia è terribile e così bella, così viva.
Forse è in quel momento che capisci che vincerai. Sicuramente, è quando ti attacca con gli occhi fieri e scintillanti, con la Bacchetta di Sambuco ad irriderti tra le sue dita, che decidi che non lo ucciderai.
Non puoi farlo.
E' solo il tuo egoismo a scegliere quella strada, eppure dentro di te la terra che lui ha distrutto e bruciato non vale la sua vita. Semplicemente, non puoi smettere di amarlo.
La decisione, l'unica possibile, ti dà d'improvviso la forza di combatterlo, di lanciarti contro di lui con tutte le tue forze. Non lo ucciderai, e deciso questo capisci che puoi e devi fermarlo.
Il cauto studiarvi della prima parte di quello scontro scompare quando ci metti tutto te stesso.
I tuoi passi sono sicuri, gli incantesimi precisi. Un colpo, un lampo, un altro ancora. Lo getti a terra, lo vedi rialzarsi, incassi un colpo e lo ricambi.
Siete ancora così abituati a lottare insieme che sembra che stiate ballando, come hai sognato di fare un pomeriggio d'estate, a Godric's Hollow, prima che la notte vi cogliesse e si portasse via quel vago desiderio tra le coperte sgualcite. Ma avete duellato per gioco tante di quelle volte che assecondarlo e sfidarlo ti viene ancora naturale. Sai come si muove. E' stato il tuo compagno di duelli preferito, e questo non è che l'ultimo di tanti, quello più importante, per il quale, senza saperlo, vi siete allenati a lungo.
Ricambi colpo su colpo, dando fondo alle tue risorse e alla tua fantasia, e trovi persino lo spazio di pensare con distacco che deve essere uno spettacolo incantevole da vedere, tutto quel potere e quell'eleganza e persino l'accenno, incomprensibile ad un estraneo, della sensualità di due duellanti che sono stati amanti e che conoscono ogni movimento dell'avversario. Gellert ti scaglia una maledizione e lo rivedi ragazzo, scattare ed afferrarti per un polso perché tu ti avvicini di nuovo a lui. Gellert ansima per lo sforzo e c'è sulle sue guance una traccia del rossore che restava sempre dopo l'amore, quando si abbandonava sul cuscino e sorrideva come se credesse impossibile tutto quel piacere. Conosci ciascuno dei suoi gesti; sono bastati due mesi per impararli a memoria.
Quando abbassa la bacchetta per cambiare la presa sull'impugnatura, preparando l'incantesimo successivo, sai che scoprirà la guardia di appena un pollice, per un istante.
Normalmente si sarebbe ricordato che conosci quel suo errore. Che l'hai sempre notato, che ne hai sempre approfittato, perché in ogni duello con lui hai messo tutto te stesso. Risparmiarti non gli avrebbe reso giustizia. E l'hai sempre colpito in basso, sotto la guardia della bacchetta per un istante troppo alta, in quella mossa. Dovrebbe saperlo.
Ma Gellert è arrabbiato ed accecato dai suoi sentimenti mai sopiti, e quello lucido, che può pensare ed agire allo stesso momento, sei tu.
Lo colpisci.
E la danza finisce, nei suoi occhi sgranati per un istante, prima che crolli a terra. Non fa quasi rumore, eppure è la fine di un'epoca. Gellert è a terra.
Non può muoversi. Può ancora parlare, e lo senti imprecare in tedesco, ma non tenta di colpirti: conosce le regole di quel duello, persino quelle non scritte, e se anche pensasse di poterle piegare al suo volere come ha fatto con l'Europa, neppure Gellert Grindelwald è più forte della Bacchetta di Sambuco, che non gli obbedirà se tenterà di scagliare una maledizione contro il suo nuovo padrone.
Gellert ha perso.
Ti avvicini a lui; ti assicuri che l'incantesimo regga, ma è finita, e lo sa anche lui.
Per un istante l'istinto ti dice di tendergli una mano perché si rialzi e tu possa abbracciarlo, mentre ride della sua sconfitta e si congratula per la tua abilità. Così si sono sempre conclusi i vostri duelli, fino ad oggi.
Ma il tempo di quei giochi è finito da così tanto che dovresti persino averlo dimenticato.
-Ho perso,- dice Gellert incredulo, indignato, e forse persino più bello nella sconfitta che mentre ti sfidava con tutto il suo potere.
-Sì,- rispondi solamente, incapace di dire una sola parola di più. Ti chini e raccogli la bacchetta che è rotolata via dalle sue dita immobili, senza parlargli, sentendo solo un grande vuoto e nelle orecchie il ronzio dell'improvviso silenzio. Sei stanco, dolorante e infinitamente angosciato. E pieno di ricordi luminosi di lui, che non fanno altro che peggiorare quell'amarezza.
-Non sei tornato da me- dice Gellert. E' un'incrinatura nella sua ira, la prima che ti lascia vedere. Ti riempie di rabbia, perché come ha potuto fare quello che ha fatto? Ti riempie d'amore, perché non puoi ignorare che nonostante tutto ti è stato sempre fedele. E poi ancora di rabbia. Hai sofferto troppo, e troppi hanno sofferto.
-Non potevi credere davvero che l'avrei fatto- dici, gelido. -Non dopo quello che sei diventato-.
Gellert avvampa.
L'hai ferito, slealmente quando era già a terra, e anche in questo sai come reagirà, sai che adesso, con la rabbia e l'umiliazione a farla da padrone nella sua mente, lui cercherà il modo di ferire te. Ti terrorizza.
Se volesse farti del male, saprebbe cosa dire. Se ti odiasse, gli basterebbe rivelarti chi di voi due ha ucciso Ariana, perché chiunque di voi sia stato, ti annienterà saperlo.
-Pensi che sia finita, Albus?- ti dice invece, in tono di scherno. -Solo perché hai sconfitto me, non significa che tu abbia vinto- aggiunge.
Conosci quel veleno, e lo guardi senza rispondere. Un attimo, per trovare la forza. Poi ti giri, e ti allontani.
E dunque alla fine non ha voluto davvero distruggerti, pensi, come magra consolazione, e a parlare dopotutto non è odio, ma solo una sciocca ed inutile rabbia.
-Un giorno te ne pentirai!- cerca di richiamarti, ma è finita. -Un giorno ballerò sulla tua tomba, Albus!-
Lo lasci gridare. La sua rabbia fa eco alla tua, ma già adesso una parte di te sa che non c'è odio in tutto quel rancore, e che esiste uno spazio per il perdono. Gli dici addio così, rassegnato all'idea che non lo vedrai più. Rassegnato all'idea che non smetterete di amarvi, dopotutto, e nel profondo del tuo turbamento, segretamente lieto e grato che sia finita e che non sia finita, insieme.
Se non in vita, ti rimane la speranza che prima o poi per voi possa esserci un nuovo assaggio della pace dei vostri pomeriggi da ragazzi.

Il giro di una danza, e poi un'altra ancora,
e tu del tempo non sei più Signora.
(Ballo in Fa Diesis minore, Angelo Branduardi, 1977)

Ti sei sempre mosso di tua volontà, fino a questo momento. Credevi di aver capito la logica che fa sì che sia tu a creare il profilo del mondo, in quell'ambiente. Proprio per questo ti sembra strano improvvisamente ritrovarti in un posto che non avevi previsto, immerso in una grigia foschia che cela i contorni vaghi di quella che forse è la riva di un lago.
Perché sei lì? Che significato ha quel posto, comparso così d'improvviso? Non sai spiegartelo.
Ma comprendi in fretta quella stranezza quando senti dei passi avvicinarsi.
La nebbia avvolge i contorni di ogni cosa, al punto che non riconosci il paesaggio, anche se sei certo che una volta svelato ti sembrerà familiare. Eppure lui lo vedi chiaramente. Ti viene incontro a passo spedito, senza incertezze, come se non credesse di vederti lì, come se non fosse vero.
E' nudo e splendente e bellissimo nella luce che lo illumina, come è sempre stato, con quella sua incredibile capacità di attrarre ogni tuo pensiero anche solo con l'ondeggiare dei riccioli e il lucido chiarore della sua pelle.
-Gellert- lo chiami. Non puoi trattenerti.
E non ne hai motivo. La morte lava via ogni rancore, ogni piccola cosa che non gli avevi ancora perdonato quando è stato il tuo momento di chiudere gli occhi.
-Albus?- ti risponde, incerto, confuso e forse anche stanco. -Dove siamo?- domanda.
Gli sorridi. Adesso è abbastanza vicino da poterlo toccare, e sai che lo farai, non appena ti sarà possibile. Prima, però, dovete capire entrambi.
-Penso che sia tu a doverlo dire a me, Gellert,- gli dici gentilmente, e lui ti guarda, un po' perso e già un po' felice di essere con te. Ti senti allo stesso modo.
-Non è un posto che conosco,- dice. -Mi aspettavo qualcosa di familiare-.
Non sai esattamente cosa stia succedendo, e in realtà non hai una risposta sensata da dargli; eppure ugualmente sai cosa dirgli: il pensiero germoglia sulle tue labbra prima che nella tua mente. Sai cosa ti manca per capire.
-Raccontami com'è questo posto che non conosci- gli dici. La sua mano è così vicina alla tua che non dovresti fare nemmeno un passo per afferrarla, ma senti che non è ancora il momento. Ci sono delle regole diverse, dove sei ora.
-Siamo su un prato. C'è un lago, ed un castello enorme. C'è tanta pace, Albus- ti risponde Gellert, e quando capisci, tutto si fa chiaro. La nebbia si dirada.
-Siamo ad Hogwarts,- dici, mentre il luogo diventa reale anche per te, preciso nei tuoi ricordi fino all'ultimo filo d'erba, alle merlature distanti ed imponenti del castello, allo sciabordio delle onde sulla riva del lago. Sai anche, improvvisamente, perché siete lì, tra tutti i posti del mondo in cui potevate ritrovarvi, al di là della vita e delle sue limitazioni. Ridacchi, perché anche in questo c'è un'ironia di fondo che, adesso che puoi guardare indietro, c'è sempre stata, in tutta la vostra lunghissima storia.
Gellert ti guarda inclinando la testa di lato, e senti il desiderio di prendere i riccioli che gli coprono il viso e spostarli perché non gli diano fastidio. Ricordi quante volte l'hai fatto in una sola estate, principalmente per ricordare a te stesso che potevi prenderti quella libertà, che lui davvero ti ricambiava e amava sentire le tue dita passargli sul viso. Ma dopo tutto questo tempo, adesso è presto per toccarlo.
-Mi è mancata, la tua risata- dice Gellert semplicemente, di nuovo il ragazzo che ti incoraggiava a non essere triste, tanti anni fa.
-Mi è mancato il tuo sorriso,- dici. -Sei ancora arrabbiato con me?- gli chiedi, mentre ti incammini sulla riva del lago; e Gellert ti imita, mettendosi al tuo fianco con la naturalezza di quando aveva sedici anni, e parlare e passeggiare per Godric's Hollow vi piaceva quasi quanto fare l'amore.
-Non lo sono mai stato davvero,- ammette. -Anche se l'ho creduto a lungo. Ma era solo perché ti amavo, e mi mancavi- dice. E' tutto così semplice, adesso.
Qui non ci sono remore, e non ci sono barriere. Se la vita fosse come la morte, pensi tra te, gli uomini sarebbero sempre in pace. Gellert si morde un labbro, ancora incerto dei confini di quel mondo nuovo. Gli sorridi, invitandolo a parlare ancora, ricordando un tempo in cui lui era lontano e tu sognavi il tono aspro e dolce insieme della sua voce.
-Ho fatto tante cose terribili,- dice, piano. -Puoi perdonarmi, Albus?- ti chiede.
Ti giri a guardarlo; siete arrivati alla vostra destinazione, anche se lui ancora non può capirlo.
-Ti ho perdonato molto prima di arrivare qui,- gli dici. -Ho cominciato a perdonare le tue atrocità prima che cominciassi a compierle. L'amore è una strana cosa, Gellert-.
Lui ti sorride, luminoso ed intenso. -Credo di capirlo,- sussurra. -Pensavo che mi sarei risvegliato all'inferno. Ma evidentemente è bastato-.
Ridi, perché la sua logica ha sempre avuto qualche piccola pecca, da che lo conosci.
-Potremmo essere entrambi all'inferno, proprio adesso,- scherzi. -Ci hai pensato?-
Scuote di nuovo la testa e si avvicina a te di un passo. -Con te? Non penso che sia possibile. A Nurmengard immaginavo l'inferno come la tua assenza,- ti dice sottovoce, come se di nuovo, dopo tanto tempo, cercasse di sedurti. Come se ce ne fosse bisogno. -Ma dove siamo davvero, Albus?- ti chiede di nuovo.
-Ad Hogwarts, te l'ho detto- rispondi. A fare cosa, sta per scoprirlo.
-L'ho capito, ma perché siamo qui?- ti chiede puntualmente, come se ti leggesse nel pensiero. La luce del sole che non è il sole lo illumina completamente, scivolando sul suo corpo ancora spoglio come se non sentisse l'esigenza di coprirsi, davanti a te. Poi ciascuno dei raggi che lo toccano si riflette, poco distante, sul marmo bianco che decora l'erba verde. In quel luogo che conosci da sempre, l'unica cosa che non hai mai visto con i tuoi occhi, prima di oggi.
-Perché hai una promessa da mantenere. L'ultima che mi hai fatto con la tua voce, Gellert,- gli dici.
-Non capisco, Albus...- risponde lui, confuso.
Gli sorridi. Quando gli indichi il sarcofago bianco, sembra notarlo per la prima volta. Non sei nemmeno del tutto sicuro che prima fosse lì, ai suoi occhi. Lo vedi comprendere, lentamente, mentre vi avvicinate al luogo del tuo riposo.
-Hai detto che avresti ballato sulla mia tomba- gli ricordi, sorridendo con tutto il calore di cui sei capace, guardandolo mentre comprende e finalmente ti ricambia. -E io volevo ballare con te quando l'hai insegnato ad Ariana, ma poi ce ne siamo dimenticati, ricordi?-
Gellert annuisce, ed è come se il sole sorgesse dal suo sorriso.
Gli porgi una mano, pronto finalmente a toccarlo di nuovo.
-Allora, Gellert, vogliamo finalmente ballare?- gli chiedi.
Prende la tua mano, ed è la fine di un ciclo. E l'inizio di una nuova avventura.
Dal momento in cui vi toccate, che è anche quello in cui diventa chiaro che l'eternità la passerete insieme, e che avrete finalmente tutte quelle possibilità che vi sono mancate quando eravate vivi, potete davvero cominciare a riposare in pace.

 


Questa fic mi ha fatto sudare moltissimo, e non ne sono mai stata, fin dal primo momento, soddisfatta. Comunque è stata scritta per il Grindeldore Challenge di aGNeSNaPe, e ha ricevuto questo giudizio:

Miki - Shall we dance?

Grammatica: 10/10
Stile: 9/10
Originalità: 10/10
IC dei personaggi: 10/10
Gradimento personale: 8/10
Totale: 47/50

Dunnnnnque. Grammatica, IC e originalità perfetti. Lasciati dire che ho adorato questo Gellert intestarditosi sul far ballare Ariana e Albus che una volta tanto abbassa la guardia e si gode un pomeriggio come se fosse una persona qualsiasi (anche la rabbia di Abe è la rabbia nebulosa di un ragazzino quattordicenne, nulla di grave, dunque).
Il primo pezzo mi è piaciuto davvero tanto; i guai iniziano dopo. Insomma, resta una cosa scritta da te e quindi resta bella, ma ho avuto l’impressione che tu abbia fatto fatica a scrivere le ultime parti. La seconda persona diventa un po’ più pesante (è il punto che ti ho tolto nello stile) e boh, il resto è valutazione personale. Non mi è piaciuto come al solito.
Il tutto resta comunque molto bello e il prompt è usato in modo geniale e molto tenero (e ti conviene, dopo che hai terrorizzato Minnow a questa maniera!! XD). Brava la Miki! *manda amore*

Che secondo me è troppo buono, ma tant'è. Agne è buona, ecco. XD

  
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