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Autore: formerly_known_as_A    20/06/2011    2 recensioni
Alza lo sguardo verso il cielo ed ha il riflesso di buttarsi nella sabbia, liberando nella caduta un po' dell'ansia che gli sta mangiando pezzo per pezzo lo stomaco. E' grigio. Probabilmente pioverà tra poco. E' uno di quei momenti di calma irreale prima di un temporale. E' tutto troppo calmo per non insospettirsi.
Oh, ironia. Persino gli elementi lo prendono in giro. O forse è solo lui a vedere similitudini ovunque.

[Personaggi: Norvegia; Danimarca - Bashing contro un pg femminile, ma giustificato dallo stato d'animo del personaggio su cui si basa il punto di vista]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Norvegia
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Rieccoli lì, dove ogni cosa è cominciata. Dove tutto finirà.

Sembra solo uno stupido modo di dire -e l'ha sempre considerato tale- ma 'sembra ieri'. Sembra trascorso un solo giorno da quel primo appuntamento.

No, non gli è stato annunciato nulla, ma sa perfettamente quello che sta per affrontare.

Ci sono i segni, seppur difficilmente individuabili. Abbracci mancati, mani che non si trovano più come un tempo e neppure forse si cercano. Ad un occhio esterno, nulla però è cambiato.

Norge non è il tipo da tenergli la mano in pubblico, neppure mettersi a baciarlo in un luogo come quella spiaggia, neppure se gli unici spettatori danno già spettacolo.

No, lui è quello che gli tiene discretamente la mano solo quando sono tanto vicini che è impossibile distinguerli. Hanno addosso lo stesso cappotto. Colore e modello.

Come sembra ridicolo, adesso.

Un anno esatto da quando li hanno comprati. Inizialmente non era previsto -nulla, tra loro, lo è mai stato, è sempre stato un caso, un colpo di testa-, aveva avuto quell'idea solo nel negozio, quando per divertimento si era provato lo stesso cappotto, scherzandoci su.

Cappotti identici, blu scuro. Un colore che sta decisamente male al danese, ma che, sul momento, non importava affatto. Norge aveva detto la solita cosa carina mascherata da commento sarcastico e li aveva presi, senza neppure pensarci... che cosa aveva detto, per convincerlo?

Probabilmente nulla di eccessivamente carino.

Anche i guanti avrebbero dovuto essere identici, per portare la follia al suo apice, ma ne rimaneva un paio del modello che piaceva ad entrambi ed avevano finito per comprarli ed indossarne un paio in due. Norge continuava a sottolineare come fosse un'idea del danese, quella, ma era stato lui a metterla in atto.

Non aveva parlato, fuori dal negozio, quando aveva cominciato a nevicare. Aveva separato i guanti dal pezzo di plastica che li teneva insieme e se n'era infilato uno, dando il secondo a Den e prendendo la mano al freddo con la propria, nascondendola dentro la tasca del cappotto. Senza una parola.

Che cos'aveva detto sui cappotti? Giusto, come ha fatto a dimenticare?

Se ci teniamo per mano e siamo abbastanza vicini, le persone, da lontano, ci prenderanno per una persona sola. Non sapranno dove inizia uno e finisce l'altro.

Parole rarissime, quelle, tanto che doveva averle scritte sul calendario e poi trascritte in quell'agendina che portava sempre, in cui segnava tutte le frasi che gli scaldavano il cuore e che era proprio il suo ragazzo a pronunciare.

Come ci sono finiti su quella spiaggia, abbastanza lontani da essere soltanto due uomini stupidi con lo stesso cappotto?

Mette una mano in tasca, rovistando tra caramelle, chiavi e troll di plastica, fino a raggiungere le sigarette.

Le tira fuori, apre il pacchetto, ne tira fuori una facendo scorrere prima il dito sui filtri, come per sceglierne una -come se non fossero tutte maledettamente uguali, anche loro- e se la porta alle labbra.

Gli lancia un'occhiata mentre accende, ma il norvegese continua a fissare l'acqua e non nota neppure il rumore dei tentativi dell'accendino mezzo vuoto per creare una fiamma.

Alza lo sguardo verso il cielo ed ha il riflesso di buttarsi nella sabbia, liberando nella caduta un po' dell'ansia che gli sta mangiando pezzo per pezzo lo stomaco. E' grigio. Probabilmente pioverà tra poco. E' uno di quei momenti di calma irreale prima di un temporale. E' tutto troppo calmo per non insospettirsi.

Oh, ironia. Persino gli elementi lo prendono in giro. O forse è solo lui a vedere similitudini ovunque.

“Detesto quando fumi.”

Si volta verso Norge, leggermente sorpreso e si lascia sfuggire una risata amara, insieme al fumo. “Detesto quando menti.” ribatte, portandosi le ginocchia al petto e poggiandovi la guancia, il viso rivolto verso di lui.

Non gli importa di sembrare ferito prima del tempo o di non sorridere come al solito. E sa perfettamente di sembrare patetico.

Gli importa di poco, ormai. Solo della sensazione di vuoto che continua a crescere nel petto.

“Dimmelo e facciamola finita, Norge.”

L'altro sobbalza ed infila una mano nella sabbia. Pensa che dopo sarà pieno, che rimarrà nelle maniche e che gli darà fastidio e che la sua pelle si arrosserà da morire.

Sa che non dovrebbe importargli neppure.

“Ho baciato un'altra persona.”

Ah.

Ha sicuramente molta sabbia nella gola e altrettanta è riuscita ad entrare nei polmoni, bloccandoli e rendendo una tortura anche fare semplici respiri. Non ha sempre fatto così male, respirare, vero?

“Quella che è iniziata come un'amicizia è sfociata in questo e prima di fare altri danni forse è meglio finirla.”

Finirla.

Anche se non si ferma per balbettare o cercare le parole, sente che quelle sono dette con difficoltà. Almeno anche lui soffre.

Gli sfugge un sorrisetto sadico, ma lo reprime. Ha combattuto per reprimerla, quella parte... hanno combattuto, insieme come un tempo ed è anche merito suo se riesce a prenderla bene, senza afferrare il primo oggetto contundente per sfogare la rabbia su chiunque osi presentarglisi davanti. Gli riconosce quel merito, per quella rabbia scomparsa, ma non sente altro, quindi ci dev'essere qualcosa di irrimediabilmente rotto. Irreparabile.

A cosa serve essere sani, ora? A cosa serve sentirsi tanto vuoti, sentire soltanto il deserto nella gola e i polmoni e il nulla totale nel petto?

“Dan...”

“Come si chiama?”

“Dan...”

“Non chiamarmi come se non fosse mai successo nulla!” riesce a sbottare, stringendo i pugni e raddrizzandosi, improvvisamente furioso.

“Mattæus...”

Non è meglio. Affatto. Sentirsi chiamare con quel nome, dopo quelle parole, davanti a quell'incredibile distanza che è riuscito a mettere di nuovo tra loro, dopo i mesi e gli anni trascorsi a creare un ponte, pietra dopo pietra, un sorriso, uno sguardo, un tocco gentile... tutto... per niente?

Quel nome è insopportabile perché solo lui può usarlo. Un nome che gli ha dato, per separare la Nazione e la persona che ama. Che amava.

Danmark non è Mattæus.

Ah, Mattæus. Ha un suono meraviglioso. Aveva. Deve imparare che quello è il passato, che fa parte soltanto dei ricordi. Un suono bello e sempre diverso, Mattæus... la dolcezza del miele in quello del buongiorno e il fuoco quando lo gemeva un milione di volte mentre facevano l'amore.

Ricordi. Cose che non torneranno. Perse.

Per lei chi sei? Lukas?” chiede, infilando la mano nella sabbia fredda e stringendo il pugno. Perché questo terrore? E' solo un nome... Solo uno stupido nome inventato una mattina in cui erano ancora stanchi ed assonnati per la notte appena trascorsa.

Non essere ridicolo, Lukas è solo tuo.” è la risposta pronta di Norge, mentre si volta finalmente verso di lui.

Se Lukas è suo, allora... significa che Lukas è morto?

Mi dispiace.”

Un'altra cosa imparata insieme, quella. Chiedere perdono, superare l'orgoglio, abbassare la testa e riconoscere una colpa quando questa fa male all'altro. Non sono cose da fare in pubblico, neppure quelle, ma poco importa, no? L'importante è il gesto, dovunque esso sia.

Non importa.” gli risponde, automaticamente, alzandosi e spazzolandosi i vestiti con le mani.

Comincia a fare freddo e non ha guanti. Deve andare a casa, prima di...

Danmark... Mattæus. Lukas ti ha lasciato, hai capito?

Ha capito. Sa esattamente tutto ciò che sta perdendo.

Sta perdendo il suo viso come la prima cosa che vede al mattino. L'aroma di caffè come presenza costante in ogni angolo della casa. Le sue mani nelle proprie quando si ferma a guardare fuori dalla finestra e lui lo avvolge, aspettando che termini il proprio fantasticare, la testa sulla sua spalla a guardare lo stesso nulla. Il suo peso sul petto quando dormono insieme. Raccogliere le fragole di bosco e litigare su come mangiarle -ogni anno- finché inevitabilmente non decidono di fare a metà. La fossetta che gli si forma sulla guancia quando sta sognando qualcosa di bello e sembra un sorriso. I tentativi di cucinare qualcosa insieme che terminano sempre con qualche ustione ed una pietanza orribile ma miracolosamente buona. Il modo in cui gli accarezza i capelli quando guardano la televisione sul divano. Come gli stringe la mano quando qualcuno li addita per strada. La sua furia quando le occhiate diventano insulti, che sembra placarsi solo quando l'altro fa qualche battuta sui poveri sfigati che non hanno capito nulla della vita.

Tutto questo è irrimediabilmente perso.

Vorrebbe aver immortalato ogni singolo istante, per dire che non tutto è perduto.

Ucraina. E' lei.”

Scuote la testa. Non gli importa neppure quello. Eppure deve dire qualcosa, reagire, non può stare fermo a dare calci alla sabbia, no? Deve fare una battuta, dire qualcosa di incredibilmente stupido.

Ma Lukas non era quello timido di fronte agli altri? Quello che doveva assolutamente fuggire o farsi scortare quando doveva conoscere persone nuove? Come ha fatto a conoscere abbastanza quella donna -che poi, da quando gli piacciono le donne?- da baciarla, da decidere di mandare all'aria tutto, al diavolo il proprio ragazzo, per stare con lei?

Da qualche parte una vocina gli sussurra che potrebbe essere la causa della sua sicurezza e della propria rovina.

Si sente... svuotato.

Tornare a casa raggomitolarsi sotto le coperte, per ora, sembra l'unico futuro possibile... almeno per qualche tempo. Ma no. Le lenzuola hanno il suo profumo.

Andare da Berwald. Infilarsi nel letto degli ospiti. Liquirizia e detersivo sono odori innocui, vero? Sì, è un buon piano B. E' quasi sicuro che Svezia non lo caccerà di casa non appena si presenterà alla porta. Con un po' di fortuna Tino gli preparerà anche qualcosa di caldo. Veleno per topi, ad esempio. Non sarebbe affatto male, se ci pensa.

Ucraina è Tino con le tette, Lukas. Quando lo saprà Berwald lo chiuderà in cantina per paura che glielo rubi!” esclama, senza energie, accendendo l'ennesima sigaretta, dicendosi che potrà fumarne fino a sciogliersi i polmoni, d'ora in poi. Dovrebbe essere consolante?

Non si lasceranno mai, quei due, lo sai. Berwald ne impazzirebbe.” sussurra il norvegese.

Si mordicchia la mano, laddove inizia il pollice, in un gesto nervoso che non fa da moltissimo tempo.

Berwald impazzirebbe. E lui? Lui, con la sua psiche rattoppata a fatica, con quella voragine che ha sempre sentito nel petto, chiusa soltanto dai suoi gesti e dalle sue rare parole, non rischia lo stesso?

Ucraina. Oh, davvero, non ho possibilità contro la sua intelligenza. Di cosa parlate? Ammesso che parliate.” sibila, scuotendo la testa. Ha ancora la gola secca e quelle parole escono quasi atone, senza la giusta dose di rancore e rabbia.

Battuto da una forma parassitaria di tette su un corpo ospite. Non si ricorda neppure la sua voce, non è molto certo che abbia mai parlato. E' possibile che si esprima con il boing boing, in alfabeto Morse?

Oh bé, fosse stata la sorella avrei cominciato a pensare che la tua fosse una patologia o che avessi uno strano fetish per i malati mentali.” continua, sempre meno convinto, sempre più vuoto.

Ancora? Probabilmente non lo sta neppure ascoltando. Non cambierebbe comunque idea, no?

Ha uno strano gusto in gola, ma non lo registra immediatamente. Se ne accorge soltanto quando fa per sbottonarsi il cappotto, soffocato da quel colore che comincia a detestare -è così? Detesterà qualsiasi cosa piaccia a lui, ora?- e vedendo la mano martoriata.

Non ha perso tempo, eh? La prima vecchia abitudine è una delle peggiori. Si è morso fino ad arrivare alla carne, poi all'osso, pezzo per pezzo e la mano sanguina abbondantemente. Non fa abbastanza male da distrarsi, però. Ricrescerà ogni cosa, nei minimi particolari, nel tempo di una settimana...

Ha sempre funzionato. Un dolore per un dolore, fissare il sangue e dimenticare quello che fa male dentro. Ora è troppo? Dovrebbe staccarsi la mano, dito dopo dito, per stare anche solo un po' meglio?

Mattæus... non farlo. Non...”

Oh, mani. Quelle sono perfette e tengono le sue come se non avessero fatto altro, tutta la vita. Come se fossero create per questo. Le riconoscerebbe tra mille. Le stringe, sorridendo.

E' stupido sorridere, ha quelle mani solo per qualche manciata di secondi, non può trattenerle.

Si macchiano del suo sangue, ma a lui non sembra importare. Il gesto successivo è automatico e patetico, ma si considera ormai tale, quindi non importa neppure quello.

Si porta la mano al petto e la stringe, poi torna a guardarla. Sta gocciolando di sangue, come se fosse stata fisicamente dentro al petto a comprimergli il cuore.

Sentimentale e melodrammatico come sempre, vero Danmark?

Appena metterà piede in casa di Berwald gli sequestrerà la discografia completa degli ABBA per completare il quadretto patetico.

Oh, ma chissà se ci arriverà, fino a lì.

Il mare, quando si accorge di essere rimasto solo, è diventato dannatamente invitante.

   
 
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