Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |       
Autore: patronustrip    20/06/2011    11 recensioni
Il destino ha in serbo per noi strane cose.
Un giorno ti mette davanti ad un bivio, e devi solo scegliere da che parte andare. Però mica te lo ricordi tu, quel bivio. È come se nessuno te l’avesse detto che una volta imboccata una strada, una volta aver detto sì invece di no, avresti perso tutto. Tutte le tue possibilità di azione.
Quando scegli di “fare” perdi immediatamente tutte le miliardi, infinite, possibilità che avevi. Perché hai già scelto.
Il destino ti lascia quel libero arbitrio, sta a te capire dove andare, ma presta attenzione, perché un errore ti può costare la vita. E non parliamo di morte, ma di un tragico conseguirsi di eventi che ti portano ad avere settantacinque anni, e a non esserti nemmeno reso conto di come ci sei arrivato.
Ma se un giorno qualcuno arrivasse e ti mostrasse una via di fuga. Se ti riportasse al principio, al momento esatto in cui eri davanti a quel bivio, in cui scegliere a chi donare il tuo cuore. Tu, Harry James Potter, padre di famiglia e marito fedele, che cosa faresti?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Ron Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve popolo di EFP :) eccomi tornata, come promesso con la seconda Long Fiction H/Hr.
Prima di cominciare vorrei fare il mio solito prologo un po' borioso XD spero vogliate permettermelo.
Questa, a differenza di Nero è scritta interamente in prima persona. Inoltre mi sono lasciata molte libertà stilistiche, come il cambio di tre POV nel corso della storia, per motivazioni giustificate :) sapete che non mi piace lasciare nulla al caso.
Ho trovato molto stimolante la scrittura in prima persona perché in questa FF i sentimenti e i pensieri sono davvero importanti. E' molto malinconica e a tratti davvero romantica, e come sapete questo è un campo minato. Perciò spero di essere riuscita a districarmi bene con lo stile, e a essere entrata nei pensieri dei personaggi.
Vorrei solo dirvi che ho pianto mentre la scrivevo, e che certi argomenti trattati mi toccano da vicino. Inoltre ho iniziato a scrivere questa Long mesi prima di Nero, poi l'ho interrotta per iniziare l'altra, e l'ho ripresa per il finale più tardi.
E' strana, ma ci sono molto affezionata per via della sua particolarità. Vorrei che non vi faceste (di nuovo, ahah sì mi piace scombinare le carte :D) ingannare dalle apparenze, perché neanche questa è una FF molto normale, benché all'inizio possa sembrarlo :)
Il titolo è preso da una magnifica canzone di Giorgia, contenuta nell'album Ladra di Vento. Quando l'ho ascoltata dopo aver finito la FF ho pensato che rispecchiasse esattamente quello che volevo dire. Se volete, ascoltatela, ve la consiglio :)
Non ho altro da dire, se non: buona lettura!

ps. cambio font, giusto per non ammazzare la vista di nessuno, fatemi sapere se preferite il vecchio.


 



CAPITOLO I
Quando piove

E piove.
Dannata pioggia. Potevi smettere per un solo giorno, o almeno attendere che il nostro dolore si fosse calmato, prima di tediarci con il tuo rumore assordante, la tua umidità che ci impregna le ossa, e il grigio maledetto che porti sopra le nostre teste.
Eppure, non so se riuscirei nemmeno a sopportare un cielo azzurro, sereno, in cui gli uccellini cantano, i bambini sono fuori a giocare e le persone sorridono accompagnate dal sole. No, non lo sopporterei. Perché oggi voglio che tutti siano depressi e incazzati quanto me, quanto noi.
Voglio che oggi nessuno qui, in questa città, goda di un solo momento di gioia. Oggi è tragico.
Un maledetto, fottuto, tragico giorno.
Ginny mi stringe la mano, non ricordo nemmeno il momento lontano in cui me l’aveva stretta davvero, così forte da farmi male. Me la stringe e piange, come suo fratello. Ron.
Amico mio, è il giorno più triste delle nostre vite. E lui piange come un dannato, piange terrorizzato, piange e Hugo lo circonda con un braccio. Suo figlio, il figlio consola il padre.
Rose sta in un angolo, e in quell’angolo è così spaventata, così fragile.
Piangono tutti, piange James, piange Lily… ma Al no. Al è come me, è uguale a me.
Io non piango, non voglio. Non ci riesco. Non posso piangere, perché piangere renderebbe tutto terribilmente vero. È come se piangendo la lasciassi andare davvero. E io non voglio lasciarla andare. Non ho mai voluto lasciarla andare.
Non ho mai voluto davvero…


«PAPÀ!? »
Mi sveglio di soprassalto, vedo tutto nero, mi agito ancora di più e respirando sento l’odore acre e umido dell’inchiostro del giornale. Scocciato lo lancio a terra e vedo Al fissarmi furibondo.
«Che c’è?» Sbotto «Mi hai fatto quasi venire un infarto»
«Ma se ti ho chiamato per dieci minuti buoni, pensavo fossi morto!»
«Figlio mio, sei tanto simpatico…»
«Beh, mamma dice sempre quanto ti assomigli…» Mi risponde per le rime, togliendosi il cappotto e gettandolo su una sedia.
«Sì sì…» Borbotto alzandomi, e come ogni volta che mi sveglio mi ricordo dove sono e chi sono col semplice scricchiolio delle mie vecchie e stanche ossa. «Ohi, ohi… potrei morirne davvero accidenti…» Mi lamento tenendomi i fianchi e dirigendomi verso la cucina.
«Mh, dici sempre così, e poi ti trovo a saltellare in giardino sulla mia vecchia scopa» Sorride beffardo, sedendosi al tavolo.
Io ridacchio e mi verso un bicchiere d’acqua, sedendomi accanto a lui.
«Allora? Come va?» Gli domando grattandomi la vecchia barba incolta sul viso, conoscendo già la risposta.
«Bene, molto bene, il nuovo appartamento è stupendo, col bambino in arrivo Evangeline starà molto più comoda» Mi risponde entusiasta.
«Ah ah! E la piccola Christine come l’ha presa? E piuttosto grandicella per sopportare l’arrivo di una sorellina…» Sorrido, stuzzicandolo.
«Eh, ci sarà da combattere, è terribilmente gelosa, non capisce perché tutte le attenzione non siano più sue» Ridiamo insieme, mi piace ridere con Al, discutere con lui, punzecchiarci. Lui, più dei suoi fratelli, accende in me un sentimento di malinconia incessante, ricordandomi cosa è stata la mia vita. È come riflettersi allo specchio.
«La mamma?» Mi chiede senza pensarci.
Stringo forte il bicchiere fra le dita che, lo ammetto, ormai mi tremano un po’, e deglutisco prima di rispondere. «È … è dalla zia.»
«Ah» Lui capisce. Ecco perché adoro Albus. C’è un intenso e lungo attimo di silenzio in cui nessuno dei due sa cosa dire. Però poi, lui, che è più coraggioso di quanto lo sia mai stato io, continua: «Sono cinque mesi papà, vuoi che ti accompagni?»
«No»
«Andiamo la sera, quando non c’è nessun’altro, ho delle conoscenze al San Mungo, ci faranno entrare…»
«Ho detto di no» Concludo, usando un tono che non tiravo fuori da molto tempo, però a differenza di allora, adesso mio figlio è un uomo, è un padre di famiglia, forse migliore di quanto lo sia stato io stesso, e non si tira più indietro quando alzo la voce, ora combatte a denti stretti.
«Papà, lo sai che ogni giorno lei potrebbe…»
«Lo so»
«La zia vorrebbe che tu ci fossi»
Ed è quest’ultima frase, detta così piano, così sommessamente, che mi fa lacerare il petto. Sono mesi che mi obbligo a non piangere, sono mesi che mi dico: non farlo.
Non cederò questa volta.
«Lo so» Mi limito a ripetere.
Albus sospira e non dice più una parola.
«Fammi sapere quando la casa sarà pronta, io e la mamma vorremmo venire a far visita ad Evangeline» Dico, sbiascicando un sorriso.
Albus sorride di rimando, malinconicamente, mi fa sì con la testa e si alza, riprendendo il cappotto.
Lo indossa, e sento di nuovo calare le nuvole in lontananza, si preannuncia pioggia. Mio figlio mi saluta con un caldo abbraccio e poi sparisce di nuovo, per tornare alla sua vita. Alla sua famiglia.
La casa è tornata vuota e fredda, mi lascio tremare, come sempre. Ginny mi sgriderebbe, è una cosa che odia, una cosa che non capisce. Perché lasciarsi morire di freddo quando esistono caminetti e coperte? Ma io ho bisogno del freddo, ho bisogno di tremare, i brividi intensi mi aiutano a reprimere le lacrime, mi aiutano a non pensare. Mi aiutano a non piangere, a non morire per lei.

«Hermione, oh mio Dio…» Urla Ron. Lo urla da ore, piange da ore. I suoi figli lo tengono stretto, e Ginny mi stringe la mano ogni volta che lo sente fare così.
Io vorrei solo andarmene, vorrei solo evitare di stare in questo posto, così bianco e asettico, mentre sotto quelle lenzuola sta la persona più importante della mia vita.
Vorrei urlare anche io come Ron, vorrei spaccare tutto, rompermi qualche osso nel tentativo di farlo, andare da lei e dirle “svegliati, ti prego svegliati!”. E invece sto qui, immobile, mentre tutti hanno reazioni del tutto giustificate, mentre mia moglie si stringe a me, mentre Lily e James si abbracciano per consolarsi a vicenda, mentre Albus mi fissa intensamente e sa esattamente cosa sto pensando.
A volte sono convinto che sia quel nome ad avergli dato queste capacità su di me. Silente mi leggeva nei pensieri, sapeva sempre cosa stavo provando, Piton invece, tentava sempre di farmi il Legilimens, sì sono proprio dei nomi azzeccati… Se mi ha letto il pensiero adesso, starà sicuramente pensando “mio padre è un completo idiota”.

«Harry?»
La porta si chiude, la voce di Ginny si propaga per tutta la casa, mentre io in soffitta continuo a fissare il cielo grigio e torbido di pioggia.
Mi chiama più volte, ma continuo a non risponderle, ormai non le risponderei in nessun momento, a volte preferirei che non ci fosse. È una cosa terribile da pensare di tua moglie.
«Harry!» Eccola, ha aperto la porta della soffitta e mi guarda nervosa «Quante volte devo chiamarti?»
«Mh?» Mi volto lentamente, porgendole un’espressione confusa. Ormai si è abituata. Una volta si arrabbiava da morire, metteva il muso per giorni, a volte anche settimane. Siamo due cocciuti, e quando due cocciuti litigano non si finirebbe mai.
«Ok, ho capito, ti chiamo per la cena…» Dice senza aggiungere altro.
«Ho già mangiato» La interrompo prima che chiuda la porta. La vedo strabuzzare gli occhi, so che vorrebbe esplodere adesso, vorrebbe urlami addosso che non passiamo più tempo insieme che non siamo più come una volta. Ma dopo trent’anni della stessa solfa arriva il giorno che uno si stanca. Così lascia solo un flebile:
«Ah, ok» Ed esce dalla stanza, chiudendo la porta più forte del normale.
Con gli anni si è fatta sempre più simile a sua madre, Molly, buonanima. Parlo in termini di viso, fattezze ed espressioni. A volte mi sembra di rivedere Molly durante le riunioni dell’Ordine, o durante i Natali passati alla Tana. Stessa identica espressione, con la differenza che Arthur amava sua moglie da morire.
Mi volto di nuovo verso la finestra in cui si riflette il mio viso alla luce di un lampo lontano, un solco di rughe, le guancie scavate, la barba ispida e grigia che negli ultimi mesi ho lasciato mi coprisse il volto, nascondendomici dietro.
Quanti anni sono passati.
Mi ricordo una conversazione con Dean prima che partisse per l’Italia una trentina di anni fa. Eravamo ancora un’allegra combriccola, noi vecchi di Hogwarts. Quell’animale di Dean aveva finito per sposare una musicista incantatrice che aveva conosciuto poco dopo il suo divorzio, e così a quarantacinque anni lo vediamo saltellare per il pub dandoci l’assurda notizia. “Me ne vado in Italia!” disse proprio così. Ron si era mezzo soffocato, mentre Neville gli aveva urlato: “dov’è che vai?” E lui, Dean, tutto orgoglioso ce lo aveva ripetuto. Seamus, mancava poco e si metteva a piangere come un disperato. Così li abbiamo lasciati soli per un po’ i due amiconi, con qualche piccola battuta da parte di Ron e Neville. Ma è stato proprio alla fine della serata, mentre io e Dean percorrevamo la stessa strada per tornare a casa a piedi, che curioso gli feci questa domanda:
«Come diavolo ti è saltato in testa?» Lui mi ha sorriso, e ha confessato di non sapere bene nemmeno lui cosa stava per fare. Ma poi ha detto:
«Sai Harry, prima mi rammaricavo di tutte le cose sbagliate che ho fatto nella mia vita. Ma alla fine mi sono reso conto che tutto ha un senso, che prima o poi la vita cerca sempre di riportarti a quello che è giusto, a quello che doveva essere…»
«Mi stai dicendo che era nel tuo destino conoscere una musicista incantatrice e scappartene in Italia?»
«No, o forse sì? Non lo so Harry, ma ti assicuro che non mi sono più sentito così vivo dai tempi di Hogwarts» E così se ne partì Dean, due giorni dopo con zaino in spalla piantando tutto con la sua nuova fiamma, piantando anche la non ancora ex moglie, pratiche in sospeso per intenderci, senza farsi più sentire. Voci di corridoio dicono che viva allegramente da qualche parte in Italia, non ricordo mai dove, con una bella coppia di gemelli.
Vaffanculo Dean. Non sai nemmeno quanto ti invidio.

Alla fine sono rimasto solo in questa stanza asettica.
Siamo di nuovo soli io e te.
Parlami, vorrei dirti, dimmi qualcosa, vorrei dirti.
Sei pallida, ma sembra che tu stia dormendo. Il tuo respiro è regolare, come quando ci siamo addormentati davanti al camino mentre studiavamo quelle pratiche infinite.
Me lo ricordo come fosse ieri. Il tuo petto fare su e giù nel sonno e le tue guance rosate, accaldate dal vostro camino, che ho sempre detto a Ron “fallo controllare, non è normale che faccia così caldo”.
Sei pallida, Hermione.

E io non devo piangere.
«Signor Potter…» L’infermiera mi chiama attendendo davanti la porta «...l’orario delle visite è terminato» Annuisco, e non ti guardo nemmeno prima di uscire da lì.
Sei troppo pallida, Hermione.


Forse è per questo che non ci ho mai più messo piede lì dentro. Io, che dovevo avere un orario per vedere la mia migliore amica.
Che per i primi anni era già stato insopportabile dover essere consapevoli di far parte ormai di famiglie diverse. Di avere obblighi e doveri, confidenze da evitare, e “ormai siamo adulti” da rispettare. Mi sono spesso, soprattutto negli ultimi anni, ritrovato a guardare con disprezzo le fedi che portavamo alle dita. Su di te, su di me, su Ron e Ginny. Col tempo, ho cominciato a pensare che avessimo rovinato tutto. Come se queste cose che ci legavano il dito avessero distrutto tutto quello che eravamo. Una famiglia felice. Tutti insieme.
Io stavo bene quando eravamo noi, e non quando eravamo la famiglia Weasley e la famiglia Potter.
Quando ogni posto era casa nostra, anche una tenda umida e terrificante dentro la foresta.
E non un: “oh andiamo a casa nostra” o “ no, venite da noi, il nostro camino è eccezionale” o ancora “oddio che cena meravigliosa hai preparato Ginny” o ancora peggio “in quel divano ci abbiamo concepito Hugo” rideva lui un po’ preso dal whisky incendiario “Oh cristo, Ron…” facevo una smorfia io.
Pensavo che sarebbe stato bello chiedere lo stesso giorno entrambi la mano a Ginny e Hermione. Sì, pensavo sarebbe stato… romantico. Che così saremmo stati, ancora di più, un’unica grande famiglia.
Mi sbagliavo. Ognuno di noi aveva la sua famiglia, suo marito, sua moglie, i suoi figli. La propria vita.
“Si chiama crescere” mi aveva ammonito scherzosamente Hermione, quando glielo avevo accennato. Però poi, pochi mesi dopo, mi aveva confessato di averlo pensato anche lei. Che era tutto perfetto, i suoi figli, la vita che faceva, e che le piaceva stare con Ron ma… che le mancava qualcosa. Non avevo fatto altro che annuire e dire: “anche io”. Poi abbiamo sorriso, e nessuno dei due ne aveva mai più parlato per molti anni.
Uno spiffero d’aria mi fa rabbrividire, benedetta pioggia.

Scendo in cucina, il camino del salotto è accesso, il suo tepore mi massaggia la pelle stanca e infreddolita. Ginny è seduta da sola al tavolo, ha quasi finito di cenare, in totale silenzio.
Io mi seggo di nuovo sulla mia poltrona lasciandomi scappare un sospiro. Non so perché, ma ho come la sensazione di averle fatto credere di voler parlare.
«I dottori dicono che è stabile» Le mie mani si contraggono sulla pelle della poltrona. «Non c’è nessun miglioramento, ma è stabile. Credo sia stata una buona notizia per Ron, dovremmo andare a trovarlo…»
«Non credo ci voglia fra i piedi»
«Harry, ha bisogno di noi. È trascurato, sembra un eremita. Metà del tempo lo passa in ospedale, l’altra metà a casa, e non mangia. Se non ci fosse Rose, non so cosa farebbe…»
«Beh, vedi? Ha Rose…»
«No Harry, Rose è sposata, ha una sua famiglia, un lavoro, non possiamo costringerla a stare con suo padre mattina e sera»
«Non la costringe nessuno Ginny, è sua figlia»
«E io sono sua sorella!» Alza la voce, sbattendo la forchetta sul piatto con un tintinnio terribile per le mie povere orecchie. Ci guardiamo dritti negli occhi per un lungo istante, poi con voce tremante mi domanda: «Si può sapere cosa hai contro Ron?»
Trattengo un respiro molto profondo. «Non ho nulla contro Ron, lo sai»
«Allora perché non vuoi venire con me in ospedale, e non vuoi aiutarlo?»
«Non vuole il nostro aiuto»
«Si invece!» Alza di nuovo la voce. «E anche se non volesse lui HA bisogno di aiuto, Harry, ti prego…» Mi chiede quest’ultima cosa con voce soffocata, quasi una supplica.
«Mi dispiace, Ginny» Sussurro. Sento di nuovo la forchetta sbattere contro la porcellana del piatto. «Non riesco… non riesco proprio a sentirlo piangere per ore e urlare di sua moglie in coma in ospedale. Non ci riesco proprio…» Ammetto.
«Non è per Ron… vero? E solo per…»
«Non è Ron quello in coma.» La interrompo bruscamente.
Ancora una volta la forchetta sbatte sul piatto, e dal rumore credo l’abbia scheggiato. Non dice niente. Fissa il vuoto, con uno sguardo nervoso e in vena di pazzie. Credo abbia voglia di tirarmi il piatto in faccia, così mi preparo per attutire il colpo. Non che l’abbia mai fatto, ma c’è sempre una prima volta. Invece si pulisce le labbra col tovagliolo, si alza, prende il piatto e le posate e getta tutto nel lavello, in modo molto poco delicato, per poi salire, come ogni sera, in silenzio in camera da letto. Nello stesso momento la sento borbottare: «Almeno quando stavamo nella vecchia casa ti era impossibile evitarlo, ora…»
Fisso i miei piedi, mentre un rombo di tuono spacca in due il silenzio. Poco dopo il mio sguardo si concentra sul camino, che lentamente si spegne su sé stesso, lasciando la stanza al buio pesto della notte. E me da solo, come tante altre notti, a dormire su questa poltrona.



A giovedì :)

  
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: patronustrip