Just
Friends
~
Capitolo 1: Situazione complicata ~
BELLA
Guardai il display del cellulare
illuminarsi,
rischiarando il buio che aveva avvolto la mia stanza.
Jacob. Jacob. Jacob. Jacob.
Il suo nome continuava ad apparire
e a sparire,
facendomi sussultare ogni volta che lo vedevo.
Perché doveva continuare
così, cavolo? Perché doveva
continuare a essere il mio incubo peggiore?
Il cellulare ricadde morto sul
comodino, segno che
aveva lasciato perdere. Presi tra le mani l’apparecchio
argenteo, digitando il
numero della mia segreteria telefonica.
“12 messaggi non
ascoltati”, comunicò la solita voce
anonima.
«Bella, ho bisogno di
parlarti. Ti prego, rispondimi:
è importante», la voce di Jacob suonava dolce,
ammaliante, ma non ci sarei
cascata. Non più.
«Bella»,
tuonò invece qualche messaggio più avanti.
«Cazzo, ti ho detto di rispondermi! Te lo sto chiedendo in
ginocchio. Rispondi
a quel cazzo di telefono, insomma!». Era incazzato, incazzato
nero.
Sussultai, spegnendo il cellulare e
abbandonandolo sul
piumone. Rimasi a fissarlo per una manciata di minuti, poi mi lasciai
andare al
dolce odore di bucato, ritrovandomi in una nuvola compatta di coperte e
lenzuola.
Ma che cosa voleva? Avevo
anch’io la mia vita da
vivere e non avrei mai permesso che quell’essere mi
schiavizzasse in una nuova
relazione amorosa. Il nostro amore aveva avuto
l’opportunità di sbocciare, di
crescere, di svilupparsi, ma era appassito, lasciandosi indietro una
schiera di
bei ricordi. Questo era stato per me la relazione con Jacob, uno dei
tanti
amori che una ventenne ha il diritto di provare. Basta. Punto. Storia
chiusa.
Avanti il prossimo.
Ma per Jacob non era
così: Jacob esigeva che io
stessi con lui, non desiderava altro. E, per questo, ovviamente, non mi
dava
pace. Non nel senso che mi minacciava, questo no, però mi
esasperava con le sue
telefonate piene di sofferenza, i suoi messaggi stracolmi di parole
strappalacrime, i suoi mazzi di fiori abbandonati nel vialetto di casa
mia. Era
il colmo pensare che un uomo grande e grosso di venticinque anni si
trovasse in
una situazione così tragica, per colpa di
un’avventura finita.
Quando provavo a parlarne con le
mie amiche, Angela e
Jessica, loro mi rispondevano: «Bella, sta tranquilla.
È una reazione normale
degli uomini che si sono trovati sbattuti fuori da una relazione che
desideravano. Gli passerà, vedrai».
Ed io ribattevo:
«Sì, ma è già passato un
anno da
quando ci siamo lasciati».
Loro alzavano le spalle e
continuavano a chiacchierare
dei fatti propri. Grazie tante, belle amiche.
Nascosi la testa sotto il cuscino,
rimanendo nel buio
più totale.
Non volevo più una cosa
del genere, non volevo
ritrovarmi a combattere contro la persona che avevo amato - anche se,
adesso,
di simile tra il ragazzo che aveva iniziato a perseguitarmi e quello
dolce che
mi faceva sentire perfetta c’era proprio poco.
No, basta, non poteva continuare
così in eterno.
Dovevo ribellarmi, cercare di togliermi quella sanguisuga di dosso.
Assolutamente.
Ma cosa avrei potuto fare?
Parlargli a quattr’occhi?
No, era escluso.
Probabilmente non avrei risolto nulla, avrei solo peggiorato la
situazione,
riempiendolo di finte speranze.
Avrei potuto…
commissionare qualcuno per riferirgli
quello che non avevo il coraggio di dirgli in faccia? Nah, mi avrebbe
creduta
una codarda.
E se… mi fossi nascosta
finché lui non si sarebbe
stufato di correre dietro ad una latitante? E se avessi cambiato nome e
mi
fossi trasferita in un’altra città, protetta dal
FBI? Oh, avanti Bella! Sii
realista! Queste cose succedono soltanto nei telefilm!
Uhm, no, così non
andava, avevo bisogno d’ispirazione.
Mi tolsi il cuscino dalla faccia ed allungai il braccio per accendere
la luce,
rimanendo sdraiata sul letto a fissare il soffitto.
Avanti, Bella, pensa, ragiona: cosa
potrebbe far
perdere le speranze di una riconciliazione a Jacob? È
ostinato, d’accordo, ma
deve esserci un punto debole, deve pur avere un tallone
d’Achille!
E pensare che Edward, il mio
migliore amico, mi aveva
sempre consigliato di stare lontana da quel tipo.
«Si vede lontano un
chilometro che non è affidabile,
Bella», diceva. «Sono sicuro che Jasper Whitlock,
quel tipo tossico-dipendente,
sia più capace di usare il cervello in confronto a
Black».
Io ridacchiavo quando arrivava a
quella parte,
convinta che stesse scherzando, poiché aveva la
capacità di rimanere
perfettamente serio anche quando sparava una delle sue. Lui abbassava
lo
sguardo e cambiava discorso. Perché non gli avevo dato
ascolto? Perché mi ero
ostinata a fare di testa mia?
Feci rimbalzare la testa sul
materasso. «Dovresti
sbattere la faccia contro il muro di cemento, non contro il
materasso», mi
sussurrò la mia coscienza. Già, non
posso darti torto, cara.
Qualcuno bussò alla
porta.
«Entra pure,
papà», esclamai.
Vidi mio padre far capolino nella
stanza. «Hey», mi
sorrise. Ricambiai in risposta.
«Allora, come
va?», domandò, sedendosi accanto a me e
poggiandomi una mano sul braccio.
«Benone»,
mentii.
Chissà se si accorse che
notai la sua smorfia di
dissenso. Non c’era che dire, mi conosceva piuttosto bene. Da
quando mia madre
se n’era andata, lasciando a mio padre la mia custodia, il
nostro rapporto era
diventato più qualcosa di conveniente per entrambi che non
un amorevole padre-figlia.
Non mi sarei mai sognata di andare
con lui a pescare
la domenica mattina, né tantomeno guardare un film insieme -
né ora, né quando
di anni ne avevo dieci.
Si poteva dire che il nostro
rapporto sembrava più
simile a quello dei vari soci di un’azienda, ecco. Ognuno
vive la sua vita, ma,
quando c’è bisogno di qualcosa, si collabora per
mantenere la tranquillità.
Nonostante tutto, però,
aveva imparato a capire i miei
segnali, come io avevo imparato i suoi. Ad esempio, quando buttava la
giacca
d’ordinanza sul divano, tirava brutta aria; al contrario, se
per raggiungere
camera mia sbattevo i piedi sui gradini della scala, lui sapeva che
avevo la
luna di traverso.
«Volevo solo dirti che ha
chiamato Jacob», esclamò
come se fosse costretto a riferire una notizia già sentita.
«Un’altra volta.
Bhe, ad essere onesti, una decina di volte».
«Uhm, bene»,
mormorai io. «Gli hai detto che ero in
palestra?».
«Ovviamente»,
sorrise complice.
Un altro aspetto positivo di mio
padre era che faceva
quello che gli dicevi senza assillarti con le sue domande.
Si alzò dal letto e si
diresse verso la porta. «Ah»,
si ricordò improvvisamente. «Ha chiamato anche
Edward, poco fa, mentre eri
ancora fuori. Mi ha detto di dirti che domani ti aspetta a pranzo al
solito
posto».
Annuii. «Grazie,
papà».
Uscì dalla stanza,
spegnendo la luce. Mi voltai verso
la finestra aperta. Guardai le luci degli altri appartamenti brillare.
Avrei voluto lasciarmi andare
completamente al sonno,
abbandonarmi all’incoscienza, eppure, una parte di me
rimaneva vigile,
continuando a ragionare su come avrei potuto porre fine a quella
situazione.
Probabilmente fu così
che mi addormentai quella notte,
pensando a come sarei riuscita a levarmi Jacob di torno.
__________
Lo so, lo so. Non
ditelo nemmeno. Non parlatemene... Da quanto tempo non
posto/non aggiorno & co.? A dire la verità, non so
nemmeno esattamente io
da quando, comunque tantissimo tempo.
Già,
già, sono un totale disastro, lo sapevo già.
Ad ogni modo,
adesso sono tornata =)
Eh sì,
con un altra storia! E' vero, ne ho tipo un millione e mezzo da
completare e rivedere, eppure questa idea mi trapanava il cervello da
un po' di
tempo. E così, ecco così il primo capitolo.
Una storia un po'
diversa da tutte quelle a cui mi ero sempre dedicata. Innanzi
tutto, i personaggi sono tutti umani (possibilità a cui non
avevo mai
minimamente pensato, prima di qualche tempo fa, ma che devo dire mi sta
piacendo mettere in pratica), e poi i caratteri dei personaggi saranno
un
tantino differenti da quelli ai quali Stephenie Meyer ci aveva
abituato.
Spero che questo
primo capitolo (o comunque, la storia in generale) non annoi,
deluda, ecc. e che nonostante tutto qualcuno abbia intenzione di
seguirmi (:
Che dire d'altro?
Ah, sì, se avete domande, dubbi errori da segnalare,
consigli, opinioni, fatemelo sapere, vi risponderò il prima
possibile ;D
C'è
qualche buon anima che mi lascerà una piccola recensione?
Anche per dirmi
di piantarla e di dedicarmi all'ippica. Sul serio, qualsiasi cosa
questo primo
capitolo della storia vi ha trasmesso, mi piacerebbe molto sapere cosa
ne
pensate davvero.
Ringrazio Elena,
che mi ha aiutato a correggere e rivedere questo capitolo, e
Alessia (questa storia è dedicata a te, non c'è
bisogno che ti ripeta il
perchè).
Ora mi defilo nel
mio angolino, in attesa dei primi lanci di pomodori.
Buon pomeriggio!
S.