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Autore: Elizabeth Darcy    17/06/2011    8 recensioni
Ciò che leggerete, se lo leggerete (perché ci vuole veramente una gran dose di coraggio, preparatevi) è vero. Ho trascritto questa mattina una serie di messaggi- bozze (o messaggi in bozze, o semplicemente bozze? Non lo so..) digitati furiosamente ieri notte, dopo la serata trascorsa.
Questa pseudo-fiction è un groviglio di pensieri a mio parere incomprensibile. E se tu, che stai leggendo, hai un minimo di buon senso, non andrai avanti.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si, esatto

Nota dell’autrice (autrice del groviglio): Ciò che leggerete, se lo leggerete (perché ci vuole veramente una gran dose di coraggio, preparatevi) è vero. Ho trascritto questa mattina una serie di messaggi- bozze (o messaggi in bozze, o semplicemente bozze? Non lo so..) digitati furiosamente ieri notte, dopo la serata trascorsa.

Questa pseudo-fiction è un groviglio di pensieri a mio parere incomprensibile. E se tu, che stai leggendo, hai un minimo di buon senso, non andrai avanti.

 

Per i più audaci: fatemi sapere se la pensate come me (non dovevo pubblicarla, e tantomeno non dovevo  perdere tempo a travasarla dal cellulare) o se è gradevole-deprimente. Si, ho digitato bene, ho veramente scritto gradevole-deprimente. Perché credo che una fanfic sia degna di questo nome solamente se ha sapore, se trasmette un qualcosa. Quel qualcosa è una x variabile, che può andare dal deprimente, al leggibile, al gradevole. Solo se, però, non si fa caso a come è scritta la storia. Perché se una storia è gradevole dal punto di vista della  -scorrevolezza- allora no, non era questo che io intendevo trasmettere. Certo, come è scritta una fic è molto importante, ma se il come  è la prima cosa che passa per la testa al malcapitato lettore, ripeto, allora no, non era questo che io intendevo trasmettere.

Lasciate una recensione, anche critica. E’ benaccetta.

Buona lettura (sarebbe più appropriato Buona fortuna!) !

 

Si, esatto.

Sto veramente scrivendo sul cellulare quello che scriverei al computer se fossi in vena di fan fiction. Beh, sono in vena di fan fiction.

L’unico problema è che è notte inoltrata, e non posso di certo accendere il computer. Quindi si, sto veramente scrivendo una drabble da salvare come messaggio di bozza.

 

E’ sempre stato quello, il problema. Tutto gira intorno a ciò: la morale o i sentimenti? Beh, io questa sera ho scelto la morale. Ho scelto quello che sono, quello che penso, mandando all’aria giorni di riflessioni, ore di sguardi e giorni di accurate osservazioni. Perché tu, Michel, mi piaci. Tanto e, soprattutto, da tanto.

Eppure ti ho offeso, ti ho umiliato davanti a tutta la classe per difendere la mia fatidica morale. Un gesto impulsivo, parole uscite dalla mia bocca automaticamente, da sole, senza che abbia avuto il tempo di rendermene conto e pensare, un attimo in più. Sarebbe bastato.

Tu lo prendevi in giro, quel poveretto, e mi sono saltati i nervi. E l’ho fatto. Ho detto quello che mi passava per la testa, davanti a tutti. Ti ho giudicato come un complessato sfigato e patetico, schiavo delle attenzioni altrui,  che non aveva di meglio da fare che insultare qualcuno che nemmeno lo aveva provocato.

 

Qualcuno rideva, qualcuno diceva -Brava Ginny-, qualcuno bisbigliava -Adesso la picchia-. Eravamo al centro del tavolo, io e te, quasi come nei film e nei libri. Se fosse stata una scena da libro forse l’avrei anche gradita. Ti sei limitato a guardare con disprezzo la tua vittima, alzare le sopracciglia e non degnarmi di uno sguardo. Ma dal momento che io mi nutro del tuo, non ti staccavo gli occhi di dosso. Ma evitavi in tutti i modi un contatto visivo, parlando con altri, fissando la tua pizza senza toccarla. Così non sono riuscita a capire cosa ti stesse passando per la testa. Umiliazione, rabbia, indifferenza? Il dubbio mi attanaglia ancora adesso, mentre sto scrivendo scomodamente sulla tastiera QWERTY del mio Nokia, in circa tre messaggi-bozze differenti. Si perché dopo un tot di parole ti cambiano l’SMS in messaggio multimediale, e dopo altre infinite battute non puoi più scrivere. Stop, c’è un limite a tutto, anche alle parole del messaggio multimediale. Pare che il cellulare mi dica –Basta, Ginny, stai pensando troppo, non serve, è già successo, l’occasione l’hai persa, ormai.-

 

Se sapessi cosa hai pensato in quel momento, ora forse starei piangendo, o pianificando.

Se avessi visto un guizzo di rabbia diluita in umiliazione attraversarti gli occhi, ora mi starei rimproverando per aver detto quelle parole così fredde e crude alla persona a cui puntavo.

Se avessi notato un accenno di sfida o di vendetta, sarei contenta di quello che ho detto.

Se non avessi percepito niente, l’indifferenza totale, avrei gettato la spugna e starei cercando di dimenticarti, di pensare ad altro.

 

Ma la tua forza è stata proprio lì, nel non aver ceduto, nell’aver aspettato di smaltire quel qualsiasi cosa tu stessi provando prima di guardarmi nuovamente negli occhi, mezzora dopo.

 

Se avessi scelto i sentimenti, avrei incassato quel tuo comportamento, catalogandolo, per inserirlo tra i difetti del tuo carattere. Me ne sarei stata zitta a guardare e avrei solamente evitato di essere coinvolta. Avrei, come sempre, provato sulla mia pelle l’umiliazione della vittima di turno e avrei deglutito, magari dicendo un -Dai basta-.

Avrei alzato gli occhi al cielo, per sdrammatizzare e spostato il discorso sul fatto che Pietro, come al solito, era in ritardo.

Ma non l’ho fatto.

 

Settimane e settimane a parlare dell’evento dell’anno. Pizza con la classe e poi discoteca sul mare con il resto del Liceo. In programma c’era pure l’eclissi di luna, come fatto a posta.

Giorni e giorni sprecati a girare per negozi per scegliere cosa mettere, raccogliere i nomi di chi sarebbe venuto, prenotare, cercare di organizzare una cena decente, esserci riuscita. Camminare mezzora ogni sera sui tacchi per cercare di sembrare disinvolta, incominciare a prepararsi cinque ore prima di uscire. Discussioni con mia madre per convincerla a poter restare in discoteca fino alle due, convincerla.

Tutto pensato in ogni minuzioso dettaglio per sembrare carina e spigliata ai tuoi occhi.

Cercare con complicate manovre e giri di sedie di sedermi di fronte a te, esserci riuscita.

Le tue risate di scherno nei confronti di quel poverino, le mie parole. Il tuo sguardo mai più trovato, il discorso sviato.

Ci alziamo dal tavolo e andiamo verso la discoteca. Due compagne fumano.

E’ da loro, che ti dirigi. E’ con loro, che passerai la serata.

 

-Fumi? Non lo sapevo, non si direbbe, sei una ragazza così per bene!- un sorriso malizioso ti attraversa gli occhi, un colpo invisibile prende me in pieno, che ti osservo da qualche metro.

E capisco chi inizia a fumare a 15 anni.

Per il resto della serata mi passi di fianco senza vedermi, se avessi potuto mi avresti scavalcato.

E di solito non è così. Di solito, a scuola, mi ronzi intorno, con qualsiasi pretesto, con la prima stupidaggine che ti passa per la testa.

E comprendo, quindi, che se anziché seguire la mia morale avessi agito secondo quel che provavo, qualcosa di questa sera sarebbe stato diverso.

Avevo in mente di farmi avanti. Sarebbe bastato che anziché chiedere l’ora alla mia amica che avevo di fianco l’avessi chiesta a me, come hai sempre fatto, e io avrei capito che avevi accettato quello che ti avevo detto poco tempo prima. E più tardi, in discoteca, al buio, come i codardi, mi sarei fatta avanti.

E invece non l’ho fatto.

Ho fatto la paladina della giustizia, per una giusta causa, ma nessuno mi avrebbe pagato o fatto i complimenti. A sentire che difendevo il poveretto erano solo una ventina di ragazzini sedicenni stupidi, che non mi avrebbero detto –Hai fatto bene-.

 

E capisco, solo ora, tra un ticchettio e l’atro della tastiera del cellulare, quanto essere quello che sono possa nuocermi.

Quanto essere una persona decente possa avere più svantaggi del previsto.

Quanto l’essere intelligenti e un po’ insicuri, possa essere un mix perfetto per allontanare il ragazzo che mi piace da sempre.

Quanto sia vero che o fai parte del branco, ed entri nel giro, o rimani lì, da solo, a chiederti chi sei e cosa farai, quale sarà la prossima mossa.

Quanto male possa fare il pensiero di aver rovinato ancora una volta tutto solo per sentirsi giusti, per difendere qualcuno di cui non ti interessa niente.

 

Che quando ho bisogno di te della morale non me ne faccio niente.

Che le persone normali a 15 anni della morale se ne fregano e cercano di ritagliarsi un posto comodo nella compagnia.

Che sembra non esserci via di uscita.

Che senza la morale, io sono poco e niente.

Che senza di te, sono ancora meno.

Che mentre la vita scorre io rimango qui, pensando a te, alla ricerca di me stessa.

 

--

 

:*

 

Dominil MacRinnalch_

 

 

 

 

 

  
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