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Autore: 68Keira68    22/06/2011    4 recensioni
Non ti accadrà niente, io ti posso giurare che non sarai mai più sola per davvero. Attraversa il varco e sarai protetta."... Volevo scoprire la verità e se il mio destino era dietro quella sfera, l’avrei afferrato senza altre esitazioni. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, dopodiché avanzai decisa all’interno del varco. Una ragazza con speciali e unici poteri magici cerca di vivere la sua esistenza nel nostro mondo, sentendosi perennemente isolata ed emarginata a causa delle sue capacità, finché un giorno le voci di due figure sconosciute, un leone e una donna, la invitano ad entrare nel loro mondo per non sentirsi più sola e per scoprire la verità che le era stata nascosta da sempre. La giovane accetta senza sapere le enormi conseguenze che avrà il suo gesto su tutti gli abitanti di Narnia, primo tra tutti il re Peter Pevensie, che incontra in circostanze burrascose ma con il quale instaurerà un legame dolce quanto pericoloso. In una Narnia già in lotta con il tiranno di Telmar, un nuovo male, proveniente direttamente dagli incubi più reconditi di ogni abitante magico, tornerà dal suo limbo più potente e assetato di vendetta che mai. NB: La storia segue gli eventi del secondo film e ci sono tutti i personaggi, anche se i principali sono Peter, Caspian, un nuovo personaggio e una vecchia conoscenza^^
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Aslan, Caspian, Jadis, Peter Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E siamo ancora qua, come direbbe Vasco, purtroppo (almeno per me XD) per l'ultima volta. Ve lo avevo promesso, ed ecco dunque l'epilogo che pone definitivamente fine a questa lunga storia. Sarò eccessivamente sentimentale, ma vi confesserò che mi viene quasi da piangere all'idea che non scriverò più delle avventure di Cathy e Peter. So già che mi mancheranno tantissimo e con loro tutto il magico mondo di Narnia. Dopo due anni mi sembra quasi di conoscere di persona questi due personaggi e gli altri coprotagonisti, e pubblicando quest'ultimo capitolo, mi pare di salutare degli amici. Spero solo che un po' di loro resterà in voi che avete apprezzato e seguito questa storia e che non ve li scorderete subito dopo aver spento il pc, ma che resteranno almeno un poco ancora con voi :-) 

Peter e Cathy però non sono gli unici che mi mancheranno. Sentirò mille volte di più la mancanza di voi cari lettori che con pazienza mi avete seguita e appoggiata e di tutte voi anime buone che avete recensito la mia storia, regalandomi la possibilità di sapere cosa ne pensavate e dandomi talvolta dei consigli per migliorarla e migliorare il mio stile. Vi ringrazio di cuore, ogni vostra singola parola è stata la spinta giusta per continuare a scrivere sera dopo sera e mi ha riempito l'animo di gioia e orgoglio per questa storia, Witch's Daugther, ufficialmente la prima storia che riesco a concludere, a cui riesco dare un finale e pubblicarlo, un altro motivo per cui sicuramente mi resterà per sempre nel cuore. 

Bene, ora che vi ho sufficientemente annoiati a morte con tutte queste sdolcinate chiacchiere, posso lasciarvi alla lettura dell'epilogo che spero apprezzerete come degna conclusione della storia e che vi lascerà appagati :-) 

Ringraziamenti:

Dahylia: Ciao carissima^^! Forse sto diventando ripetitiva ma non smetterò di dire quanto sono felice che l'ultimo capitolo ti sia piaciuto :-) l'ultimo capitolo è sempre quello più importante, dove si tirano le somme della storia, si decide in via definitiva del destino dei propri personaggi e bisogna quindi compiere scelte che possono essere giuste e lasciare appagato il lettore o disastrose e rovinare un'intera storia, quindi ero abbastanza impaurita da responsi, ma sono super lieta di saperlo positivo e che sia riuscita a tenere alta la suspance in modo da dare la bella sorpresa alla fine. Nella conclusione ha poi prevalso il mio lato romantico. Avevo pensato di renderlo struggente con un amore reso impossibile dalla lontananza, ma poi ho pensato che ci sono tante storie tristi già nella realtà, almeno qui, nel nostro mondo fantasy di pagine d'internet dove le cose le decidiamo noi, il finale poteva essere lieto e felice e farci sognare almeno per il tempo della lettura :-) Guarda, per la decisione di Cate ti confesso che non avevo mai pensato seriamente di farla tornare a Londra con Peter, il mio marcato femminismo mi impediva di prendere in considerazione l'idea di farle perdere la sua indipendenza per amore, non ci riuscivo proprio! Sarebbe stata una scelta in cui lei avrebbe sacrificato troppo, mentre Peter, anche se rinuncia per qualche tempo a vivere con i suoi fratelli, ha tutto da guadagnare a restare a Narnia in quanto è il Re. Si, arrivare alla fine è una grande soddisfazione, mi sembra di essere riuscita a raggiungere uno scopo, un traguardo! Ti auguro di provare presto la stessa cosa e sono sicura che ce la farai! Si, ero decisamente fuori strada con la divinità XD complimenti per la fantasia del nome che hai inventato, è davvero bello, quasi musicale :-) Spero davvero tanto che l'epilogo ti piaccia e che dia un buona conclusione alla storia :-) spero di sentirti presto, un bacio grande!!!!!

bex: ma ciao!!!!!!! Sono stra felice che lo scorso cappy sia stato tanto apprezzato!!! Concordo pienamente con te, sono convinta anche io che a lungo andare il fatto di aver dovuto compiere tutte quelle rinunce avrebbe finito per rovinare il rapporto tra Cathy e Peter, infatti non ho mai seriamente pensato che Cate potesse seguirlo a Londra. Ho trovato più che ragionevole che Peter tentasse di propriorierglielo, ma come si legge nemmeno lui era convinto che Cate avrebbe accettato. Credo che nessuna ragazza del 2000, mettendo da parte l'euforia e la passione dell'attimo, avrebbe accettato di rinunciare alla propria indipendenza, sono del parere che sia l'ingrediente essenziale per vivere. Però dall'altra parte sono anche romantica e il finale con le lacrime, anche se mi aveva stilisticamente tentata, ho deciso di accantonarlo in favore dell'happy ending. Dopotutto quei due ne avevano già passate di tutti i colori poverini, un lieto fine se lo meritavano! E lo meritavamo anche noi sognatrici ^^ spero che anche quest'ultima apparizione di Cathy e Peter ti piaccia, e che mi farai presto sapere cosa ne pensi :-) un bacione e grazie mille per i tuoi complimenti!!!

sweetophelia: Ciao cara! Grazie davvero per i tuoi complimenti :-) Sono felice che sia trasparita l'incertezza fino all'ultimo, perchè oltre a essere la mia era anche il sentimento che provavano i nostri protagonisti, con la domanda madre "andare o restare?".Guarda, è la prima storia che riesco a concludere, quasi non ci credo nemmeno io che finalmente ho scritto la parola fine in una fan fiction, spero solo che questa sia la prima storia iniziata e conclusa di una lunga serie :-) Mi auguro che l'epilogo ti piaccia, fammi poi sapere cosa ne pensi^^ un bacio grande e grazie ancora!!

Un grazie enorme anche a chi ha aggiunto questa storia tra le preferite e/o le seguite, o anche a chi ha solo letto con costanza la mia ff, grazie di cuore a tutti!

Buona lettura di quest'ultimo capitolo

kisskisses

68Keira68

P.S. per le recensioni di questo capitolo, a chi avrà la pazienza di scrivermi, ringrazierò ognuno usando la mail :-) un grazie a tutti in anticipo :-)

witch

Epilogo

 

“Tesoro?”

Il richiamo si perse nella quiete silenziosa della camera da letto.

L’uomo entrò dentro la stanza, i passi attutiti dal soffice tappeto blu che ricopriva il pavimento. Fece scorrere lo sguardo sull’ambiete circostante, sul letto a baldacchino in parte celato dalla tenda blu cobalto, sul separé color creme dove risaltava una vestaglia femminile rossa, sull’armadio a due ante in noce, ma non trovò la persona cercata.

Attraversò la camera fino a giungere alla porta finestra che dava su un terrazzino, invitato dall’anta spalancata dalla quale entrava la brezza leggera che faceva ondeggiare le tende beige.

Un sorriso si dipinse sul volto del moro. A pochi passi di distanza, mollemente appoggiata alla balaustra in pietra, i lunghi capelli castani mossi dal vento, c’era la donna da lui cercata.

Caspian si prese un momento per osservarla. Nonostante fossero passati ormai dieci anni dal loro primo incontro, non si sarebbe mai annoiato di seguire il profilo perfetto del suo viso, né di scorgere il dolce sorriso che gli rivolgeva la mattina, un meraviglioso regalo che ancora ogni tanto temeva di perdere, di svegliarsi e accorgersi che quei magnifici anni trascorsi assieme non fossero altro che un sogno e che lei se ne fosse andata via con i suoi fratelli, a Londra. Poi però la stringeva tra le braccia e quando il suo profumo simile a fiori di campo lo invadeva, ogni timore svaniva, mentre si rafforzava la certezza che Susan fosse lì, che non fosse partita perché l’unico futuro in cui voleva vivere era quello in cui c’era anche lui, come gli aveva sussurrato una fatidica mattina di dieci anni prima su una piazzetta sotto gli occhi di tutto il popolo, rinunciando a ritornare nella sua città natale. Rinunciando a non vivere a Narnia. Rinunciando ad abbandonare il giovane.

Lo stupore di quel giorno nel vedere la ragazza ritornare indietro, raggiante dopo che gli aveva appena detto addio tra i singhiozzi, nel sentire le sue esili braccia allacciarsi dietro il suo collo, lo aveva quasi paralizzato. Per un lungo istante era stato incapace di qualsiasi reazione, finché la sua mente non aveva metabolizzato il messaggio delle parole di Susan. La ragazza non sarebbe partita. Sarebbe rimasta a Narnia con lui.

La gioia provata era stata indescrivibile. Aveva stretto la presa sui suoi fianchi e l’aveva alzata in aria, iniziando a ridere di felicità, dimentico del centinaio di telmarini e narniani che li osservavano poiché solo una cosa era importante in quel momento. Susan.

Caspian si scostò dall’intelatiatura della porta-finestra su cui si era adagiato e si avvicinò alla regina, immersa nei suoi pensieri al punto di accorgersi della presenza dell’uomo solo quando questi gli passò le braccia attorno alla vita, facendo aderire il suo petto alla schiena di lei.

“Ehi, ciao” mormorò sorpresa ma lieta dell’arrivo di Caspian. La ragazza volse il viso nella direzione del giovane per un bacio a fior di labbra, poi tornò a fissare l’orizzonte, adagiandosi nel suo abbraccio.

“Andrew?” domandò Susan, facendo scorrere lentamente la sua mano sull’avambraccio del re.

“è andato a Cair Paravail con Edmund e Melanie. Ed lo riporterà per cena” le rispose, posando il mento sul suo capo.

La regina sorrise. Appena poteva il figlio coglieva l’occasione di andare al castello dei quattro troni. Il bimbo, simile al padre nell’aspetto tanto quanto non lo era nel carattere esuberante e aperto, adorava sgattaiolare a Narnia e respirare a pieno l’odore della magia che lì regnava. Certo, da quando era stata stipulata la pace un decennio fa, anche a Telmar era divenuto normale scorgere minotauri e tassi parlanti intenti ad acquistare uno scudo dall’armaiolo, tuttavia solo nel regno oltre il fiume ci si poteva totalmente immergere in un’atmosfera sovrannaturale. E Andrew, con i suoi grandi e intelligenti occhi castani, ne era ammaliato.

Andrew. Il suo Andrew. Una piccola peste smilza di sette anni, capace di mettere il castello di Telmar a soqquadro giocando a fare il “prode” cavaliere e di far disperare il suo tutore per la sua incapacità di star fermo cinque minuti. Era un bambino sveglio, interessato a qualsiasi cosa gli succedesse accanto, fosse il volo di un ippogrifo o le fasi della luna, furbo quanto bastava per trovare modi sempre più fantasiosi per evitare la vasca da bagno, aveva ereditato dalla madre un grande senso pratico e organizzativo, ma peccava totalmente nell’adempiere ai suoi piccoli doveri, come era d’obbligo alla sua età, quali tenere in ordine la stanza e applicarsi nello studio. Tuttavia agli occhi di Susan gli si poteva perdonare tutto quando, con un sorriso dolce e innocente, la sera gli portava un mazzetto di margherite colte durante la sua passeggiata pomeridiana.

La regina prestò la sua attenzione allo scenario che le si prestava dinanzi. Sotto il suo sguardo la vita quotidiana di Telmar proseguiva tranquilla e vivace. Dal terrazzino della sua camera da letto poteva scorgere il fabbro battere ripetutamente il suo martello contro un ferro rovente e una donna sulla quarantina comprare il pane dal panettiere accanto tenendo per mano un pargoletto all’incirca di cinque anni; alla sua destra un gruppo di ragazzini giocava spensieratamente con dei giovani fauni al tiro con l’arco, mentre poco distante poteva vedere attraverso la vetrina del negozio una sarta intenta a prendere le misure di una cliente. Un perfetto ritratto della parola pace, una parola che lei si era impegnata a mantenere per il bene della sua gente in qualità di regina. Regina di Narnia e di Telmar, come l’avevano nominata dopo il suo matrimonio con Caspian e come si sentiva nel cuore dopo tutti quegli anni, dove aveva imparato a conoscere quel regno prima lontano e ostile ed ora tanto noto e amato.

Il suo matrimonio… quell’anno festeggiavano il loro nono anniversario ma ancora poteva viverlo minuto per minuto nei suoi ricordi e riprovare per intero la gioia di quel giorno. Caspian le aveva chiesto di sposarlo dopo un anno dalla sua decisione di restare a Narnia. Un pomeriggio di metà aprile il giovane l’aveva portata alle rovine della piccola arena davanti al loro avamposto durante la guerra, con la scusa di fare un picnik per allontanarsi per qualche tempo dall’impegno che la corona portava con sé e Susan, entusiasta dell’idea, aveva accettato prontamente. Verso il volgere della sera, quando ormai nel cielo l’azzurro cedeva il passo all’arancio acceso del tramonto, Caspian le si era inginocchiato davanti e, con voce vibrante dall’emozione, aveva aggiunto un altro ricordo legato a quel luogo per loro così speciale, chiedendole di diventare sua moglie. Susan non aveva esitato a dare una commossa risposta affermativa e a gettargli le braccia al collo. Stava aspettando quella proposta da settimane, come tutta la corte e i suoi fratelli del resto.

“A cosa pensi?”

Susan si riscosse dai suoi ricordi e si volse verso il marito. “Al giorno del nostro matrimonio” gli rivelò. “Te lo ricordi?”

Caspian ridacchiò. “Intendi il giorno in cui mi hai reso l’uomo più felice di Telmar? Si ho un vago ricordo” ironizzò. “Quando sei entrata nella Sala del Trono, con quel vestito bianco lungo e stretto, temevo di restare paralizzato dall’emozione. Eri la cosa più splendida che avessi mai visto, talmente bella che credevo ti saresti dissolta come un miraggio.” Mormorò, tornando indietro con la mente al momento in cui, dal fondo della Sala dove avevano deciso di svolgere la cerimonia, presieduta da Aslan in persona, Susan, al fianco di Peter, era apparsa fasciata da un abito da sirena, con i capelli raccolti in una crocchia tenuta in piedi da rose bianche, identiche a quelle che componevano il bouquet. L’attraversata della navata gli era parsa infinita, perso com’era nell’incedere sinuoso della bella regina e quando finalmente le aveva preso le mani tra le sue, aveva avuto l’ennesima conferma dal battere del suo cuore di come la meravigliosa donna che aveva davanti potesse essere l’unica che desiderasse al suo fianco negli anni a venire.

“Quando Aslan ci ha dichiarati marito e moglie in nome dell’Antica Magia, ho avuto la certezza che niente sarebbe più andato storto, che insieme avremmo trovato una soluzione ad ogni cosa” gli confessò Susan.

Caspian considerò a come, una decina di anni fa, un’ammissione del genere le sarebbe costata una fatica immensa e a come sarebbe deliziosamente divenuta rossa fino alla radice dei capelli, mentre ora non provava alcun imbarazzo a confidargli debolezze e sentimenti. Sotto quell’aspetto Susan aveva imparato ad aprirsi di più verso gli altri e a non vedere come una mancanza il mostrare ciò che provava. Un ragguardevole traguardo se pensava a quanto tempo avesse impiegato per ammettere che lo amava, durante i loro primi mesi insieme. Peccato solo non potesse attribuirsi il merito del cambiamento. Quello infatti andava interamente a Andrew. La nascita di loro figlio aveva cambiato profondamente il modo in cui Susan si approcciava al mondo. Era diventata meno ligia, più permissiva, capace di perdere ore a fissare il viso addormentato del suo bambino con aria trasognata, e a non vergognarsi di ammettere quanto vi fosse legata, come lo era anche lui ovviamente. Non aveva mai seriamente pensato all’idea di avere figli e all’inizio l’idea di avere la responsabilità della vita di un’altra persona lo aveva impanicato. Alla fine però, stupendo lui per primo, si era rivelato essere un buon padre, capace di misurare accuratamente negazioni e permessi, anche se erano rare le volte in cui negava qualcosa al piccolo quando veniva a chiedergliela con il faccino pieno di entusiasmo verso qualche interesse nuovo e, per lui, esaltante.

“Il popolo ha fatto festa per una settimana intera. Erano tutti così contenti. Persino Peter sorrideva!” continuò a ricordare Susan.

Caspian sbuffò all’ultima affermazione. “Parla per te, a me tuo fratello ha riservato solo ammonimenti e sguardi truci per tutta la giornata, i sorrisi e le congratulazioni te le sei prese solo tu.” Si lamentò.

La ragazza rise. “Sai com’è fatto, anche se era felice per me, soffriva nel vedermi uscire dalla sua protezione, anche se non ne avevo bisogno.” Lo difese bonaria. “E poi credo fosse anche un poco geloso” insinuò pensierosa.

Caspian si accigliò. “Geloso? E di cosa?”

“Del fatto che tu avessi ricevuto subito una risposta affermativa alla tua proposta di matrimonio. Anche Peter aveva chiesto a Cathrine di sposarlo in quei giorni, ma lei gli aveva risposto che non si sentiva ancora pronta per un passo del genere” gli rivelò.

“Non lo sapevo” il re scoppiò a ridere. “Povero Peter, Cate lo ha tenuto sulle spine per altri due anni prima di cedere!”

Susan si unì alle risate. “Peter ha provato a convincerla in tutti i modi ma lei non ne ha voluto proprio sapere. Era fermamente decisa a compiere almeno vent’anni prima di legarsi ufficialmente”.

“Adesso che lo so posso affermare di essere stato molto più fortunato” Caspian posò un bacio tra i capelli castani della giovane donna.

Susan si girò nel suo abbraccio, le labbra arricciate in una smorfia furba mentre gli passava le braccia attorno al collo. “Solo per questo?” gli chiese alzando un sopraciglio.

Caspian la penetrò con uno sgardo acceso. “Per questo. Per la carezza per la quale mi svegli ogni mattina” con una mano percorse il profilo del volto della regina “per la fermezza con la quale mi hai sostenuto durante questi dieci anni di governo. Per l’amore con la quale accudisci nostro figlio” le sollevò il mento con dolcezza “e per le tue labbra che mi sussurrano che mi ami”. Il baciò che seguì fu pieno di quella calma e di quell’amore consapevole tipico solo di due persone che, dopo essersi scelte e conosciute, sanno di non dover avere fretta nel dimostrarsi il reciproco affetto perché hanno tutta la loro esistenza da trascorrere insieme.

“La mia vita è più perfetta di quanto avessi mai potuto progettare, e questo lo devo unicamente a te” gli mormorò poggiando la sua fronte su quella di Susan.

La regina sorrise, riscaldata da quelle parole. “Sicuro che non potrebbe divenire più perfetta ancora?” insinuò a bassa voce, alzando lo sguardo sul suo viso.

Il giovane si accigliò. “Non vedo come ciò possa essere possibile. Il mio regno prospera e ho una moglie e un figlio meravigliosi per i quali darei la vita. Chiedere di più sarebbe chiedere l’inesistente.” Osservò convinto.

Susan gli accarezzò distrattamente i capelli scuri. “E se ti dicessi che presto potresti avere un altro figlio meraviglioso per il quale daresti la vita?”

Caspian la fissò confuso, ma quando il significato che quelle parole portavano venne assimilato, la confusione lasciò il posto prima allo stupore e poi alla gioia più pura. Il re sollevò Susan per i fianchi e urlò di felicità, gli occhi che brillavano.

“Davvero aspetti un bambino? Da quanto?” volle sapere rimettendola giù e stringendola forte a sé.

Susan rise, appagata dalla reazione del marito. “Due mesi. Dovrebbe nascere a Gennaio dell’anno prossimo”

Caspian guardò la donna che amava, godendo della visione del suo sorriso radioso che si spandeva fino ai lucenti occhi castani, pieni di quella dolcezza e di quel calore da cui da sempre attingeva la sua forza. Con delicatezza poggiò una mano sul ventre della ragazza, pensando emozionato al tesoro che sua moglie custodiva dentro di sé in quel momento.

“è ancora presto per sentirlo” gli ricordò con tenerezza Susan.

Caspian la guardò estasiato, come se avesse dinanzi una dea. La dea che con la sua benevolenza gli stava per donare un secondo figlio, una seconda ragione per vivere.

“Se questa volta è una femmina la chiameremo Alhena” decise il giovane.

“Abbiamo tempo per pensarci, non trovi?” gli fece notare la sua sposa, cingendogli nuovamente le spalle.

“Non è mai troppo presto per pensare ad una bimba con gli splendidi lineamenti di sua madre” ribattè Caspian, facendo scorrere le braccia attorno alla sua vita.

“Né per un maschietto con gli stessi grandi occhi scuri e il sorriso dolce del padre” concordò Susan.

La regina gli posò un altro bacio leggero sulle labbra, prima di girarsi nella stretta del giovane e appoggiare la sua schiena al busto di lui, riscaldata dalle sue braccia forti ma che la teneva con delicatezza.

Caspian la cullò nel suo abbraccio, perso nella meravigliosa notizia che la moglie gli aveva appena dato.

Un figlio. Un’altra splendida creatura che gli avrebbe fatto il dono di chiamarlo “papà”. Questa volta poi poteva assaporare appieno la gioia di quella prospettiva senza la paura di non essere all’altezza della situazione, timore che lo aveva colto nell’apprendere l’imminente nascita di Andrew. Quando una mattina Susan, dopo due settimane che era vittima di nausea e svenimenti, gli aveva annunciato la lieta causa dei suoi malesseri, si era sentito preda di una felicità incontenibile, ma presto il terrore di non essere un buon padre, di rovinare l’esistenza di un’altra persona, di non essere in grado di badare ad un figlio, lo aveva quasi paralizzato. Un terrore che lo aveva accompagnato per tutti i mesi della gravidanza e che diveniva più grande tanto più evidente diventava la pancia di sua moglie. Un terrore che si era dissolto come neve al sole solo quando per la prima volta aveva stretto tra le braccia un fagotto roseo, con gli occhi e i pugnetti chiusi. Un fagotto che era suo figlio. La sensazione che aveva provato era stata indescrivibile. All’improvviso aveva realizzato ciò che doveva fare. Era talmente semplice che si era dato dell’idiota per non averlo compreso prima. L’unica cosa possibile da fare verso quella creatura nata dall’amore tra lui e Susan, era amarla. Solo e semplicemente questo. Amarla.

Come amava sua moglie. Come amava il suo popolo. Un atto che avrebbe potuto compiere per tutta la vita. Un sentimento che lo avrebbe accompagnato riempiendo la sua esistenza e che non si sarebbe mai esaurito, ma che avrebbe perseverato eterno come il vento che soffia tra le foglie, sempre alimentato da nuove emozioni e vicende, come faceva già da dieci anni e come avrebbe fatto per tanti decenni a venire.

 

*

 

“2 tonnellate di legname in cambio dei vostri farmaci, entro la fine di luglio, mi sembra uno scambio equo, signor Isador”

Un uomo sulla quarantina firmò la pergamena sulla quale era stato redatto il nostro accordo sorridendo soddisfatto.

“è sempre un piacere trattare con voi, Vostra Altezza”

“Il piacere è mio” gli risposi, alzandomi dalla sedia e porgendogli la mano.

Isador chinò la testa scura e mi baciò il dorso della mano prendendomela con la sua guantata. Poi batté le mani due volte e accanto a lui comparve il mantello blu notte che gli avevo fatto sistemare da un cameriere al suo arrivo al castello. Con un fluido movimento del braccio si posò la mantella sulle spalle, avvolgendo la sua bassa figura, resa rotonda da un evidente amore per la buona cucina.

“Manderò degli uomini fidati al confine per la consegna del legname” rassicurai il mago.

Questi rivolse il suo viso paffuto e bonario verso di me, guardandomi con piccoli occhi verdi, che nascondevano una scintilla di furbizia a dispetto del sorriso semplice che mostrava. “Vi aspetteremo puntuali, Maestà.” Mi rispose.

Annuii fiduciosa delle sue parole. Da quando cinque anni fa erano cominciati i rapporti con il mondo dei maghi, non avevo mai avuto motivo di lamentarmi di una loro mancanza. Anzi, la loro efficienza nel rispettare gli impegni era invidiabile, specchio di una scrupolosa organizzazione interna. Ogni sei mesi, precisi come orologi, al confine avvenivano gli scambi che avevamo concordato durante gli incontri tra gli ambasciatori e me. Scambi che si erano rivelati molto vantaggiosi sia per Narnia che per Suavitas, dandomi ragione sul fatto che i nostri due popoli dovessero ricominciare ad avere una linea di comunicazione.

Non era stato facile da attuare come progetto. La prima volta che avevo accennato a Peter della possibilità di avviare una relazione con il popolo aldilà delle Montagne Rocciose, avevo trovato un re restio ad accettare la mia proposta. Aveva da subito compreso il mio desiderio di conoscere quel luogo utopico che nelle mie fantasie aveva assunto una cornice da fiaba succube dei racconti di Aslan, ma temeva conseguenze negative dal riallacciare i rapporti con la comunità dei maghi. Aveva paura che tentare di riavvicinare i nostri due popoli riaccendesse le rivalità già emerse in passato e che avevano portato alla guerra. Timori plausibili ma che per fortuna ero riuscita a fargli superare con una semplice argomentazione. Il mio tentativo di stringere un’alleanza con loro non avrebbe portato ad una nuova unione tra maghi e creature di Narnia, ma semplicemente alla rinnovata conoscenza dell’esistenza gli uni degli altri. Trovavo insulso che due popoli che condividevano lo stesso passato e abitavano sulla stessa terra, ignorassero le reciproche esistenze solo per dissidi sorti migliaia di anni fa, in un passato talmente remoto che nessuno più ricordava. Suavitas e Narnia potevano andare d’accordo, aiutarsi l’un l’altra continuando però a vivere la loro vita di sempre, senza che una popolazione interferisse con le abitudini dell’altra. Desideravo un rapporto aperto, che procurasse benefici ma non portasse alla guerra.

Tre mesi dopo, io, Peter e un piccolo manipolo di uomini stavamo attraversando il Bosco Fosco, meta: la dimenticata Suavitas.

“Le auguro una buona giornata, Vostra Altezza” mi salutò con tono affatto ossequioso, anzi, quasi confidenziale grazie agli incontri mensili che tenevamo da ormai cinque anni. Isador era un brav’uomo, rispettoso ma socievole. Discutere con lui sulle novità e l’andamento dei rispettivi regni era un incarico che mi ero assunta con enorme piacere, diventando l’ambasciatrice di Narnia, un compito mio soltanto in cui Peter mi aveva lasciato completa capacità di agire. Un compito che mi ero guadagnata vincendo oltre il suo scetticismo, quello di Suavitas la prima volta che vi avevamo messo piede.

Lo stupore dei maghi e delle streghe al nostro arrivo era stato talmente forte da essere quasi tangibile, ma a poco a poco la diffidenza iniziale era scemata in curiosità fino a divenire vivo interesse. Nessuno si era mai avventurato nelle loro terre e nessuno aveva mai osato lasciarsele alle spalle, eccetto Jadis, la cui storia però era sconosciuta alle orecchie del magico popolo. La possibilità di superare i propri confini e di avventurarsi nella terra dove i loro antenati erano cresciuti stuzziccò molte menti, facendoci divenire da stranieri inattesi ad ospiti desiderati. Il sindaco della città in cui eravamo giunti, Florarbor, volle sapere ogni dettaglio del nostro regno, divenuto quasi una leggenda dati i secoli che non se ne parlava. La mia proposta di provare a ricreare un rapporto tra le nostre due civiltà e di aprire le strade alla condivisione delle nostre due culture fu presa in considerazione dal nostro ospite, con la promessa che avrebbe radunato il Consilium Rei Publicae, portandoci a Corusca, la capitale del loro regno nonché sede del consiglio.

Il viaggio durò tre giorni e una volta giunti fummo accolti con cordialità dal sindaco di Corusca, Ethan Godfrey. Ci volle una settimana per radunare i sindaci di tutte le quindici regioni dello Stato, ma alla fine il Consilium ebbe inizio e Peter ed io ebbimo la possibilità di partecipare e di proporre la nostra pacifica alleanza.

Convincere la maggioranza a votare per la nostra idea non fu facile. Molti condividevano il timore del re di Narnia espresso in precedenza a me, quello di un ritorno delle ostilità tra i due popoli. Fortunatamente però le argomentazioni che avevano vinto Peter unite ad una grande novità, ovvero quella di una regina di Narnia appartenente in origine alla loro comunità, riuscì infine a vincere i miscredenti. Il “si” ebbe la maggioranza, e le trattative tra i due regni cominciarono. In capo ad una settimana fu stilato un trattato di alleanza, che comprendeva la libertà di entrambi i popoli di valicare il confine oltre ad alcuni scambi commerciali. Il territorio di Suavitas infatti, stretto tra le Montagne Rocciose e il Grande Mare, scarseggiava di materie prime, abbondanti invece nella più vasta Narnia. Eravamo giunti così all’accordo di condividere parte delle nostre risorse in cambio dei medicamenti, inesistenti a Narnia, che alcuni maghi specializzatesi nelle cure mediche avevano creato, e altri oggetti per uso quotidiano che potevano migliorare le condizioni di vita degli abitanti del mio regno.

“Grazie, buona giornata anche a lei”.

Con un ultimo cenno del capo, il mago si smaterializzò sotto i miei occhi, tornando nella sua patria.

Presi la pergamena dalla scrivania in noce e la arrotolai per deporla con cura dentro il cassetto. Soddisfatta del contratto appena rinnovato, uscii dal mio studio, unicamente dedicato al mio incarico da ambasciatrice. Avevo optato per la semplicità e la funzionalità nell’arredarlo, limitandomi ad una scrivania con l’occorrente per scrivere, comode sedie e un tappeto per rendere più caldo l’ambiente. L’unico mobilio non funzionale era la lunga libreria che ricopriva gran parte delle pareti. I libri che vi erano riposti non erano mai stati consultati per il mio lavoro, ma come potevo resistere allo stereotipo di uno studio con la libreria?

Mi sistemai alcune pieghe della gonna rosa antico, liscia e lunga fino ai piedi, e le maniche formate da due striscie in voile che morbide ricadevano sulle braccia lasciando scoperte le spalle, prima di uscire dalla stanza. Percorsi il corridoio innondato dalla luce del giorno, prestando scarsa attenzione alla mia direzione. Conoscevo quel castello talmente bene che avrei potuto muovermi ad occhi bendati dopo otto anni che vi abitavo. E dopo essermi smarrita nei suoi meandri un centinaio di volte i primi tempi. Peter aveva deriso il mio scarso senso dell’orientamento per mesi, ma alla fine ero riuscita ad imparare a riconoscere i corridoi e ad amare ogni centimetro di quel palazzo, condividendo il sentimento che aveva spinto il re a voler ricostruire Cair Paraveil esattamente com’era durante il suo primo governo. I lavori del castello erano stati uno dei primi ordini di Peter e nel giro di due anni, sotto la sua stretta vigilanza, Cair Paraveil era tornata a risplendere sulla sua posizione privilegiata sulla scogliera. Le colonne in marmo, i balconi in muratura, le stanze con i loro trompe d’oil, e altri mille dettagli che il cuore del sovrano non aveva scordato, erano stati ricostruiti con fedeltà rispetto all’originale. Il tetto di cristallo aveva ripreso a sormontare i quattro troni, con l’unica differenza che il terzo scranno da sinistra invece di essere occupato da Susan era divenuto mio. La seconda Pevensie sarebbe rimasta regina di Narnia, ma abitando ormai stabilmente a Telmar aveva deciso di rinunciare ad un governo attivo sul suo primo regno, cedendo a me il suo posto. Con sommo piacere di Peter e mio enorme disappunto. L’appellativo “Altezza” mi calzava ancora stretto nonostante fossero ormai anni che mi si rivolgevano con quel titolo o con i suoi numerosi e altisonanti quanto sgraditi sinonimi. Senza contare che, come aggiunta alle mie disgrazie, Peter era infine riuscito a convincermi a prendere le redini del regno ereditato da mia madre. Così da che non volevo sentir parlare di governo o responsabilità mi ero ritrovata regina di Narnia e imperatrice delle Isole Solitarie. Quando si dice la fortuna…

Arrivata alla fine del corridioio, cominciai a scendere la grande scalinata che mi avrebbe condotta al salone d’ingresso, una sala circolare decorata con varie statue raffiguranti fauni e ninfe e arazzi che raccontavano episodi della gloriosa storia di Narnia. Alla fine del corridoio raggiunsi il portone in mogano, controllato dalle sculture di due imponenti minotauri. Aprii un’apertura ad altezza d’uomo creata all’interno del battente di destra, ideata per le entrate e le uscite di persone singole in modo da evitare l’apertura delle due pesanti ante principali quando non necessaria.

Finalmente mi ritrovai nel cortile, all’aria aperta. Gli alberi del viale accolsero il mio arrivo inclinando le fronde imitando un inchino, che ricambiai lieta. Feci scorrere lo sguardo lungo il prato verde, dove aiuole dai mille colori danzavano al ritmo del vento. Respirai a fondo quell’aria che aveva il sapore della quiete, finché il suono di risate conosciute non interruppe quel silenzio.

Mi diressi verso le risa, percorrendo il fianco del castello verso sinistra fino ad arrivare in un’altra ala del cortile. Un sorriso spontaneo mi si dipinse in viso alla meravigliosa vista che mi si parò dinanzi. Un giovane uomo, alto e slanciato, con i capelli biondi che riflettevano il sole, giocava con una ragazza dalla fluente chioma castana e due bambini, un maschietto di sette anni e una femminuccia di quattro dai boccoli color dell’oro.

“Ah! Se ti prendo…!” il bimbo iniziò a correre ma non riuscì a scappare dalla presa di Peter. Il giovane lo agguantò e Andrew cadde sotto l’implacabile attacco di solletico dello zio.

Le risate dei quattro mi riempirono il cuore di gioia, un sentimento che vi albergava da dieci anni. Da quando avevo deciso di restare a Narnia. Da quando Peter aveva rinunciato a Londra per restare con me.

Il tempo ci aveva dimostrato come le nostre scelte fossero state giuste. Non c’era stato un solo giorno in cui avessi rimpianto la mia decisione, la quale mi aveva condotto unicamente verso la felicità. Una felicità che era aumentata dai lieti cambiamenti che la vita a Narnia mi aveva portato.

Inanzitutto il vedere con i miei occhi i luoghi in cui ero nata. La visita a Suavitas di cinque anni fa e le successive erano dei ricordi preziosi che mi avevano dimostrato come potessi trovare ancora qualcosa di più sbalorditivo dei paesaggi di Narnia visitando i luoghi che Jadis aveva descritto nei suoi diari e altri ancora.

Durante uno di quei viaggi poi c’era stato anche un altro grande cambiamento. Un cambiamento per il quale avevo a lungo tentennato ma che alla fine mi ero decisa ad affrontare. Il matrimonio.

Un piccolo urlo accompagnò il secondo agguato ai danni di Andrew da parte di suo zio. Era incredibile la somiglianza tra il bimbo e Caspian. Nei tratti del viso ovale di Andrew si potevano chiaramente riconoscere gli stessi lineamenti del padre. Sembrava la sua copia in miniatura. Era molto più vivace di lui però. Non perdeva un’occasione per cacciarsi in qualche guaio e più di una volta il re di Telmar insieme a mio marito avevano dovuto andarlo a recuperare da qualche sua spedizione avventurosa nei boschi.

Mio marito. Una parola il cui suono era diventato dolce nel corso dei nostri sette anni di matrimonio. Prima di accettare la sua proposta lo avevo fatto penare per ben tre anni, rimandando con la scusa di non sentirmi ancora pronta a legarmi ufficialmente. Volevo aspettare di aver compiuto almeno i vent’anni d’età. Dal mio punto di vista poi non c’era alcun bisogno di metterci fretta. Vivevamo insieme ed eravamo felici, non vedevo il perché di dover ufficializzare la nostra unione con una cerimonia fastosa e subire dopo tutte le conseguenze che essa avrebbe portato con sé, prima tra tutte la corona. Sposando Peter sarei divenuta la regina di Narnia, un’idea che mi terrorizzava, talmente grande da schiacciarmi.

Alla fine però avevo ceduto. E come avrei potuto dire ancora di no a Peter dopo l’ultimo modo che aveva trovato per chiedermi di sposarlo? In una delle nostre visite a Suavitas mi aveva portata in barca sull’Argecus, il lago dalla peculiare capacità di mutare le sue acque in argento liquido se illuminato dai raggi del sole, e cogliendomi impreparata mi aveva chiesto di diventare sua moglie. Lo scegliere lo stesso posto che aveva fatto da scenario alla proposta di matrimonio da parte di Ian a mia madre aveva sortito il suo effetto. La sorpresa unita al calore che mi aveva procurato il sapere come Peter si fosse ricordato di quel particolare della vita dei miei genitori, mi aveva fatto pronunciare il fatidico “si”.

Pochi giorni dopo mi ero ritrovata ad affrontare il matrimonio e tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Per l’organizzazione della cerimonia Susan e Lucy, il cui ritorno era giunto dopo appena tre anni dalla partenza assieme al fratello dimostrando come la nostra fiducia in Aslan non fosse stata mal riposta, si erano rivelate delle instancabili aiutanti. Susan aveva coordinato i preparativi mentre Lucy si era divertita a sfornare idee sempre più creative per l’evento, rifacendosi della mancata partecipazione al matrimonio della sorella.

Così una calda mattinata primaverile aveva visto il re Supremo di Narnia unirsi in matrimonio con la figlia della Strega Bianca. O almeno in questo modo era stato riportato l’evento. Per me ciò che quel cielo limpido aveva assistito era stata l’unione tra una delle ragazze più fortunate di Narnia e il giovane che amava più di se stessa e che le aveva mozzato il respiro quando lo aveva visto sull’altare posto tra due alberi di pesco, splendido nel suo abito rosso e oro.

Con un sorriso pensai a come solo in quell’esatto istante tutto il timore che la parola “matrimonio” mi aveva da sempre ispirato si fosse dissolto. Persino il diventare regina di Narnia divenne un’innezia se paragonato a ciò che stavo per fare: dichiarare al mondo intero che quel meraviglioso ragazzo che mi sorrideva colmo di felicità era mio marito e che lo sarebbe stato per sempre. Il “si” che suggellò la nostra unione fu accompagnato da un vortice di petali di fiori di pesco che ci avvolse, accarezzandoci, e da canto cristallino di una Fenice che portava l’augurio di vivere un amore eterno secondo la tradizione di Narnia.

“Zia Cate!”

Una voce acuta mi riportò al presente.

“Zia Cate salvami! Zio mi vuole fare il solletico!”

Novanta centimetri di pura energia mi stavano correndo incontro, inseguiti dal “terribile” Peter.

“Oh no, ti proteggerò io!” dissi allargando le braccia. Andrew si tuffò letteralmente nella mia stretta ed io mi interposi tra il bimbo e Peter, che mi guardò felice di constatare che avevo finito il mio compito per quel giorno.

“Consegnami Andrew o dovrò fare il solletico anche a te” minacciò.

“Mi spiace ma Andrew è sotto la mia protezione, se lo vuoi dovrai vedertela con me” stetti al gioco.

“Vai zia, fagli vedere!” mi incoraggiò il piccolo, ben attento a non sporgersi troppo da dietro la mia schiena.

“Ah è così eh?” indispettito Peter si mise le mani sui fianchi. “Allora vorrà dire che farò il solletico ad entrambi!” e riprese a correre nella nostra direzione.

“Andrew scappa!” lo incitai correndo a mia volta verso le altre due persone presenti nel cortile.

“Zia Lucy aiutaci tu!” gridò Andrew in direzione della ragazza dai lunghi capelli castani. Lucy acchiappò il bimbo e lo prese in braccio per “proteggerlo”, divertita dalla fuga del nipote.

Un braccio mi afferrò per la vita e mi fece sdraiare a terra con una lieve pressione. L’attacco di solletico che seguì fu immediato.

“No, no, fermo!” cominciai a ridere cercando di bloccargli le mani.

“Colpa tua che ti sei messa in mezzo. Ora devi pagare pegno” ribattè Peter divertito. “Ragazzi forza, tutti contro Cathrine!”

Andrew non se lo fece ripetere due volte, felice di non essere più il bersaglio dello zio, e presto fu seguito anche da una sghignazzante Lucy.

“Basta, basta, pietà!” ormai avevo le lacrime agli occhi.

“Mama, ti difendo io, mama!”

Due piccole manine si posarono sul grande petto di Peter, cercando di allontanarlo da me. Il biondo si spinse all’indietro, fingendo di essere stato vinto dalla forza della minuta creatura che gli si parò di fronte.

L’attacco ai miei danni ebbe fine ed io potei riprendere a respirare. Mi drizzai a sedere e strinsi forte il vitino della bambina che avevo davanti.

“La mia salvatrice” la ringraziai dandole un bacio tra i boccoli dorati.

“Ti talvo io mama” ripeté la bimba, guardandomi soddisfatta del suo operato con i suoi grandi occhioni azzurri come il cielo in primavera. Lo stesso azzurro intenso di quelli del padre.

“Ah quindi preferisci la mamma al papà?” si intromise Peter fingendosi arrabbiato.

Posa che non gli riusciva affatto se l’indirizzata era sua figlia. Peter non amava Eveleen. No, amare era un verbo riduttivo. Peter adorava Eveleen. Da quando la piccola era nata non lo avevo mai sentito alzare la voce o perdere la pazienza con lei. Da quando aveva aperto i suoi occhi ai suoi primi passi, Peter le era stato accanto, sempre pronto a proteggerla, ad aiutarla o semplicemente a trascorrere del tempo con lei. Come quando la portava a cavalcioni per il grande cortile o giocava a nascondino tra le sale del castello. Oppure come quando le leggeva le fiabe la sera, facendola addormentare nel letto matrimoniale tra le nostre braccia prima di metterla nel suo lettino e salutarla con uno sguardo che sfiorava semplicemente la venerazione, come avevo più volte potuto ammirare accostata allo stipite della porta della sua cameretta.

Eveleen rimase interdetta dalle parole del padre. Si mordicchiò il labbro e i suoi grandi occhi si fecero umidi per la paura di aver offeso Peter.

“No, no, io voio tanto bene a papà!” trillò e si tuffò tra le sue braccia, per rimediare al piccolo danno compiuto.

Peter le scompigliò i ricci biondi e la strinse con un braccio ridendo.

Il mio cuore si gonfiò di gioia. Nessun panorama, nessuna opera d’arte poteva ripagare la visione di mio marito e mia figlia abbracciarsi. Era una vista che mi dava l’ennesima conferma che le scelte e i fatti compiuti finora erano stati quelli giusti.  

“Zia Lu, dov’è zio Ed?”

La domanda di Andrew mi fece notare l’effettiva assenza del terzo dei Pevensie.

“Ha ragione, dove si è cacciato?” chiesi anche io, cercando con gli occhi.

Lucy sorrise maliziosa e indicò un punto oltre le sue spalle, una grande quercia dietro alla quale si intravedeva il profilo di un giovane uomo. “è con Melanie” disse allusiva.

“Ah…” le fece eco comprendendo.

“Uffa, non gioca più con noi per stare con Mel, non è giusto!” sbuffò invece il piccolo Andrew.

Melanie era la figlia del generale dell’esercito di Telmar. Una ragazza graziosa, ben educata, con corti capelli castano chiaro e un fisico minuto, che era riuscita a far invaghire di sé Edmund fino a fargli perdere la testa. Cosa che, ovviamente, lo rendeva oggetto di continue battute più o meno velate da parte nostra, Lucy in primis.

I due si erano incontrati circa un mese prima quasi per caso. Edmund era andato a trovare Susan e Caspian a Telmar e nelle scuderie del castello aveva trovato una giovane ragazza, persasi nel grande castello mentre cercava il padre per recargli un messaggio da parte della moglie. Da bravo cavaliere Edmund non aveva resistito ad aiutare il prototipo della donzella in difficoltà, finendo per innamorarsi della giovane dai luminosi occhi smeraldini e aumentando di conseguenza le sue visite a Telmar.

Nonostante le battute però, noi tutti eravamo felice per il moro. Erano una trentina di giorni che camminava ad un metro dal suolo, come si poteva non augurargli altro se non che la sua relazione con Melanie proseguisse?

Andrew, ancora imbronciato per la mancanza dello zio, si avvicinò ad Eveleen, appena lasciata andare dal padre intenta a raccogliere un mazzetto di margherite da terra. Con la coda dell’occhio vidi il suo sguardo mutare da atterrito a furbo e con un gesto fulmineo strappò di mano i fiori dalla manina di Eve.

“Dammeli Andy! Cattivo!” la protesta della bimba non tardò a farsi sentire.

Andrew, divertito, alzò il braccio con la quale teneva le margherite in alto, fuori dalla portata della cugina.

Eveleen iniziò a saltare cercando di raggiungere i fiori, ma la distanza era troppa per le sue corte gambe, non ci sarebbe mai riuscita.

Contrariata, mi alzai, pronta a mettere fine alla disputa mentre il faccino di Eveleen cominciava a contrarsi pronto al pianto.

“Dammi i fioli!” gridò arrabbiata la piccola, pestando un piede per terra.

Ciò che seguì lasciò tutti sbigottiti.

I fiori svanirono dalla mano stretta di Andrew e ricomparvero in quella di Eveleen, la quale soddisfatta ricacciò indietro le lacrime e si allontanò dal cugino dispettoso.

Peter e Lucy mi guardarono, negli occhi una muta richiesta.

“Non sono stata io” sussurrai incredula.

Posai lo sguardo su mia figlia, che felice aveva ripreso a raccogliere margherite, apparentemente ignara dello stupore che aveva suscitato in tutti compreso Andrew.

Eveleen…aveva compiuto una magia?

Mi avvicinai a lei, chinandomi alla sua altezza e passandole un braccio intorno al vitino.

“Amore, puoi dire alla mamma come hai fatto a riprendere i tuoi fiori?” le domandai cercando di mantenere una facciata tranquilla.

La bimba sbatté gli occhioni. “Io li ho chiamati e lolo sono venuti, mama” mi rispose alzando le spalle, come se fosse la cosa più semplice del mondo.

Le mie labbra si distesero in un sorriso sorpreso ma felice. La presi in braccio e la fece volteggiare.

“Ma è fantastico, piccola mia!” esclamai.

La domanda più grande che ci ponevamo riguardo alla nascita di nostra figlia, era se sarebbe nata con o senza i miei poteri. Anni addietro, quando ancora vivevo a Londra, mi ero detta più volte che se mai avessi avuto figli avrei sperato per loro che non ereditassero la mia magia, in modo che avessero una vita normale. Ma da quando avevo imparato a vedere i miei poteri come un dono e non come una maledizione, la mia speranza era radicalmente cambiata. Mi ero augurata che Eveleen ereditasse anche quel lato di me. Le avrei fatto scoprire le sue capacità, quanto bene potesse fare alle persone e quanto potesse anche essere divertente essere una strega. Le avrei dato tutto l’appoggio che a me era mancato durante la mia infanzia e la mia adolescenza, facendole apprezzare i suoi poteri come una meravigliosa parte di sé e non come un’anomalia.

“è una cosa molto bella?” mi domandò, non capendo il motivo della mai gioia.

“Stupenda, amore.” Si avvicinò Peter, accarezzandole il viso. “Sei anche tu una strega, come la tua mamma” le disse, sorridendomi. Sostenendo Eveleen solo con un braccio, mi avvicinai a lui per un bacio, lieta che anche lui considerasse meravigliosa la scoperta. Avevamo già affrontato la possibilità che Eveleen avesse dei poteri in alcune nostre discussioni, e il re mi aveva già rassicurata sul fatto che avrebbe considerato la magia come un altro aspetto splendido della sua “piccola stellina”, esattamente come faceva con la madre, vederlo però confermato era un sollievo.

La bimba mi guardò spalancando gli occhi. “Quindi anche io posso fale le bolle cololate?” chiese diffidente.

Scoppiai a ridere. “Ma certo! E quando sarai più grande ti insegnerò tante altre magie, ancora più belle!” le promisi.

“Come volare, per esempio” si intromise Lucy, eccitata anche lei dalla nuova notizia.

Mia figlia volse il faccino stupito verso la zia. “Volale? Come le falfalle?”

“Si. Lo sai che la tua mamma è riuscita a far volare lo zio Edmund, una volta?”

“Davvelo?” gli occhi della bimba divennero tanto grandi da riempirle tutto il viso.

“Ma certo, vuoi che ti racconti come è accaduto?” chiese la ragazza avvicinandosi con un sorriso.

“Si!” esclamò Eve protendendo le braccia verso la zia. Gliela diedi in braccio, obbedendo al suo desiderio, e le vidi allontanarsi poco più in là mentre Lucy cominciava a narrare sotto lo sguardo meravigliato della nipote.

Scossi la testa divertita, ripensando a quanto tempo era passato da quell’episodio. Anzi, da quell’intera grande avventura che aveva richiamato i Pevensie a Narnia dopo il loro millenario esilio. Un’avventura per fortuna conclusasi bene, come quella che aveva riportato nel regno Edmund e Lucy dopo tre anni dalla loro partenza.

Caspian e Peter erano partiti a bordo di un veliero alla ricerca dei sette Lord esiliati precedentemente da Lord Miraz, una missione apparentemente semplice che però si era trasformata in un pericoloso viaggio tra isole maledette e pirati ostili. Durante il viaggio, inaspettatamente avevano visto emergere dall’acqua i più piccoli dei Pevensie assieme ad un loro cugino di nome Eustace Scrubb, e con il loro aiuto, certamente mandato provvidenzialmente da Aslan, erano riusciti a concludere la missione, alla fine della quale Eustace aveva rifatto ritorno a Londra, mentre Edmund e Lucy erano potuto restare con noi, tornando a vivere a Cair Paraveil. Lo stupore mio e di Susan, rimaste a Telmar per la gravidanza di quest’ultima, nel vedere tornare assieme ai nostri uomini anche i due ragazzi era stato immenso, ma più grande era stata la gioia che ne era seguita.

“Così entrambe le mie stelle sono streghe”

Peter mi abbracciò da dietro, appoggiando il capo nell’incavo del mio collo.

“Devi stare molto attento ora, se ci fai arrabbiare potremmo trasformarti in un rospo” scherzai, reclinando indietro la testa.

Sentii la mia schiena scossa dalla sua risata.

“Comunque sapevo che era speciale. Esattamente come la sua mamma” mi sussurrò, facendo giungere un fiotto d’aria calda vicino al mio orecchio.

Girai il viso per guardarlo negli occhi, scuotendolo leggermente.

“La magia non è l’unica cosa a renderla speciale. Ogni giorno che passa ti somiglia di più. L’altro ieri l’ho sentita sostenere una discussione con Andrew su come fosse ingiusto da parte sua prendere in giro il figlio di Ripicì per il desiderio di divenire cavaliere e di come bisognasse rispettare ogni creatura”

Un lampo d’orgoglio passò nelle sue iridi azzurro cielo.

“Diciamo che ha preso il meglio di entrambi allora.”

Annuii concordando. “Speriamo solo che non abbia preso la tua testardaggine” aggiunsi scherzando.

“Senti da che pulpito viene la predica!” ribatté, fingendosi offeso.

Ridemmo entrambi, mentre le braccia di Peter mi cullavano leggermente.

Poco distante, Andrew si era aggiunto nel gruppo degli ascoltatori della storia di Lucy, la quale si stava divertendo a raccontare annedoti passati con tanto di mimo. Lucy ed Edmund si erano dimostrati due zii meravigliosi e instancabili baby-sitter a tempo pieno. Senza il loro prezioso aiuto conciliare i ruoli di sovrani e genitori sarebbe stato quasi impossibile sia per noi che per i regnanti di Telmar. Erano sempre pronti a prendersi cura dei nipoti, i quali aveva un’adorazione per i due zii, grandi abbastanza per accudirli e sentirsi protetti ma giovani quanto bastava per non dire mai di no ad un nuovo gioco.

Osservai come i boccoli della mia bambina rilucevano al sole come quelli del papà, seguendola ad ogni movimento del corpicino intento nell’ascolto del racconto.

Era così bella e dolce. L’avrei osservata tutto il giorno senza mai stancarmi. Ero colpita dall’amore smisurato che Peter aveva nei suoi confronti, ma io non ero da meno. Non mi ero mai immaginata madre, quanto meno non prima dei trent’anni. Eppure accudire quello scricciolo tenero quanto incredibilmente intelligente per la sua età, era divenuta la mia occupazione principale e più gradita. Avevo i miei incarichi di regina e di ambasciatrice, avevo un mio ruolo nella società di cui andavo fiera, ma da quando Eveleen era nata, avevo rivisto la scala delle mie priorità e lei si era ritrovata in cima. Era divenuta il centro della mia vita.

Avevo avuto due donne da chiamare “mamma”, ma poiché nessuno dei due si era dimostrata un buon esempio da imitare, non avevo idea di come si comportasse una brava madre. Ero certa però che ad Eveleen non avrei mai fatto mancare ciò che io in particolare non avevo avuto, amore e appoggio. Il giorno in cui era nata, avevo giurato a me stessa che le sarei sempre stata accanto in qualunque occasione e non sarei mai venuta meno al mio giuramento.

Vedendo il suo volto sereno e spensierato, ero convinta che finora Peter ed io ce la stessimo cavando alla perfezione. L’unica cosa che forse ci mancava era un po’ di polso nel far valere qualche divieto, come non esitava a farci notare Susan. Ma, nonostante ci avessimo seriamente provato, né Peter né io riuscivamo a imporci su quell’angioletto. Ma per ora non dovevamo preoccuparci. Eveleen era buona e molto più obbediente del cugino, il cui gioco preferito era cacciarsi nei guai, qualsiasi essi fossero. Le sgridate le preservavamo per l’adolescenza, quando, ne ero certa, la testa dura ereditata dal padre si sarebbe fatta sentire. Al momento il suo unico peccato era quello di svegliarci nel cuore della notte a causa di un brutto sogno.

“Cathy?” mi chiamò Peter.

Mi girai, circondandogli il collo con le braccia.

“Si?” mormorai serafica.

“Avresti mai immaginato la tua vita così?”

La domanda mi colse di sorpresa, ma la risposta non fu difficile da dare. “No. Non credevo si potesse essere tanto felici” dichiarai con semplicità.

Peter mi regalò uno dei suoi meravigliosi sorrisi. “Nemmeno io” mi confidò in un sussurro.

Ricambiai il sorriso, avvicinandomi al suo viso tanto da sfiorargli il naso con il mio. “Allora ti dirò un segreto. Tutto questo è per sempre. Lo hai giurato quando mi hai sposata” dissi con il tono di chi stesse rivelando chissà quale scoperta.

“Per sempre” ribadì. La sua voce, più bassa del solito, mi vibrò dentro, facendo palpitare il mio cuore. Incredibile come, dopo dieci anni, solo la sua voce riusciva ancora a farmi librare verso il cielo. Molti affermano che l’amore è una fiamma che si consuma. Non potevo essere più in disaccordo. L’amore che provavo verso Peter era ancora più profondo ora che dieci anni fa, consolidato dalla nostra routine quotidiana, come se ogni gesto che compivamo fosse un ceppo aggiunto a quel bracere.

Peter mi baciò con dolcezza, schiudendo quelle labbra ormai modellate sulle sue.

“Mama, papà!”

Una vocina acuta si impose sul resto. Con un sospiro rassegnato ci separammo per rivolgerci a Eveleen che correndo si stava avvicinando.

“Davvelo hai fatto volale zio Edmund per salavale papà?” chiese guardandomi ammirata.

Sorrisi della sua meraviglia e mi apprestai a risponderle, quando Peter mi sussurrò all’orecchio “Stanotte riprendiamo da dove ci siamo interrotti”.

Ero una madre. Ero una moglie. Ero una regina. Ma avevo pur sempre ventisette anni e nessun titolo mi avrebbe impedito di arrossire alle sue parole. Né di iniziare a sperare che le lancette dell’orologio prendessero a scorrere molto, ma molto velocemente.

“Mama!” reclamò la mia attenzione la bimba contrariata dalla mia lentezza nel rispondere.

“Ehm, ma certo tesoro. Anche se è tuo zio che merita di più la tua ammirazione. All’epoca non ero ancora molto brava con la magia, potevo anche farlo cadere e fargli male, ma tuo zio Edmund invece si è fidato lasciandosi trasportare in volo” le spiegai.

“Più che di coraggio parlerei di avventatezza. Solo dopo che la battaglia fu finita mi resi conto del pericolo corso!”

Una voce allegra si aggiunse al nostro gruppo.

“Zio!” urlò il piccolo Andrew correndo in contro ad Edmund. Il giovane gli scompigliò affettuosamente i capelli mentre si avvicinava a noi mano nella mano con Melanie. Rossa di capelli, quasi bianca nell’incarnato, la ragazza sorrideva beata della presenza del giovane accanto a sé, azzardando solo qualche timida occhiata in nostra direzione. Nonostante passasse molto tempo in nostra compagnia, non si era ancora abituata a parlarci normalmente. Nella sua testa, Peter, Lucy ed io eravamo i sovrani di Narnia, trattarci come semplici amici era tanto di più lontano ci potesse essere da quello che aveva imparato a fare durante la sua educazione. Confidavo però fosse solo questione di tempo. Anche la timidezza dovrà pur avere i suoi limiti, giusto?

“Fai volare anche me come hai fatto con lo zio?” mi domandò Andrew avvicinandosi.

“Anche me, anche me!” si accodò subito Eve.

“Non saprei…” finsi di rifletterci su.

Subito i bimbi cominciarono a saltarmi attorno assediandomi di suppliche, sotto le risa divertite dei presenti.

“Mi sa che ti tocca Cate” suggerì mia cognata.

Sospirai, fintamente rassegnata. “Va bene allora” concessi.

Le urla che seguirono furono un segnale evidente della loro gioia.

Cominciai a far confluire la mia magia nei palmi delle mani. Quando fui pronta cercai le loro piccole auree luminose e senza esitare le avvolsi con il mio potere.

Senza fatica, feci alzare i due bambini in aria, poco sopra le nostre teste.

Eveleen e Andrew si guardarono attorno estasiati. Ridendo e gridando felici, agitarono le braccia e le gambe come se stessero nuotando nel mare, allo scopo di muoversi. Accondiscesi al loro desiderio, facendoli compiere in volo un giro attorno a noi tre rimasti a terra. Li feci alzare di un paio di metri e li trasportai con attenzione sopra il cortile, spaziandolo a destra e a sinistra.

I due cugini ridevano, contenti di quel nuovo gioco, emozionati di stagliarsi contro il cielo che tendeva ormai all’arancione. Il sole era quasi del tutto tramontato all’orizzonte. Un altro giorno era finito e la luna tornava a regnare nella notte limpida, finché un’altra alba avrebbe segnato l’arrivo di un nuovo giorno. Un giorno perfetto come tutti quelli che avevo vissuto da lì a dieci anni e come tutti quelli che avrei avuto nel mio futuro.

Lanciai un’occhiata a Peter, che fissava divertito sua figlia e il nipote volteggiare come due libellule. Ai miei occhi non aveva mai smesso di essere il meraviglioso angelo sceso dal cielo unicamente per me. Era bello e regale come la prima volta che lo avevo visto, quando, seppur terrorizzata dal ritrovarmi in una raduna con sei bestie mitologiche, appena si era tolto l’elmo, non avevo potuto non notare quanto fosse attraente.

Forse, il nuovo giorno perfetto poteva aspettare. Per il momento mi sarei limitata ad aspettare quella sicuramente meravigliosa notte.

   
 
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