E siamo ancora qua, come direbbe Vasco, purtroppo (almeno per me XD) per l'ultima volta. Ve lo avevo promesso, ed ecco dunque l'epilogo che pone definitivamente fine a questa lunga storia. Sarò eccessivamente sentimentale, ma vi confesserò che mi viene quasi da piangere all'idea che non scriverò più delle avventure di Cathy e Peter. So già che mi mancheranno tantissimo e con loro tutto il magico mondo di Narnia. Dopo due anni mi sembra quasi di conoscere di persona questi due personaggi e gli altri coprotagonisti, e pubblicando quest'ultimo capitolo, mi pare di salutare degli amici. Spero solo che un po' di loro resterà in voi che avete apprezzato e seguito questa storia e che non ve li scorderete subito dopo aver spento il pc, ma che resteranno almeno un poco ancora con voi :-)
Peter e Cathy però non sono gli unici che mi mancheranno. Sentirò mille volte di più la mancanza di voi cari lettori che con pazienza mi avete seguita e appoggiata e di tutte voi anime buone che avete recensito la mia storia, regalandomi la possibilità di sapere cosa ne pensavate e dandomi talvolta dei consigli per migliorarla e migliorare il mio stile. Vi ringrazio di cuore, ogni vostra singola parola è stata la spinta giusta per continuare a scrivere sera dopo sera e mi ha riempito l'animo di gioia e orgoglio per questa storia, Witch's Daugther, ufficialmente la prima storia che riesco a concludere, a cui riesco dare un finale e pubblicarlo, un altro motivo per cui sicuramente mi resterà per sempre nel cuore.
Bene, ora che vi ho sufficientemente annoiati a morte con tutte queste sdolcinate chiacchiere, posso lasciarvi alla lettura dell'epilogo che spero apprezzerete come degna conclusione della storia e che vi lascerà appagati :-)
Ringraziamenti:
Dahylia: Ciao carissima^^! Forse sto diventando ripetitiva ma non smetterò di dire quanto sono felice che l'ultimo capitolo ti sia piaciuto :-) l'ultimo capitolo è sempre quello più importante, dove si tirano le somme della storia, si decide in via definitiva del destino dei propri personaggi e bisogna quindi compiere scelte che possono essere giuste e lasciare appagato il lettore o disastrose e rovinare un'intera storia, quindi ero abbastanza impaurita da responsi, ma sono super lieta di saperlo positivo e che sia riuscita a tenere alta la suspance in modo da dare la bella sorpresa alla fine. Nella conclusione ha poi prevalso il mio lato romantico. Avevo pensato di renderlo struggente con un amore reso impossibile dalla lontananza, ma poi ho pensato che ci sono tante storie tristi già nella realtà, almeno qui, nel nostro mondo fantasy di pagine d'internet dove le cose le decidiamo noi, il finale poteva essere lieto e felice e farci sognare almeno per il tempo della lettura :-) Guarda, per la decisione di Cate ti confesso che non avevo mai pensato seriamente di farla tornare a Londra con Peter, il mio marcato femminismo mi impediva di prendere in considerazione l'idea di farle perdere la sua indipendenza per amore, non ci riuscivo proprio! Sarebbe stata una scelta in cui lei avrebbe sacrificato troppo, mentre Peter, anche se rinuncia per qualche tempo a vivere con i suoi fratelli, ha tutto da guadagnare a restare a Narnia in quanto è il Re. Si, arrivare alla fine è una grande soddisfazione, mi sembra di essere riuscita a raggiungere uno scopo, un traguardo! Ti auguro di provare presto la stessa cosa e sono sicura che ce la farai! Si, ero decisamente fuori strada con la divinità XD complimenti per la fantasia del nome che hai inventato, è davvero bello, quasi musicale :-) Spero davvero tanto che l'epilogo ti piaccia e che dia un buona conclusione alla storia :-) spero di sentirti presto, un bacio grande!!!!!
bex: ma ciao!!!!!!! Sono stra felice che lo scorso cappy sia stato tanto apprezzato!!! Concordo pienamente con te, sono convinta anche io che a lungo andare il fatto di aver dovuto compiere tutte quelle rinunce avrebbe finito per rovinare il rapporto tra Cathy e Peter, infatti non ho mai seriamente pensato che Cate potesse seguirlo a Londra. Ho trovato più che ragionevole che Peter tentasse di propriorierglielo, ma come si legge nemmeno lui era convinto che Cate avrebbe accettato. Credo che nessuna ragazza del 2000, mettendo da parte l'euforia e la passione dell'attimo, avrebbe accettato di rinunciare alla propria indipendenza, sono del parere che sia l'ingrediente essenziale per vivere. Però dall'altra parte sono anche romantica e il finale con le lacrime, anche se mi aveva stilisticamente tentata, ho deciso di accantonarlo in favore dell'happy ending. Dopotutto quei due ne avevano già passate di tutti i colori poverini, un lieto fine se lo meritavano! E lo meritavamo anche noi sognatrici ^^ spero che anche quest'ultima apparizione di Cathy e Peter ti piaccia, e che mi farai presto sapere cosa ne pensi :-) un bacione e grazie mille per i tuoi complimenti!!!
sweetophelia: Ciao cara! Grazie davvero per i tuoi complimenti :-) Sono felice che sia trasparita l'incertezza fino all'ultimo, perchè oltre a essere la mia era anche il sentimento che provavano i nostri protagonisti, con la domanda madre "andare o restare?".Guarda, è la prima storia che riesco a concludere, quasi non ci credo nemmeno io che finalmente ho scritto la parola fine in una fan fiction, spero solo che questa sia la prima storia iniziata e conclusa di una lunga serie :-) Mi auguro che l'epilogo ti piaccia, fammi poi sapere cosa ne pensi^^ un bacio grande e grazie ancora!!
Un grazie enorme anche a chi ha aggiunto questa storia tra le preferite e/o le seguite, o anche a chi ha solo letto con costanza la mia ff, grazie di cuore a tutti!
Buona lettura di quest'ultimo capitolo
kisskisses
68Keira68
P.S. per le recensioni di questo capitolo, a chi avrà la pazienza di scrivermi, ringrazierò ognuno usando la mail :-) un grazie a tutti in anticipo :-)
Epilogo
“Tesoro?”
Il richiamo si perse nella quiete
silenziosa della
camera da letto.
L’uomo entrò
dentro la
stanza, i passi attutiti dal soffice tappeto blu che ricopriva il
pavimento.
Fece scorrere lo sguardo sull’ambiete circostante, sul letto
a baldacchino in
parte celato dalla tenda blu cobalto, sul separé color creme
dove risaltava una
vestaglia femminile rossa, sull’armadio a due ante in noce,
ma non trovò la
persona cercata.
Attraversò la camera
fino a
giungere alla porta finestra che dava su un terrazzino, invitato
dall’anta
spalancata dalla quale entrava la brezza leggera che faceva ondeggiare
le tende
beige.
Un sorriso si dipinse sul
volto del moro. A pochi passi di distanza, mollemente appoggiata alla
balaustra
in pietra, i lunghi capelli castani mossi dal vento, c’era la
donna da lui
cercata.
Caspian si prese un momento
per osservarla. Nonostante fossero passati ormai dieci anni dal loro
primo
incontro, non si sarebbe mai annoiato di seguire il profilo perfetto
del suo
viso, né di scorgere il dolce sorriso che
gli rivolgeva la
mattina, un meraviglioso regalo che ancora ogni tanto temeva di
perdere, di
svegliarsi e accorgersi che quei magnifici anni trascorsi assieme non
fossero
altro che un sogno e che lei se ne fosse andata via con i suoi
fratelli, a
Londra. Poi però la stringeva tra le braccia e quando il suo
profumo simile a
fiori di campo lo invadeva, ogni timore svaniva, mentre si rafforzava
la
certezza che Susan fosse lì, che non fosse partita
perché l’unico futuro in
cui voleva vivere era quello in cui c’era anche lui,
come gli aveva sussurrato una fatidica mattina di dieci anni prima su
una
piazzetta sotto gli occhi di tutto il popolo, rinunciando a ritornare
nella sua
città natale. Rinunciando a non vivere a Narnia. Rinunciando
ad abbandonare il
giovane.
Lo stupore di quel giorno nel
vedere la ragazza ritornare indietro, raggiante dopo che gli aveva
appena detto
addio tra i singhiozzi, nel sentire le sue esili braccia allacciarsi
dietro il
suo collo, lo aveva quasi paralizzato. Per un lungo istante era stato
incapace
di qualsiasi reazione, finché la sua mente non aveva
metabolizzato il messaggio
delle parole di Susan. La ragazza non sarebbe partita. Sarebbe rimasta
a Narnia
con lui.
La gioia provata era stata
indescrivibile. Aveva stretto la presa sui suoi fianchi e
l’aveva alzata in
aria, iniziando a ridere di felicità, dimentico del
centinaio di telmarini e
narniani che li osservavano poiché solo una cosa era
importante in quel
momento. Susan.
Caspian si scostò
dall’intelatiatura della porta-finestra su cui si era
adagiato e si avvicinò
alla regina, immersa nei suoi pensieri al punto di accorgersi della
presenza
dell’uomo solo quando questi gli passò le braccia
attorno alla vita, facendo
aderire il suo petto alla schiena di lei.
“Ehi, ciao”
mormorò sorpresa
ma lieta dell’arrivo di Caspian. La ragazza volse il viso
nella direzione del
giovane per un bacio a fior di labbra, poi tornò a fissare
l’orizzonte,
adagiandosi nel suo abbraccio.
“Andrew?”
domandò Susan,
facendo scorrere lentamente la sua mano sull’avambraccio del
re.
“è andato a
Cair Paravail
con Edmund e Melanie. Ed lo riporterà per cena” le
rispose, posando il mento
sul suo capo.
La regina sorrise. Appena
poteva il figlio coglieva l’occasione di andare al castello
dei quattro troni. Il
bimbo, simile al padre nell’aspetto tanto quanto non lo era
nel carattere
esuberante e aperto, adorava sgattaiolare a Narnia e respirare a pieno
l’odore
della magia che lì regnava. Certo, da quando era stata
stipulata la pace un
decennio fa, anche a Telmar era divenuto normale scorgere minotauri e
tassi
parlanti intenti ad acquistare uno scudo dall’armaiolo,
tuttavia solo nel regno
oltre il fiume ci si poteva totalmente immergere in
un’atmosfera
sovrannaturale. E Andrew, con i suoi grandi e intelligenti occhi
castani, ne era
ammaliato.
Andrew. Il suo
Andrew. Una piccola peste smilza di
sette anni, capace di mettere il castello di Telmar a soqquadro
giocando a fare
il “prode” cavaliere e di far disperare il suo
tutore per la sua incapacità di
star fermo cinque minuti. Era un bambino sveglio, interessato a
qualsiasi cosa
gli succedesse accanto, fosse il volo di un ippogrifo o le fasi della
luna,
furbo quanto bastava per trovare modi sempre più fantasiosi
per evitare la
vasca da bagno, aveva ereditato dalla madre un grande senso pratico e
organizzativo, ma peccava totalmente nell’adempiere ai suoi
piccoli doveri, come
era d’obbligo alla sua età, quali tenere in ordine
la stanza e applicarsi nello
studio. Tuttavia agli occhi di Susan gli si poteva perdonare tutto
quando, con
un sorriso dolce e innocente, la sera gli portava un mazzetto di
margherite
colte durante la sua passeggiata pomeridiana.
La regina prestò la sua
attenzione allo scenario che le si prestava dinanzi. Sotto il suo
sguardo la
vita quotidiana di Telmar proseguiva tranquilla e vivace. Dal
terrazzino della
sua camera da letto poteva scorgere il fabbro battere ripetutamente il
suo
martello contro un ferro rovente e una donna sulla quarantina comprare
il pane
dal panettiere accanto tenendo per mano un pargoletto
all’incirca di cinque
anni; alla sua destra un gruppo di ragazzini giocava spensieratamente
con dei
giovani fauni al tiro con l’arco, mentre poco distante poteva
vedere attraverso
la vetrina del negozio una sarta intenta a prendere le misure di una
cliente. Un
perfetto ritratto della parola pace, una parola che lei si era
impegnata a
mantenere per il bene della sua gente in qualità di regina.
Regina di Narnia e
di Telmar, come l’avevano nominata dopo il suo matrimonio con
Caspian e come si
sentiva nel cuore dopo tutti quegli anni, dove aveva imparato a
conoscere quel
regno prima lontano e ostile ed ora tanto noto e amato.
Il suo matrimonio…
quell’anno festeggiavano il loro nono anniversario ma ancora
poteva viverlo
minuto per minuto nei suoi ricordi e riprovare per intero la gioia di
quel
giorno. Caspian le aveva chiesto di sposarlo dopo un anno dalla sua
decisione
di restare a Narnia. Un pomeriggio di metà aprile il giovane
l’aveva portata
alle rovine della piccola arena davanti al loro avamposto durante la
guerra,
con la scusa di fare un picnik per allontanarsi per qualche tempo
dall’impegno
che la corona portava con sé e Susan, entusiasta
dell’idea, aveva accettato
prontamente. Verso il volgere della sera, quando ormai nel cielo
l’azzurro
cedeva il passo all’arancio acceso del tramonto, Caspian le
si era
inginocchiato davanti e, con voce vibrante dall’emozione,
aveva aggiunto un
altro ricordo legato a quel luogo per loro così speciale,
chiedendole di
diventare sua moglie. Susan non aveva esitato a dare una commossa
risposta
affermativa e a gettargli le braccia al collo. Stava aspettando quella
proposta
da settimane, come tutta la corte e i suoi fratelli del resto.
“A cosa pensi?”
Susan si riscosse dai suoi
ricordi e si volse verso il marito. “Al giorno del nostro
matrimonio” gli
rivelò. “Te lo ricordi?”
Caspian ridacchiò.
“Intendi
il giorno in cui mi hai reso l’uomo più felice di
Telmar? Si ho un vago
ricordo” ironizzò. “Quando sei entrata
nella Sala del Trono, con quel vestito bianco
lungo e stretto, temevo di restare paralizzato dall’emozione.
Eri la cosa più
splendida che avessi mai visto, talmente bella che credevo ti saresti
dissolta
come un miraggio.” Mormorò, tornando indietro con
la mente al momento in cui,
dal fondo della Sala dove avevano deciso di svolgere la cerimonia,
presieduta
da Aslan in persona, Susan, al fianco di Peter, era apparsa fasciata da
un
abito da sirena, con i capelli raccolti in una crocchia tenuta in piedi
da rose
bianche, identiche a quelle che componevano il bouquet.
L’attraversata della
navata gli era parsa infinita, perso com’era
nell’incedere sinuoso della bella
regina e quando finalmente le aveva preso le mani tra le sue, aveva
avuto
l’ennesima conferma dal battere del suo cuore di come la
meravigliosa donna che
aveva davanti potesse essere l’unica che desiderasse al suo
fianco negli anni a
venire.
“Quando Aslan ci ha
dichiarati marito e moglie in nome dell’Antica Magia, ho
avuto la certezza che
niente sarebbe più andato storto, che insieme avremmo
trovato una soluzione ad
ogni cosa” gli confessò Susan.
Caspian considerò a
come,
una decina di anni fa, un’ammissione del genere le sarebbe
costata una fatica
immensa e a come sarebbe deliziosamente divenuta rossa fino alla radice
dei
capelli, mentre ora non provava alcun imbarazzo a confidargli debolezze
e
sentimenti. Sotto quell’aspetto Susan aveva imparato ad
aprirsi di più verso
gli altri e a non vedere come una mancanza il mostrare ciò
che provava. Un
ragguardevole traguardo se pensava a quanto tempo avesse impiegato per
ammettere
che lo amava, durante i loro primi mesi insieme. Peccato solo non
potesse
attribuirsi il merito del cambiamento. Quello infatti andava
interamente a
Andrew. La nascita di loro figlio aveva cambiato profondamente il modo
in cui
Susan si approcciava al mondo. Era diventata meno ligia, più
permissiva, capace
di perdere ore a fissare il viso addormentato del suo bambino con aria
trasognata, e a non vergognarsi di ammettere quanto vi fosse legata,
come lo
era anche lui ovviamente. Non aveva mai seriamente pensato
all’idea di avere
figli e all’inizio l’idea di avere la
responsabilità della vita di un’altra
persona lo aveva impanicato. Alla fine però, stupendo lui
per primo, si era
rivelato essere un buon padre, capace di misurare accuratamente
negazioni e
permessi, anche se erano rare le volte in cui negava qualcosa al
piccolo quando
veniva a chiedergliela con il faccino pieno di entusiasmo verso qualche
interesse nuovo e, per lui, esaltante.
“Il popolo ha fatto festa
per una settimana intera. Erano tutti così contenti. Persino
Peter sorrideva!”
continuò a ricordare Susan.
Caspian sbuffò
all’ultima
affermazione. “Parla per te, a me tuo fratello ha riservato
solo ammonimenti e
sguardi truci per tutta la giornata, i sorrisi e le congratulazioni te
le sei
prese solo tu.” Si lamentò.
La ragazza rise. “Sai
com’è
fatto, anche se era felice per me, soffriva nel vedermi uscire dalla
sua
protezione, anche se non ne avevo bisogno.” Lo difese
bonaria. “E poi credo
fosse anche un poco geloso” insinuò pensierosa.
Caspian si accigliò.
“Geloso? E di cosa?”
“Del fatto che tu avessi
ricevuto subito una risposta affermativa alla tua proposta di
matrimonio. Anche
Peter aveva chiesto a Cathrine di sposarlo in quei giorni, ma lei gli
aveva
risposto che non si sentiva ancora pronta per un passo del
genere” gli rivelò.
“Non lo sapevo”
il re
scoppiò a ridere. “Povero Peter, Cate lo ha tenuto
sulle spine per altri due
anni prima di cedere!”
Susan si unì alle
risate.
“Peter ha provato a convincerla in tutti i modi ma lei non ne
ha voluto proprio
sapere. Era fermamente decisa a compiere almeno vent’anni
prima di legarsi
ufficialmente”.
“Adesso che lo so posso
affermare di essere stato molto più fortunato”
Caspian posò un bacio tra i
capelli castani della giovane donna.
Susan si girò nel suo
abbraccio,
le labbra arricciate in una smorfia furba mentre gli passava le braccia
attorno
al collo. “Solo per questo?” gli chiese alzando un
sopraciglio.
Caspian la penetrò con
uno
sgardo acceso. “Per questo. Per la carezza per la quale mi
svegli ogni mattina”
con una mano percorse il profilo del volto della regina “per
la fermezza con la
quale mi hai sostenuto durante questi dieci anni di governo. Per
l’amore con la
quale accudisci nostro figlio” le sollevò il mento
con dolcezza “e per le tue
labbra che mi sussurrano che mi ami”. Il baciò che
seguì fu pieno di quella
calma e di quell’amore consapevole tipico solo di due persone
che, dopo essersi
scelte e conosciute, sanno di non dover avere fretta nel dimostrarsi il
reciproco affetto perché hanno tutta la loro esistenza da
trascorrere insieme.
“La mia vita è
più perfetta
di quanto avessi mai potuto progettare, e questo lo devo unicamente a
te” gli
mormorò poggiando la sua fronte su quella di Susan.
La regina sorrise,
riscaldata da quelle parole. “Sicuro che non potrebbe
divenire più perfetta
ancora?” insinuò a bassa voce, alzando lo sguardo
sul suo viso.
Il giovane si accigliò.
“Non
vedo come ciò possa essere possibile. Il mio regno prospera
e ho una moglie e
un figlio meravigliosi per i quali darei la vita. Chiedere di
più sarebbe
chiedere l’inesistente.” Osservò
convinto.
Susan gli accarezzò
distrattamente i capelli scuri. “E se ti dicessi che presto
potresti avere un
altro figlio meraviglioso per il quale daresti la vita?”
Caspian la fissò
confuso, ma
quando il significato che quelle parole portavano venne assimilato, la
confusione lasciò il posto prima allo stupore e poi alla
gioia più pura. Il re
sollevò Susan per i fianchi e urlò di
felicità, gli occhi che brillavano.
“Davvero aspetti un
bambino?
Da quanto?” volle sapere rimettendola giù e
stringendola forte a sé.
Susan rise, appagata dalla
reazione del marito. “Due mesi. Dovrebbe nascere a Gennaio
dell’anno prossimo”
Caspian guardò la donna
che
amava, godendo della visione del suo sorriso radioso che si spandeva
fino ai
lucenti occhi castani, pieni di quella dolcezza e di quel calore da cui
da
sempre attingeva la sua forza. Con delicatezza poggiò una
mano sul ventre della
ragazza, pensando emozionato al tesoro che sua moglie custodiva dentro
di sé in
quel momento.
“è ancora
presto per
sentirlo” gli ricordò con tenerezza Susan.
Caspian la guardò
estasiato,
come se avesse dinanzi una dea. La dea che con la sua benevolenza gli
stava per
donare un secondo figlio, una seconda ragione per vivere.
“Se questa volta
è una
femmina la chiameremo Alhena” decise il giovane.
“Abbiamo tempo per
pensarci,
non trovi?” gli fece notare la sua sposa, cingendogli
nuovamente le spalle.
“Non è mai
troppo presto per
pensare ad una bimba con gli splendidi lineamenti di sua
madre” ribattè
Caspian, facendo scorrere le braccia attorno alla sua vita.
“Né per un
maschietto con
gli stessi grandi occhi scuri e il sorriso dolce del padre”
concordò Susan.
La regina gli posò un
altro
bacio leggero sulle labbra, prima di girarsi nella stretta del giovane
e
appoggiare la sua schiena al busto di lui, riscaldata dalle sue braccia
forti
ma che la teneva con delicatezza.
Caspian la cullò nel suo
abbraccio, perso nella meravigliosa notizia che la moglie gli aveva
appena
dato.
Un figlio. Un’altra
splendida
creatura che gli avrebbe fatto il dono di chiamarlo
“papà”. Questa volta poi
poteva assaporare appieno la gioia di quella prospettiva senza la paura
di non
essere all’altezza della situazione, timore che lo aveva
colto nell’apprendere
l’imminente nascita di Andrew. Quando una mattina Susan, dopo
due settimane che
era vittima di nausea e svenimenti, gli aveva annunciato la lieta causa
dei
suoi malesseri, si era sentito preda di una felicità
incontenibile, ma presto
il terrore di non essere un buon padre, di rovinare
l’esistenza di un’altra
persona, di non essere in grado di badare ad un figlio, lo aveva quasi
paralizzato. Un terrore che lo aveva accompagnato per tutti i mesi
della
gravidanza e che diveniva più grande tanto più
evidente diventava la pancia di
sua moglie. Un terrore che si era dissolto come neve al sole solo
quando per la
prima volta aveva stretto tra le braccia un fagotto roseo, con gli
occhi e i
pugnetti chiusi. Un fagotto che era suo figlio. La sensazione che aveva
provato
era stata indescrivibile. All’improvviso aveva realizzato
ciò che doveva fare.
Era talmente semplice che si era dato dell’idiota per non
averlo compreso
prima. L’unica cosa possibile da fare verso quella creatura
nata dall’amore tra
lui e Susan, era amarla. Solo e semplicemente questo. Amarla.
Come amava sua moglie. Come
amava il suo popolo. Un atto che avrebbe potuto compiere per tutta la
vita. Un
sentimento che lo avrebbe accompagnato riempiendo la sua esistenza e
che non si
sarebbe mai esaurito, ma che avrebbe perseverato eterno come il vento
che
soffia tra le foglie, sempre alimentato da nuove emozioni e vicende,
come
faceva già da dieci anni e come avrebbe fatto per tanti
decenni a venire.
*
“2 tonnellate di legname
in
cambio dei vostri farmaci, entro la fine di luglio, mi sembra uno
scambio equo,
signor Isador”
Un uomo sulla quarantina
firmò
la pergamena sulla quale era stato redatto il nostro accordo sorridendo
soddisfatto.
“è sempre un
piacere
trattare con voi, Vostra Altezza”
“Il piacere è
mio” gli
risposi, alzandomi dalla sedia e porgendogli la mano.
Isador chinò la testa
scura
e mi baciò il dorso della mano prendendomela con la sua
guantata. Poi batté le
mani due volte e accanto a lui comparve il mantello blu notte che gli
avevo
fatto sistemare da un cameriere al suo arrivo al castello. Con un
fluido
movimento del braccio si posò la mantella sulle spalle,
avvolgendo la sua bassa
figura, resa rotonda da un evidente amore per la buona cucina.
“Manderò degli
uomini fidati
al confine per la consegna del legname” rassicurai il mago.
Questi rivolse il suo viso
paffuto e bonario verso di me, guardandomi con piccoli occhi verdi, che
nascondevano una scintilla di furbizia a dispetto del sorriso semplice
che
mostrava. “Vi aspetteremo puntuali,
Maestà.” Mi rispose.
Annuii fiduciosa delle sue
parole. Da quando cinque anni fa erano cominciati i rapporti con il
mondo dei
maghi, non avevo mai avuto motivo di lamentarmi di una loro mancanza.
Anzi, la
loro efficienza nel rispettare gli impegni era invidiabile, specchio di
una
scrupolosa organizzazione interna. Ogni sei mesi, precisi come orologi,
al
confine avvenivano gli scambi che avevamo concordato durante gli
incontri tra
gli ambasciatori e me. Scambi che si erano rivelati molto vantaggiosi
sia per
Narnia che per Suavitas, dandomi ragione sul fatto che i nostri due
popoli
dovessero ricominciare ad avere una linea di comunicazione.
Non era stato facile da
attuare come progetto. La prima volta che avevo accennato a Peter della
possibilità di avviare una relazione con il popolo
aldilà delle Montagne
Rocciose, avevo trovato un re restio ad accettare la mia proposta.
Aveva da
subito compreso il mio desiderio di conoscere quel luogo utopico che
nelle mie
fantasie aveva assunto una cornice da fiaba succube dei racconti di
Aslan, ma
temeva conseguenze negative dal riallacciare i rapporti con la
comunità dei
maghi. Aveva paura che tentare di riavvicinare i nostri due popoli
riaccendesse
le rivalità già emerse in passato e che avevano
portato alla guerra. Timori
plausibili ma che per fortuna ero riuscita a fargli superare con una
semplice
argomentazione. Il mio tentativo di stringere un’alleanza con
loro non avrebbe
portato ad una nuova unione tra maghi e creature di Narnia, ma
semplicemente
alla rinnovata conoscenza dell’esistenza gli uni degli altri.
Trovavo insulso
che due popoli che condividevano lo stesso passato e abitavano sulla
stessa
terra, ignorassero le reciproche esistenze solo per dissidi sorti
migliaia di
anni fa, in un passato talmente remoto che nessuno più
ricordava. Suavitas e
Narnia potevano andare d’accordo, aiutarsi l’un
l’altra continuando però a
vivere la loro vita di sempre, senza che una popolazione interferisse
con le
abitudini dell’altra. Desideravo un rapporto aperto, che
procurasse benefici ma
non portasse alla guerra.
Tre mesi dopo, io, Peter e
un piccolo manipolo di uomini stavamo attraversando il Bosco Fosco,
meta: la
dimenticata Suavitas.
“Le auguro una buona
giornata, Vostra Altezza” mi salutò con tono
affatto ossequioso, anzi, quasi
confidenziale grazie agli incontri mensili che tenevamo da ormai cinque
anni.
Isador era un brav’uomo, rispettoso ma socievole. Discutere
con lui sulle
novità e l’andamento dei rispettivi regni era un
incarico che mi ero assunta
con enorme piacere, diventando l’ambasciatrice di Narnia, un
compito mio
soltanto in cui Peter mi aveva lasciato completa capacità di
agire. Un compito
che mi ero guadagnata vincendo oltre il suo scetticismo, quello di
Suavitas la
prima volta che vi avevamo messo piede.
Lo stupore dei maghi e delle
streghe al nostro arrivo era stato talmente forte da essere quasi
tangibile, ma
a poco a poco la diffidenza iniziale era scemata in
curiosità fino a divenire
vivo interesse. Nessuno si era mai avventurato nelle loro terre e
nessuno aveva
mai osato lasciarsele alle spalle, eccetto Jadis, la cui storia
però era
sconosciuta alle orecchie del magico popolo. La possibilità
di superare i
propri confini e di avventurarsi nella terra dove i loro antenati erano
cresciuti stuzziccò molte menti, facendoci divenire da
stranieri inattesi ad
ospiti desiderati. Il sindaco della città in cui eravamo
giunti, Florarbor,
volle sapere ogni dettaglio del nostro regno, divenuto quasi una
leggenda dati
i secoli che non se ne parlava. La mia proposta di provare a ricreare
un
rapporto tra le nostre due civiltà e di aprire le strade
alla condivisione
delle nostre due culture fu presa in considerazione dal nostro ospite,
con la
promessa che avrebbe radunato il Consilium Rei Publicae, portandoci a
Corusca,
la capitale del loro regno nonché sede del consiglio.
Il viaggio durò tre
giorni e
una volta giunti fummo accolti con cordialità dal sindaco di
Corusca, Ethan
Godfrey. Ci volle una settimana per radunare i sindaci di tutte le
quindici
regioni dello Stato, ma alla fine il Consilium ebbe inizio e Peter ed
io ebbimo
la possibilità di partecipare e di proporre la nostra
pacifica alleanza.
Convincere la maggioranza a
votare per la nostra idea non fu facile. Molti condividevano il timore
del re
di Narnia espresso in precedenza a me, quello di un ritorno delle
ostilità tra
i due popoli. Fortunatamente però le argomentazioni che
avevano vinto Peter
unite ad una grande novità, ovvero quella di una regina di
Narnia appartenente
in origine alla loro comunità, riuscì infine a
vincere i miscredenti. Il “si”
ebbe la maggioranza, e le trattative tra i due regni cominciarono. In
capo ad
una settimana fu stilato un trattato di alleanza, che comprendeva la
libertà di
entrambi i popoli di valicare il confine oltre ad alcuni scambi
commerciali. Il
territorio di Suavitas infatti, stretto tra le Montagne Rocciose e il
Grande
Mare, scarseggiava di materie prime, abbondanti invece nella
più vasta Narnia.
Eravamo giunti così all’accordo di condividere
parte delle nostre risorse in
cambio dei medicamenti, inesistenti a Narnia, che alcuni maghi
specializzatesi
nelle cure mediche avevano creato, e altri oggetti per uso quotidiano
che
potevano migliorare le condizioni di vita degli abitanti del mio regno.
“Grazie, buona giornata
anche a lei”.
Con un ultimo cenno del capo,
il mago si smaterializzò sotto i miei occhi, tornando nella
sua patria.
Presi la pergamena dalla
scrivania in noce e la arrotolai per deporla con cura dentro il
cassetto.
Soddisfatta del contratto appena rinnovato, uscii dal mio studio,
unicamente
dedicato al mio incarico da ambasciatrice. Avevo optato per la
semplicità e la
funzionalità nell’arredarlo, limitandomi ad una
scrivania con l’occorrente per
scrivere, comode sedie e un tappeto per rendere più caldo
l’ambiente. L’unico
mobilio non funzionale era la lunga libreria che ricopriva gran parte
delle
pareti. I libri che vi erano riposti non erano mai stati consultati per
il mio
lavoro, ma come potevo resistere allo stereotipo di uno studio con la
libreria?
Mi sistemai alcune pieghe
della gonna rosa antico, liscia e lunga fino ai piedi, e le maniche
formate da
due striscie in voile che morbide ricadevano sulle braccia lasciando
scoperte
le spalle, prima di uscire dalla stanza. Percorsi il corridoio
innondato dalla
luce del giorno, prestando scarsa attenzione alla mia direzione.
Conoscevo quel
castello talmente bene che avrei potuto muovermi ad occhi bendati dopo
otto
anni che vi abitavo. E dopo essermi smarrita nei suoi meandri un
centinaio di
volte i primi tempi. Peter aveva deriso il mio scarso senso
dell’orientamento
per mesi, ma alla fine ero riuscita ad imparare a riconoscere i
corridoi e ad
amare ogni centimetro di quel palazzo, condividendo il sentimento che
aveva
spinto il re a voler ricostruire Cair Paraveil esattamente
com’era durante il
suo primo governo. I lavori del castello erano stati uno dei primi
ordini di
Peter e nel giro di due anni, sotto la sua stretta vigilanza, Cair
Paraveil era
tornata a risplendere sulla sua posizione privilegiata sulla scogliera.
Le
colonne in marmo, i balconi in muratura, le stanze con i loro trompe
d’oil, e
altri mille dettagli che il cuore del sovrano non aveva scordato, erano
stati
ricostruiti con fedeltà rispetto all’originale. Il
tetto di cristallo aveva
ripreso a sormontare i quattro troni, con l’unica differenza
che il terzo
scranno da sinistra invece di essere occupato da Susan era divenuto
mio. La
seconda Pevensie sarebbe rimasta regina di Narnia, ma abitando ormai
stabilmente a Telmar aveva deciso di rinunciare ad un governo attivo
sul suo
primo regno, cedendo a me il suo posto. Con sommo piacere di Peter e
mio enorme
disappunto. L’appellativo “Altezza” mi
calzava ancora stretto nonostante
fossero ormai anni che mi si rivolgevano con quel titolo o con i suoi
numerosi
e altisonanti quanto sgraditi sinonimi. Senza contare che, come
aggiunta alle
mie disgrazie, Peter era infine riuscito a convincermi a prendere le
redini del
regno ereditato da mia madre. Così da che non volevo sentir
parlare di governo
o responsabilità mi ero ritrovata regina di Narnia e
imperatrice delle Isole
Solitarie. Quando si dice la fortuna…
Arrivata alla fine del
corridioio, cominciai a scendere la grande scalinata che mi avrebbe
condotta al
salone d’ingresso, una sala circolare decorata con varie
statue raffiguranti
fauni e ninfe e arazzi che raccontavano episodi della gloriosa storia
di
Narnia. Alla fine del corridoio raggiunsi il portone in mogano,
controllato
dalle sculture di due imponenti minotauri. Aprii un’apertura
ad altezza d’uomo
creata all’interno del battente di destra, ideata per le
entrate e le uscite di
persone singole in modo da evitare l’apertura delle due
pesanti ante principali
quando non necessaria.
Finalmente mi ritrovai nel
cortile, all’aria aperta. Gli alberi del viale accolsero il
mio arrivo
inclinando le fronde imitando un inchino, che ricambiai lieta. Feci
scorrere lo
sguardo lungo il prato verde, dove aiuole dai mille colori danzavano al
ritmo
del vento. Respirai a fondo quell’aria che aveva il sapore
della quiete, finché
il suono di risate conosciute non interruppe quel silenzio.
Mi diressi verso le risa,
percorrendo il fianco del castello verso sinistra fino ad arrivare in
un’altra
ala del cortile. Un sorriso spontaneo mi si dipinse in viso alla
meravigliosa
vista che mi si parò dinanzi. Un giovane uomo, alto e
slanciato, con i capelli
biondi che riflettevano il sole, giocava con una ragazza dalla fluente
chioma
castana e due bambini, un maschietto di sette anni e una femminuccia di
quattro
dai boccoli color dell’oro.
“Ah! Se ti
prendo…!” il
bimbo iniziò a correre ma non riuscì a scappare
dalla presa di Peter. Il
giovane lo agguantò e Andrew cadde sotto
l’implacabile attacco di solletico
dello zio.
Le risate dei quattro mi
riempirono il cuore di gioia, un sentimento che vi albergava da dieci
anni. Da
quando avevo deciso di restare a Narnia. Da quando Peter aveva
rinunciato a
Londra per restare con me.
Il tempo ci aveva dimostrato
come le nostre scelte fossero state giuste. Non c’era stato
un solo giorno in
cui avessi rimpianto la mia decisione, la quale mi aveva condotto
unicamente
verso la felicità. Una felicità che era aumentata
dai lieti cambiamenti che la
vita a Narnia mi aveva portato.
Inanzitutto il vedere con i
miei occhi i luoghi in cui ero nata. La visita a Suavitas di cinque
anni fa e
le successive erano dei ricordi preziosi che mi avevano dimostrato come
potessi
trovare ancora qualcosa di più sbalorditivo dei paesaggi di
Narnia visitando i
luoghi che Jadis aveva descritto nei suoi diari e altri ancora.
Durante uno di quei viaggi poi
c’era stato anche un altro grande cambiamento. Un cambiamento
per il quale
avevo a lungo tentennato ma che alla fine mi ero decisa ad affrontare.
Il
matrimonio.
Un piccolo urlo
accompagnò
il secondo agguato ai danni di Andrew da parte di suo zio. Era
incredibile la
somiglianza tra il bimbo e Caspian. Nei tratti del viso ovale di Andrew
si
potevano chiaramente riconoscere gli stessi lineamenti del padre.
Sembrava la
sua copia in miniatura. Era molto più vivace di lui
però. Non perdeva
un’occasione per cacciarsi in qualche guaio e più
di una volta il re di Telmar
insieme a mio marito avevano dovuto andarlo a recuperare da qualche sua
spedizione avventurosa nei boschi.
Mio
marito.
Una parola il cui suono era diventato dolce nel corso dei nostri sette
anni di
matrimonio. Prima di accettare la sua proposta lo avevo fatto penare
per ben
tre anni, rimandando con la scusa di non sentirmi ancora pronta a
legarmi
ufficialmente. Volevo aspettare di aver compiuto almeno i
vent’anni d’età. Dal
mio punto di vista poi non c’era alcun bisogno di metterci
fretta. Vivevamo
insieme ed eravamo felici, non vedevo il perché di dover
ufficializzare la
nostra unione con una cerimonia fastosa e subire dopo tutte le
conseguenze che
essa avrebbe portato con sé, prima tra tutte la corona.
Sposando Peter sarei
divenuta la regina di Narnia, un’idea che mi terrorizzava,
talmente grande da
schiacciarmi.
Alla fine però avevo
ceduto.
E come avrei potuto dire ancora di no a Peter dopo l’ultimo
modo che aveva
trovato per chiedermi di sposarlo? In una delle nostre visite a
Suavitas mi
aveva portata in barca sull’Argecus, il lago dalla peculiare
capacità di mutare
le sue acque in argento liquido se illuminato dai raggi del sole, e
cogliendomi
impreparata mi aveva chiesto di diventare sua moglie. Lo scegliere lo
stesso
posto che aveva fatto da scenario alla proposta di matrimonio da parte
di Ian a
mia madre aveva sortito il suo effetto. La sorpresa unita al calore che
mi
aveva procurato il sapere come Peter si fosse ricordato di quel
particolare
della vita dei miei genitori, mi aveva fatto pronunciare il fatidico
“si”.
Pochi giorni dopo mi ero
ritrovata ad affrontare il matrimonio e tutto ciò che ne
sarebbe conseguito.
Per l’organizzazione della cerimonia Susan e Lucy, il cui
ritorno era giunto
dopo appena tre anni dalla partenza assieme al fratello dimostrando
come la
nostra fiducia in Aslan non fosse stata mal riposta, si erano rivelate
delle
instancabili aiutanti. Susan aveva coordinato i preparativi mentre Lucy
si era
divertita a sfornare idee sempre più creative per
l’evento, rifacendosi della
mancata partecipazione al matrimonio della sorella.
Così una calda mattinata
primaverile aveva visto il re Supremo di Narnia unirsi in matrimonio
con la
figlia della Strega Bianca. O almeno in questo modo era stato riportato
l’evento. Per me ciò che quel cielo limpido aveva
assistito era stata l’unione
tra una delle ragazze più fortunate di Narnia e il giovane
che amava più di se
stessa e che le aveva mozzato il respiro quando lo aveva visto
sull’altare posto
tra due alberi di pesco, splendido nel suo abito rosso e oro.
Con un sorriso pensai a come
solo in quell’esatto istante tutto il timore che la parola
“matrimonio” mi
aveva da sempre ispirato si fosse dissolto. Persino il diventare regina
di
Narnia divenne un’innezia se paragonato a ciò che
stavo per fare: dichiarare al
mondo intero che quel meraviglioso ragazzo che mi sorrideva colmo di
felicità
era mio marito e che lo sarebbe stato per sempre. Il
“si” che suggellò la
nostra unione fu accompagnato da un vortice di petali di fiori di pesco
che ci
avvolse, accarezzandoci, e da canto cristallino di una Fenice che
portava
l’augurio di vivere un amore eterno secondo la tradizione di
Narnia.
“Zia Cate!”
Una voce acuta mi
riportò al
presente.
“Zia Cate salvami! Zio mi
vuole fare il solletico!”
Novanta centimetri di pura
energia mi stavano correndo incontro, inseguiti dal
“terribile” Peter.
“Oh no, ti
proteggerò io!”
dissi allargando le braccia. Andrew si tuffò letteralmente
nella mia stretta ed
io mi interposi tra il bimbo e Peter, che mi guardò felice
di constatare che
avevo finito il mio compito per quel giorno.
“Consegnami Andrew o
dovrò
fare il solletico anche a te” minacciò.
“Mi spiace ma Andrew
è sotto
la mia protezione, se lo vuoi dovrai vedertela con me” stetti
al gioco.
“Vai zia, fagli
vedere!” mi
incoraggiò il piccolo, ben attento a non sporgersi troppo da
dietro la mia
schiena.
“Ah è
così eh?” indispettito
Peter si mise le mani sui fianchi. “Allora vorrà
dire che farò il solletico ad
entrambi!” e riprese a correre nella nostra direzione.
“Andrew
scappa!” lo incitai
correndo a mia volta verso le altre due persone presenti nel cortile.
“Zia Lucy aiutaci
tu!” gridò
Andrew in direzione della ragazza dai lunghi capelli castani. Lucy
acchiappò il
bimbo e lo prese in braccio per “proteggerlo”,
divertita dalla fuga del nipote.
Un braccio mi afferrò
per la
vita e mi fece sdraiare a terra con una lieve pressione.
L’attacco di solletico
che seguì fu immediato.
“No, no,
fermo!” cominciai a
ridere cercando di bloccargli le mani.
“Colpa tua che ti sei
messa
in mezzo. Ora devi pagare pegno” ribattè Peter
divertito. “Ragazzi forza, tutti
contro Cathrine!”
Andrew non se lo fece
ripetere due volte, felice di non essere più il bersaglio
dello zio, e presto
fu seguito anche da una sghignazzante Lucy.
“Basta, basta,
pietà!” ormai
avevo le lacrime agli occhi.
“Mama, ti difendo io,
mama!”
Due piccole manine si
posarono sul grande petto di Peter, cercando di allontanarlo da me. Il
biondo
si spinse all’indietro, fingendo di essere stato vinto dalla
forza della minuta
creatura che gli si parò di fronte.
L’attacco ai miei danni
ebbe
fine ed io potei riprendere a respirare. Mi drizzai a sedere e strinsi
forte il
vitino della bambina che avevo davanti.
“La mia
salvatrice” la
ringraziai dandole un bacio tra i boccoli dorati.
“Ti talvo io
mama” ripeté la
bimba, guardandomi soddisfatta del suo operato con i suoi grandi
occhioni
azzurri come il cielo in primavera. Lo stesso azzurro intenso di quelli
del
padre.
“Ah quindi preferisci la
mamma al papà?” si intromise Peter fingendosi
arrabbiato.
Posa che non gli riusciva
affatto se l’indirizzata era sua figlia. Peter non amava
Eveleen. No, amare era
un verbo riduttivo. Peter adorava
Eveleen. Da quando la piccola era nata non lo avevo mai sentito alzare
la voce
o perdere la pazienza con lei. Da quando aveva aperto i suoi occhi ai
suoi
primi passi, Peter le era stato accanto, sempre pronto a proteggerla,
ad
aiutarla o semplicemente a trascorrere del tempo con lei. Come quando
la
portava a cavalcioni per il grande cortile o giocava a nascondino tra
le sale
del castello. Oppure come quando le leggeva le fiabe la sera, facendola
addormentare nel letto matrimoniale tra le nostre braccia prima di
metterla nel
suo lettino e salutarla con uno sguardo che sfiorava semplicemente la
venerazione, come avevo più volte potuto ammirare accostata
allo stipite della
porta della sua cameretta.
Eveleen rimase interdetta
dalle parole del padre. Si mordicchiò il labbro e i suoi
grandi occhi si fecero
umidi per la paura di aver offeso Peter.
“No, no, io voio tanto
bene
a papà!” trillò e si tuffò
tra le sue braccia, per rimediare al piccolo danno
compiuto.
Peter le scompigliò i
ricci
biondi e la strinse con un braccio ridendo.
Il mio cuore si gonfiò
di
gioia. Nessun panorama, nessuna opera d’arte poteva ripagare
la visione di mio
marito e mia figlia abbracciarsi. Era una vista che mi dava
l’ennesima conferma
che le scelte e i fatti compiuti finora erano stati quelli giusti.
“Zia Lu,
dov’è zio Ed?”
La domanda di Andrew mi fece
notare l’effettiva assenza del terzo dei Pevensie.
“Ha ragione, dove si
è
cacciato?” chiesi anche io, cercando con gli occhi.
Lucy sorrise maliziosa e
indicò un punto oltre le sue spalle, una grande quercia
dietro alla quale si
intravedeva il profilo di un giovane uomo. “è con
Melanie” disse allusiva.
“Ah…”
le fece eco
comprendendo.
“Uffa, non gioca
più con noi
per stare con Mel, non è giusto!”
sbuffò invece il piccolo Andrew.
Melanie era la figlia del
generale dell’esercito di Telmar. Una ragazza graziosa, ben
educata, con corti
capelli castano chiaro e un fisico minuto, che era riuscita a far
invaghire di
sé Edmund fino a fargli perdere la testa. Cosa che,
ovviamente, lo rendeva oggetto
di continue battute più o meno velate da parte nostra, Lucy
in primis.
I due si erano incontrati
circa un mese prima quasi per caso. Edmund era andato a trovare Susan e
Caspian
a Telmar e nelle scuderie del castello aveva trovato una giovane
ragazza,
persasi nel grande castello mentre cercava il padre per recargli un
messaggio
da parte della moglie. Da bravo cavaliere Edmund non aveva resistito ad
aiutare
il prototipo della donzella in difficoltà, finendo per
innamorarsi della
giovane dai luminosi occhi smeraldini e aumentando di conseguenza le
sue visite
a Telmar.
Nonostante le battute
però,
noi tutti eravamo felice per il moro. Erano una trentina di giorni che
camminava ad un metro dal suolo, come si poteva non augurargli altro se
non che
la sua relazione con Melanie proseguisse?
Andrew, ancora imbronciato
per la mancanza dello zio, si avvicinò ad Eveleen, appena
lasciata andare dal
padre intenta a raccogliere un mazzetto di margherite da terra. Con la
coda
dell’occhio vidi il suo sguardo mutare da atterrito a furbo e
con un gesto
fulmineo strappò di mano i fiori dalla manina di Eve.
“Dammeli Andy!
Cattivo!” la
protesta della bimba non tardò a farsi sentire.
Andrew, divertito, alzò
il
braccio con la quale teneva le margherite in alto, fuori dalla portata
della
cugina.
Eveleen iniziò a saltare
cercando di raggiungere i fiori, ma la distanza era troppa per le sue
corte
gambe, non ci sarebbe mai riuscita.
Contrariata, mi alzai,
pronta a mettere fine alla disputa mentre il faccino di Eveleen
cominciava a
contrarsi pronto al pianto.
“Dammi i
fioli!” gridò
arrabbiata la piccola, pestando un piede per terra.
Ciò che seguì
lasciò tutti
sbigottiti.
I fiori svanirono dalla mano
stretta di Andrew e ricomparvero in quella di Eveleen, la quale
soddisfatta
ricacciò indietro le lacrime e si allontanò dal
cugino dispettoso.
Peter e Lucy mi guardarono,
negli occhi una muta richiesta.
“Non sono stata
io”
sussurrai incredula.
Posai lo sguardo su mia
figlia, che felice aveva ripreso a raccogliere margherite,
apparentemente
ignara dello stupore che aveva suscitato in tutti compreso Andrew.
Eveleen…aveva compiuto
una
magia?
Mi avvicinai a lei,
chinandomi alla sua altezza e passandole un braccio intorno al vitino.
“Amore, puoi dire alla
mamma
come hai fatto a riprendere i tuoi fiori?” le domandai
cercando di mantenere
una facciata tranquilla.
La bimba sbatté gli
occhioni. “Io li ho chiamati e lolo sono venuti,
mama” mi rispose alzando le
spalle, come se fosse la cosa più semplice del mondo.
Le mie labbra si distesero
in un sorriso sorpreso ma felice. La presi in braccio e la fece
volteggiare.
“Ma è
fantastico, piccola
mia!” esclamai.
La domanda più grande
che ci
ponevamo riguardo alla nascita di nostra figlia, era se sarebbe nata
con o
senza i miei poteri. Anni addietro, quando ancora vivevo a Londra, mi
ero detta
più volte che se mai avessi avuto figli avrei sperato per
loro che non
ereditassero la mia magia, in modo che avessero una vita normale. Ma da
quando
avevo imparato a vedere i miei poteri come un dono e non come una
maledizione,
la mia speranza era radicalmente cambiata. Mi ero augurata che Eveleen
ereditasse anche quel lato di me. Le avrei fatto scoprire le sue
capacità,
quanto bene potesse fare alle persone e quanto potesse anche essere
divertente
essere una strega. Le avrei dato tutto l’appoggio che a me
era mancato durante
la mia infanzia e la mia adolescenza, facendole apprezzare i suoi
poteri come
una meravigliosa parte di sé e non come
un’anomalia.
“è una cosa
molto bella?” mi
domandò, non capendo il motivo della mai gioia.
“Stupenda,
amore.” Si
avvicinò Peter, accarezzandole il viso. “Sei anche
tu una strega, come la tua
mamma” le disse, sorridendomi. Sostenendo Eveleen solo con un
braccio, mi
avvicinai a lui per un bacio, lieta che anche lui considerasse
meravigliosa la
scoperta. Avevamo già affrontato la possibilità
che Eveleen avesse dei poteri
in alcune nostre discussioni, e il re mi aveva già
rassicurata sul fatto che
avrebbe considerato la magia come un altro aspetto splendido della sua
“piccola
stellina”, esattamente come faceva con la madre, vederlo
però confermato era un
sollievo.
La bimba mi guardò
spalancando gli occhi. “Quindi anche io posso fale le bolle
cololate?” chiese
diffidente.
Scoppiai a ridere. “Ma
certo! E quando sarai più grande ti insegnerò
tante altre magie, ancora più
belle!” le promisi.
“Come volare, per
esempio”
si intromise Lucy, eccitata anche lei dalla nuova notizia.
Mia figlia volse il faccino
stupito verso la zia. “Volale? Come le falfalle?”
“Si. Lo sai che la tua
mamma
è riuscita a far volare lo zio Edmund, una volta?”
“Davvelo?” gli
occhi della
bimba divennero tanto grandi da riempirle tutto il viso.
“Ma certo, vuoi che ti
racconti come è accaduto?” chiese la ragazza
avvicinandosi con un sorriso.
“Si!”
esclamò Eve
protendendo le braccia verso la zia. Gliela diedi in braccio, obbedendo
al suo
desiderio, e le vidi allontanarsi poco più in là
mentre Lucy cominciava a
narrare sotto lo sguardo meravigliato della nipote.
Scossi la testa divertita,
ripensando a quanto tempo era passato da quell’episodio.
Anzi, da quell’intera
grande avventura che aveva richiamato i Pevensie a Narnia dopo il loro
millenario esilio. Un’avventura per fortuna conclusasi bene,
come quella che
aveva riportato nel regno Edmund e Lucy dopo tre anni dalla loro
partenza.
Caspian e Peter erano
partiti a bordo di un veliero alla ricerca dei sette Lord esiliati
precedentemente da Lord Miraz, una missione apparentemente semplice che
però si
era trasformata in un pericoloso viaggio tra isole maledette e pirati
ostili.
Durante il viaggio, inaspettatamente avevano visto emergere
dall’acqua i più
piccoli dei Pevensie assieme ad un loro cugino di nome Eustace Scrubb,
e con il
loro aiuto, certamente mandato provvidenzialmente da Aslan, erano
riusciti a
concludere la missione, alla fine della quale Eustace aveva rifatto
ritorno a
Londra, mentre Edmund e Lucy erano potuto restare con noi, tornando a
vivere a
Cair Paraveil. Lo stupore mio e di Susan, rimaste a Telmar per la
gravidanza di
quest’ultima, nel vedere tornare assieme ai nostri uomini
anche i due ragazzi
era stato immenso, ma più grande era stata la gioia che ne
era seguita.
“Così entrambe
le mie stelle
sono streghe”
Peter mi abbracciò da
dietro, appoggiando il capo nell’incavo del mio collo.
“Devi stare molto attento
ora, se ci fai arrabbiare potremmo trasformarti in un rospo”
scherzai,
reclinando indietro la testa.
Sentii la mia schiena scossa
dalla sua risata.
“Comunque sapevo che era
speciale. Esattamente come la sua mamma” mi
sussurrò, facendo giungere un
fiotto d’aria calda vicino al mio orecchio.
Girai il viso per guardarlo
negli occhi, scuotendolo leggermente.
“La magia non
è l’unica cosa
a renderla speciale. Ogni giorno che passa ti somiglia di
più. L’altro ieri
l’ho sentita sostenere una discussione con Andrew su come
fosse ingiusto da
parte sua prendere in giro il figlio di Ripicì per il
desiderio di divenire
cavaliere e di come bisognasse rispettare ogni creatura”
Un lampo d’orgoglio
passò
nelle sue iridi azzurro cielo.
“Diciamo che ha preso il
meglio di entrambi allora.”
Annuii concordando.
“Speriamo solo che non abbia preso la tua
testardaggine” aggiunsi scherzando.
“Senti da che pulpito
viene
la predica!” ribatté, fingendosi offeso.
Ridemmo entrambi, mentre le
braccia di Peter mi cullavano leggermente.
Poco distante, Andrew si era
aggiunto nel gruppo degli ascoltatori della storia di Lucy, la quale si
stava
divertendo a raccontare annedoti passati con tanto di mimo. Lucy ed
Edmund si
erano dimostrati due zii meravigliosi e instancabili baby-sitter a
tempo pieno.
Senza il loro prezioso aiuto conciliare i ruoli di sovrani e genitori
sarebbe
stato quasi impossibile sia per noi che per i regnanti di Telmar. Erano
sempre
pronti a prendersi cura dei nipoti, i quali aveva
un’adorazione per i due zii,
grandi abbastanza per accudirli e sentirsi protetti ma giovani quanto
bastava
per non dire mai di no ad un nuovo gioco.
Osservai come i boccoli
della mia bambina rilucevano al sole come quelli del papà,
seguendola ad ogni
movimento del corpicino intento nell’ascolto del racconto.
Era così bella e dolce.
L’avrei osservata tutto il giorno senza mai stancarmi. Ero
colpita dall’amore
smisurato che Peter aveva nei suoi confronti, ma io non ero da meno.
Non mi ero
mai immaginata madre, quanto meno non prima dei trent’anni.
Eppure accudire
quello scricciolo tenero quanto incredibilmente intelligente per la sua
età,
era divenuta la mia occupazione principale e più gradita.
Avevo i miei
incarichi di regina e di ambasciatrice, avevo un mio ruolo nella
società di cui
andavo fiera, ma da quando Eveleen era nata, avevo rivisto la scala
delle mie
priorità e lei si era ritrovata in cima. Era divenuta il
centro della mia vita.
Avevo avuto due donne da
chiamare “mamma”, ma poiché nessuno dei
due si era dimostrata un buon esempio
da imitare, non avevo idea di come si comportasse una brava madre. Ero
certa
però che ad Eveleen non avrei mai fatto mancare
ciò che io in particolare non
avevo avuto, amore e appoggio. Il giorno in cui era nata, avevo giurato
a me stessa
che le sarei sempre stata accanto in qualunque occasione e non sarei
mai venuta
meno al mio giuramento.
Vedendo il suo volto sereno
e spensierato, ero convinta che finora Peter ed io ce la stessimo
cavando alla
perfezione. L’unica cosa che forse ci mancava era un
po’ di polso nel far
valere qualche divieto, come non esitava a farci notare Susan. Ma,
nonostante
ci avessimo seriamente provato, né Peter né io
riuscivamo a imporci su
quell’angioletto. Ma per ora non dovevamo preoccuparci.
Eveleen era buona e
molto più obbediente del cugino, il cui gioco preferito era
cacciarsi nei guai,
qualsiasi essi fossero. Le sgridate le preservavamo per
l’adolescenza, quando,
ne ero certa, la testa dura ereditata dal padre si sarebbe fatta
sentire. Al
momento il suo unico peccato era quello di svegliarci nel cuore della
notte a
causa di un brutto sogno.
“Cathy?” mi
chiamò Peter.
Mi girai, circondandogli il
collo con le braccia.
“Si?” mormorai
serafica.
“Avresti mai immaginato
la
tua vita così?”
La domanda mi colse di
sorpresa, ma la risposta non fu difficile da dare. “No. Non
credevo si potesse
essere tanto felici” dichiarai con semplicità.
Peter mi regalò uno dei
suoi
meravigliosi sorrisi. “Nemmeno io” mi
confidò in un sussurro.
Ricambiai il sorriso,
avvicinandomi al suo viso tanto da sfiorargli il naso con il mio.
“Allora ti
dirò un segreto. Tutto questo è per sempre. Lo
hai giurato quando mi hai
sposata” dissi con il tono di chi stesse rivelando
chissà quale scoperta.
“Per sempre”
ribadì. La sua
voce, più bassa del solito, mi vibrò dentro,
facendo palpitare il mio cuore.
Incredibile come, dopo dieci anni, solo la sua voce riusciva ancora a
farmi
librare verso il cielo. Molti affermano che l’amore
è una fiamma che si
consuma. Non potevo essere più in disaccordo.
L’amore che provavo verso Peter
era ancora più profondo ora che dieci anni fa, consolidato
dalla nostra routine
quotidiana, come se ogni gesto che compivamo fosse un ceppo aggiunto a
quel bracere.
Peter mi baciò con
dolcezza,
schiudendo quelle labbra ormai modellate sulle sue.
“Mama,
papà!”
Una vocina acuta si impose
sul resto. Con un sospiro rassegnato ci separammo per rivolgerci a
Eveleen che
correndo si stava avvicinando.
“Davvelo hai fatto volale
zio Edmund per salavale papà?” chiese guardandomi
ammirata.
Sorrisi della sua meraviglia
e mi apprestai a risponderle, quando Peter mi sussurrò
all’orecchio “Stanotte
riprendiamo da dove ci siamo interrotti”.
Ero una madre. Ero una
moglie. Ero una regina. Ma avevo pur sempre ventisette anni e nessun
titolo mi
avrebbe impedito di arrossire alle sue parole. Né di
iniziare a sperare che le
lancette dell’orologio prendessero a scorrere molto, ma molto
velocemente.
“Mama!”
reclamò la mia
attenzione la bimba contrariata dalla mia lentezza nel rispondere.
“Ehm, ma certo tesoro.
Anche
se è tuo zio che merita di più la tua
ammirazione. All’epoca non ero ancora
molto brava con la magia, potevo anche farlo cadere e fargli male, ma
tuo zio
Edmund invece si è fidato lasciandosi trasportare in
volo” le spiegai.
“Più che di
coraggio
parlerei di avventatezza. Solo dopo che la battaglia fu finita mi resi
conto
del pericolo corso!”
Una voce allegra si aggiunse
al nostro gruppo.
“Zio!”
urlò il piccolo
Andrew correndo in contro ad Edmund. Il giovane gli
scompigliò affettuosamente
i capelli mentre si avvicinava a noi mano nella mano con Melanie. Rossa
di
capelli, quasi bianca nell’incarnato, la ragazza sorrideva
beata della presenza
del giovane accanto a sé, azzardando solo qualche timida
occhiata in nostra
direzione. Nonostante passasse molto tempo in nostra compagnia, non si
era
ancora abituata a parlarci normalmente. Nella sua testa, Peter, Lucy ed
io
eravamo i sovrani di Narnia, trattarci come semplici amici era tanto di
più
lontano ci potesse essere da quello che aveva imparato a fare durante
la sua
educazione. Confidavo però fosse solo questione di tempo.
Anche la timidezza dovrà
pur avere i suoi limiti, giusto?
“Fai volare anche me come
hai fatto con lo zio?” mi domandò Andrew
avvicinandosi.
“Anche me, anche
me!” si
accodò subito Eve.
“Non
saprei…” finsi di
rifletterci su.
Subito i bimbi cominciarono
a saltarmi attorno assediandomi di suppliche, sotto le risa divertite
dei
presenti.
“Mi sa che ti tocca
Cate”
suggerì mia cognata.
Sospirai, fintamente
rassegnata. “Va bene allora” concessi.
Le urla che seguirono furono
un segnale evidente della loro gioia.
Cominciai a far confluire la
mia magia nei palmi delle mani. Quando fui pronta cercai le loro
piccole auree
luminose e senza esitare le avvolsi con il mio potere.
Senza fatica, feci alzare i
due bambini in aria, poco sopra le nostre teste.
Eveleen e Andrew si
guardarono attorno estasiati. Ridendo e gridando felici, agitarono le
braccia e
le gambe come se stessero nuotando nel mare, allo scopo di muoversi.
Accondiscesi al loro desiderio, facendoli compiere in volo un giro
attorno a
noi tre rimasti a terra. Li feci alzare di un paio di metri e li
trasportai con
attenzione sopra il cortile, spaziandolo a destra e a sinistra.
I due cugini ridevano,
contenti di quel nuovo gioco, emozionati di stagliarsi contro il cielo
che
tendeva ormai all’arancione. Il sole era quasi del tutto
tramontato
all’orizzonte. Un altro giorno era finito e la luna tornava a
regnare nella
notte limpida, finché un’altra alba avrebbe
segnato l’arrivo di un nuovo
giorno. Un giorno perfetto come tutti quelli che avevo vissuto da
lì a dieci
anni e come tutti quelli che avrei avuto nel mio futuro.
Lanciai un’occhiata a
Peter,
che fissava divertito sua figlia e il nipote volteggiare come due
libellule. Ai
miei occhi non aveva mai smesso di essere il meraviglioso angelo sceso
dal
cielo unicamente per me. Era bello e regale come la prima volta che lo
avevo
visto, quando, seppur terrorizzata dal ritrovarmi in una raduna con sei
bestie
mitologiche, appena si era tolto l’elmo, non avevo potuto non
notare quanto
fosse attraente.
Forse, il nuovo
giorno perfetto poteva aspettare.
Per il momento mi sarei limitata ad aspettare quella sicuramente
meravigliosa
notte.